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Rinaldo Guglielmi
Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

 

L’ipertiroidismo è una condizione in cui si ha un eccesso di ormoni tiroidei circolanti con aumento sovrafisiologico della loro attività a livello degli organi bersaglio. Molte sono le cause in grado di produrre tale condizione clinica e la corretta identificazione della causa consente di programmare la  scelta terapeutica più idonea ed il successivo follow-up.
Nella pratica clinica spesso i termini tireotossicosi ed ipertiroidismo vengono utilizzati come sinonimi, ma mentre per tireotossicosi s’intende una condizione di elevazione degli ormoni tiroidei, per ipertiroidismo si specifica che la causa dell’elevazione (aumentata sintesi ormonale).

Da un punto di vista bioumorale, la malattia  è caratterizzata da valori bassi/soppressi di TSH e da valori elevati di FT4 e/o FT3 circolanti.

La scintigrafia tiroidea riveste un ruolo determinante nell’inquadramento diagnostico dell’ipertiroidismo (1). Sulla base del risultato di tale esame, possono essere distinti grossolanamente due tipi di ipertiroidismo:

  1. ipertiroidismo vero: eccesso di ormoni tiroidei con captazione normale o aumentata della tioride (testimonianza dell'aumentata capacità di sintesi degli ormoni tiroidei)
  2. tireotossicosi: eccesso di ormoni tiroidei con bassa o assente captazione. Si tratta alternativamente di una condizione infiammatoria in cui aumenta nel sangue il valore degli ormoni tiroidei in seguito alla deplezione dei depositi di ormoni tiroidei da ressi cellulare (forme endogene) o dell’ingestione eccessiva di ormoni tiroidei (forme esogene)

L’ipertiroidismo, analogamente a quanto accade per le altre patologie tiroidee, è più frequente nelle donne, con rapporto femmine/maschi > 5 e questa percentuale è ancora più elevata quando si considera la forma a genesi autoimmune. La prevalenza della malattia è di poco superiore all’1% e si correla con l’età. L’età influenza anche i diversi tipi di ipertiroidismo, poiché nelle donne anziane è prevalente l’autonomia funzionale del gozzo di vecchia data mentre nelle giovani donne è più frequente il Graves. L’ipertirodismo è più frequente nei fumatori  (soprattutto la forma autoimmune). L’incidenza del Graves, riportata da pochi studi, è di circa 5 casi ogni 1000 persone/anno (2-4).

 

Ipertiroidismo con captazione normale o alta

Nella maggior parte dei casi si tratta di patologie a genesi autoimmune

Il morbo di Graves è di gran lunga la forma più frequente di ipertiroidismo. Esso è dovuta ad un disturbo autoimmune, in seguito al quale si verifica la produzione di anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb), che, una volta legatisi al recettore specifico, stimolano costantemente i tireociti alla produzione e rilascio di ormoni tiroidei (5). Tra i fattori di rischio viene riportato un alto introito iodico, il substrato genetico e fattori  ambientali (6). Oltre ai classici sintomi e segni dell’ipertiroidismo, possono far parte del quadro clinico della malattie l’orbitopatia e il mixedema pretibiale.

L’"Hashitossicosi" è la condizione in cui si realizza un ipertiroidismo con genesi del tutto simile al Graves, ma che poi è seguito da ipotiroidismo a causa di sindrome autoimmune distruttiva del tutto sovrapponibile alla tiroidite cronica autoimmune.

Il gozzo uninodulare (adenoma) ed il gozzo multinodulare tossico sono caratterizzati da una componente nodulare o multinodulare iperplastica, la cui attività funzionale è svincolata dal controllo del TSH. Sono state individuate mutazioni attivanti a carico del recettore del TSH nell’adenoma tossico e nel gozzo multinodulare, mentre le mutazioni della G-alpha protein sono state riscontrate solo nell’adenoma tossico. Le mutazioni sono prevalenti nell’adenoma singolo, mentre il basso introito di iodio sembra correlarsi alla forma multinodulare (7,8).

L’ipertiroidismo iodio-indotto è una forma non molto comune; in genere è conseguente all’introito di alte quantità di iodio, come accade in caso di esami radiologici che prevedano l’uso di contrasti iodati e come accade con il trattamento della patologie cardiache che necessitano di terapia con amiodarone.

L’ipertirodismo può essere secondario a mola idatiforme, corioncarcinoma o a tumore delle cellule germinali nel maschio attraverso lo stimolo del recettore del TSH. In tali casi l'inquadramento diagnostico sarà più complesso e riguarderà principalmente il tumore, anche se il quadro clinico è in genere dominato dalle manifestazioni legate alla sintesi eccessiva degli ormoni  tiroidei (9)

L’ipertiroidismo da inappropriata secrezione di TSH può essere ricondotto a cause neoplastiche o non: peculiarità di questa forma è l’associazione di frazioni libere degli ormoni tiroidei elevate con TSH normale o alto (10). L’adenoma ipofisario TSH-secernente quasi sempre è un macroadenoma  non infrequentemente invasivo. Accanto alla sintomatologia tipica dell’ipertiroidismo ed al gozzo, spesso è presente la sintomatologia dovuta agli effetti compressivi del macroadenoma (deficit del campo visivo e galattorrea). In tali casi la terapia principale è l’asportazione del macroadenoma associato all'uso di farmaci tireostatici in preparazione dell’intervento. In fase pre-operatoria può essere utile un trattamento con analoghi della somatostatina, al fine di ridurre il volume del macroadenoama (10).
La forma non neoplastica è dovuta alla resistenza agli ormoni tiroidei in conseguenza della mutazione del recettore nucleare della T3. Non esiste un trattamento specifico di tale condizione (11). 

Esiste infine una rara condizione di ipertiroidismo da eccessiva attività a valle del recettore del TSH, non dovuta ad uno stimolo del TSH, che in queste condizioni è basso, ma alla mutazione attivante del recettore. Si tratta di una patologia trasmissibile ereditariamente come tratto autosomico dominante (12).

 

Ipertiroidismo con captazione bassa o assente (tireotossicosi)

Si tratta di una serie di condizioni in cui non si ha iperattivazione della tiroide, per cui la captazione della ghiandola è bassa o persino assente. Questa patologia comprende situazioni che vanno dalla infiammazione della ghiandola con ressi cellulare e rilascio di ormone preformato, all'ingestione di eccessive dosi di ormone tiroideo.

Le tiroiditi sono caratterizzate da infiammazione della ghiandola con ipertiroidismo, transitorio, dovuto alla distruzione delle cellule con il rilascio di ormoni tiroidei preformati e immagazzinati all'interno delle cellule (ressi cellulare). Tale fase è seguita da un breve periodo di ipotiroidismo e nella maggior parte dei casi dal recupero dell’eutiroidismo.
La forma più tipica è la tiroidite subacuta o di de Quervain, che è una malattia virale ad insorgenza acuta. Il quadro è dominato dal gozzo, dal dolore intenso e dalla febbre. Ci sono poi le forme senza dolore (la silente e la forma linfocitica), che sono parte dello spettro delle malattie autoimmuni della tiroide. La forma più tipica è la tiroidite post-partum, riscontrabile nei 2-5 mesi dopo il parto nell’8-12% delle donne (13).
Ci sono molte altre forme di tiroiditi che possono causare un ipertiroidismo di minima entità e transitorio: le tiroiditi distruttive da farmaci (amiodarone, sunitinib, interferone-alfa) e quelle da radiazioni, da palpazione o da manipolazione durante la chirurgia delle paratiroidi.
Non essendoci l’iperfunzione della ghiandola, la terapia non contemplerà le tionamidi, ma gli anti-infiammatori a seconda della gravità del quadro (FANS o steroidi).

Le cause esogene alla tiroide sono rappresentate nella maggior parte dei casi da ingestione di eccesso di ormone tiroideo.

 

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Rinaldo Guglielmi
Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

 

Il quadro clinico dell’ipertirodismo è abbastanza caratteristico nella maggior parte dei pazienti, con una rappresentazione variabile dei segni e dei sintomi (1). L’espressione clinica dipende dalla severità del quadro piuttosto che dalla causa. Tuttavia nel Graves (GD), oltre ai segni e sintomi classici dell’ipertiroidismo, possono essere presenti alcune peculiarità della malattia, come l’orbitopatia ed il mixedema, che sono dovute alla particolare genesi autoimmune della malattia (2).
Il quadro clinico dipende sostanzialmente da due caratteristiche fisiopatologiche dell’ipertiroidismo:

  1. l’eccesso di ormoni tiroidei circolanti
  2. l’iperattivazione ß-adrenergica

Tutto questo si traduce in una serie di manifestazioni cliniche che sono facilmente diagnosticabili quando il quadro è severo, mentre la diagnosi può essere, in forme a minore severità, non scontata poichè la sintomatologia è sfumata. Analizzeremo la sintomatologia valutando i singoli apparati più colpiti dall’eccesso di funzione tiroidea.

 

Cute
Di norma è calda per l’aumento del flusso sanguigno sottocutaneo ed è liscia per la riduzione dello strato cheratinico. L’iperidrosi delle mani è molto frequente, unitamente al facile arrossamento della cute del volto e della regione cervicale. Spesso i pazienti lamentano prurito e manifestazioni orticarioidi; inoltre, possono essere presenti fragilità ungueale (onicolisi) e alterazioni della pigmentazione, talora più evidenti in regione palpebrale. L’iperpigmentazione sembra essere dovuta al rialzo dell’ACTH conseguente all’eccessivo metabolismo del cortisolo. La vitiligine, descritta nel 5-10% dei pazienti con GD, non è legata all'eccesso degli ormoni tiroidei circolanti ma è espressione di un disturbo autoimmunitario più ampio. Spesso è segnalato dalle pazienti l'indebolimento dei capelli: i casi di alopecia sono tuttavia piuttosto rari e suggeriscono, come per la vitiligine, una patogenesi autoimmune dell’ipertiroidismo (3-5).

 

Occhi
Alcuni segni sono presenti in tutti i pazienti affetti da ipertiroidismo, come la retrazione palpebrale e lo sguardo fisso, che concorrono all’espressione “tragica” del paziente. Essi dipendono dall’iperattivazione adrenergica (6). Un attenzione particolare richiedono i  segni caratteristici dell’oftalmopatia,  presente  in una porzione di pazienti affetti da GD.

 

Apparato cardio-vascolare
Caratteristici sono l’aumento della frequenza cardiaca, della gittata cardiaca e la riduzione delle resistenze vascolari. Tutto questo si traduce in tachicardia sinusale sintomatica, quadro ecocardiografico di ipertrofia ventricolare sinistra, soffio sistolico da prolasso della mitrale ed aumento della pressione arteriosa sistolica e di quella differenziale (7,8).
Nel 10-20% dei pazienti affetti da ipertiroidismo, soprattutto se anziani può svilupparsi una fibrillazione atriale (9). Per lo sviluppo di tale condizione a volte è sufficiente una forma subclinica di ipertiroidismo, a patto che sia di lunga durata (10). Nella maggior parte dei pazienti si ha una cardioversione spontanea con il ripristino dell’eutiroidismo. Il rischio della ripresa di fibrillazione nei due anni successivi è del 50% circa, rispetto all’80% circa del rischio di ripresa della fibrillazione in soggetti non ipertiroidei (10). Il trattamento non differisce da quello della fibrillazione atriale non associata ad ipertiroidismo (11).
Il paziente coronaropatico che sviluppa un quadro di tireotossicosi presenta un elevato rischio di aggravamento del quadro ischemico e richiede spesso un potenziamento del monitoraggio clinico-strumentale e della copertura farmacologica.
Lo scompenso cardiocircolatorio nel paziente con ipertiroidismo può accompagnarsi ad una ridotta sensibilità alla terapia digitalica (accelerato metabolismo del farmaco). Come conseguenza dell’attivazione alfa- e ß-adrenergica indotta dagli ormoni tiroidei, il trattamento con ß-bloccanti riduce alcune delle risposte fisiopatologiche a carico dell’apparato cardiovascolare all’eccesso di ormoni tiroidei circolanti. Occorre tuttavia ricordare che, a causa della ridotta riserva ventricolare propria dei quadri di tireotossicosi severa e/o inveterata, il blocco ß-adrenergico può esitare in un aumento pressorio del circolo polmonare, a sua volta in grado di precipitare o peggiorare il quadro di scompenso (11).

 

Sistema nervoso
Sono riportate difficoltà di concentrazione, facile irritabilità, insonnia. In molti pazienti è presente un certo grado di labilità emotiva, trascurabile sul piano clinico, ma spesso fonte di un significativo disagio psico-relazionale. L’ipertiroidismo può inoltre associarsi al manifestarsi di quadri psichiatrici latenti (agitazione, s. ansioso-depressiva, fobie e attacchi di panico) ed è un riconosciuto fattore precipitante la comparsa di psicosi. L’impatto neuropsicologico della malattia non deve essere mai trascurato, in particolare nei pazienti con anamnesi positiva per manifestazioni psichiatriche, poiché queste peggiorano sensibilmente con l’esordio della malattia e migliorano con il ripristino dell’eutiroidismo (13). Nelle forme più gravi di tireotossicosi è inoltre descritto il manifestarsi di segni e sintomi cerebellari e/o piramidali, o la comparsa di movimenti atetosici o coreiformi, tutte manifestazioni reversibili con il ripristino dell’eutiroidismo.

 

Muscoli
Il tessuto muscolare è tra quelli maggiormente colpiti dall’ipertiroidismo, con quadri che vanno da lievi manifestazioni di tipo miasteniforme a marcata ipotrofia muscolare; eccezionalmente, è descritta l’evoluzione in quadri di tipo miositico. I valori di AST e ALT sono spesso elevati nella fase acuta della malattia, e lo studio elettromiografico può, in casi isolati, fornire  tracciati simili a quelli delle patologie miodistrofiche. Nel paziente con GD, peraltro, esiste un’aumentata incidenza di miastenia e paralisi ipokaliemica, più frequente nei pazienti di orgine asiatica. L’ipereccitabilità dei riflessi ed i tremori sono elementi caratteristici dell’esame obiettivo. I tremori sono in genere ben controllati dalla terapia con ß-bloccanti (14).

 

Apparato respiratorio
In seguito all’ aumento del consumo di ossigeno ed alla produzione di CO2, si può avere ipossia ed ipercapnia, con conseguente tachipnea compensatoria. La causa principale della dispnea però è dovuta alla debolezza della muscolatura respiratoria. Questo comporta una riduzione della capacità vitale e di conseguenza una ridotta capacità di esercizio muscolare. C’è una tendenza all’aumento della pressione polmonare, che come è stato detto può essere peggiorata ulteriormente dall’impiego dei ß-bloccanti.

 

Fegato e sistema gastro-intestinale
Il dimagrimento è legato ad ipermetabolismo ed a ridotto assorbimento intestinale (rapido svuotamento gastrico ed accelerato transito intestinale); raramente viene segnalata steatorrea. Abbastanza caratteristica è l’iperfagia, mentre raramente sono descritti vomito ed addominalgia (15,16). La funzionalità epatica presenta spesso indizi di una lieve compromissione (iperbilirubinemia, aumento di transaminasi, fosfatasi alcalina e gamma-GT). Nel GD non è infrequente l’associazione con altre patologie autoimmuni gastrointestinali (gastrite cronica e celiachia).

 

Ematologia
Nei pazienti con malattia conclamata è possibile riscontrare anemia normocitica, più raramente megaloblastica. In questi casi è opportuno escludere la presenza di gastrite cronica autoimmune ed anemia perniciosa. Frequente è il riscontro di linfocitosi relativa e lieve piastrinopenia. Si calcola che il 10-15% dei pazienti con porpora trombocitopenica idiopatica presenti un quadro concomitante di ipertiroidismo su base autoimmune. La coagulazione è nel complesso conservata, anche se non mancano segnalazioni di un accresciuto rischio trombotico (17).

 

Osso
Gli ormoni tiroidei stimolano il turn-over osseo di calcio e collagene, per cui nell’ipertiroidismo si può avere osteoporosi in entrambi i sessi. L’interessamento dell’osso corticale è maggiore di quello dell’osso trabecolare. La calcemia può risultare elevata, così come l’osteocalcina e la fosfatasi alcalina e l'escrezione urinaria di calcio, ma non è documentato un aumentato rischio uronefrolitiasico. I livelli di PTH sono solitamente normali o ridotti, mentre per un'aumentata clearance la vitamina D è bassa (18). Le alterazioni indotte dall’ipertiroidismo sul metabolismo calcio-fosforico e sulla densitometria ossea sono generalmente reversibili con la terapia. Il Graves può essere associato con l’acropachia (apposizioni periostali a livello dei metacarpi e delle falangi). Questa complicanza del Graves sembra, come l’oftalmopatia, essere associata al fumo di sigarette (19).

 

Apparato genito-urinario
La poliuria e la nicturia sono abbastanza frequenti, anche se non ne è completamente comprensibile la ragione fisiopatologica. Nei bambini si può avere enuresi.
Sono frequenti le alterazioni del ciclo mestruale e l’anovulatorietà, ma la fertilità a distanza non è compromessa se viene ripristinato l’eutiroidismo (20). La gravidanza in corso di tireotossicosi è possibile, anche se non frequente, e prevede un maggior controllo clinico e laboratoristico.
Nel maschio si può talora osservare ginecomastia, indotta da squilibri del rapporto estradiolo/testosterone, con una riduzione del testosterone libero secondaria all’incremento della sex hormone-binding globulin (SHBG) in assenza di chiari segni e/o sintomi di ipogonadismo. Sono comunque riportate aumentata incidenza di disfunzione erettile e oligo-astenospermia (21).

 

Surreni
Alterazioni della funzione surrenalica di base non sono comuni, mentre sono state riportate anomalie dopo test di stimolo con ACTH. Più precisamente è stato riportato una riduzione della risposta del cortisolo allo stimolo a basse dosi (Synacthen 1 µg) in un terzo dei pazienti ipertiroidei (22).

 

Alterazioni metaboliche
Possono essere così riassunte (23):

  • aumento del metabolismo basale;
  • aumento dell’assorbimento del glucosio e del suo utilizzo, con incremento della secrezione di insulina e riduzione della sensibilità insulinica, che può portare alla ridotta tolleranza glicidica
  • aumento della sintesi di colesterolo, ma riduzione dei livelli circolanti per aumentata clearance biliare, con riduzione del rapporto tra colesterolo totale e HDL-colesterolo
  • aumento della sintesi e del catabolismo proteico con bilancio negativo

 

Paziente anziano
Il profilo clinico dell’ipertiroidismo non è del tutto sovrapponibile ai soggetti giovani. Più frequentemente la malattia presenta ridotta espressività del tipico quadro sindromico (“apathethic hyperthyroidism”) e netto predominio delle manifestazioni cardiovascolari (scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, cardiopatia ischemica). Inoltre si osserva, talora, un marcato e progressivo scadimento delle condizioni generali, con alterazioni del compenso glicometabolico e del metabolismo calciofosforico (osteopenia/osteoporosi, raramente ipercalcemia). Le alterazioni psicologiche si traducono solitamente in quadri depressivi. Rara la comparsa in età avanzata dell’orbitopatia, anche perchè la forma più frequente in questa fase è legata al gozzo multinodulare tossico (24,25).

 

In generale, si può affermare che nei soggetti giovani e non affetti da altra patologia, l’ipertiroidismo è generalmente ben tollerato e raramente determina quadri clinicamente severi. Le situazioni che possono fare eccezione sono: la crisi tireotossica e una grave compromissione cardiovascolare.

La crisi tireotossica (thyroid storm) è un raro quadro sindromico di estrema gravità, ad insorgenza tipicamente acuta, caratterizzato da iperpiressia, astenia profonda, alternata a stati di agitazione psico-motoria, gravi manifestazioni tachiaritmiche con possibile collasso cardiocircolatorio, alterazioni dello stato di coscienza. In genere deriva dall’interazione di quadri di ipertiroidismo più o meno latenti con eventi acuti in grado di precipitarne la gravità (interventi, traumi psichici o fisici, infezioni, alterazioni dell’equilibrio acido-base).

Decisamente infrequenti sono anche quadri di profondo impegno cardiovascolare risultanti da tireotossicosi inveterata e/o non riconosciuta e/o non adeguatamente trattata, con fibrillazione atriale ad alta frequenza, scompenso cardiocircolatorio, ipertensione polmonare. Tali quadri, osservati in pazienti con GD con probabili fattori predisponenti individuali, potrebbero essere innescati da alterazioni morfostrutturali del miocardio su base autoimmune.

 

Bibliografia

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Paolo P Limone, Francesca Garino, Enrico Sgotto*, Elena Gamarra, Federico Ragazzoni
SC Endocrinologia e *SS Chirurgia della Tiroide, AO Ordine Mauriziano, Torino

 

 

EZIOPATOGENESI

L'adenoma autonomo della tiroide è generalmente considerato il prodotto della espansione clonale di una singola cellula portatrice di una mutazione somatica. Le mutazioni somatiche più note sono rappresentate da mutazioni attivanti del gene del recettore del TSH o del gene della proteina Gs-alfa che stimola l'adenilciclasi. Sono riportate con frequenza che varia dal 3% all'80%: le discrepanze sono verosimilmente spiegabili con le diverse metodologie applicate nello studio delle mutazioni, nonchè con aspetti epidemiologici, quali in primis l'introito iodico, risultando più frequenti nelle aree di carenza iodica. Queste mutazioni determinerebbero sia l'iperfunzione, anche in assenza di TSH, sia la crescita cellulare (3,4).

 

DIAGNOSI

Indagini bioumorali
La determinazione del TSH è il test di screening iniziale che presenta la maggiore sensibilità e specificità per la valutazione funzionale dei nodi tiroidei (3,4).
Se è presente un quadro tireotossico conclamato, è opportuno richiedere in prima istanza anche il dosaggio di FT3 e FT4.
Nel caso di adenoma autonomo, il pattern ormonale può andare dall'ipertiroidismo subclinico (TSH ridotto, FT4 FT3 nella norma) a quadri di ipertiroidismo conclamato; occasionalmente si può avere un quadro di T3-tireotossicosi (TSH inibito, FT3 elevata con FT4 normale) (3).
Laddove è disponibile la procedura del TSH riflesso, la richiesta del solo TSH è sufficiente ad innescare automaticamente la cascata degli esami necessari a confermare la diagnosi.
I dati epidemiologici non sono sufficienti a suffragare la necessità della ricerca sistematica degli anticorpi antitiroidei in tutti i pazienti affetti da adenoma iperfunzionante (è riportata una incidenza di positività di anticorpi antitiroidei fino al 15%, anche se si tratta di studi retrospettivi e come tali gravati da bias) (5). Esistono, tra l'altro, dati conflittuali sul significato prognostico degli anticorpi relativamente al rischio di sviluppare ipotirodismo dopo trattamento radiometabolico o dopo emitiroidectomia (v. di seguito) (5). Una recente metanalisi sul rischio di ipotirodismo nei pazienti sottoposti ad emitiroidectomia, ha evidenziato un rischio complessivo del 22% (6); tra i fattori di rischio vi era la positività degli anticorpi anti-TPO. Questa metanalisi prende peraltro in considerazione studi in cui le indicazioni all'intervento erano diverse (qundi non limitate soltanto a nodi iperfunzionanti), per cui è difficile sulla base di questo lavoro stabilire l'indicazione al dosaggio sistematico degli anticorpi anti-TPO nei pazienti con nodi iperfunzionati. L'opportunità di ricercare gli anticorpi antitiroidei può essere piuttosto suggerita dal quadro clinico e dal reperto US di tipiche alterazioni strutturali del parenchima extranodulare.

 

Ecografia
Consente di precisare le dimensioni del nodo e l'eventuale coesistenza di altri nodi e le loro caratteristiche US, che potrebbero richiedere uno specifico percorso diagnostico-terapeutico (3).

 

Scintigrafia
Il tipico reperto nel caso di gozzo uninodulare tossico è la presenza di un'area di ipercaptazione del tracciante corrispondente al nodo, con captazione nel restante parenchima più o meno inibita, in relazione all'entità della soppressione del TSH. Talora l'immagine scintigrafica del nodo si presenta con un'area di relativa minor captazione in alcuni settori, corrispondente ad aree di necrosi spontanea, a cui occasionalmente può andare incontro l'adenoma (3,4).

 

Esame citologico
Non viene ritenuto indispensabile nel caso di nodulo tossico e pre-tossico, poichè il rischio di neoplasia viene ritenuto estremamente ridotto (3,4). Tuttavia, occorre sottolineare la sostanziale mancanza di studi sistematici su tale specifico aspetto. Per una rassegna dei casi di malignità in noduli iperfunzionanti pubblicati in letteratura si rimanda a 7,8.

 

 

TERAPIA

La terapia tireostatica non è generalmente in grado di portare alla guarigione dell’ipertiroidismo, per cui il trattamento definitivo del gozzo uninodulare tossico si avvale della chirurgia e dello I-131 (3,9,10).
La scelta terapeutica tiene conto di:

  • dimensioni del nodo
  • entità dell’iperfunzione
  • età e volontà del paziente
  • comorbilità.

Occorre considerare peraltro che l'adenoma tossico si manifesta in un'età generalmente più precoce del GMN, per cui è preferibile la soluzione chirurgica; questa è comunque l’opzione primaria (in assenza di controindicazioni chirurgiche-anestesiologiche) in caso di nodo di grosse dimensioni (> 5 cm) compressivo e/o con estrinsecazione retro-sternale, o vi è necessità di rapida correzione dell'ipertiroidismo, oppure se si tratta di soggetti di età < 18 anni (3,9).
In caso di età avanzata o presenza di comorbilità, è indicato il trattamento con radioiodio. Controindicazioni al radioiodio sono gravidanza/allattamento, impossibilità a rispettare le norme radioprotezionistiche, nodi di grosse dimensioni (> 5 cm) (3).

 

Pretrattamento con tireostatici e/o β-bloccanti
Pazienti candidati a trattamento con 131I. Le indicazioni al pretrattamento con anti-tiroidei sono sostanzialmente le stesse per il gozzo multinodulare tossico. In caso di ipertiroidismo severo e rischio di complicanze cardiovascolari legate ad un transitorio peggioramento della tireotossicosi nei giorni successivi alla somministrazione dello iodio radioattivo, è opportuno un pretrattamento con tireostatici e con ß-bloccanti (se non vi sono controindicazioni all'impiego di questi farmaci) (3). Gli anti-tiroidei dovrebbero essere sospesi tre settimane prima della somministrazione del radioiodio, in quanto in presenza di valori di TSH non soppressi aumenta l’irradiazione del tessuto extra-nodulare ed il conseguente rischio di ipotiroidismo (3,10). Studi randomizzati controllati hanno evidenziato che il pretrattamento con tireostatici non inficia l'efficacia del trattamento radiometabolico (12). I ß-bloccanti non necessitano di sospensione. In caso di ipertiroidismo lieve può essere sufficiente il pretrattamento con ß-bloccanti.
Pazienti candidati a tiroidectomia. Il pretrattamento tireostatico è indispensabile per portare il paziente all'intervento in condizioni di eutiroidismo. L'associazione con ß-bloccanti è da valutarsi in base al quadro clinico ed al rischio aritmico.

 

 

MODALITÀ DEI TRATTAMENTI DEFINITIVI E RISULTATI

 

Trattamento radiometabolico

Indicazioni: età avanzata, presenza di comorbilità, precedenti interventi di tiroidectomia parziale, nodo di piccole dimensioni (diametro inferiore a 4 cm) (3,12,13).

Controindicazioni: gravidanza/allattamento, impossibilità a rispettare le norme radioprotezionistiche, nodo di grosse dimensioni (in assenza di controindicazioni ad intervento chirurgico)(11,12).

Modalità. Lo iodio viene somministrato per via orale in unica dose come Na131I (la via e.v. è limitata a pazienti non collaboranti o con vomito). La terapia viene praticata ambulatorialmente se la dose somministrata non supera 600 MBq. Sono necessarie dalle 6 alle 18 settimane prima che si osservi la normalizzazione della funzione tiroidea. In questo periodo, nei pazienti con ipertiroidismo severo la terapia tireostatica deve essere ripresa 4-7 giorni dopo la somministrazione dello iodio per il controllo immediato dell’ipertiroidismo, e ridotta progressivamente in base all’andamento degli esami bioumorali (13).
Esiste tuttora dibattito circa la dose ottimale di 131I, se sia cioè preferibile una dose fissa (5, 10, 15 mCi) sulla base del volume stimato palpatoriamente o se sia meglio somministrare una dose calcolata in base alla desiderata, definita secondo la valutazione ecografica del volume del nodo e la captazione dello Iodio radioattivo alla 24° ora; in ogni caso, la dose ottimale al bersaglio dovrebbe essere compresa tra 150 e 300 Gy; l'obiettivo terapeutico è l'ablazione dell'area di autonomia funzionale con mantenimento dell'eutiroidismo (11).
Il radioiodio è captato in modo selettivo dal nodo iperfunzionante, la cui attività viene ridotta, mentre l'irradiazione del parenchima circostante è scarsa, soprattutto se si ha cura di praticare il trattamento mentre il TSH è inibito.

Follow-up. La funzionalità tiroidea viene monitorata ad intervalli di 4-6 settimane (13), inizialmente sulla base dell'andamento clinico, successivamente con frequenza minore.

Risultati.
Funzione. A sei mesi il successo del trattamento varia dal 65% (10) all’80% (5,9,13). A 12-24 mesi la percentuale sale ulteriormente al 75-88% (3,12), per mantenersi poi stabile ad un follow-up prolungato (13). La persistenza dell’ipertiroidismo è del 15% a sei mesi e del 9.4% a 12 mesi; a tre anni dal trattamento il 6.3% presenta ancora iperfunzione (14).
L’ipotiroidismo a sei e dodici mesi dal trattamento varia dal 7% (14) al 18% (13), ed aumenta progressivamente nel tempo (28% a cinque anni, 46% a dieci anni, 60% a vent’anni (5). L’incidenza dell’ipotiroidismo aumenta proporzionalmente alla dose di radioiodio somministrata (che influisce anche sulla precocità dell’insorgenza), ed alla presenza di valori di TSH non soppressi al momento della terapia, mentre appaiono discordanti i dati relativi alla correlazione tra presenza di anticorpi antitiroidei e rischio di ipotiroidismo (5). In caso di persistenza di ipertiroidismo è indicato un secondo trattamento.

Volume. Il radioiodio riduce il volume del nodo di circa il 35% a tre mesi, del 45% a due anni (3) ; in un altro studio è riportata una riduzione media del 69% a tre anni (14).

 

Tiroidectomia

Indicazioni: nodi voluminosi/compressivi e/o con estrinsecazione retro-sternale, captazione insufficiente a consentire il trattamento radiometabolico, necessità di rapida correzione dell'ipertiroidismo.

Controindicazioni: comorbilità, coesistenza di neoplasie avanzate con ridotta aspettativa di vita.

Modalità. L'intervento consiste generalmente nella lobectomia con istmectomia (3,10).

Risultati. La guarigione dell’ipertiroidismo avviene pressoché nella totalità dei pazienti.

Complicanze. Le principali sono la disfonia da lesione ricorrenziale, transitoria (4%) o permanente (< 2%). L'ipocalcemia è evenienza abbastanza rara e comunque transitoria.

Follow-up. Eseguire una prima valutazione della funzionalità ghiandolare a 4-6 settimane, in quanto può manifestarsi ipofunzione, la cui incidenza è comunque variabile: una recente metanalisi ha riportato ipotiroidismo nel 22% dei pazienti sottoposti ad emitiroidectomia per varie cause (si rimanda a quanto esposto sopra nel paragrafo "Diagnosi - Indagini bioumorali").   

 

Altre opzioni terapeutiche

Vi sono recenti segnalazioni relative agli effetti dei trattamenti termoablativi dei nodi iperfunzionanti. Dossing et al. hanno riportato che il trattamento con laser ottiene la normalizzazione della funzionalità tiroidea nel 50% dei casi ed una riduzione volumetrica dei nodi analoga a quella indotta dal radioiodio; quest’ultimo peraltro aveva indotto regressione dell’iperfunzione in tutti casi, ed ipotiroidismo in 2/15 (15).

Baek ha riportato normalizzazione della funzionalità in 6/9 nodi trattati con radiofrequenze (16). Nella nostra esperienza il trattamento con radiofrequenze ha ottenuto una normalizzazione nel 21% dei nodi caldi (17): occorre rilevare che si trattava comunque di nodi di volume circa doppio rispetto a quelli di Dossing et al e Baek et al.; in 18/23 casi è stato ottenuto un parziale controllo dell’iperfunzione, che ha consentito la riduzione del dosaggio di metimazolo. Il vantaggio dei trattamenti termoablativi è che risparmiano il tessuto extra-nodulare: essi possono essere presi in considerazione in casi selezionati, in cui vi siano controindicazioni alla chirurgia o rifiuto del trattamento con iodio radioattivo. Per la loro corretta indicazione sarà necessario attendere studi su casistiche più ampie e con follow-up più prolungato.

Il trattamento di alcolizzazione percutanea ecoguidata (PEI) del nodulo iperfunzionante, discretamente diffuso in ambito europeo e in particolare italiano negli anni '90 è stato negli ultimi anni progressivamente abbandonato. Viene comunque occasionalmente proposto in strategie di trattamento combinato (es. PEI + 131-I) di noduli di grandi dimensioni (18) (anche se in questi casi la diffusione delle tecniche termoablative, sicuramente più efficaci in termini di riduzione volumetrica, ne limiterà ulteriormente l'applicazione), oppure qualora sussistano controindicazioni o condizioni di rifiuto da parte del pazienti nei confronti della chirurgia e radioiodio.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Tonacchera M, Agretti P, Chiovato L, et al. Activating thyrotropin receptor mutations are present in nonadenomatous hyperfunctioning nodules of toxic or autonomous multinodular goiter.  J Clin Endocrinol Metab 2000, 85: 2270-4.
  2. Tonacchera M, Pinchera A. Thyrotropin receptor polymorphism and thyroid diseases. J Clin Endocrinol Metab 2000, 85: 2637-39.
  3. Bahn R, Burch HB, Cooper DS, et al. Hyperthyroidism and other causes of thyrotoxycosis: management guidelines of the American Thyroid Association and American Association of Clinical Endocrinologists. Thyroid 2011, 21: 593-646.
  4. Gharib H, Papini E, Paschke R, et al. American Association of Clinical Endocrinologists, Associazione Medici Endocrinologi, and European Thyroid Association Medical guidelines for clinical practice for the diagnosis and management of thyroid nodules. Endocr Pract 2010, 16 (Suppl 1): 1-43.
  5. Ceccarelli C, Bencivelli W, Vitti P, et al. Outcome of radioiodine-131 therapy in hyperfunctioning thyroid nodules: a 20 years’ retrospective study. Clin Endocrinol 2005, 62: 331-5.
  6. Verloop H, Louwerens M, Schoones JW et al. Risk of hypothyroidism following hemithyroidectomy: systematic review and meta-anlysis of prognostic studies. J Clin Endocrinol Metab 2012, 97: 2243-55.
  7. Majima T, Doi K, Komatsu Y, et al. Papillary thyroid carcinoma without metastases manifesting as an autonomously functioning thyroid nodule. Endocr J 2005, 52: 309-16.
  8. Tfayli HM, Teot LA, Indyk JA, et al. Papillary thyroid carcinoma in an autonomous hyperfunctioning thyroid nodule: case report and review of the literature. Thyroid 2010, 20: 1029-32.
  9. Freitas JE. Therapeutic options in the management of toxic and nontoxic nodular goiter. Semin Nucl Med 2000, 30: 88-97.
  10. Porterfield JR, Thompson GB, Farley DR, et al. Evidence-based management of toxic multinodular goiter (Plummer’s disease). World J Surg 2008, 32: 1278-84.
  11. Dottorini M, Inglese E, Salvatori M, et al. Il trattamento radiometabolico dell'ipertiroidismo. Linee Guida Italiane AIMN, 2005.
  12. Kahaly GJ, Bartalena L, Hegedus L. The American Thyroid Association/American Association of Clinical Endocrinologists guidelines for hyperthyroidism and other causes of thyrotoxycosis: a European Perspective. Thyroid 2011, 21: 585-91.
  13. Ross DS. Radioiodine therapy for hyperthyroidism. N Engl J Med 2011, 364: 542-50.
  14. Tarantini B, Ciuoli C, Di Cairano G, et al. Effectiveness of radioiodine (131-I) as definitive therapy in patients with autoimmune and non-autoimmune hyperthyroidism. J Endocrinol Invest 2006, 29: 594-8.
  15. Dossing H, Bennedbaek FN, Bonnema SJ, et al. Randomized prospective study comparing a single radioiodine dose and a single laser therapy session in autonomously functioning nodules. Eur J Endocrinol 2007, 157: 95-100.
  16. Baek JH, Moon W, Kim YS, et al. Radiofrequency ablation for the treatment of autonomously functioning thyroid nodules. World J Surg 2009, 33: 1971-7.
  17. Deandrea M, Limone P, Basso E. US-guided percutaneous radiofrequency thermal ablation for the treatment of solid benign hyperfunctioning or compressive thyroid nodules. Ultrasound Med Biol 2008, 34: 784-91.
  18. Zingrillo M, Torlontano M, Ghiggi MR et al. Radioiodine and percutaneous ethanol injection in the treatment of large toxic thyroid nodule: a lon-term study. Thyroid 2000, 10: 985-9
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Paolo P Limone, Francesca Garino, Enrico Sgotto*, Elena Gamarra, Federico Ragazzoni
SC Endocrinologia e *SS Chirurgia della Tiroide, AO Ordine Mauriziano, Torino

 

PATOGENESI

La patogenesi del gozzo multinodulare (GMN) tossico è strettamente correlata a quella del GMN non tossico, di cui è una possibile evoluzione. Le cause dell'evoluzione in senso "tossico" vanno ricercate nel complesso interplay tra TSH, iodio, fattori di crescita sistemici e paracrini che condizionano non solo lo sviluppo del gozzo, ma anche la funzione di alcune aree rispetto ad altre. Nella fase di formazione del gozzo si creerebbero aree con diversa struttura e funzione, tra le quali se ne possono identificare alcune dotate di autonomia funzionale, che nel tempo possono essere responsabili di una evoluzione del gozzo in senso tossico. Sebbene in molti nodi le cause dell'autonomia funzionale non siano note, vi sono osservazioni relative alla presenza in alcuni casi di mutazioni somatiche del gene del recettore del TSH, analoghe a quelle riportate negli adenomi autonomi (1,2) (v. anche capitolo "Gozzo uninodulare").

 

DIAGNOSI

Indagini bioumorali
La determinazione del TSH è il test di screening iniziale che presenta la maggiore sensibilità e specificità per la valutazione funzionale del gozzo (3,4).
Se è presente un quadro tireotossico conclamato, è opportuno richiedere in prima istanza anche il dosaggio di FT3 e di FT4. In caso di conferma dell’ipertiroidismo, occorre eseguire anche la determinazione di TRAb e AbTPO per escludere una componente autoimmune, soprattutto se si tratta di gozzi con nodi di piccole dimensioni e se vi sono segni di orbitopatia o se l'ecografia evidenzia alterazioni del parenchima internodulare suggestive per un processo autoimmune.
Laddove è disponibile la procedura del TSH riflesso, la richiesta del solo TSH è sufficiente ad innescare automaticamente la cascata degli esami necessari a confermare la diagnosi.

 

Ecografia
Consente di precisare le dimensioni del gozzo e le caratteristiche dei singoli nodi. E’ importante per valutare anche le caratteristiche dei nodi che non risultano iperfunzionanti alla scintigrafia, in quanto questi potrebbero richiedere una gestione specifica nel caso presentino caratteri US sospetti (FNAUS, ecc) (3% di neoplasie nel GMN) (3,4).

 

Scintigrafia
Permette di:

  1. individuare i nodi iperfunzionanti
  2. discriminare la tireotossicosi a bassa captazione.

Il tipico reperto nel caso di gozzo multinodulare è l’aumento focale di captazione, alternato ad aree di captazione soppressa. Occorre tenere presente che la scintigrafia non è in grado di distinguere i nodi di diametro inferiore a 10-15 mm (3).

 

FNAUS

È indicata nei nodi non ipercaptanti alla scintigrafia, che presentino caratteri clinici e soprattutto ultrasonografici di sospetto neoplastico

 

 

TERAPIA

La terapia tireostatica non è generalmente in grado di portare alla guarigione dell’ipertiroidismo, per cui il trattamento definitivo del gozzo multinodulare tossico si avvale della chirurgia e dello I-131 (3-6).
La scelta terapeutica tiene conto di: dimensioni del gozzo, entità dell’iperfunzione, età e volontà del paziente, comorbilità.

Il trattamento a lungo termine con tireostatici è accettabile in pazienti con:

  • età avanzata,
  • controindicazioni all’intervento chirurgico,
  • problematiche relative al rispetto delle norme protezionistiche richieste dal trattamento radiometabolico (anziani istituzionalizzati ecc),
  • gozzo di piccole dimensioni,
  • iperfunzione controllabile con basse dosi di farmaci,
  • patologie che comportino una ridotta spettanza di vita.

 

Pretrattamento con tireostatici e/o β-bloccanti
Pazienti candidati a trattamento con 131I. In caso di ipertiroidismo severo e rischio di complicanze cardiovascolari legate ad un transitorio peggioramento della tireotossicosi nei giorni successivi alla somministrazione dello iodio radioattivo, è opportuno un pretrattamento con tireostatici e con beta-bloccanti (se non vi sono controindicazioni all'impiego di questi farmaci) (3). Gli anti-tiroidei dovrebbero essere sospesi tre settimane prima della somministrazione del radioiodio, in quanto in presenza di valori di TSH non soppressi aumenta l’irradiazione del tessuto internodulare ed il conseguente rischio di ipotiroidismo (anche se l’irradiazione del tessuto internodulare può risultare utile nel caso in cui se ne desideri una riduzione volumetrica) (8). Studi randomizzati controllati hanno evidenziato che il pretrattamento con tireostatici non inficia l'efficacia del trattamento radiometabolico (7). I beta-bloccanti non necessitano di sospensione. In caso di ipertiroidismo lieve può essere sufficiente il pretrattamento con beta-bloccanti.
Pazienti candidati a tiroidectomia. Il pretrattamento tireostatico è indispensabile per portare il paziente all'intervento in condizioni di eutiroidismo. L'associazione con beta-bloccanti è da valutarsi in base al quadro clinico ed al rischio aritmico.

 

 

MODALITÀ DEI TRATTAMENTI DEFINITIVI E RISULTATI

 

Trattamento radiometabolico

Indicazioni: età avanzata, presenza di comorbilità, precedente tiroidectomia per gozzo multinodulare tossico con recidiva di tireotossicosi (o anche semplicemente di tiroidectomia per gozzo semplice), gozzo di piccole dimensioni, captazione sufficiente a consentire il trattamento (7,8).

Controindicazioni: gravidanza/allattamento, impossibilità a rispettare le norme radioprotezionistiche, presenza di nodi sospetti, nodi iperfunzionanti di grosse dimensioni (3,8,9).

Modalità. Lo iodio viene somministrato per via orale in unica dose come Na131I (la via ev è limitata a pazienti non collaboranti o con vomito). La terapia viene praticata ambulatorialmente se la dose somministrata non supera 600 MBq. La necrosi cellulare si manifesta gradualmente, per cui sono necessarie dalle 6 alle 18 settimane prima che si osservi la normalizzazione della funzione tiroidea o comparsa di ipotiroidismo. In questo periodo, nei pazienti con ipertiroidismo severo la terapia tireostatica deve essere ripresa 4-7 giorni dopo la somministrazione dello iodio per il controllo immediato dell’ipertiroidismo, e ridotta progressivamente in base all’andamento degli esami bioumorali (7).
Esiste tuttora dibattito circa la dose ottimale di 131I, se sia cioè preferibile una dose fissa (5, 10, 15 mCi) sulla base del volume stimato palpatoriamente o se sia meglio somministrare una dose calcolata in base alla desiderata, definita secondo la valutazione ecografica del volume tiroideo e la captazione dello iodio radioattivo alla 24° ora; in ogni caso, la dose ottimale al bersaglio dovrebbe essere compresa tra 150 e 300 Gy; l'obiettivo terapeutico è l’ablazione delle aree iperfunzionanti con mantenimento dell'eutiroidismo (11).
Il radioiodio è captato in modo selettivo dai nodi iperfunzionanti, la cui attività viene ridotta, mentre l'irradiazione del parenchima circostante è scarsa, in particolare se il TSH è inibito.

Follow-up. La funzionalità tiroidea viene monitorata ad intervalli di 4-6 settimane (9).

Risultati. Sono influenzati dalle dimensioni dei nodi autonomi e dai livelli di TSH. La riduzione del volume dei nodi iperfunzionanti è un fattore prognostico favorevole. Il rischio di ipotiroidismo è maggiore in caso di concomitante autoimmunità tiroidea ed in caso di TSH non soppresso (8,9).
A sei mesi il successo del trattamento varia dal 65% (8) all’80% dei casi (3,6,8), percentuale che sale ulteriormente al 75-88% a 12-24 mesi (5, 10).
A distanza di 20 anni la prevalenza dell’ipotiroidismo, anche subclinico, si aggira intorno al 60% (9).
In caso di persistenza di ipertiroidismo è indicato un secondo trattamento.
Il radioiodio riduce il volume del gozzo di circa il 40% e migliora i sintomi compressivi in poco meno del 50% dei pazienti (8).

Effetti collaterali. Nell’1% dei casi si verifica una infiammazione acuta transitoria (tiroidite attinica), spesso associata a riesacerbazione della tireotossicosi, che risponde a FANS o steroidi, a cui si possono associare beta-bloccanti per il controllo della tachicardia.
Il 3-5% dei pazienti può sviluppare m. di Graves (8).
L’involuzione dei nodi trattati può comportare la formazione di calcificazioni, evidenziabili all’ecografia.
Circa il rischio neoplastico, la maggior parte degli studi non evidenzia un aumento del rischio; un lieve incremento dei tumori tiroidei è verosimilmente imputabile alla crescita di tumori pre-esistenti piuttosto che a sviluppo di neoplasie indotto dalle radiazioni (3,8).

 

Tiroidectomia

Indicazioni: grossi nodi di gozzo compressivi e/o con estrinsecazione retro-sternale, coesistenza di nodi sospetti, captazione insufficiente a consentire il trattamento radiometabolico, necessità di rapida correzione dell'ipertiroidismo (3,6).

Controindicazioni: comorbilità, concomitanza di neoplasie avanzate.

Modalità. Deve consistere in una tiroidectomia totale o near total. Interventi meno estesi riducono l'incidenza delle complicanze, ma espongono al rischio di recidiva dell'ipertiroidismo; peraltro dopo tali interventi l’ipotiroidismo è pressoché invariabilmente presente (3).
Dopo l’intervento occorre monitorare la calcemia per diagnosticare un eventuale ipoparatiroidismo.

Risultati. La guarigione dell’ipertiroidismo avviene nel 99% dei pazienti.

Le complicanze principali sono la disfonia da lesione ricorrenziale, transitoria (4%) o permanente (< 2%), e l'ipoparatiroidismo, anch’esso transitorio o permanente (0.7-2%) (3).

 

Ipertiroidismo subclinico (TSH ridotto con FT4 FT3 nella norma)
Gli studi relativi all’incidenza delle complicanze e alla mortalità cardiovascolare nei pazienti con ipertiroidismo subclinico hanno fornito risultati contrastanti. Non vi sono studi prospettici sugli effetti del trattamento dell’ipertiroidismo subclinico sugli outcomes suddetti (6). In linea generale la decisione di trattare i pazienti affetti da ipertiroidismo subclinico dipende da vari fattori, in modo particolare dall’età del paziente, dal quadro clinico, dalle comorbilità (soprattutto cardiovascolari e osteoporosi), dall’entità della riduzione del TSH (se < 0.1 oppure tra 0.1 e 0.4 mUI/L). Vi è un sostanziale consenso circa l’opportunità di trattare i pazienti con TSH soppresso dopo i 60 anni, mentre negli altri la decisione deve tenere conto dei sopracitati parametri, in particolare del rischio cardiovascolare (11,12). In questi pazienti le modalità di trattamento preferite sono il radioiodio e la terapia cronica con antitiroidei.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Tonacchera M, Agretti P, Chiovato L, et al. Activating thyrotropin receptor mutations are present in nonadenomatous hyperfunctioning nodules of toxic or autonomous multinodular goiter. J Clin Endocrinol Metab 2000, 85: 2270-4.
  2. Tonacchera M, Pinchera A. Thyrotropin receptor polymorphism and thyroid diseases. J Clin Endocrinol Metab 2000, 85: 2637-39.
  3. Bahn R, Burch HB, Cooper DS, et al. Hyperthyroidism and other causes of thyrotoxycosis: management guidelines of the American Thyroid Association and American Association of Clinical Endocrinologists. Thyroid 2011, 21: 593-646.
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  6. Porterfield JR, Thompson GB, Farley DR, et al. Evidence-based management of toxic multinodular goiter (Plummer’s disease). World J Surg 2008, 32: 1278-84.
  7. Kahaly GJ, Bartalena L, Hegedus L. The American Thyroid Association/American Association of Clinical Endocrinologists guidelines for hyperthyroidism and other causes of thyrotoxycosis: a European Perspective. Thyroid 2011, 21: 585-91.
  8. Ross DS. Radioiodine therapy for hyperthyroidism. N Engl J Med 2011, 364: 542-50.
  9. Dottorini M, Inglese E, Salvatori M, et al. Il trattamento radiometabolico dell'ipertiroidismo. Linee Guida Italiane AIMN, 2005.
  10. Tarantini B, Ciuoli C, Di Cairano G, et al. Effectiveness of radioiodine (131-I) as definitive therapy in patients with autoimmune and non-autoimmune hyperthyroidism. J Endocrinol Invest 2006, 29: 594-8.
  11. Gharib H, Tuttle RM, Baskin J. Subclinical thyroid disfunction: a joint statement on management from the American Association of Clinical Endocrinologist, The American Thyroid Association, and the Endocrine Society. J Clin Endocrinol Metab 2005, 90: 581-5.
  12. Biondi B, Cooper DS. The clinical significance of subclinical thyroid dysfunction. Endocr Rev 2008, 29: 76-131.
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Rinaldo Guglielmi
Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

 


DIAGNOSI

Il Morbo di Graves (GD) è una condizione di ipertiroidismo a genesi autoimmune. La diagnosi di ipertiroidismo, solitamente agevole sul piano clinico, viene confermata dal laboratorio: la sola misurazione di TSH e FT4 consente una diagnosi certa nella quasi totalità dei pazienti (1). La maggioranza dei pazienti ipertiroidei presenta elevazione di entrambi gli indici di funzione tiroidea, con incremento della FT3 più importante di quello dell’FT4 nelle forme più severe. Pertanto, la determinazione contemporanea di TSH, FT3 ed FT4 fotografa con la massima accuratezza l’iperfunzione tiroidea, evidenziandone precisamente l’effettiva gravità (2).
Il dosaggio degli ormoni tiroidei e del TSH consente la conferma dell’ipertiroidismo, ma per la caratterizzazione della condizione patologica che sostiene l‘ipertiroidismo sono necessari ulteriori elementi.

Anticorpi anti-recettore del TSH
La positività di questi anticorpi costituisce il test laboratoristico maggiormente specifico per la diagnosi di GD (3).
Possiamo infatti distinguere tre diversi tipi di metodi di dosaggio di tali anticorpi:

  1. test che misurano in vivo e in vitro l’attività di stimolo sul tessuto tiroideo prodotta delle immunoglobuline circolanti: gli anticorpi misurati con tale metodica corrispondono ai cosiddetti TSAb;
  2. metodiche che valutano l’interferenza degli anticorpi con il legame del TSH al proprio recettore: gli anticorpi misurati con questa metodica sono i cosiddetti TBII o TBIAb;
  3. metodiche che misurano l’attività di stimolazione delle Ig su alcuni indicatori di crescita (reazione di Feulgen, incorporazione di 3H-timidina) su campioni tissutali o colture di linee cellulari tiroidee di derivazione umana o animale: gli anticorpi misurati con queste metodiche vengono definiti come TGI e la loro relazione con i TSab non è chiaramente definita.

I test commerciali disponibili nella maggior parte dei laboratori misurano in genere sia gli anticorpi ad attività stimolante che quelli ad azione inibente.

Utilità clinica dei TRAb (4-6)
Un titolo elevato fornisce solo un’indicazione di massima di severità e attività della malattia.
La persistenza della loro positività suggerisce un bassa possibilità di remissione a breve termine.
La loro negativizzazione in corso di trattamento rappresenta un valore prognostico favorevole.
Valori elevati consentono la diagnosi di GD nei pazienti con orbitopatia.
La loro positività nelle fasi tardive della gravidanza è un indicatore abbastanza affidabile del rischio di ipertiroidismo neonatale nei nascituri.

 

Anticorpi anti-tireoperossidasi (TPO)
Sono presenti in titolo elevato nel 90% dei pazienti con GD. La loro positività conferma l'associazione dell’ipertiroidismo all'autoimmunità tiroida, ma non consente la diagnosi di GD: possono risultare elevati anche in quei quadri di gozzo multinodulare tossico in cui la tireotossicosi riconosce una genesi “mista”. Non è dimostrata l’utilità del loro dosaggio nel follow-up della malattia (3).

 

Anticorpi anti-tireoglobulina
Sono presenti nel 50% circa dei pazienti con GD. Essi presentano una utilità clinica del tutto sovrapponibile ai TPOAb, ma con minore specificità e sensibilità (3).

 

Ecografia
Pur essendo un esame morfologico, ha assunto un ruolo significativo nella diagnostica differenziale degli ipertiroidismi. Le caratteristiche riscontrate nel GD sono tipiche delle tireopatie autoimmuni:

  • diffusa disomogeneità strutturale con aspetti pseudo nodulari diffusi;
  • ipoecogenicità di fondo del parenchima;
  • vascolarizzazione decisamente aumentata nelle fasi floride della malattia, fino a configurare nelle forme più severe il quadro di "inferno tiroideo".

L'intensità del color flow mapping appare correlata all'attività della flogosi e la sua attenuazione può essere considerato un indicatore di massima della possibile remissione della malattia.
Il riscontro di una tiroide nei limiti per dimensioni ed ecostruttura suggerisce invece la possibilità di cause alternative dell’ipertiroidismo (forme iatrogene, tireotossicosi factitia) (7).

 

Scintigrafia e captazione tiroidea
Il ruolo diagnostico della scintigrafia nella diagnostica differenziale delle tireopatie si è ridimensionato nel tempo, parallelamente con una più ampia diffusione della pratica ecografica. La valutazione scintigrafica mantiene comunque un ruolo centrale nella diagnostica differenziale degli ipertiroidismi (classificazione ipertiroidismi) e nel GD mostra un aumento della captazione, alcune volte associato al caratteristico “angolo di fuga” (una captazione alla 24° h inferiore rispetto alla captazione alla 6° h, a seguito di una marcata iperattivazione del parenchima tiroideo e rapida dismissione dello 131I). La metodica è comunque sempre indicata nel paziente in cui si programma il trattamento radiometabolico e in quei casi di GD in cui è presente una componente nodulare. In questi casi l’ipocaptazione del nodulo pone l’indicazione all’esecuzione di agoaspirato tiroideo a causa di un aumentato rischio di neoplasia (3).

 


TRATTAMENTO

TERAPIA FARMACOLOGICA

Rappresenta l’opzione iniziale e ha lo scopo di conseguire il compenso funzionale tiroideo nel più breve tempo possibile.
I due farmaci più utilizzati sono il metimazolo (MMI) ed il propiltiouracile (PTU, non commercializzato in Italia). Il carbimazolo, metabolizzato a livello epatico in MMI, ha le stesse caratteristiche di quest’ultimo. Essi appartengono al gruppo delle tionamidi e condividono un duplice meccanismo d'azione:

  • inibizione delle perossidasi tiroidee (riduzione dell’incorporazione dello iodio e della sintesi degli ormoni tiroidei);
  • azione immunomodulatrice (attenuazione degli eventi flogistici caratteristici della tireopatia autoimmune).

Il PTU possiede l’azione ulteriore di inibizione della desiodasi 1, che porta alla riduzione della conversione della T4 in T3.
Alcuni dati recenti mostrano maggiore efficacia e tollerabilità del MMI (8,9). Il rapporto in termini di potenza tra MMI e PTU è di circa 1:12 (questo significa che l'efficacia terapeutica di 5 mg di MMI corrisponde all'efficacia di circa 60 mg di PTU).

 

Terapia iniziale
La dose di attacco del MMI è di 10-20 mg/die (corrispondenti a 2-4 cps) nelle forme lievi e moderate della malattia, e 30 mg/die nelle forme più severe (10); è controversa l’utilità di ricorrere a dosi > 30 mg/die nei casi più severi.
La dose di attacco del PTU corrisponde in genere a 150-200 mg/die (3-4 cps/die) nelle forme moderate della malattia e a 300 mg/die nelle forme più severe (10).
In genere in 3 - 6 settimane dall’inizio del trattamento, la maggior parte dei pazienti (70-90%) raggiunge valori nei limiti di FT3 e FT4. La posologia del farmaco viene gradualmente ridotta, sulla base dell’andamento dei dati di funzionalità. Il primo controllo dovrebbe essere eseguito a 30 giorni e i successivi controlli ogni 45-60 giorni sulla base del quadro clinico. L’obiettivo è, inizialmente, la normalizzazione di FT3 e FT4  e, successivamente, quella del TSH. Questo significa che le riduzioni del farmaco devono essere basate sul valore della FT4 e non su quello del TSH. Il dosaggio della FT3 è motivato dal fatto che in alcuni casi si normalizza la FT4 mentre rimane elevata la FT3 e il paziente continua a lamentare sintomi di eretismo psichico e cardiovascolare. Il dosaggio dei TRAb può avere un significato al momento delle variazioni terapeutiche critiche, poiché la loro negativizzazione rappresenta un indice prognostico favorevole. Una volta raggiunto l’eutiroidismo, è possibile controllare la funzione tiroidea ogni 2-3 mesi (3).
Nei paesi anglosassoni (USA, UK) ed in alcuni centri europei viene a volte utilizzato un regime di trattamento combinato tireostatico + L-tiroxina, denominato “block and replace therapy”: vengono solitamente impiegati dosaggi pieni di entrambi i farmaci (es. MMI 30 mg/die + L-tiroxina 100-150 µg/die) per un periodo di almeno 6 mesi, con l’obiettivo di conseguire una stabile soppressione della funzione ghiandolare. Tuttavia, non è a tutt’oggi dimostrata la superiorità di tale regime terapeutico nei confronti della sola terapia tireostatica ed inoltre dell’uso più prolungato di dosi elevate di tireostatici che possono esporre più facilmente il paziente ad effetti collaterali (11).

 

Prognosi
Nella maggior parte dei pazienti è possibile sospendere il trattamento dopo 12-18 mesi. Il tasso di remissione stabile della malattia è di circa il 30-50% dei casi e viene riportato più alto nelle casistiche di pazienti europei. Alcuni fattori rendono meno probabile la remissione: sesso maschile, età avanzata, abitudine al fumo, severità d'esordio della tireotossicosi, FT3 più elevata della FT4, valori molto elevati e persistenti di TRAb, presenza di tiroide voluminosa, comparsa di orbitopatia (10,11).

 

Effetti collaterali
Il più temuto è l’agranulocitosi, condizione potenzialmente fatale ma fortunatamente molto rara (1-2 casi/1000) (12,13). Non è infrequente la comparsa di una modesta leucopenia indotta dai regimi di trattamento a dosaggi più elevati. Solitamente un controllo dell’emocromo dopo le prime settimane di terapia e soprattutto l’adeguata informazione dei pazienti (sospensione immediata del tireostatico in caso di febbre e faringodinia) sono provvedimenti sufficienti a prevenire complicanze fatali.
Il danno epatico, rivelato dall’innalzamento significativo (almeno valori doppi o tripli vs valore massimo di normalità) delle transaminasi (NB. bisognerebbe dosare le transaminasi prima dell’inizio della terapia tireostatica  visto che spesso negli ipertiroidei è presente ipertransaminasemia al momento della diagnosi della malattia), eccezionalmente assume i caratteri di una  epatite grave o fulminante. La complicanza epatica sembra essere maggiormente correlata all’uso del PTU e per tale motivo la FDA negli USA raccomanda la terapia con PTU solo in casi particolari (primo trimestre di gravidanza grazie ad minor rischio teratogeno rispetto al MMI) e in caso di intolleranza al MMI (3).
La comparsa di effetti collaterali maggiori è motivo di sospensione del farmaco e va ricordato che la sostituzione di una tionamide con un'altra non riduce il rischio di ricomparsa degli effetti collaterali.
Effetti collaterali minori (prurito, rash cutanei, febbre, artralgia, disturbi dell’olfatto) non sono infrequenti (1-5%). Se tali effetti sono transitori o facilmente controllati da anti-istaminici, la terapia può essere continuata, ma la sospensione si rende necessaria in caso di persistenza di tali effetti seppur minori (10,11).

 

Altri farmaci
L’uso dei ß-bloccanti è consigliato come terapia isolata quando non è ancora completato l’iter diagnostico della malattia: lo scopo è quello di ridurre i segni ed i sintomi di iperattivazione adrenergica e le possibili conseguenze cardiovascolari. Essi possono essere utilizzati, inoltre, in combinazione con le tionamidi nelle prime 3-4 settimane di trattamento nei casi di tireotossicosi più severa o in pazienti a rischio cardiovascolare (3). L’uso di tali farmaci consente la riduzione del rischio di fibrillazione atriale, la maggior complicanza cardiovascolare che si verifica in oltre il 10% degli ipertiroidei severi e la cui incidenza aumenta con l’avanzare dell’età (14). I ß-bloccanti consentono una riduzione della frequenza cardiaca ed alcuni di loro (propranololo, sotalolo ma non atenololo) sono in grado di ridurre la conversione di FT4 in FT3 grazie alla capacità di ridurre l'attività delle desiodasi di tipo I. I possibili effetti collaterali, soprattutto per i farmaci non ß1-selettivi, si verificano a carico dei bronchi con la comparsa di  broncospasmo. Se il loro impiego è necessario nel paziente con storia clinica di asma, è opportuno scegliere l’atenololo. Il dosaggio iniziale è di 40-60 mg/die per il propranololo e di 25-50 mg/die per l’atenololo, ma la dose può essere individualizzata sulla base dell'andamento clinico e del compenso cardiovascolare (15,16).

 

TRATTAMENTO DEFINITIVO

È indicato nei seguenti casi:

  • comparsa di effetti collaterali maggiori o persistenza di effetti collaterali minori mal tollerati;
  • risposta insoddisfacente alla terapia con tionamidi o  scarsa compliance del paziente;
  • comorbilità coesistenti che consigliano un controllo definitivo della funzione tiroidea;
  • recidiva dell’ipertiroidismo dopo sospensione della terapia medica.

Le due opzioni di trattamento definitivo sono la chirurgia e la terapia radiometabolica. Entrambi i trattamenti sono efficaci e ci sono condizioni cliniche in cui può essere più indicato l’uno o l’altro trattamento.

 

Terapia con radiodiodio

È il trattamento di prima scelta negli USA, mentre in Europa viene generalmente riservato ai pazienti con malattia persistente o recidivante (17). In Italia, il ricorso al radioiodio è aumentato negli ultimi 10-15 anni, probabilmente in rapporto all’accresciuta presenza sul territorio di centri medico-nucleari.
L’obiettivo è il conseguimento del controllo permanente della funzione tiroidea.
Molti centri utilizzano dosaggi standard (10-15 mCi, corrispondenti a 370-555 MBq), mentre in altri si ricorre ad una valutazione dosimetrica basata sulla misura della iodocaptazione e/o sul volume ghiandolare, che in teoria avrebbe il vantaggio di impiegare dosi in media leggermente più ridotte. Al fine di ottenere il controllo permanente della funzione tiroidea è consigliabile somministrare la dose “fissa” e cercare di ottenere l’ipotiroidismo nel più breve tempo possibile (80% di obiettivo terapeutico con un'unica somministrazione di 131I) (17,18) e quindi iniziare la terapia sostitutiva con L-T4.
La terapia tireostatica viene sospesa 3-5 giorni prima della somministrazione di 131I. Nella maggior parte dei pazienti, non è necessario ripristinare il trattamento con farmaci tireostatici dopo la terapia radiometabolica, ma quando è opportuno essa va ripresa 3-5 giorni dopo la somministrazione del radioiodio.
Il dosaggio ormonale a 10-15 giorni dal trattamento è in grado di evidenziare i casi (25-30%) di ripresa/persistenza della tireotossicosi con elevazione delle frazioni libere degli ormoni tiroidei. Di questi casi, il 50% circa è destinato ad esaurirsi nelle settimane successive. Una tireotossicosi vera e propria, successiva alla terapia, non è frequente e quando accade deve essere imputata ad una preparazione non corretta pre 131I (19).
Particolare attenzione va posta ai soggetti di età avanzata o ai pazienti con comorbilità cardiovascolari, in cui la comparsa di una eventuale tireotossicosi iodio-indotta potrebbe precipitare l’equilibrio emodinamico precario. In questi casi, in pazienti con gozzo di grandi dimensioni o con orbitopatia, può essere utile una profilassi con steroidi (prednisone al dosaggio di 0.2 mg/kg di peso corporeo), da iniziare il giorno successivo al trattamento radiometabolico e da ridurre progressivamente in un periodo di 6 settimane (20,21).
L’ipotiroidismo compare in media a 8-14 settimane di distanza dal trattamento. Un controllo della funzione tiroidea ogni 30-60 giorni è consigliabile nei primi 6 mesi dal trattamento con 131I.
Il trattamento è ben tollerato e non sono descritti significativi effetti collaterali (17): sono riportati casi sporadici di intensa flogosi della tiroide, con dolore locale, talora febbre, ed esacerbazione dell’ipertiroidismo. Si tratta comunque di manifestazioni generalmente a carattere autolimitante, ben controllate da pochi giorni di terapia corticosteroidea se il paziente non tollera la sintomatologia.

 

Terapia chirurgica
La tiroidectomia dovrebbe essere presa in considerazione in caso di:

  • gozzi di grandi dimensioni non idonei alla terapia con 131I;
  • diagnosi o sospetto di malignità tiroidea;
  • necessità di risoluzione dell’ipertiroidismo in breve tempo;
  • orbitopatia severa ed attiva.

La chirurgia non è indicata:

  • nel primo e nel terzo trimestre di gravidanza;
  • in pazienti a rischio chirurgico a causa di comorbilità importanti e/o per pregressa chirurgia tiroidea.

La tiroidectomia deve essere totale, poiché gli interventi subtotali sono associati al rischio di  ipertiroidismo persistente o recidivante (13).

La tiroidectomia totale è associata ad alcune complicazioni (22,23):

  • ipocalcemia nel 5-10% degli operati (60% di tutte le complicazioni);
  • lesioni del ricorrente nel 3-4% degli operati (20% di tutte le complicazioni);
  • emorragie post-operatorie (circa 1-1.5%);
  • danno del nervo laringeo superiore (0.5%);
  • infezioni (0.5%).

 

 

TERAPIA DELLE COMPLICANZE DEL M. di GRAVES

Per il trattamento dell'orbitopatia in corso di GD si rimanda al capitolo specifico.

 

Il mixedema, associato a un alto livello dei TSAb, è una manifestazione non molto frequente (5% circa) del GD, più frequente con l’avanzare dell’età e nella quasi totalità dei casi associata anche a orbitopatia. Di solito coinvolge la porzione pre-tibiale delle gambe e raramente può estendersi alla caviglia e al dorso del piede. Raramente la condizione può essere presente in pazienti senza disturbi tiroidei e in associazione con la tiroidite cronica autoimmune (24).
Dal punto di vista clinico si presenta come ispessimento localizzato della pelle (aumentata di consistenza e a volte squamosa) di vari cm di diametro. La lesione mostra un colore con sfumate caratteristiche dell’iperpigmentazione, di solito è indolente, ma può essere presente prurito e meno frequentemente dolore.
Per quanto ancora l’eziologia non sia universalmente accettata, il substrato fisiopatologico della lesione è caratterizzato dall’accumulo nel derma di glicosaminoglicani (in particolar modo acido ialuronico), secreti dai fibroblasti (la dimostrazione dei recettori dei TSAb sui fibroblasti dermici rende plausibile una loro iperstimolazione in corso di GD) (25).
Le lesioni, che compaiono nello spazio di alcuni mesi, tendono a stabilizzarsi e raramente regrediscono spontaneamente.
La diagnosi differenziale deve essere posta con le ostruzioni croniche del sistema venoso o linfatico, con le dermatiti croniche o con le mucinosi cutanee. Raramente è necessario ricorrere alla biopsia per la diagnosi.
Le forme lievi e non sintomatiche non necessitano di trattamento specifico ed è sufficiente minimizzare i fattori di rischio (sospendere il fumo, dimagrire se sovrappeso e normalizzare la funzione tiroidea); le forme moderato-severe di mixedema mostrano una risposta discreta al trattamento corticosteroideo topico, associato o meno a bendaggio occlusivo; nei casi più gravi, è raccomandati il trattamento corticosteroideo sistemico. L’impiego di analoghi della somatostatina (octreotide) non sembra fornire risultati addizionali rispetto ai corticosteroidi (17).

 

BIBLIOGRAFIA

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  13. Brent GA. Graves’ disease. N Engl J Med 2008, 358: 2594-605.
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  24. Fatourechi V, Pajouhi M, Fransway AF. Dermopathy of Graves disease (pretibial myxedema). Review of 150 cases. Medicine (Baltimore) 1994, 73: 1-7.
  25. Smith TJ, Hoa N. Immunoglobulins from patients with Graves' disease induce hyaluronan synthesis in their orbital fibroblasts through the self-antigen, insulin-like growth factor-I receptor. J Clin Endocrinol Metab 2004, 89: 5076-80.
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Marco Cappa & Carla Bizzarri
Unità Operativa Complessa di Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento Pediatrico Universitario-Ospedaliero, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma

 

Note di fisiopatologia
La produzione di ormoni tiroidei da parte della tiroide fetale diviene significativa tra la 10a e la 12a settimana di vita intra-uterina. Il recettore del TSH della tiroide fetale inizia a rispondere al TSH alla 12a settimana. Nelle settimane precedenti pertanto, il feto dipende completamente dall’apporto di ormoni tiroidei materni. La levotiroxina attraversa la placenta, durante tutto l’arco della gravidanza.
La T4 (di derivazione materna) è presente nel sangue cordonale di neonati con agenesia tiroidea in concentrazioni che sono circa il 50% di quelle presenti nel neonato normale. Il cervello fetale è protetto dagli effetti della difettosa produzione di ormoni tiroidei, non solo attraverso il passaggio trans-placentare di T4 materna, ma anche attraverso una up-regolazione locale della deiodasi tipo 2, che converte il T4 in T3. Lo sviluppo neurologico dei bambini con ipotiroidismo congenito ad esordio prenatale (confermato dalla presenza di un ritardo della maturazione ossea alla nascita) è di solito normale, se la madre è eutiroidea in gravidanza e se il trattamento viene iniziato precocemente dopo la nascita.

 

Eziopatogenesi dell’ipertiroidismo neonatale
Di solito si verifica nel contesto di una malattia di Graves materna. Si calcola che una malattia di Graves attiva o pregressa complichi circa l’1% delle gravidanze.
Altre cause (molto rare) di ipertiroidismo ad esordio fetale da tenere in considerazione nella diagnosi differenziale sono:

 

Monitoraggio del feto con sospetto ipertiroidismo

  • Ecografia fetale con valutazione delle dimensioni della ghiandola tiroidea (il gozzo è il primo segno a comparire)
  • Crescita: peso stimato, lunghezza, circonferenza cranica (il feto ipertiroideo presenta una ridotta crescita ponderale)
  • Frequenza cardiaca ed ecocardio fetale (possono essere presenti tachicardia ed insufficienza cardiaca nei casi gravi)
  • Maturazione ossea: il nucleo femorale distale compare normalmente a 32 settimane di gestazione (il feto ipertiroideo presenta accelerata maturazione ossea)
  • Cordonocentesi (da riservare ai casi gravi, quando la diagnosi differenziale tra gozzo fetale con ipotiroidismo dovuto all’eccesso di farmaci anti-tiroidei o con ipertiroidismo dovuto ad insufficiente trattamento nella madre, non può essere effettuata in altro modo)

 

Quadro clinico neonatale

  • Tachicardia
  • Flushing
  • Distress respiratorio
  • Suzione non valida
  • Scarso incremento ponderale
  • Aritmie
  • Insufficienza cardiaca congestizia (nei casi gravi)
  • Gozzo (con ostruzione delle vie aeree superiori nei casi severi)
  • Diarrea
  • Vomito
  • Esoftalmo

 

Approccio clinico
Gli anticorpi stimolanti il recettore del TSH passano la placenta e possono stimolare la tiroide fetale a partire dal secondo trimestre di gestazione. Le concentrazioni fetali di anticorpi anti-recettore del TSH si equiparano a quelle materne intorno alla 30° settimana. Esiste una correlazione diretta tra livelli elevati di anticorpi materni ed incidenza e gravità dell’ipertiroidismo fetale.
I farmaci anti-tiroidei passano la placenta e inducono un blocco della tiroide materna e fetale: a determinate dosi il blocco indotto dai farmaci anti-tiroidei è più efficace sulla tiroide fetale che su quella materna. Gli ormoni tiroidei passano la barriera placentare, ma in misura limitata. Per tali motivi, in gravidanza, la funzione tiroidea materna deve essere mantenuta ai limiti superiori della norma (TSH soppresso ed FT4 al limite alto della norma o lievemente superiore) per evitare l’ipotiroidismo fetale. La terapia combinata con anti-tiroideo + FT4 (block and replace) può mascherare un ipotiroidismo fetale indotto dai farmaci anti-tiroidei; può essere considerata appropriata soltanto nel caso di una madre ipotiroidea con pregresso Graves (post-chirurgia o terapia radioablativa), con anticorpi anti-recettore del TSH persistentemente positivi e feto ipertiroideo.
Se la terapia anti-tiroidea alla madre è risultata appropriata, il neonato nasce eutiroideo. Dopo la nascita, in pochi giorni, i farmaci anti-tiroidei scompaiono dal circolo, ed entro 1-2 settimane può comparire ipertiroidismo, legato al passaggio trans-placentare degli anticorpi anti-recettore del TSH. Il controllo della funzionalità tiroidea nel neonato va effettuato alla nascita e dopo 1 e 2 settimane. Il titolo degli anticorpi anti-recettore del TSH nell’ultimo trimestre di gravidanza è un indicatore efficace del rischio di ipertiroidismo nel neonato.
Poiché durante la vita fetale e neonatale il TSH è stato persistentemente soppresso, alla fase di ipertiroidismo può seguire una fase di ipotiroidismo secondario (centrale), finché la normale secrezione di TSH non è ripristinata. In alcuni casi, può persistere una deregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, con ipotiroidismo secondario persistente.

 

Terapia del Graves neonatale
Dopo aver effettuato alla nascita il dosaggio degli ormoni tiroidei, la terapia va iniziata con:

  • ß-bloccanti per bocca o per sondino naso-gastrico (propranololo: 1-2 mg/kg/die in 4 somministrazioni) eventualmente associati a glucocorticoidi (prednisone: 2 mg/kg/die)
  • Metimazolo: 0.5–1.0 mg/kg/die per bocca o mediante sondino naso-gastrico, in dosaggio frazionato ogni 8 ore. Il farmaco va utilizzato solo nei casi severi, con sintomatologia clinica non adeguatamente controllata con i soli ß-bloccanti (eventualmente associati ai corticosteroidi), per il rischio di ipotiroidismo neonatale (bassi livelli di FT4) rapidamente indotto dal farmaco
  • Poichè lo iodio inorganico accelera la caduta dei livelli circolanti di ormoni tiroidei, può essere somministrata una soluzione satura di ioduro di potassio (SSKI: 48 mg iodio/goccia) alla dose di una goccia al giorno

La durata del trattamento è variabile. L’emivita degli anticorpi materni è di circa 14-21 giorni, quindi in genere il quadro si risolve in 3-12 settimane e la sua durata è in stretta correlazione con il titolo di anticorpi anti-recettore del TSH.

 

Sequele a distanza
La morbilità cumulativa del Graves neonatale veniva stimata in passato intorno al 25%, mentre oggi sembrerebbe essere significativamente più bassa.
La morbilità a lungo termine può comprendere:

  • ritardo di crescita
  • craniosinostosi
  • difetto dello sviluppo cognitivo-comportamentale
  • ipotiroidismo centrale

 

Bibliografia essenziale

  1. Péter F, Muzsnai A. Congenital disorders of the thyroid: hypo/hyper. Pediatr Clin North Am 2011, 58: 1099-115.
  2. Azizi F, Amouzegar A. Management of hyperthyroidism during pregnancy and lactation. Eur J Endocrinol 2011, 164: 871-6.
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Marco Cappa & Carla Bizzarri
Unità Operativa Complessa di Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento Pediatrico Universitario-Ospedaliero, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma

 

Definizione
Si definisce tireotossicosi l’insieme delle manifestazioni cliniche determinate dall’eccessiva quantità di ormoni tiroidei circolanti. Si definisce invece ipertiroidismo il gruppo di malattie legate all’iperproduzione di ormoni da parte della ghiandola tiroidea. Una diagnosi appropriata di ipertiroidismo è fondamentale, in quanto i farmaci anti-tiroidei non sono di nessuna utilità in caso di tireotossicosi non associata ad ipertiroidismo (vedi tabella).
La diagnostica differenziale della tireotossicosi comprende la malattia di Graves, la tiroidite transitoria, i noduli iperfunzionanti e la tireotossicosi factitia. Nelle maggior parte dei casi la presenza di una ghiandola uniformemente ingrandita, associata al riscontro di sintomi di durata prolungata, sono in grado di orientare la diagnosi verso la malattia di Graves, specie se è associato esoftalmo. Se i sintomi sono presenti da meno di 8 settimane, la tiroide non è francamente ingrandita e i segni oculari sono assenti, la diagnosi può essere invece quella di tireotossicosi transitoria nel contesto di tiroidite subacuta o autoimmune. Nel passato la scintigrafia tiroidea con radioiodio è stata utilizzata per distinguere le due forme, in quanto nella malattia di Graves la captazione del radioiodio si presenta significativamente aumentata, mentre risulta ridotta nelle diverse forme di tiroidite. Attualmente il dosaggio degli anticorpi anti-recettore del TSH, caratteristicamente presenti nella malattia di Graves ed assenti nelle varie forme di tiroidite, consente di evitare la scintigrafia. La scintigrafia con iodio-captazione dovrebbe essere riservata ai casi in cui la palpazione tiroidea e/o l’ecografia mostrano la presenza di un nodulo (il nodulo tossico è però evenienza estremamente rara in età pediatrica).
Talvolta, solitamente in esami eseguiti di routine, i bambini possono presentare TSH parzialmente soppresso (di solito 0.1–0.3 µIU/mL) con livelli concomitanti di FT4 normali, condizione definita “ipertiroidismo subclinico”. Questi soggetti sono di solito asintomatici. Nell’anziano livelli parzialmente soppressi di TSH sono stati associati a fibrillazione atriale, ma nessun rischio è stato confermato in età pediatrica e alcuni studi indicano che la condizione si risolve spontaneamente nella metà dei casi. In assenza di fattori di rischio specifici, quali le cardiopatie congenite/acquisite, i bambini con ipertiroidismo subclinico dovrebbero essere solo seguiti ad intervalli ravvicinati, ripetendo il dosaggio dell’FT4 e del TSH ogni 4-6 settimane, associando almeno una volta il dosaggio degli autoanticorpi. La condizione si risolverà spontaneamente in caso di tiroidite o evolverà verso l’ipertiroidismo conclamato in caso di malattia di Graves.

 

Diagnosi differenziale della tireotossicosi in età pediatrica
Associate ad iperproduzione di ormoni tiroidei (ipertiroidismo) = elevata iodio-captazione Malattia di Graves
Gozzo multinodulare tossico
Adenoma tossico
Aumento della secrezione di TSH da adenoma TSH-secernente
Non associate ad ipertiroidismo = bassa iodio-captazione Tireotossicosi factitia
Tiroidite subacuta
Tiroidite cronica autoimmune
Tessuto tiroideo ectopico (struma ovarii, metastasi funzionanti di carcinomi tiroidei differenziati)

 

Epidemiologia
L’ipertiroidismo e la tireotossicosi sono relativamente rari in età pediatrica (l’incidenza annua è calcolata di 8 su 1.000.000 di bambini di età < 15 anni e 1 su 1.000.000 di età < 4 anni). La malattia di Graves è la causa di gran lunga più comune di ipertiroidismo in età pediatrica. Le femmine sono affette 4-5 volte più frequentemente dei maschi, ma nessuna differenza di sesso esiste al di sotto dei 4 anni di età. L’eziopatogenesi è ovviamente analoga alla malattia dell’adulto, ma l’ipertiroidismo in età pediatrica riconosce alcuni aspetti clinici e prognostici peculiari.

 

Aspetti clinici
La presentazione clinica della malattia di Graves in età pediatrica può essere insidiosa e la durata dei sintomi prima della diagnosi può essere di parecchi mesi. I segni e sintomi caratteristici non sono significativamente diversi da quelli dell’adulto, ma più frequentemente che nell’adulto sono presenti disturbi comportamentali, ridotta capacità di concentrazione con conseguente calo del rendimento scolastico, labilità emotiva, iperattività, insonnia. Le manifestazioni cardiovascolari, di solito meno evidenti che nell’adulto, comprendono tachicardia, palpitazioni, aumento della pressione arteriosa differenziale. Ogni bambino con tachicardia non spiegata dovrebbe effettuare un controllo degli ormoni tiroidei. Nonostante un incremento dell’appetito, i bambini affetti tendono a perdere peso e manifestano diarrea. Le ragazze con ipertiroidismo esordito in età peri-puberale presentano amenorrea o disturbi mestruali. Nella maggior parte dei casi è presente un gozzo palpabile, caratterizzato da un ingrandimento diffuso della ghiandola, che appare di consistenza elastica e non dolente. Il mixedema pretibiale, manifestazione relativamente comune nell’adulto, è invece molto raro nel bambino. L’esoftalmo è presente nel 25-60% dei casi, ma è di solito meno grave che nell’adulto. Caratteristica peculiare del Graves in età pediatrica è l’accelerazione della crescita lineare e della maturazione ossea che caratterizzano il prolungato ipertiroidismo.

 

Terapia medica
Il trattamento medico della malattia di Graves non differisce significativamente da quello utilizzato nell’adulto, se non per il fatto che il propil-tiouracile è ormai controindicato in età pediatrica per le numerose segnalazioni di insufficienza epatica acuta e morte correlate a questo farmaco. Il rischio di insufficienza epatica severa indotta dal propil-tiouracile è più evidente nel bambino che nell’adulto ed è stato stimato intorno a 1 su 2000–4000 bambini (contro 1 su 10.000 adulti), mentre almeno 1 su 200 svilupperebbe una compromissione epatica reversibile. La ripetizione seriata degli esami ematochimici di funzionalità epatica non aiuta ad identificare i soggetti a rischio.
Il metimazolo (al dosaggio iniziale di 0-5-1 mg/kg/die) è invece in genere ben tollerato, anche se gli effetti collaterali sono più comuni nei bambini che negli adulti.
Nella fase iniziale della terapia possono essere associati i ß-bloccanti in caso di sintomi cardiovascolari significativi (propranololo: 1-2 mg/kg/die).
L’agranulocitosi (definita come conta granulocitaria < 500/µL) è una reazione idiosincrasica severa, che si può verificare sia con il propil-tiouracile che con il metimazolo. Per questa ragione, tutti i bambini con malattia di Graves devono effettuare un emocromo prima dell’inizio della terapia, da ripetere 7-10 giorni dopo. Una moderata neutropenia può essere presente nella malattia di Graves alla diagnosi. Le famiglie devono essere avvertite che febbre, faringodinia o altre infezioni severe possono essere segno di agranulocitosi e devono comportare l’immediata sospensione della terapia e la ripetizione dell’emocromo. La somministrazione di farmaci anti-tiroidei è stata associata anche allo sviluppo di vasculiti da anticorpi anti-mieloperossidasi /citoplasma dei neutrofili (ANCA). La vasculite può essere già presente all’esordio della malattia, ma entrambi i farmaci anti-tiroidei aumentano il titolo degli autoanticorpi, che possono determinare una vasculite multi-sistemica con coinvolgimento di rene, encefalo, tratto gastro-intestinale, apparato respiratorio, occhio. Il riscontro di vasculite acuta da ANCA in un soggetto trattato con farmaci anti-tiroidei, deve comportare la sospensione del farmaco stesso e l’avvio verso una terapia definitiva.
La terapia con metimazolo nel bambino deve essere portata gradualmente alla dose minima efficace e mantenuta per 18-24 mesi. Le remissioni prolungate dopo la sospensione sono meno frequenti che nell’adulto e globalmente la loro frequenza non supera il 30% dei casi. La percentuale di remissione è significativamente più bassa nei soggetti pre-puberi (17%) rispetto a quelli puberi (30%) e nei soggetti con persistenti elevati livelli di anticorpi anti-recettore del TSH. Ulteriori fattori di rischio significativi per recidiva sembrano essere l’entità dell’aumento di volume tiroideo, gli elevati livelli di FT4 alla diagnosi e l’etnia non Caucasica.
Il monitoraggio periodico della terapia medica deve comprendere la ripetizione ogni 2-3 mesi di emocromo, transaminasi, FT4 e TSH e ogni 6 mesi-1 anno di ecografia tiroidea, anticorpi anti-recettore del TSH ed ANCA.

 

Terapia definitiva
Le due opzioni terapeutiche definitive per la malattia di Graves sono la terapia radiometabolica con I-131 e la tiroidectomia.
L’intervento chirurgico consiste in una tiroidectomia sub-totale o totale; i suoi rischi sono maggiori in età pediatrica rispetto all’età adulta e deve essere effettuato in ambiente specializzato.
La terapia ablativa con I-131 non può essere presa in considerazione prima dei 5 anni di età, per il rischio di neoplasia tiroidea  e di neoplasia secondaria in altra sede. Di solito l’ablazione con I-131 viene riservata a soggetti di età superiore a 10 anni e deve essere effettuata con dosaggi maggiori di 150 µCi/g di tessuto tiroideo, in quanto dosi più basse possono risultare non ablative e più facilmente mutagene. La terapia rado-ablativa può non risultare efficace in caso di dimensioni tiroidee molto grandi (oltre due volte le dimensioni normali per l’età).
Per i motivi sudddetti ai bambini con esordio precoce della malattia di Graves si propone attualmente una terapia medica più prolungata, purché gli effetti collaterali rimangano trascurabili, fino ad un’età in cui siano proponibili l’intervento chirurgico o la terapia radiometabolica.

 

Bibliografia essenziale

  1. Bauer AJ. Approach to the pediatric patient with Graves' disease: when is definitive therapy warranted? J Clin Endocrinol Metab 2011, 96: 580-8.
  2. Rivkees SA. Pediatric Graves' disease: controversies in management. Horm Res Paediatr 2010, 74: 305-11.
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Roberto Negro1 & Michele Zini2
1Endocrinologia, Ospedale Fazzi, Lecce
2Endocrinologia, Arcispedale S Maria Nuova IRCCS, Reggio Emilia

(aggiornato al 30 ottobre 2017)

 

Fisiologici adattamenti della tiroide in gravidanza
Vedi capitolo Ipotiroidismo in gravidanza

 

Test di funzionalità tiroidea in gravidanza
Vedi capitolo Ipotiroidismo in gravidanza

 

Prevalenza e cause di ipertiroidismo in gravidanza
La condizione di ipertiroidismo franco riguarda circa lo 0.5% di tutte le gravidanze (1).
Il m. di Graves è la causa più comune di ipertiroidismo autoimmune in gravidanza. Può essere diagnosticato per la prima volta in gravidanza o può presentarsi come recidiva in una paziente con storia già nota di ipertiroidismo. Cause meno comuni di ipertiroidismo includono gozzo uninodulare-multinodulare, e tireotossicosi factitia. Parimenti rare sono la tiroidite subacuta, la tiroidite silente, lo struma ovarii.
Altra causa di ipertiroidismo di particolare frequenza è la tireotossicosi gestazionale transitoria. È una condizione di tireotossicosi, in assenza di marcatori di autoimmunità, secondaria agli aumentati livelli di hCG (> 200.000 UI) che si possono riscontrare nel corso del primo trimestre (2). Può essere associata a hyperemesis gravidarum (nausea e vomito severi, calo ponderale, disidratazione, e chetonuria). Altre condizioni associate a tireotossicosi hCG-indotta sono rappresentate da gravidanze gemellari, mola idatiforme e coriocarcinoma. È stata anche descritta una mutazione del recettore del TSH, associato ad iper-responsività ad hCG, che dà luogo a ipertiroidismo gestazionale transitorio in presenza di normali livelli di hCG (3).

 

Diagnosi di ipertiroidismo in gravidanza
In presenza di valori di TSH nel primo trimestre < 0.1 mIU/L, è necessario eseguire dosaggio di FT4 per distinguere la presenza di ipertiroidismo franco piuttosto che subclinico. Nella maggior parte dei casi, quindi, il riscontro di ipertiroidismo nel primo trimestre pone diagnosi differenziale fra m. di Graves e tireotossicosi gestazionale transitoria. Le manifestazioni cliniche sono comuni alle due entità e sono classicamente rappresentate da tremore, cardiopalmo e tachicardia, stato ansioso, calo ponderale e intolleranza al caldo. È necessario raccogliere accurata anamnesi del paziente per identificare pregressi episodi di ipertiroidismo da m. di Basedow, piuttosto che altre malattie autoimmuni. La presenza di esoftalmo e gozzo, così come la positività per TRAb depongono per m. di Basedow. Può inoltre essere utile l'esecuzione di esame ecografico, volto a valutare la struttura della ghiandola tiroide, che nella tireotossicosi gestazionale transitoria si presenta normale. L'esame ecografico, consente inoltre di rilevare un nodulo sospetto per autonomo, in assenza di anticorpi anti-recettore TSH.
L'uso dell'esame scintigrafico è controindicato in gravidanza.
La gestione della paziente con tirotossicosi gestazionale transitoria dipende dalla gravità dei sintomi, ma di norma non richiede alcun trattamento e solo osservazione clinica e laboratoristica (TSH, FT4). Nelle pazienti con iperemesi gravidica, il trattamento è rappresentato dal controllo del vomito e della disidratazione con terapia reidratante. In alcuni casi può essere necessaria l'ospedalizzazione. I farmaci anti-tiroidei (ATD) non sono indicati, poiché l'ipertiroidismo è autolimitante e si esaurisce alla 14°-18° settimana di gestazione. Può essere utile un breve periodo di trattamento con ß-bloccante (propranololo o metoprololo). Nei casi in cui non vi è certezza della diagnosi differenziale fra m. di Basedow e tireotossicosi gestazionale transitoria, può essere consentito un breve periodo di terapia con ATD, controllando frequentemente (anche una volta a settimana) la funzionalità tiroidea (4).

 

Terapia del m. di Graves
La condizione di ipertiroidismo subclinico non necessita di terapia, poiché tale condizione non risulta essere associata ad aumentato rischio di complicanze (5).
Molti studi hanno invece messo in evidenza le complicanze associate all'ipertiroidismo franco in gravidanza. La gravità e la frequenza delle stesse complicanze sono direttamente correlate al grado di severità dell'ipertiroidismo. Uno scarso controllo dell'ipertiroidismo è associato ad aborto, ipertensione e pre-eclampsia, parto pre-termine, basso peso alla nascita, morte endo-uterina, insufficienza cardiaca congestizia (6).
Gli ATD devono e possono essere usati per il trattamento dell’ipertiroidismo in gravidanza. Le complicanze associate a uno stato di ipertiroidismo non controllato sono sempre maggiori rispetto al rischio associato all’uso di ATD (7).
Gli effetti collaterali degli ATD, che si verificano in circa il 3-5% dei casi, sono prevalentemente rappresentati da reazioni allergiche. La maggior preoccupazione riguardante l’uso degli ATD è rappresentata dal possibile effetto teratogeno. L’esposizione al Metimazolo (MMI) è associata ad anomalie congenite, in particolare aplasia cutis e la cosiddetta sindrome “embriopatia da Metimazolo”, costituita da atresia delle coane o dell’esofago, e facies dismorfica (8, 9). Poiché queste malformazioni non erano riportate o erano riportate solo occasionalmente in associazione all’uso di Propiltiouracile (PTU), le linee guida correnti consigliano l’uso di PTU nel primo trimestre e di MMI nel secondo e terzo trimestre (4).
Più recentemente, si è dimostrato che anche PTU non è esente dal rischio di malformazioni (9). Uno studio danese in particolare, ha valutato la prevalenza di malformazioni congenite in neonati da madri ipertiroidee trattate con MMI, PTU, e MMI sostituito da PTU a inizio gravidanza (10). I risultati hanno dimostrato che la prevalenza di malformazioni congenite era: 9.1% per MMI, 8.0% per PTU, 10.1% per MMI/PTU. Tanto MMI quanto PTU risultavano associati a un aumentato rischio di difetti congeniti, ma con un differente tipo di difetti: l’uso di MMI/PTU era associato a malformazioni del tratto urinario, l’uso di PTU a malformazioni del viso e del collo; atresia delle coane, atresia esofagea, onfalocele, anomalie del tratto onfalo-mesenterico e aplasia cutis erano più comuni nei neonati esposti a MMI. Il suddetto studio smentisce in altre parole che l’uso di PTU sia esente dal pericolo di malformazioni. Le malformazioni congenite associate a PTU sono però isolate (cioè non più malformazioni contemporaneamente presenti a determinare un quadro sindromico, come nel casi di MMI). Sulla base di dette evidenze, le linee guida ATA 2017 suggeriscono di utilizzare PTU nel primo trimestre e sostituirlo con MMI nel secondo trimestre (4).
Rispetto al PTU, va inoltre ricordato che un report della Food and Drug Administration (FDA) ha richiamato l’attenzione sul rischio di epato-tossicità in pazienti esposti a PTU; l’epato-tossicità può riguardare tanto la madre quanto il feto, ed è potenzialmente fatale (11). L’epato-tossicità può realizzarsi per qualsiasi durata di trattamento con PTU; non esistono fattori che possano predire questo evento avverso, ed è consigliato monitoraggio delle transaminasi.
Nel caso si intenda utilizzare PTU nel primo trimestre e sostituirlo poi con MMI, va ricordato che il rapporto di equivalenza PTU/MMI è stimato 20/1 (sebbene non siano stati condotti studi specifici riguardo a questo dato). In generale, il dosaggio dell’anti-tiroideo dipende dalla severità dell’ipertiroidismo, ma è generalmente compreso fra i 5-15 mg di MMI (100-300 di PTU) (4).
Scopo della terapia con ATD è quello di mantenere il valore di FT4 ai limiti alti della norma, indipendentemente dal valore di TSH. Il razionale di tale atteggiamento è rappresentato dall’esigenza di somministrare il dosaggio minimo di ATD utile al controllo della tireotossicosi (4).
Altro elemento utile dal punto di vista terapeutico, è dato dal fatto che, essendo la gravidanza caratterizzata da immuno-soppressione, tutte la malattie autoimmuni, compreso il m. di Basedow, tendono a migliorare, soprattutto dal secondo trimestre in poi. Ciò comporta che, attendendosi una remissione della malattia, è utile ridurre il dosaggio del MMI per tempo, evitando così il rischio di sovra-dosaggio e conseguente ipotiroidismo materno-fetale. L’associazione di L-T4 e ATD non è indicata, perché obbliga all’uso di dosi più elevate di ATD, con rischio di indurre gozzo e ipotiroidismo fetale.
20-40 mg/die di Propranololo possono essere utilizzati per il controllo dei sintomi da tireotossicosi; il dosaggio deve essere progressivamente ridotto e non deve essere proseguito oltre le 6 settimane di trattamento. Il trattamento a lungo termine con ß-bloccante è stato associato a ridotta crescita fetale, bradicardia e ipoglicemia neonatale. Uno studio ha indicato che la contemporanea assunzione di Propranololo e MMI era associata a una maggiore incidenza di aborto spontaneo, rispetto alla sola assunzione di MMI (ma non è chiaro se la maggiore incidenza fosse effettivamente dovuta all’uso associato dei due farmaci, piuttosto che alla diversa severità della malattia) (12,13).
In pazienti con intolleranza agli ATD, con scarsa aderenza alla terapia e in pazienti che richiedono dosi elevate di ATD, può essere presa in considerazione la tiroidectomia, che deve essere eseguita comunque nel corso del secondo trimestre. È utile in questi casi il dosaggio dei TRAb per la valutazione del rischio di ipertiroidismo fetale (14). Prima dell'intervento, se necessario, la paziente può essere trattata con ß-bloccante e soluzione di Lugol.

 

Dosaggio dei TRAb in gravidanza
I TRAb sono presenti in circa il 95% delle pazienti con m. di Graves, e titoli elevati possono essere riscontrati nelle pazienti con m. di Graves in fase attiva, così come nelle pazienti sottoposte in precedenza a terapia radiometabolica. Il dosaggio dei TRAb può quindi essere utile nell'ipertiroidismo attivo, nella pazienti già sottoposte a terapia radiometabolica per m. di Basedow, anamnesi positiva per precedente parto di neonato ipertiroideo, tiroidectomia eseguita in corso di gravidanza per m. di Basedow (14). Il titolo degli anticorpi si riduce progressivamente in corso di gravidanza, così che la prevalenza di ipertiroidismo neonatale si attesta all'1-3% dei casi. La determinazione del titolo dei TRAb dovrebbe essere effettuata fra 22°-28° settimana di gestazione. Un valore più elevato di tre volte rispetto al limite massimo è associato ad aumentato rischio di ipertiroidismo fetale (15). In alternativa, si può eseguire il dosaggio nel corso del primo trimestre e ripeterlo successivamente in caso di riscontro di titoli elevati.

 

Monitoraggio fetale
Successivi esami ecografici sono utilizzati per stabilire l'età gestazionale, la vitalità fetale, la quantità di liquido amniotico, l'anatomia fetale ed eventuali malformazioni. Lo stato di benessere fetale può, infatti, essere compromesso in presenza di elevato titolo dei TRAb, ipertiroidismo scarsamente controllato, e pre-eclampsia. Segni suggestivi di ipertiroidismo fetale sono rappresentati da tachicardia fetale (> 170 battiti/minuto), riduzione della crescita fetale, gozzo fetale, accelerata maturazione ossea, segni di insufficienza cardiaca congestizia e idrope.
Nella maggior parte dei casi la diagnosi di ipertiroidismo fetale può essere effettuata sulla base delle condizioni cliniche e laboratoristiche della paziente e dall'ecografia fetale (16). La cordocentesi è associata a mortalità e morbilità fetale e deve esser eseguita solo nei casi in cui, in presenza di gozzo fetale, la diagnosi di disfunzione tiroidea fetale non è chiara. Poiché la funzione tiroidea fetale dipende dall'azione stimolante dei TRAb materni e dall'influenza dell'azione degli ATD assunti dalla donna gravida, soprattutto in caso di elevato titolo di TRAb e/o di dosaggio di ATD elevati, possono sorgere dubbi circa la possibilità che in presenza di gozzo fetale ci si trovi in condizione di ipo- o ipertiroidismo fetale (17).

 

Farmaci anti-tiroidei e allattamento
Dopo il parto, a causa del rebound del sistema immune, tutte le malattie autoimmuni, compreso il m. di Basedow, vanno incontro a esacerbazione. Ciò vuol dire che se anche la paziente è andata in remissione e la terapia con ATD è stata sospesa in corso di gravidanza, ci si deve attendere una recidiva nel post-partum. In questi casi può rendersi necessario l'utilizzo di MMI, che a dosaggi di 20-30 mg/die è da considerarsi sicuro e privo di effetti rilevanti sulla funzione tiroidea neonatale (18,19). È comunque consigliato che il neonato allattato da madre in terapia con ATD sia sottoposto a controlli di funzionalità tiroidea, e che l'assunzione dell'ATD sia successiva alla poppata. Non è indicato l’uso di PTU in allattamento, salvo severe reazioni allergiche da MMI (20).

 

Bibliografia

  1. Patil-Sisodia K, Mestman JH. Graves hyperthyroidism and pregnancy: a clinical update. Endocr Pract 2010, 16: 118–29.
  2. Goodwin TM, Montoro M, Mestman JH. Transient hyperthyroidism and hyperemesis gravidarum: clinical aspects. Am J Obstet Gynecol 1992, 167: 648–52.
  3. Rodien P, Bremont C, Sanson ML, et al. Familial gestational hyperthyroidism caused by a mutant thyrotropin receptor hypersensitive to human chorionic gonadotropin. N Engl J Med 1998, 339: 1823–6.
  4. Alexander EK, Pearce EN, Brent GA, et al. 2017 Guidelines of the American Thyroid Association for the diagnosis and management of thyroid disease during pregnancy and the postpartum. Thyroid 2017, 27: 315-89.
  5. Casey BM, Dashe JS, Wells CE, et al. Subclinical hyperthyroidism and pregnancy outcomes. Obstet Gynecol 2006, 107: 337–41.
  6. Stagnaro-Green A. Overt hyperthyroidism and hypothyroidism during pregnancy. Clin Obstet Gynecol 2011, 54: 478-87.
  7. Krassas GE, Poppe K, Glinoer D. Thyroid function and human reproductive health. Endocr Rev 2010, 31: 702-55.
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  9. Clementi M, Di Gianantonio E, Cassina M, et al. SAFE-Med Study Group. Treatment of hyperthyroidism in pregnancy and birth defects. J Clin Endocrinol Metab 2010, 95: E337–41.
  10. Andersen SL, Olsen J, Wu CS, Laurberg P. Birth defects after early pregnancy use of antithyroid drugs: a Danish nationwide study. J Clin Endocrinol Metab 2013, 98: 4373-81.
  11. Bahn RS, Burch HS, Cooper DS, et al. The role of propylthiouracil in the management of Graves’ disease in adults: report of a meeting jointly sponsored by the American Thyroid Association and the Food and Drug Administration. Thyroid 2009, 19: 673–4.
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  13. Sherif IH, Oyan WT, Bosairi S, et al. Treatment of hyperthyroidism in pregnancy. Acta Obstet Gynecol Scand 1991, 70: 461-3.
  14. Laurberg P, Nygaard B, Glinoer D, et al. Guidelines for TSH-receptor antibody measurements in pregnancy: results of an evidence-based symposium organized by the European Thyroid Association. Eur J Endocrinol 1998, 139: 584–6.
  15. Luton D, Le Gac I, Vuillard E, et al. Management of Graves’ disease during pregnancy: the key role of fetal thyroid gland monitoring. J Clin Endocrinol Metab 2005, 90: 6093–8.
  16. Polak M, Le Gac I, Vuillard E, et al. Fetal and neonatal thyroid function in relation to maternal Graves’ disease. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 2004, 18: 289–302.
  17. Kilpatrick S. Umbilical blood sampling in women with thyroid disease in pregnancy: is it necessary? Am J Obstet Gynecol 2003, 189: 1–2.
  18. Mandel SJ, Cooper DS. The use of antithyroid drugs in pregnancy and lactation. J Clin Endocrinol Metab 2001, 86: 2354-9.
  19. Azizi F, Khoshniat M, Bahrainian M, et al. Thyroid function and intellectual development of infants nursed by mothers taking methimazole. J Clin Endocrinol Metab 2000, 85: 3233-8.
  20. Karras S, Krassas GE. Breastfeeding and antithyroid drugs: a view from within. Eur Thyroid J 2012, 1: 30-3.
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Luca Piantoni
UOC Malattie Endocrine, Polo Ospedaliero Integrato S. Eugenio e CTO A. Alesini, Azienda USL Roma C  

 

L’incidenza di malattie della tiroide aumenta con l’età. Quella dell’ipertiroidismo, in età superiore a 60 anni, varia tra lo 0.5% e il 2.3%.

L’ipertiroidismo dell’anziano è sostenuto nel 70% dei casi dal gozzo nodulare tossico, osservandosi invece una relativa minore incidenza del gozzo tossico diffuso. L'iperproduzione ormonale è causata più frequentemente da una o più aree di parenchima tiroideo che sono divenute autonome o nel caso dell’adenoma tossico o morbo di Plummer, per un nodulo singolo iperfunzionante.

Le manifestazioni cliniche del morbo di Basedow sono comunque nell’anziano più sfumate rispetto a quello riscontrabili nel soggetto giovane e nell’adulto: il  gozzo è per lo più di piccole dimensioni,  l’esoftalmo di solito assente, o comunque di entità molto modesta.

Alle presentazioni tipiche, con quadro cardiologico, metabolico e catecolaminergico, si associano più spesso quadri paucisintomatici (ipertiroidismo apatetico dell’anziano), anche in presenza di elevati valori di ormoni tiroidei circolanti e nei quali può prevalere l’astenia fino a forme simil-cachettiche. Il paziente presenta astenia intensa, con incapacità addirittura ad alzarsi dalla posizione seduta per grave ipotrofia delle masse muscolari. Ciò è legato anche ad una diagnosi frequentemente tardiva, dopo un percorso di esclusione di patologie neoplastiche, sospettate per il grave dimagramento.

In anamnesi è frequente la storia di un gozzo nodulare, monitorato negli anni come normofunzionante o una familiarità per gozzo. Viceversa l’ipertiroidismo può rappresentare il primo riscontro della presenza di un gozzo nodulare misconosciuto, spesso di dimensioni notevoli o anche ad estrinsecazione nel mediastino superiore.

La non infrequente evoluzione verso l'autonomia funzionale di un gozzo plurinodulare normofunzionante dovrebbe portare a valutare, nelle decadi precedenti, l'opportunità di una soluzione chirurgica del gozzo, in qualche modo “preventiva”.

L’eventuale presentazione d’amblee con un quadro di fibrillazione atriale, oltre allo specifico rischio cardio-neurologico, compromette anche la possibilità di utilizzo di un farmaco di spiccata efficacia nel controllo della fibrillazione atriale come l’amiodarone o comunque ne complica la gestione.

Spesso l’ipertiroidismo è di modico grado ma di lunga durata.

Quando presenti segni clinici suggestivi, si possono riscontrare forme con differenti sfumature di ipertiroidismo:

  1. Valore di TSH solo modestamente ridotto, con ormoni circolanti nei limiti. In tale situazione si può raccomandare il controllo a 30 giorni di TSH, FT3 ed FT4 e l’eventuale astensione da farmaci o sostanze contenenti iodio.
  2. Valore di TSH nettamente soppresso, con ormoni circolanti nei limiti. Non è infrequente che, l’Endocrinologo venga chiamato ad esprimersi nei soggetti ricoverati per il nulla osta a esami contrastografici. Ove sia praticabile, l’esecuzione di una scintigrafia con iodocaptazione consente di discriminare tra una captazione elevata o normale/bassa: nel primo caso l’introduzione di elevate quantità di iodio (es. coronarografia) può aumentare il rischio di evoluzione all’ipertiroidismo franco; nel secondo caso il rapporto rischio/beneficio è sicuramente migliore. La captazione elevata e la presenza di aree di attività maggiore nel contesto di un gozzo nodulare, già documentato dall’esame ecografico, consente inoltre di considerare l’eventuale trattamento radiometabolico.
  3. Valore del TSH nettamente soppresso, con ormoni circolanti aumentati. In tali casi l’esecuzione di una scintigrafia con iodo captazione è molto utile. Nella prospettiva di un trattamento radiometabolico, nel caso di una captazione con elevata dismissione, potrà essere avviato un trattamento preventivo con tireostatici, da calendarizzare in accordo con il Medico Nucleare. Va anche considerata la possibile comparsa di riacutizzazioni quale effetto della terapia con lo iodio. Per entrambi questi motivi e per ottimizzare l’efficacia della terapia combinata, la collaborazione tra Medico Nucleare ed Endocrinologo è qui ancora più importante. Ove invece non sussistano le condizioni per la terapia “definitiva" con I-131, andrà avviata la terapia con anti-tiroidei di sintesi, derivati dalle tionamidi (metimazolo, carbimazolo, propiltiouracile), con accortezze legate all’età del paziente e alle possibili co-morbilità.

È utile disporre del quadro ematologico ed epatico pre-terapia medica, per la possibile presenza di alterazioni pre-esistenti. E' preferibile iniziare con posologie modeste , spesso sufficienti a riequilibrare gli ormoni circolanti e per la maggiore suscettibilità del paziente anziano, ad esempio con Tapazole 2 compresse al mattino, verificando i valori di FT3 e FT4  a 30 giorni, per l'eventuale adeguamento della posologia

Il quadro cardiologico può anche essere l’unica manifestazione, in forma di angor, aritmie sopraventricolari, scompenso congestizio. La fibrillazione atriale è l'aritmia più importante e più frequente sul piano clinico, e può essere facilitata da una cardiopatia pre-esistente. In tali situazioni l’efficacia delle terapie specifiche cardiologiche richiede un adeguato e contestuale  trattamento dell’ipertiroidismo, che si deve proporre la risoluzione possibilmente definitiva con la massima rapidità. E’ nota la latenza di effetto sia del trattamento con anti-tiroidei che della terapia con I-131. In collaborazione con il Cardiologo, andrà quindi prevista una terapia sintomatica con farmaci ß-bloccanti, da adeguare al graduale miglioramento dei risultati ormonali.

Nel casi di paziente senza particolari comorbilità e con voluminoso gozzo sintomatico causa di compressione locale, può anche essere proposta una soluzione chirurgica: questa va programmata naturalmente quando  il livello  degli ormoni circolanti è tornato a valori che lo consentano.

Resta infine da citare il possibile ricorso, nei Centri che possiedano il know-how e la necessaria esperienza, al trattamento ablativo percutaneo della/e area/e di iperfunzione. Oggi l’esperienza maggiore è con l’ablazione laser. Tale trattamento, ove non praticabili le terapie già descritte e la chirurgia non abbia fattibilità o compliance, può ottenere risultati clinici utili, sia umorali che in termini di dimensioni delle lesioni.

Resta infine da raccomandare il follow-up del paziente, specie dopo il ricorso alla terapia radiometabolica, per intercettare in fase precoce la comparsa dell’ipotiroidismo.

 

Bibliografia

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  5. Canaris GJ, et al. The Colorado thyroid disease prevalence study. Arch Intern Med 2000, 160: 526-34.
  6. Djez JJ. Hyperthyroidism in patients older than 55 years: an analysis of the etiology and management. Gerontology 2003, 49: 316–23.
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Luca Piantoni
UOC Malattie Endocrine, Polo Ospedaliero Integrato S. Eugenio e CTO A. Alesini, Azienda USL Roma C

 

I casi di  assunzione volontaria ed incongrua di levotiroxina, a scopo autolesionistico, non sono molto frequenti, quelli di un uso medico non corretto, rari. Quadri di tireotossicosi di tipo iatrogeno sono invece prevalentemente legati ad assunzioni di ormoni tiroidei o sostanze iodate per scopi dietetici, o nell’ambito di coktail suggeriti per la gestione della forma fisica in numerose palestre. In questi casi l’anamnesi non necessariamente supporta la diagnosi, vuoi per reticenza o per non conoscenza di ciò che si assume.

Un caso particolare è quello di pazienti troppo a lungo lasciati in terapia con triiodo-tironina dopo un intervento chirurgico: con frequenza alla dimissione del paziente dopo intervento chirurgico, e in attesa dell’esame istologico, viene prescritta TiTre, nell’ottica di facilitare l’eventuale invio al Medico Nucleare nel caso di neoplasia maligna all'istologico definitivo. L’abituale intervallo di 10–15 giorni in alcuni casi si estende impropriamente a settimane o mesi, determinando un quadro di caratteristica T3-tossicosi, che può divenire sintomatica, specie in soggetti a rischio (esempio 1).

Il valore del TSH è abitualmente soppresso. I  valori di FT3 ed FT4 sono variabili, in conseguenza del tipo di sostanza assunta : entrambi aumentati se il farmaco introdotto è stata la L tiroxina, soltanto FT3 aumentato per ingestione di preparati di T3. In questi casi i valori possono essere particolarmente spiccati ma, in soggetti giovani, frequentemente ben tollerati e paucisintomatici. Sono ovviamente possibili gradi intermedi per preaparazioni associate. Nel sospetto di una tireotossicosi factitia può essere utile il dosaggio della tireoglobulina: valori modesti assenti per assunzione di levotiroxina, spesso elevati in corso di tiroidite. In un lavoro di Mariotti et al. (5 ) è stata dosata la tireoglobulina in 6 donne con tireotossicosi factitia, usando una metodica ultra-sensibile ed escludendo la presenza di anticorpi specifici. La loro presenza potrebbe infatti modificare il dosaggio della tireoglobulina. In tutte e 6 le donne i valori di HTG sono risultati indosabili. La captazione tiroidea di iodio o tecnezio è ridotta, e alla valutazione eco doppler, la vascolarizzazione tiroidea assente con  picchi sistolici bassi/normali (8), mentre nel Basedow tutti questi segni sono incrementati. In genere, quindi, la tireotossicosi da tiroidite factitia non pone problemi di diagnosi differenziale da quella del Basedow, dell’adenoma tossico o del gozzo multinodulate tossico. Può invece essere più complessa la diagnosi differenziale con la tiroidite silente

 

Esempio 1: paziente di 76 anni
FT3 6.6 pg/mL v.n. 2.3-4.2
FT4 0.19 ng/dL v.n. 0.8-1.76
TSH 0.3 μU/mL v.n. 0.55-4.78

 

L’acido tri–iodo-tiroacetico (TRIAC), analogo della T3, è presente in alcuni integratori alimentari (dimagranti, acceleratori del metabolismo), in preparazioni galeniche e come farmaco (Triacana, Teatrois). Può indurre ipotiroidismo da inibizione del TSH, bassi livelli di fT4 ed elevati livelli di fT3. Il Paziente spesso convive con la sintomatologia clinica per mesi prima di giungere al riscontro della causa.

 

Esempio 2: paziente di 48 anni, TRIAC 1.5 mg 1 cpr x 3
FT3 > 40 pg/mL v.n. 1.5-4.8
FT4 < 3 pg/mL v.n. 8.9-17.6
TSH 0.009 μU/mL v.n. 0.4-4.0

 

Su Internet è possibile reperire in diversi siti a libero accesso “istruzioni dettagliate" sull’uso del TRIAC, che si riportano a titolo di esempio ovviamente non condividendone il contenuto!

Nello sport il Triacana viene utilizzato per perdere rapidamente il grasso in eccesso, senza ricorrere a diete estreme che finiscono, inevitabilmente, con favorire il catabolismo muscolare. Per questo motivo il Triacana è un farmaco particolarmente apprezzato dai Bodybuilder che lo utilizzano per migliorare la definizione muscolare in vista di una competizione (spesso associandolo a steroidi anabolizzanti non aromatizzabili). Se da un lato il Triacana ha un'azione inferiore rispetto a Cytomel e Synthroid, dall'altro è considerato più sicuro. Il ciclo inizia normalmente con due pastiglie di Triacana da 0.35 mg da assumere a distanza di 12 ore. Giorno dopo giorno la dose verrà incrementata di due compresse fino ad arrivare alle 10-14 pastiglie al giorno. L'assunzione va distribuita nel corso della giornata in modo da mantenere stabili i livelli plasmatici di tiratricol (questo metabolita ha un'emivita di circa 6 ore). La durata d'assunzione non deve superare i tre mesi ed in ogni caso è importante non sospenderla bruscamente. Similmente alla fase iniziale la dose andrà infatti diminuita di due pastiglie al giorno fino a sospendere completamente l'assunzione. Tale coda ha lo scopo di riattivare la naturale funzionalità tiroidea, depressa dall'utilizzo cronico di Triacana.

http://www.my-personaltrainer.it/sport/triacana.html

Somatoline: 100 g di emulsione contengono: levotiroxina mg 100, escina mg 300. Nella  scheda Tecnica, tra le controindicazioni per la tiroide, riportata solo l’intolleranza allo iodio e inoltre si afferma che "nei limiti della posologia indicata, SOMATOLINE® non determina effetti collaterali sistemici e non interferisce con i principali parametri di funzionalità tiroidea”. In realtà nella banca dati di segnalazione delle reazioni avverse sono stati riportati 3 casi di ipertiroidismo in rapporto all’uso di questo prodotto (al 2010). Anche nella personale esperienza in 3 pazienti ricoverati per eretismo, dimagramento e tachicardia/extrasistolia, nell’anamnesi, anche familiare, non risultava altro che l’uso del Somatoline. Il quadro funzionale confermava un quadro di ipertiroidismo, in un caso con concomitante presenza di autoanticorpi. I valori ormonali tornavano nei limiti a 2 mesi dall’astensione dal prodotto.

Fucus vescicolosus (alga bruna, kelp) è un'alga appartenente alla famiglia delle fucacee, con habitat naturale sulla costa atlantica del mare del nord Europa. I principali componenti attivi del fucus vescicolosus sono: polisaccaridi (acido alginico, fucoidano, laminaria), iodio (0.05-0.2%), vitamine e minerali (soprattutto vitamina C). Si utilizza prevalentemente l'estratto secco titolato, da 500 a 900 mg/die, e l’estratto fluido, in gocce, assunto a 25-40 gocce due volte/die. Sono anche numerosi gli integratori dietetici per la linea e per la cellulite che contengono il fucus. Per tale motivo, per una titolazione in principi attivi non necessariamente rigorosa, e spesso per l’assenza di una specifica anamnesi di patologie tiroidee, la sua assunzione può slatentizzare condizioni di ipertiroidismo subclinico o complicare la gestione di una terapia tiroxinica (potenziamento dell'azione).

 

Bibliografia

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  5. Mariotti S, Martino E, Cupini C. Low serum thyroglobulin as a clue to the diagnosis of thyrotoxicosis factitia. N Engl J Med 1982, 307: 410-2.
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  7. Jahagirdar VR, Strouhal P, Holder G, et al. Thyrotoxicosis factitia masquerading as recurrent Graves’ disease: endogenous antibody immunoassay interference, a pitfall for the unwary. Ann Clin Biochem 2008, 45 (Pt 3): 325-7.
  8. Bogazzi F, Bartalena L, Vitti P, et al. Color flow Doppler sonography in thyrotoxicosis factitia. J Endocrinol Invest 1996, 19: 603-6.
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Vincenzo Di Donna & Salvatore Maria Corsello
Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” IRCCS, Roma

(aggiornato all'8 ottobre 2019)

 

Definizione
L’ipertiroidismo subclinico (IS) è una condizione caratterizzata da riduzione del TSH sierico al di sotto del limite inferiore di normalità, con normali livelli di ormoni tiroidei (1,2).

 

Epidemiologia
La prevalenza stimata dell'IS varia dallo 0.7 al 12.4%, in base al limite inferiore di normalità del TSH considerato e alla popolazione di pazienti analizzata, ed è più frequente nelle donne, negli anziani, nei fumatori e nelle aree con carenza iodica lieve-moderata.
La prevalenza di tireotossicosi subclinica esogena, per sovradosaggio della terapia sostitutiva dell’ipotiroidismo, varia dal 5.8 al 25%, arrivando al 41% in uno studio su 339 pazienti con età > 65 anni (3-8).
La riduzione del TSH può essere peraltro un obiettivo della terapia ormonale in caso di carcinomi tiroidei a rischio intermedio o elevato di recidiva e in casi molto selezionati di patologia nodulare benigna, per cui si rimanda alle linee guida specifiche.

 

Ezio-patogenesi
Oltre alla più frequente tireotossicosi subclinica esogena, le cause di IS sono le stesse dell’ipertiroidismo franco: nodulo tiroideo autonomo, gozzo multi-nodulare iperfunzionante, più frequenti negli anziani, morbo di Graves-Basedow, più frequente nelle aree con sufficiente apporto iodico, eccesso transitorio di ormoni tiroidei circolanti legato a Hashitossicosi, fase tossica della tiroidite subacuta, della tiroidite post-partum e della tiroidite silente.
Cause rare di IS sono lo struma ovarii e il carcinoma follicolare tiroideo metastatico.

 

Diagnosi
L’anamnesi e l’esame obiettivo sono importanti per indagare possibili cause e fattori di rischio per IS, ma la diagnosi è biochimica ed è definita dal riscontro di una riduzione del TSH sierico (generalmente < 0.4 mUI/L) con normali livelli di FT3 e FT4, generalmente nella porzione superiore del range di normalità. I sintomi e segni di ipertiroidismo, infatti, sono aspecifici e, d’altra parte, possono essere assenti anche nell’ipertiroidismo franco, soprattutto negli anziani.
La diagnosi va confermata in almeno una seconda occasione a distanza di 3-6 mesi, per escludere cause transitorie di riduzione del TSH indipendenti da un eccesso di ormoni tiroidei. In particolare, la diagnosi differenziale dell’IS comprende (9,10):

  • ipotiroidismo centrale, in cui generalmente FT3 ed FT4 sono bassi o nella porzione inferiore del range di normalità e ci possono essere segni, sintomi o fattori di rischio per patologia ipofisaria;
  • euthyroid sick syndrome, in cui generalmente FT3 e/o FT4 sono bassi o nella porzione inferiore del range di normalità;
  • assunzione di alte dosi di glucocorticoidi, dopamina e dopaminergici, dobutamina, amiodarone, analoghi della somatostatina;
  • uso di mezzi di contrasto o prodotti contenenti iodio;
  • fase di recupero dopo risoluzione di un precedente ipertiroidismo franco;
  • fisiologico spostamento in basso dei valori normali di TSH;
  • uso di biotina come integratore alimentare, in grado di interferire con i metodi di determinazione immunologici e mimare un quadro di ipertiroidismo, in genere reversibile dopo almeno due giorni di sospensione della biotina stessa.

Il dosaggio degli anticorpi anti-tireoglobulina, anti-tireoperossidasi, anti-recettore del TSH, l’ecografia con Color Doppler, la scintigrafia con eventuale curva di captazione, sono di ausilio nella diagnosi differenziale, soprattutto nei pazienti a rischio più elevato di complicanze legate all’ipertiroidismo (TSH < 0.1 mUI/L, età > 65 anni, malattia cardio-vascolare, osteoporosi).

 

Clinica
La maggior parte dei pazienti con IS è asintomatica. Possono essere presenti sintomi e segni aspecifici e generalmente lievi, come tachicardia, tremori fini, insonnia, intolleranza al caldo.
L’importanza dell’IS è legata principalmente a:

  • aumento del rischio di fibrillazione atriale e conseguentemente di ictus, soprattutto negli anziani, con un rischio che dopo i 60 anni e in presenza di TSH indosabile è circa tre volte più elevato rispetto a soggetti eutiroidei della stessa età (11-13);
  • riduzione della densità minerale ossea e aumento del rischio di frattura (soprattutto nelle donne dopo la menopausa e a carico dell’osso corticale), legati all’azione diretta di stimolo degli ormoni tiroidei sul riassorbimento e, in minor misura, sulla neoformazione dell’osso (14);
  • possibile evoluzione a ipertiroidismo franco (15-18).

Ci sono dati anche sull’associazione tra IS e aumento del rischio di: malattia coronarica, alterazioni della contrattilità miocardica e scompenso cardiaco, ridotta tolleranza allo sforzo, ipercoagulabilità e, soprattutto, aumento di mortalità, sia cardio-vascolare che da tutte le cause, anch’esso più elevato per gradi maggiori di soppressione del TSH (19-29).
Il rischio di complicanze è maggiore negli anziani e per valori di TSH < 0.1 mUI/L, mentre nel 40-60% dei casi con TSH tra 0.1 e 0.5 mUI/L (circa il 70% dei pazienti con IS), si può verificare una normalizzazione spontanea del TSH entro un anno.
Ci sono dati non univoci sull’associazione tra IS e rischio aumentato di demenza, alterazioni del sonno, depressione e sintomi neuro-psichiatrici (30-33).

 

Terapia
La terapia della tireotossicosi subclinica esogena si fonda sulla riduzione della dose di tiroxina al livello minimo in grado di mantenere l’obiettivo terapeutico, sulla selezione accurata dei pazienti candidabili alla terapia soppressiva e su un attento follow-up. In particolare, la terapia tiroxinica soppressiva non è indicata nei pazienti con carcinoma tiroideo a basso rischio e nella grande maggioranza dei casi di patologia nodulare benigna, in particolare in presenza di autonomia funzionale, noduli > 3 cm, gozzi voluminosi e di lunga durata, donne in post-menopausa, uomini di età > 60 anni e con comorbilità internistiche, malattie cardio-vascolari, osteoporosi.
La terapia dell’IS endogeno va considerata solo in caso di valori di TSH persistentemente bassi. Le opzioni terapeutiche sono le stesse dell’ipertiroidismo franco e dipendono dalla causa sottostante: terapia tireostatica, terapia radio-metabolica, terapia chirurgica, tecniche mini-invasive. L’uso di ß-bloccanti è utile per il controllo dei sintomi adrenergici e può costituire l’unico presidio in caso di cause transitorie di IS.
Sulla base delle evidenze attualmente disponibili, sebbene manchino studi clinici randomizzati, le principali linee guida correnti suggeriscono le indicazioni riportate in tabella (1,34-37).

 

Indicazioni al trattamento dell’ipertiroidismo subclinico
Tipologia paziente TSH < 0.1 mUI/L TSH 0.1-0.5 mUI/L
Alto rischio di complicanze (> 65 anni, con o a rischio elevato di malattia CV, donne in post-menopausa con o a rischio elevato di osteoporosi) Trattare Considerare il trattamento in presenza di malattia CV, osteoporosi, sintomi e segni di ipertiroidismo, noduli funzionalmente autonomi
Basso rischio di complicanze (< 65 anni, a basso rischio di malattia CV e osteoporosi) Considerare il trattamento in presenza di malattia CV, osteoporosi, sintomi e segni di ipertiroidismo, noduli funzionalmente autonomi Osservazione

 

Il trattamento definitivo dell’IS non deve essere considerato nelle donne in gravidanza, per le quali si rimanda alle linee guida specifiche (38), e durante terapia con farmaci che interferiscono con la funzione tiroidea.

 

Follow-up
In caso sia indicata una terapia tiroxinica soppressiva, particolare attenzione va posta al controllo delle possibili complicanze, soprattutto in:

  • donne in post-menopausa, con l’eventuale supplementazione di vitamina D e calcio, la prevenzione e la cura dell’osteoporosi;
  • pazienti con età > 60 anni, con la diagnosi precoce di eventuali tachi-aritmie e il controllo ottimale del rischio CV.

Nei pazienti con IS endogeno in terapia, si suggerisce il controllo di TSH, FT3 e FT4 inizialmente ogni 4-8 settimane fino alla normalizzazione e successivamente con cadenza variabile in relazione allo specifico contesto clinico.
Nei pazienti con IS endogeno in cui si decida per la semplice osservazione, è opportuno controllare TSH, FT3 e FT4, a intervalli di circa 6 mesi e successivamente con cadenza variabile in relazione allo specifico contesto clinico, e la densitometria ossea a intervalli di circa 2 anni nelle donne in post-menopausa.

 

Bibliografia

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Luca Piantoni
UOC Malattie Endocrine, Polo Ospedaliero Integrato S. Eugenio e CTO A. Alesini, Azienda USL Roma C  

 

La crisi tireotossica è la forma più grave di tireotossicosi, oggi non riscontrabile frequentemente.

 

CAUSE

  • Paziente con m. di Basedow:
    • che ha sospeso incongruamente il trattamento con tireostatici
    • per terapia radiometabolica senza pretrattamento con anti-tiroidei
    • per malattie intercorrenti, quali infezioni e traumi
    • per interventi di tiroidectomia non adeguatamente preparati con lo iodio
  • Somministrazione di mezzi di contrasto iodato in paziente con ipertiroidismo misconosciuto.

Tutte queste forme sono oggi largamente prevenute da una gestione dei pazienti ipertiroidei  più assidua da parte dei medici e generalmente più consapevole da parte degli interessati, anche se alcune categorie, come i giovani e le persone con difficoltà socio-economiche, possono sfuggire ai controlli previsti. La crisi tireotossica a presentazione occasionale è oggi più frequentemente iatrogena, per assunzione spesso massiva di ormoni tiroidei in preparazioni galeniche ad uso dietetico o sportivo e come conseguenza dell’assunzione di amiodarone (AIT tipo 1/2). In questo ultimo caso il quadro clinico è complicato dalla pre-esistente aritmia che aveva motivato l’uso dell’amiodarone.

 

CLINICA

Il quadro è legato alla comparsa o aggravamento dei sintomi e segni dell'ipertiroidismo, ma in forma severa ed esasperata, oltre a segni di scompenso a livello di diversi organi o apparati. E’ presente uno stato di attivazione adrenergica, con tremore a riposo e durante sforzo, febbre, calo ponderale, vomito, diarrea, irritabilità, polidipsia, alterazioni comportamentali, quali paranoia o sindromi maniacali. L'eventuale debolezza dei muscoli respiratori predispone a grave insufficienza respiratoria; si può avere inoltre  ipotensione severa fino allo shock, grave tachicardia o tachiaritmia ed insufficienza cardiaca fino all'edema polmonare.
La crisi è provocata dalla rapida immissione in circolo di ormoni tiroidei, ma anche dall'aumentata responsività alle catecolamine, causata dall’ipertiroidismo e dall’aumentato rilascio di catecolamine causato dall’evento acuto intercorrente che spesso è all’origine dell’innesco della crisi tireotossica e che può anche provocare una riduzione dell'affinità del legame degli ormoni tiroidei per le proteine leganti (TBG), con conseguente aumento della concentrazione delle frazioni libere.

 

DIAGNOSI

È prevalentemente clinica. Data l'elevata mortalità (30-60%), nel dubbio considerare il paziente in crisi tireotossica. Tale condizioni clinica va considerata un'emergenza medica che richiede il trattamento in struttura di terapia intensiva.
Diagnosi differenziale. Il corteo dei sintomi deve indurre il medico ad escludere:

  • sindrome da astinenza da etanolo, psicofarmaci, narcotici
  • ipossia e ipoglicemia
  • sepsi con alterazione dello stato mentale
  • assunzione di sostanze simpaticomimetiche e anti-colinergiche
  • meninigiti - encefaliti
  • colpo di calore

 

LABORATORIO

Non esistono indici di funzione tiroidea certi per la diagnosi di crisi tireotossica. La gravità della condizione clinica suggerisce di non attendere i risultati degli esami di funzione tiroidea per iniziare la terapia specifica. Inoltre i sintomi clinici non sono linearmente proporzionali ai valori degli ormoni circolanti.

 

TRATTAMENTO

Il primo provvedimento è quello di stabilizzare le funzioni vitali, rimandando il trattamento dell’ipertiroidismo a condizioni cliniche stabilizzate. Nei casi di alterazione dello stato di coscienza, inserire immediatamente un sondino naso-gastrico per la somministrazione dei farmaci.

 

Trattare l’iperpiressia
Il paracetamolo è l'antipiretico di prima scelta negli stati febbrili, alla dose di 0.5-1.0 g x 3-4 volte nelle 24 ore (non superare 4 g/die). Non è indicata l'aspirina, poiché inibisce il legame della T4 alle proteine leganti con aumento della quota libera, anche se ciò avviene a dosi > 2 g. Usare anche misure fisiche: spugnature di alcool sul torace e ghiaccio sul capo e sui vasi femorali a livello inguinale, materassino termico.

 

Trattare lo shock ipovolemico o cardiogeno
Il frequente edema polmonare in presenza di deplezione di volume sconsiglia l’uso dei diuretici. Migliorare le condizioni emodinamiche, rallentando la frequenza cardiaca per permettere un aumento del tempo di riempimento cardiaco, con l'infusione continua di β-bloccanti short-acting e ventilazione a pressione positiva. I β-bloccanti competono con i recettori β-adrenergici e sono i farmaci di scelta per antagonizzare l'iperattività del simpatico a  livello del cuore e di altri organi. In presenza di broncospasmo, scegliere farmaci selettivi per i recettori β1 cardiaci. L'insufficienza cardiaca, essendo secondaria alla tachiaritmia, non costituisce una controindicazione per l'uso dei β-bloccanti.
In caso di asma bron­chiale, in alternativa ai β-bloccanti può essere utile l'impiego di calcio-antagonisti.
In presenza di scompenso cardiaco va associata la digitalizzazione, specie nel paziente fibrillante (digossina 0.125 - 0.5 mg ogni 6 ore, per os o iv). Potrebbe essere richiesto un dosaggio più elevato di digitale per un'aumentata clearance del farmaco.

 

Terapia β-bloccante
Farmaco Blocco recettoriale Formulazione Posologia
Propranololo β1 e β2 cp 40 e 80 mg 20-40 mg ogni 6 ore
Atenololo β1 cp 100 mg 50-100 mg ogni 12 ore

 

Trattare gli squilibri idro-elettrolitici
Per compensare le perdite idriche della sudorazione, dell’iperpiressia e della diarrea, vanno infusi da 3 a 5 litri di liquidi ogni 24 ore per le prime 48 ore e va incoraggiata l’assunzione di acqua. Si impiegano soluzioni di NaCl 0.9% e glucosate integrate di potassio secondo necessità, per agevolare il recupero delle riserve epatiche di glicogeno.
Preparati multivitaminìci e di sali minerali e soluzioni nutritive ad elevato contenuto calorico possono essere di utilità per lo stato catabolico dei pazienti.

 

Trattare il quadro respiratorio
Il Paziente  presenta frequentemente un edema polmonare con deplezione di volume e quindi dovrebbero essere evitati i diuretici. La ventilazione non invasiva a pressione positiva può facilitare la ridistribuzione dell'edema polmonare senza l'impiego dei diuretici.

 

Trattare la diarrea
Loperamide (cp 2 mg), 4-8 mg/die in dosi refratte, con progressiva riduzione sulla base della risposta clinica. Va usata con prudenza negli anziani. Gli effetti collaterali sono modesti, a parte un effetto sedativo che può essere giovevole.

 

Prevenzione delle trombo-embolie
L’incidenza di embolizzazione è aumentata per le aritmie e per la disidratazione, e aggravata da storia di immobilizzazione prolungata, età avanzata o anamnesi positiva per pregresse trombosi venose. E’ indicata una terapia profilattica con eparine a basso peso molecolare, ad es. enoxaparina 2000 UI (0.2 mL)/die sc, per almeno 1 settimana. Le principali controindicazioni sono trombocitopenia, emorragie cerebrali e gastrointestinali. Cautela per l’aumento del rischio emorragico legato alla terapia cortisonica.

 

Trattare le infezioni
Le infezioni sono il principale fattore scatenante della crisi tireotossica. Va quindi iniziata immediatamente una terapia con antibiotici ad ampio spettro, dopo avere raccolto campioni per emocolture per una diagnosi più mirata. In presenza di coma considerare anche la rachicentesi.

 

Trattare il quadro di agitazione
Benzodiazepine secondo necessità. Quando lo stato di coscienza è compromesso, vanno usate con moderazione per non mascherare eventuali segni di ripresa. La clorpromazina (fl 2 mL 50 mg) alla dose di 12.5 mg im ha anche un effetto ipotermizzante a livello centrale. In caso di persistenza dei sintomi, la dose si può ripetere dopo circa 1 ora.

 

Trattamento dell’ipertiroidismo
Il trattamento si articola in 3 fasi:

  1. Blocco degli effetti ß-adrenergici periferici dell'ormone tiroideo con β-bloccanti short-acting. ll propranololo ha il vantaggio di ridurre la conversione periferica di T4 a T3. Somministrare atenololo ev, fino a 5 mg in 5-10 min e quindi in infusione lenta o per os (Inderal 1 cp/12 h). La gestione del trattamento va gestita con il Cardiologo, e con Paziente monitorato.

I  corticosteroidi devono essere usati per l'aumentato turn-over del cortisolo in corso di ipertiroidismo, per l'effetto sulla conversione periferica della T4 in T3 e per l'ef­fetto antipiretico. Viene utilizzato l'idrocortisone alla dose di 100 mg ev ogni 8 ore.

  1. Inibizione della produzione dell'ormone tiroideo con farmaci anti-tiroidei: metimazolo (Tapazole cp 5 mg) per os o per via rettale, 20 mg ogni 4-8 h (solitamente fino a 100 mg/die) oppure propil-tiouracile (Propycil cp 50 mg), 150 mg ogni 6 h per os o con sondino nasogastrico (sino a una dose massima di 1200 mg/die), per una maggiore capacità di inibire la conversione periferica da T3 a T4. L'azione inizia rapidamente, ma solo dopo alcuni giorni raggiunge l’efficacia maggiore e correla con una ghiandola iperfunzionante.
  2. Inibizione del rilascio dell'ormone tiroideo (dopo 1-2 ore dalla somministrazione dei farmaci anti-tiroidei):
  • soluzione satura di ioduro di potassio o soluzione di Lugol, 250 mg/24 h in infusione ev oppure 15-30 gtt/die o più per os in 3 somministrazioni.
  • in caso di allergia allo iodio, carbonato di litio per os 300 mg/6 ore.

L’escape dall’effetto Wolf-Chaikow va adeguatamente considerato per il rischio di rebound dell’ipertiroidismo. In passato sono stati usati per lo stesso scopo mezzi di contrasto iodato ionico, come l'Acido Iopanoico (Cistobil) per os 500 mg x 2 volte/die, oggi di scarsa reperibilità o non più prodotti (Urografin) per gli effetti collaterali che potevano indurre.

La severità del quadro clinico deve anche far considerare oggi la rimozione degli ormoni circolanti con la plasmaferesi.

 

BIBLIOGRAFIA

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Gregorio Reda
Endocrinologia, Ospedale Pertini, Roma

(aggiornato al 19 febbraio 2019)

 


METIMAZOLO

Meccanismo d’azione
Inibisce la trasformazione dello iodio inorganico in iodio organico ad opera dell'enzima tireoperossidasi. L'assenza del substrato organico impedisce quindi al tireocita di provvedere all'incorporazione degli ioni iodio nella molecola di tireoglobulina e alla conseguente sintesi di ormoni tiroidei, senza interferire con le proprietà biologiche degli ormoni già sintetizzati.
Recenti studi sembrano sostenere la capacità del metimazolo nel ridurre la sintesi di anticorpi anti-recettore TSH e anti-microsomiali, coinvolti nella genesi della patologia ipertiroidea causata da anticorpi tireo-stimolanti.

 

Proprietà farmacocinetiche
L'efficacia terapeutica si realizza dopo 30 minuti dall'assunzione orale e persiste per circa 6-13 ore, al termine delle quali il farmaco viene escreto prevalentemente per via renale.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Tapazole compresse divisibili 5 mg.

 

Indicazioni
Ipertiroidismo

 

Contro-indicazioni
No

 

Effetti collaterali
Agranulocitosi: effetto raro ma potenzialmente grave. Ai pazienti deve essere raccomandato di controllare l’emocromo ogni 15 giorni per i primi due mesi ed in caso di leucopenia sospendere il farmaco. Riferire al medico qualsiasi sintomo suggestivo di agranulocitosi, come ad esempio febbre o infezione delle prime vie aeree che può avvenire durante tutto il periodo di trattamento, anche se raramente.
Possono anche verificarsi leucopenia, trombocitopenia ed anemia aplastica, dermatite esfoliativa.
Sono stati segnalati rari casi di epatite fulminante, necrosi epatica, encefalopatia e morte. La comparsa di una sintomatologia suggestiva di un interessamento epatico (anoressia, prurito, dolore al quadrante addominale destro superiore, ecc.) deve indurre ad un'attenta valutazione della funzionalità epatica. La presenza di manifestazioni evidenti di una disfunzione epatica (ivi incluso un aumento delle transaminasi pari a 3 volte o più rispetto ai limiti superiori della norma) rende necessaria una pronta interruzione del trattamento con metimazolo.

 

Uso in gravidanza
Vedi sezione ipertiroidismo in gravidanza

 

Uso durante l’allattamento
Passa nel latte solo in piccolissime quantità e pertanto può essere utilizzato durante l’allattamento ma alle minime dosi efficaci.

 

Limitazioni prescrittive
Prescrivibilità: classe A

 


PROPILTIOURACILE

Meccanismo d’azione
Simile a quello del metimazolo, ma ha emivita più breve ed agisce anche sulla trasformazione del T4 in T3, rendendo più rapido l’effetto del farmaco.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Propycil compresse 50 mg.

 

Indicazioni
Ipertiroidismo

 

Contro-indicazioni
No

 

Effetti collaterali
Gli stessi del metimazolo, ma con maggiore epatotossicità

 

Uso durante l’allattamento
Passa in bassissime quantità nel latte materno. Tuttavia, a causa del potenziale rischio di necrosi epatica sia nella madre che nel bambino, ne è sconsigliato l’uso.

 

Limitazioni prescrittive
Farmaco non disponibile in Italia, ma ottenibile presso le farmacie ospedaliere tramite apposito modulo da inviare all'azienda farmaceutica Mylan spa, firmato dal medico ospedaliero richiedente, al prezzo di 1 euro a confezione di 60 cp.

 


SOSTANZE IODATE

Meccanismo d’azione
Lo iodio, se somministrato in notevole quantità rispetto al fabbisogno, determina inibizione dei meccanismi di trasporto che consentono l’accumulo di iodio all’interno delle cellule follicolari tiroidee e transitoriamente un blocco dei processi di sintesi delle tironine e di liberazione degli ormoni tiroidei dalla ghiandola (effetto Wolff-Chaikoff). Lo ioduro antagonizza la capacità del TSH e dell’AMP ciclico di stimolare l’endocitosi della sostanza colloide, la proteolisi e la secrezione di ormoni tiroidei. L’effetto massimo si raggiunge dopo 10-15 giorni di terapia. Lo ione ioduro riduce inoltre la vascolarizzazione della tiroide e ne aumenta la consistenza. L’effetto terapeutico è di breve durata e può addirittura invertirsi, perchè dopo alcuni giorni i meccanismi di autoregolazione prendono il sopravvento.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Soluzione di Lugol, 5% di iodio molecolare e 10% di ioduro di potassio, contenente 130 mg/mL di ioduro, ossia 6.3 mg di ioduro per goccia: 10 gocce/die.
Soluzione satura di ioduro di potassio che contiene 1000 mg di ioduro/mL (ossia 36 mg di ioduro per goccia): 2-3 gocce/die.
Alcuni farmaci usati come mezzi di contrasto in gastroenterologia sono ricchi di iodio e vengono utilizzati in rari casi:

  • Gastrografin: sodio aminotrizoato e meglumina amidotrizoato, che contiene 370 mg di iodio/mL, alla dose di 100 mL per os una tantum.
  • Orografin contenente ipodato (non disponibile in Italia) e Telepaque contenente acido iopanoico (non disponibile in Italia): 500-1000 mg in unica somministrazione.

 

Indicazioni
Tireotossicosi critiche in associazione a cortisonici, ß-bloccanti, idratazione ecc. e preparazione all’intervento di tiroidectomia, per ridurre la vascolarizzazione della ghiandola ed i rischi di tireotossicosi post-operatoria, in associazione agli anti-tiroidei.

 

Contro-indicazioni
Allergia allo iodio.

 

Effetti collaterali
Rari:

  • minori: esantema, febbre, artralgie
  • gravi: edema della glottide, shock anafilattico

 


PERCLORATO DI POTASSIO

Non è più disponibile

 

PERCLORATO DI SODIO

Meccanismo d’azione
Interferisce con la captazione dello ione iodio da parte della ghiandola tiroide. Si lega ai trasportatori dello iodio stesso, impedendone così il trasporto e la fissazione all’interno del tireocita. Il blocco competitivo della pompa degli ioduri impedisce il rifornimento iodico indispensabile per l’avvio della biosintesi ormonale. Tali caratteristiche vengono sfruttate:

  • in ambito diagnostico (medico-nucleare) per ridurre la fissazione tiroidea di iodio radioattivo durante le scintigrafie;
  • in ambito terapeutico per ridurre la captazione di iodio da parte della tiroide, con conseguente ridotta sintesi di ormoni tiroidei.

 

Indicazioni
Ipertiroidismo provocato da eccessivo carico di iodio. È utilizzato quasi esclusivamente nell’ipertiroidismo da amiodarone, in associazione agli anti-tiroidei ed eventualmente al cortisone.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Sodio perclorato (Irenat drops): flaconi da 40 mL, contenenti 344.2 mg di perclorato di sodio monoidrato, pari a 300 mg/mL di perclorato di sodio.
Il dosaggio di perclorato di sodio per il trattamento di AIT-1 è:

  • negli adulti: 800-1000 mg/die (40-50 gocce da dividere in 4-6 dosi giornaliere) o eccezionalmente 1500 mg/die (75 gocce, sempre da dividere in 4-6 dosi giornaliere);
  • tra 6 e 14 anni: 60-240 mg/die (3-12 gocce, sempre da dividere in 4-6 dosi giornaliere).

 

Contro-indicazioni
No

 

Effetti collaterali
Durante il trattamento sono indispensabili periodici controlli della crasi ematica. Qualora intervengano discrasia ematica, agranulocitosi o depressione midollare, il farmaco deve essere immediatamente sospeso e se necessario, instaurato un trattamento trasfusionale. Il paziente deve essere avvertito che possono essere indice di alterazione del quadro ematico la comparsa di ulcere esofagee o laringee, febbre, eruzione cutanea che si sviluppino in corso di trattamento. Tuttavia tale effetto collaterale avviene quasi esclusivamente dopo un uso superiore ai 45 giorni.

 

Limitazioni prescrittive
Irenat Drops®, prodotto da Bayer (Giappone), non è registrato in Italia ma è regolarmente registrato in Germania e pertanto, ai sensi della legge 648/96, è possibile utilizzarlo anche in Italia a carico del SSN. La procedura prevede, non essendoci alternativa terapeutica, l’acquisto previa valutazione economica (secondo il decreto sugli appalti 50/2016) del distributore più vantaggioso e compilazione della modulistica appropriata (modulo AIFA "farmaci non registrati in Italia") firmata dal medico prescrittore e dal farmacista del servizio ospedaliero o territoriale (dipende se la distribuzione è eseguita presso la farmacia dell'ospedale, di solito la prima confezione, o presso la farmacia del servizio territoriale dell’ASL di appartenenza). È distribuito da Intercompany Pharma Trading di Lugano, attraverso Logic Service Comm SRL, Roma, con consegna in 5-6 giorni. Per info e invio ordini:

  • tel: 06-53272207;
  • fax: 06-53277539;
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DIBROMOTIROSINA

Meccanismo d’azione
Determina una riduzione della tiroxina plasmatica attraverso la sintesi di tironine non iodate, presumibilmente bromate. Le tironine bromate manterrebbero la capacità di controllare il feed-back ipofisi-tiroide con azione di freno sulla produzione di TSH. Questi due meccanismi permetterebbero di ottenere la regressione della sintomatologia dell’ipertiroidismo.

 

Proprietà farmacocinetiche
Buon assorbimento dopo assunzione orale. Picco ematico alla 3° ora. Livelli trascurabili alla 15° ora. Marcato tropismo per la tiroide, con concentrazioni 4 volte superiori a quelle plasmatiche.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Bromotiren, compresse da 300 mg: 1-3 cp/die.

 

Indicazioni
Ipertiroidismo di lieve e media gravità o ipertiroidismo grave in associazione con altri farmaci anti-tiroidei.

 

Contro-indicazioni
No

 

Effetti collaterali
Non condivide gli effetti collaterali delle tionamidi e non sono descritti effetti collaterali.

 

Limitazioni prescrittive
Prescrivibilità: classe C

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Marco Chianelli
UOC Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale, Roma

 


La terapia medico nucleare dell’ipertiroidismo si esplica con modalità che variano in relazione alla patologia di base. Varia la preparazione del paziente e la dose al tessuto tiroideo iperfunzionante (1-4). Come in tutti i casi di terapia con 131I, è necessario evitare l’uso di alimenti, farmaci o preparati che contengono iodio come specificato nel capitolo dedicato.

 

USO DI TIREOSTATICI ED EFFICACIA DEL 131I
Gli anti-tiroidei vengono comunemente impiegati prima, durante e dopo la terapia con 131I per ipertiroidismo, allo scopo di controllare i sintomi della tireotossicosi. L’indicazione all’uso degli anti-tiroidei, le modalità di impiego, di sospensione e il loro riutilizzo dopo la somministrazione del 131I variano nelle diverse condizioni e verranno trattati nei relativi capitoli. È opportuno, invece, effettuare delle considerazioni sull’effetto di tali composti sull’efficacia del trattamento con radioiodio, da sempre oggetto di dibattito.
Sull’argomento sono stati effettuati numerosi studi, con risultati contrastanti. Nel morbo di Basedow, alcuni studi hanno evidenziato che il pretrattamento con tireostatici determina una riduzione dell’efficacia della terapia con 131I per la riduzione della captazione e dell’emivita biologica dello 131I. A questo proposito 2 studi controllati e prospettici hanno dimostrato che il pretrattamento con metimazolo (MMI) non riduce l’efficacia del radioiodio (5,6), mentre questo effetto sembra prodotto dal propiltiouracile (PTU) come riportato in un altro studio (7).
Altri studi, al contrario, hanno riportato aumento dell’efficacia della terapia con 131I quando le tionamidi vengano impiegate dal 4° al 23° giorno dopo la somministrazione di radioiodio, come conseguenza del prolungato tempo di residenza dello 131I per riduzione del turn-over dello iodio organificato (8). Questa ipotesi è contrastata da altri dati della letteratura, che indicano una ridotta efficacia del radioiodio se le tionamidi sono somministrate entro 7 giorni dal trattamento, probabilmente a causa di un effetto radioprotettivo dei tireostatici, mediato da una riduzione dei radicali liberi (9).
Una recente meta-analisi (10), tuttavia, effettuata dopo un periodo più prolungato di follow-up, ha concluso che qualsiasi tipo di anti-tiroideo, PTU o MMZ, impiegato prima e dopo il trattamento con 131I, ha un effetto peggiorativo sull’efficacia del radioiodio, probabilmente a causa delle proprietà anti-ossidanti di questa categoria di farmaci, che contrasta il danno da radiazioni indotto dal 131I. D’altro canto, la stessa metanalisi ha dimostrato che l’uso concomitante degli anti-tiroidei contribuiva a controllare meglio l’ipertiroidismo, riducendo la probabilità di esacerbazione dell’ipertiroidismo post-131I, e a ridurre complicanze quali la fibrillazione atriale (10). Nell’esperienza degli autori i vantaggi clinici degli anti-tiroidei sono tali da giustificare il loro impiego anche nel caso di una minore efficacia. Tale effetto può eventualmente essere contrastato impiegando attività di radioiodio maggiori (11).
Sebbene l’effetto degli anti-tiroidei sia riscontrato sia nel trattamento della patologia nodulare iperfunzionante sia nel morbo di Basedow, ha conseguenze maggiori soprattutto nell’ipertiroidismo autoimmune, dove la percentuale di guarigione è inferiore rispetto alla patologia nodulare, probabilmente a causa della presenza di autoimmunità.

 


ADENOMA TOSSICO
Per le indicazioni alla terapia medico-nucleare vedi capitolo.

 

Preparazione al trattamento
In questa patologia i farmaci anti-tiroidei non inducono la guarigione del paziente, ma controllano solo la secrezione degli ormoni tiroidei in attesa della terapia definitiva (con 131I o chirurgica). Il loro impiego varia in base al grado di ipertiroidismo e alle condizioni cliniche: nel paziente giovane, non cardiopatico, se l’ipertiroidismo non è di grado severo, non è indispensabile trattare con anti-tiroidei prima della somministrazione di 131I; se il paziente è sintomatico, è sufficiente prescrivere una terapia a base di ß-bloccanti prima e dopo la somministrazione di 131I.
Dopo la terapia con 131I, si può verificare un’esacerbazione dell’ipertiroidismo, causata dal rilascio degli ormoni tiroidei preformati in seguito al danno indotto dalle radiazioni. Per tale motivo, anche nel paziente giovane, in presenza di ipertiroidismo grave è indicato un ciclo di terapia con anti-tiroidei per normalizzare la funzione tiroidea prima della somministrazione di 131I, ridurre il pool di ormoni preformati e contenere il peggioramento dell’ipertiroidismo causato dal danno da radiazioni (12,13).
Nel paziente anziano, soprattutto se cardiopatico, è sempre consigliabile controllare l’ipertiroidismo con anti-tiroidei e ß-bloccanti, considerato il rischio di fibrillazione atriale. Per la sua efficacia e per il suo effetto anti-aritmico, il ß-bloccante da preferire è il propranololo (cp da 40 mg): il dosaggio varia da paziente a paziente, da 10 mg (1/4 cp) x 2 a 80 mg (2 cp) x 4.
Sospensione degli anti-tiroidei. Perché il trattamento con 131I abbia il massimo di efficacia con il minimo di effetti collaterali, deve essere effettuato con livelli di TSH soppresso (in modo che il parenchima normofunzionante sia soppresso e non captante) e frazioni libere nei limiti della norma. Gli anti-tiroidei, pertanto, vanno sospesi per un periodo variabile, fino a 40 giorni, in base ai valori di partenza del TSH e alla gravità dell’ipertiroidismo, fino a raggiungere l’effetto desiderato. In pazienti particolarmente fragili, allo scopo di evitare gli effetti dell’ipertiroidismo, può essere considerata la sospensione per una durata inferiore a quella necessaria per sopprimere il TSH. In tal caso sarà maggiore la probabilità di ipotiroidismo tardivo.

 

Effetti collaterali
Sono rari e modesti. Può insorgere tensione cervicale che risponde bene ai comuni anti-infiammatori (ibuprofene 400 mg, 1 cp x 2/die per 5-7 giorni); è possibile un transitorio peggioramento dell’ipertiroidismo, che normalmente viene controllato con ß-bloccanti come specificato al paragrafo precedente. Alle dosi di 131I impiegate per la terapia dell’ipertiroidismo non sono stati segnalati aumenti significativi di secondi tumori (2).

 

Terapia con tireostatici dopo la somministrazione di 131I
Gli effetti del radioiodio insorgono dopo almeno 3-4 settimane; per evitare che durante tale periodo il paziente rimanga ipertiroideo, viene spesso re-iniziata la terapia con tireostatici 2-7 giorni dopo la somministrazione di 131I, con graduale riduzione dei dosaggi sulla base dei controlli periodici della funzione tiroidea.
L’uso dei tireostatici e dei ß-bloccanti è governato dall’età e dalle condizioni cliniche del paziente e va deciso caso per caso dal medico, come descritto nel precedente paragrafo.

 

Monitoraggio dopo la terapia
Dopo il trattamento con 131I si consiglia sempre il controllo della funzione tiroidea, dapprima dopo 1 mese e successivamente in base ai risultati. È bene che anche le persone che rimangono eutiroidee dopo un anno dalla terapia siano monitorate almeno una volta l’anno, per il possibile sviluppo di ipotiroidismo tardivo (14).

 


GOZZO TOSSICO MULTINODULARE 
Per le indicazioni alla terapia medico-nucleare vedi capitolo.

 

Preparazione del paziente: sospensione degli anti-tiroidei
Il periodo di sospensione degli anti-tiroidei è variabile da pochi giorni a qualche settimana:

  • più lunga sarà la sospensione (5-15 giorni), maggiore la soppressione del TSH, minore l’incidenza di ipotiroidismo e minore la riduzione volumetrica;
  • per brevi periodi di sospensione (2-5 giorni), si otterranno valori di TSH normali che aumentano la captazione nelle zone non autonome, con aumento dell’incidenza di ipotiroidismo e maggiore riduzione di volume.

Il tempo di sospensione del trattamento, quindi verrà dettato dalle condizioni cliniche del paziente e dalle dimensioni del gozzo.

 

Risultati attesi
Frequentemente tali pazienti hanno un gozzo voluminoso con effetti anche compressivi. La probabilità di comparsa di ipotiroidismo e l’effetto citoriduttivo sono variabili e dipendono dal grado di inibizione funzionale del parenchima normofunzionante e dalla estensione del parenchima iperfunzionante: maggiore è l’estensione del tessuto iperfunzionante/captante, maggiore sarà la probabilità di sviluppare ipotiroidismo e l’effetto citoriduttivo. A un anno dal trattamento la percentuale di guarigione dell’ipertiroidismo varia tra l’85 e il 100% e il volume si è ridotto in media di circa il 45% (15,16).

 

Trattamento con anti-tiroidei e monitoraggio
Vale quanto specificato nel capitolo precedente.

 

Effetti collaterali
Fino al 5% dei pazienti può sviluppare ipertiroidismo autoimmune, tipicamente da 3 a 6 mesi dopo il trattamento, a causa dell’induzione di anticorpi anti-recettore del TSH (17,18).
La probabilità di sviluppare ipotiroidismo può arrivare al 60% in 20 anni e dipende anche dalla dose di iodio somministrata e dalla possibile presenza di tiroidite autoimmune (19,20). Lo sviluppo di ipotiroidismo in questa classe di pazienti, frequentemente cardiopatici e a rischio di fibrillazione atriale, tuttavia, non è da considerarsi necessariamente un effetto collaterale negativo: è preferibile la comparsa di ipotiroidismo che la persistenza o la recidiva di ipertiroidismo.

 


GOZZO TOSSICO DIFFUSO
Per le indicazioni alla terapia medico-nucleare vedi capitolo.

 

Controindicazioni
Gravidanza e allattamento.
Presenza di noduli sospetti per malignità.
Fenomeni compressivi che richiedano un effetto decompressivo rapido.
L’età adolescenziale non rappresenta una reale controindicazione al trattamento con radioiodio, che è altamente efficace e può rappresentare il trattamento di prima scelta (se intolleranza ai farmaci) o in seconda battuta dopo la terapia farmacologica. I dati disponibili in letteratura sono comunque rassicuranti, non essendo riportato un aumento di incidenza di tumori in soggetti trattati con 131I in periodo infantile-giovanile (21). Tuttavia, è opportuno evitare trattamenti in età pre-puberale, vista l’esperienza accumulata nei bambini esposti al fall-out di Chernobyl, con maggiore sensibilità all’induzione di carcinomi tiroidei, in particolare da 0 ai 5 anni (22).

 

Preparazione al trattamento
Nei pazienti in cui è indicato, secondo le considerazioni fatte per la terapia dell’adenoma tossico a cui si rimanda, il trattamento con anti-tiroidei viene iniziato prima della terapia con radioiodio, per ottenere l’eutiroidismo, e successivamente al trattamento per controllare l’ipertiroidismo in attesa dell’effetto del radioiodio; ai tireostatici si associano se necessari i ß-bloccanti (propranololo).
Il trattamento con tireostatici va sospeso 3 giorni prima della somministrazione dello 131I; ciò determina aumento della captazione e allungamento dell’emivita effettiva (23). La terapia farmacologica viene quindi ripresa 2-7 giorni dopo la somministrazione di 131I e sospesa dopo il raggiungimento di un equilibrio funzionale monitorato da periodici controlli del TSH.

 

Effetti collaterali
Possibile tensione cervicale e peggioramento transitorio della tireotossicosi, dovuto al rilascio di ormoni tiroidei conseguente al danno delle cellule follicolari tiroidee da tiroidite post-attinica, di solito di lieve entità o asintomatica, che possono essere trattati come descritto nel capitolo precedente. L’impiego di anti-tiroidei per ridurre la quantità degli ormoni preformati riduce la probabilità di insorgenza di crisi tireotossiche post-trattamento (13,24).
Più raramente può insorgere peggioramento permanente dell’ipertiroidismo, per aggravamento del processo autoimmune, verosimilmente a causa dell’aumentato rilascio antigenico conseguente al danno parenchimale; in questo caso la terapia tireostatica va ripresa in modo continuativo e il paziente va indirizzato verso l’intervento chirurgico.

 

Oftalmopatia
In assenza di oftalmopatia manifesta non ci sono particolari precauzioni per la terapia con 131I.
In caso di oftalmopatia di grado lieve, è stato riportato peggioramento dell’esoftalmo successivamente a terapia medico-nucleare. Tale effetto può essere prevenuto mediante terapia cortisonica preventiva: tipicamente prednisone alla dose di 0.4-0.5 mg/kg/die iniziata due settimane prima della terapia con 131I, continuata per due settimane dopo e quindi sospesa gradualmente (22).

 

Risultati
Circa il 70% dei pazienti sviluppa ipotiroidismo entro un anno dal trattamento; i pazienti che, dopo 6-12 mesi, presentano ancora ipertiroidismo possono essere trattati con una seconda dose di 131I.
Riduzione di volume della ghiandola (fino al 70% in un anno).

 


NORME RADIOPROTEZIONISTICHE

Informazioni ed istruzioni sul comportamento da seguire dopo il trattamento con radioiodio dell’ipertiroidismo

Egregio signore, Gentile Signora,
Poiché la cura da Lei ricevuta ha richiesto la somministrazione di una sostanza radioattiva, è necessario evitare che altre persone vengano esposte al rischio da radiazioni.
Per questo motivo è suo obbligo rispettare, per il periodo indicato, le norme di comportamento di seguito elencate, in maniera che i suoi familiari e gli altri individui della popolazione non vengano sottoposti ad una esposizione alle radiazioni superiore ai limiti fissati dalla legislazione vigente.
Nel caso in cui Lei non rispetti le norme indicate, Le rammentiamo la sua personale responsabilità per l’eventuale esposizione di altre persone al rischio di radiazioni ionizzanti.
Le istruzioni sottoelencate – se non altrimenti specificato – devono essere seguite per il seguente periodo: ………………………. (il medico specialista può stabilire la durata delle prescrizioni in base ai dati presenti in tabella 1)
Per il periodo sopra indicato non dovrebbe sedersi o rimanere vicino ad altre persone, mantenendosi alla distanza maggiore possibile dagli altri: in ogni caso a distanza maggiore di 1 metro e quando si ferma a lungo con gli altri (per più di un’ora) a distanza maggiore di 2 metri.
I bambini di età inferiore a 2 anni non dovrebbero essere da Lei accuditi e nei loro confronti dovrebbe evitare il più possibile contatti diretti, mantenendosi alla maggiore distanza possibile (non inferiore a 2 metri). Se possibile, faccia in modo di affidarli a parenti o amici.
Simile attenzione va riservata per individui di età compresa tra 2 e 18 anni e nei confronti delle donne in stato di gravidanza, mantenendosi alla maggiore distanza possibile (non inferiore a 2 metri).
Se le persone con cui Lei viene a contatto hanno un’età superiore a 60 anni, il rischio dovuto all’esposizione alle radiazioni ionizzanti è molto più basso ed è meno importante seguire le istruzioni sopra riportate.
È molto importante dormire in camere separate. Se questo non è possibile, è necessario mantenere una distanza tra i due letti di almeno 2 metri; questa accortezza va osservata anche in presenza di una eventuale parete divisoria.
Per i primi 3 giorni utilizzare preferibilmente un bagno personale. Se questo non è possibile, evitare ogni perdita di urine al di fuori del vaso. Anche per gli uomini è consigliabile urinare seduti. Azionare più volte lo sciacquone dopo l’uso.
Evitare di frequentare i luoghi molto affollati ove si soggiorna per lungo tempo e a stretto contatto con gli altri, come cinema o teatri.
Una minima parte di iodio radioattivo viene eliminata anche con il sudore o la saliva. Per questo, posate, stoviglie, asciugamani, lenzuola, ecc. non dovranno essere usate anche da altri. Dopo il lavaggio questi articoli sono assolutamente sicuri e non c’è bisogno di lavarli separatamente.
In caso di ricovero Ospedaliero imprevisto nei giorni successive al trattamento, informare il medico a proposito del trattamento con radioiodio ricevuto.
Limitare per una settimana l’impiego di mezzi di trasporto pubblici per viaggi della durata di più di due ore. Cercare se possibile un posto isolato e comunque non vicino a bambini o donne giovani. Nel caso di utilizzo di taxi o automezzi privati, utilizzare il posto a maggiore distanza dal conducente.
La ripresa della normale attività lavorativa dipende dal tipo e dalle condizioni di lavoro. Considerando la sua tipologia lavorativa, lei dovrà astenersi dal lavoro per giorni: ……….. (il medico specialista può stabilire la durata dell’astensione dal lavoro in base ai dati presenti in tabella 2)

Firma del paziente                   Firma del legale rappresentante               Firma del Medico Nucleare

Modulo da stampare e consegnare al paziente

 

Tabella 1
Giorni di osservanza delle norme protezionistiche vs. rateo di dose
Rateo di dose alla distanza di 1 m Attività residua Giorni di osservanza delle norme
< 3 μSv/h ≈ 60 MBq 1 giorno
< 5 μSv/h ≈ 100 MBq 4 giorni
< 10 μSv/h ≈ 200 MBq 7 giorni
< 20 μSv/h ≈ 400 MBq 14 giorni
< 30 μSv/h ≈ 600 MBq 21 giorni

 

Tabella 2
Giorni di assenza dal lavoro vs dose somministrata

(modificato da “ Radiation Protection 97 - European Commission”)
  Giorni assenza lavoro
MBq A
(con permanenza media di 8 ore a più di 2 m di distanza dagli altri)
B
(con permanenza media di 4 ore a 1 m di distanza dagli altri)
C
(con permanenza media di 8 ore a 1 m di distanza dagli altri)
185 0 0 4
222 0 0 5
259 0 1 6
296 0 2 7
333 0 2 8
370 0 3 9
407 0 4 10
444 0 5 10
481 1 6 11
518 2 7 12
555 2 7 12
592 3 8 13

 


BIBLIOGRAFIA 

  1. AACE/AME/ETA. Thyroid Nodule Guidelines. Endocr Pract 2010, 16 (Suppl 1): 1-43.
  2. Il trattamento radiometabolico dell’ipertiroidismo. Linee Guida congiunte SIE-AIMN-AIFM 2005.
  3. Raccomandazioni procedurali per la terapia medico nucleare. AIMN 2012.
  4. Royal College of Physicians. Radioiodine in the management of benign thyroid disease: clinical guidelines. Report of a Working Party. London: RCP, 2007.
  5. Andrade VA, Gross JL, Maia AL. The effect of methimazole pretreatment on the efficacy of radioactive iodine therapy in Graves’ hyperthyroidism: 1 year follow up of a prospective, randomized study. J Clin Endocrinol Metab 2001, 86: 3488-93.
  6. Braga M, Walpert N, Burch HB, et al. The effect of methimazole on cure rates after radioiodine treatment for Graves’ hyperthyroidism: a randomized clinical trial. Thyroid 2002, 12: 135-9.
  7. Bonnema SJ, Bennedbaek FN, Veje A, et al. Propylthiouracil before 131-I therapy of hyperthyroid diseases: effect on cure rate evaluated by a randomized clinical trial. J Clin Endocrinol Metab 2004, 89: 4439-44.
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  9. Sabri O, Zimny M, Schultz J, et al. Success rate of radioiodine therapy in Graves’ disease: the influence of thyrostatic medication. J Clin Endocrinol Metab 1999, 84: 1229-33.
  10. Walter MA, Briel M, Christ-Crain M, et al. Effects of antithyroid drugs on radioiodine treatment: systematic review and meta-analysis of randomised controlled trials. BMJ 2007, 334: 514.
  11. Bonnema SJ, Bartalena L, Toft AD, et al. Controversies in radioiodine therapy: relation to ophthalmopathy, the possible radioprotective effect of antithyroid drugs, and use in large goitres. Eur J Endocrinol 2002, 147: 1–11.
  12. McDermott MT, Kidd GS, Dodson LE Jr, et al. Radioiodine-induced thyroid storm. Case report and literature review. Am J Med 1983, 75: 353–9.
  13. Cooper DS. Antithyroid drugs and radioiodine therapy: a grain of (iodized) salt. Ann Int Med 1994, 121: 612–3.
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  22. Commissione Europea - Protezione dalle radiazioni 121. Thyroid diseases and exposure to ionising radiation: lessons learned following the Chernobyl accident.
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In attesa degli aggiornamenti di Endowiki, si possono trovare articoli aggiornati ai seguenti link:

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Maria Grazia Deiana, Silvia Caprioli, Vincenzo Toscano, Salvatore Monti
UOC di Endocrinologia – Azienda Ospedaliera S. Andrea, Facoltà di Medicina e Psicologia - “Sapienza” Università di Roma

 

La patogenesi dell’orbitopatia di Graves (GO), la più frequente manifestazione extra-tiroidea della malattia di Graves (MG), è complessa e non ancora completamente chiarita. La GO è una patologia autoimmunitaria conseguente all’interazione tra suscettibilità genetica, dovuta alla presenza di alcuni geni (HLA, CTLA-4, TCR), e fattori ambientali. I fattori ambientali giocano un ruolo prevalente nello sviluppo della malattia (1). Il fumo di sigaretta, è il più importante fattore ambientale o esogeno ed è associato allo sviluppo e alla gravità della GO e alla ridotta risposta alla terapia. La terapia con il radiodiodio, possibile trattamento dell’ipertiroidismo, può indurre un peggioramento della GO per distruzione delle cellule follicolari tiroidee con rilascio di citochine infiammatorie, attivazione delle cellule T ed aumento del titolo degli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb). Lo stress causa una modificazione della risposta cellulo-mediata da Th1 a Th2, con un’aumentata suscettibilità allo sviluppo di patologie autoimmunitarie.

A livello istologico è presente un infiltrato costituito prevalentemente da linfociti T CD4+ e macrofagi e, in minor misura, da linfociti B e cellule NK. La durata della malattia influenza il tipo di infiltrato linfocitario: nei primi due anni predominano i Th1 e, successivamente, i Th2 (1). Il recettore del TSH (R-TSH) è il principale antigene implicato nella patogenesi dell’orbitopatia ed è stata evidenziata una correlazione tra l’espressione del R-TSH orbitario e la gravità della GO. Livelli maggiori di R-TSH sono stati riscontrati in pazienti con MG e orbitopatia rispetto a quelli con MG senza orbitopatia; l’espressione maggiore di R-TSH si osserva nelle forme attive di GO (1). Altri antigeni (tireoglobulina, TPO, diversi antigeni dei muscoli oculari) potrebbero essere implicati, ma il loro ruolo non è ancora chiaro.

I fibroblasti orbitari rappresentano il bersaglio principale del processo autoimmunitario, andando incontro alla perdita della loro normale funzione. Nel tessuto orbitario si distinguono fibroblasti che esprimono la glicoproteina Thy1 (Thy1+) e fibroblasti che non la esprimono (Thy1-). I Thy1+ se esposti a IFNγ e TNFα, citochine prodotte dal linfociti Th1, producono glicosaminoglicani (GAG) che si accumulano nel perimisio dei muscoli extra-oculari e, richiamando acqua, causano edema ed aumento del volume muscolare (2). I fibroblasti Thy1- (pre-adipociti) esprimono il R-TSH e, per effetto dei TRAb, si differenziano in adipociti maturi con incremento del tessuto adiposo orbitario e aumento dell’espressione del R-TSH (2). I linfociti T sono richiamati nell’orbita dalla produzione di diverse chemochine; l’IFNγ stimola il rilascio di CXCL10, una chemochina prodotta dai fibroblasti orbitari che favorisce la migrazione dei Th1. La produzione di CXCL10 è elevata nelle fasi attive di malattia e si riduce con la durata della malattia quando prevale la risposta Th2 (3). Inoltre, l’iperespressione e l’attivazione di IGF1-R causa il rilascio di IL-16 e della chemochina RANTES, che richiamano le cellule T attivate e altre cellule mononucleate nell’orbita, perpetuando il processo infiammatorio. La produzione di TGFβ causa il differenziamento dei Thy1+ in miofibroblasti, che partecipano alla fibrosi tipica delle fasi tardive della malattia (2). Nella GO il prevalente coinvolgimento del tessuto muscolare o adiposo nell’orbita dipende dalla proporzione di fibroblasti Thy1+ e Thy1- presenti nell’orbita (4).

I segni e i sintomi dell’orbitopatia sono determinati dalla reazione autoimmunitaria ed infiammatoria, responsabile dell’aumento del volume dei tessuti retro-orbitari, che si svolge nell’ambito di una struttura anatomica rigida: la cavità orbitaria. L’aumento del volume dei muscoli extra-oculari e del tessuto adiposo orbitario è responsabile dell’insorgenza dell’esoftalmo, che a sua volta può contribuire alla retrazione palpebrale. Tale retrazione palpebrale può causare la mancata chiusura della rima palpebrale, con esposizione della cornea e possibile danno corneale, prevalentemente in presenza di lagoftalmo. L’edema e l’eritema della palpebra, l’iperemia e la chemosi congiuntivale sono causate dall’estensione del processo infiammatorio nella regione anteriore dell’occhio e dalla congestione venosa da ostacolato deflusso venoso e linfatico, secondario all’incremento della pressione. L’ispessimento dei muscoli extra-oculari e la fibrosi sono, infine, responsabili della diplopia. In casi molti gravi l’ispessimento dei muscoli orbitari può causare compressione del nervo ottico con perdita del visus, un quadro denominato neuropatia ottica distiroidea (5). In alternativa, è possibile che la proptosi sia tale da determinare uno stiramento del nervo ottico.

 

Bibliografia

  1. Prabhakar BS, Bahn RS, Smith TJ. Perspective on the Pathogenesis of Graves’ Disease and Ophthalmopathy. Endocr Rev 2003, 24: 802-35.
  2. Bahn RS. Graves’ Ophthalmopathy. N Engl J Med 2010, 362: 726-38.
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  4. Smith TJ, Koumas L, Gagnon A, et al. Orbital fibroblast heterogeneity may determine the clinical presentation of thyroid associated ophthalmopathy. J Clin Endocrinol Metab 2002, 87: 385-92.
  5. Bartalena L, Marcocci C, Bogazzi F, et al. Relation between therapy for hyperthyroidism and the course of Graves' ophthalmopathy. N Engl J Med 1998, 338: 73-8.
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Alfonsina Chiefari, Silvia Caprioli, Vincenzo Toscano, Salvatore Monti
UOC di Endocrinologia – Azienda Ospedaliera S. Andrea, Facoltà di Medicina e Psicologia -“Sapienza” Università di Roma

 

Definizione
L’oftalmopatia tiroidea è il complesso di manifestazioni oculari clinicamente evidenti in circa il 50% dei pazienti con malattia di Graves, che possono interessare, anche se con una frequenza minore, pazienti con tiroidite cronica autoimmune o manifestarsi in condizioni di eutiroidismo (1).
L’oftalmopatia generalmente associata alla malattia di Graves è conosciuta con nomi diversi, che fanno riferimento alle caratteristiche cliniche, alla relazione con la malattia di Graves o anche solo alla relazione con la patologia tiroidea. Le numerose definizioni indicano che l’eziopatogenesi di questa condizione tuttora non risulta completamente chiarita e che la malattia presenta diverse manifestazioni cliniche, spesso lievi, ma non raramente gravi ed invalidanti, tanto da comportare profonde alterazioni della qualità della vita e della funzione visiva. Recentemente è stata introdotta la denominazione di “Orbitopatia di Graves” (OG), con la quale viene messo in risalto che molte delle alterazioni patologiche coinvolgono il contenuto dell’orbita piuttosto che il solo globo oculare.

 

Epidemiologia
La prevalenza è dell’1% nella popolazione generale. È clinicamente manifesta nel 30-50% dei pazienti con malattia di Graves, ma alterazioni subcliniche sono dimostrabili nella maggior parte di essi mediante metodiche di imaging (TC o RMN) o attraverso la misura della pressione intra-oculare. L’incidenza stimata nella popolazione generale è di 16/100.000 per anno per le donne e 3/100.000 per gli uomini, ma negli ultimi anni si è osservato un declino. L’incidenza ha una distribuzione bimodale, con due picchi localizzati nella quinta e settima decade di vita, con età di insorgenza leggermente più alta nei soggetti di sesso maschile, in cui si registra anche una maggiore frequenza di orbitopatia di grado severo così come nei pazienti di età avanzata, mentre i casi pediatrici sono in genere lievi.

 

Sintomi e segni
Il sintomo più comune all’inizio della malattia è il cambiamento nell’aspetto dovuto alla retrazione palpebrale, con o senza proptosi o edema peri-orbitario. Proprio tale percezione si accompagna spesso ad importanti conseguenze sul piano psicologico e relazionale. Altri sintomi comuni dipendono dalla comparsa dei segni di interessamento dei tessuti molli e dall’irritazione corneale: sensazione di “sabbia negli occhi”, fotofobia e lacrimazione eccessiva (2,3).
La diplopia è meno comune come sintomo iniziale e quando presente viene riferita al risveglio o nelle posizioni estreme di sguardo, accompagnata talora da dolore. Quest’ultimo può essere percepito anche a riposo oltre che nei movimenti oculari. Solo il 5% dei pazienti riferisce disturbi visivi, come riduzione del visus o alterazioni della percezione dei colori. Questi ultimi sono dei potenziali marcatori di neuropatia ottica distiroidea (DON).

 

Sintomi Segni
Fotofobia
Lacrimazione
Senso di corpo estraneo
Senso di secchezza
Senso di irritazione
Senso di oppressione
Dolore spontaneo
Dolore nei movimenti oculari
Diplopia
Edema palpebrale
Iperemia palpebrale
Iperemia congiuntivale
Chemosi
Infiammazione plica e caruncola
Retrazione palpebrale
Lagoftalmo
Proptosi
Interessamento corneale
Diplopia

 


Retrazione palpebrale. Contrariamente ad una diffusa convinzione è questo, e non la proptosi, il segno più frequente dell’orbitopatia di Graves. Lo sguardo fisso con occhi sbarrati, conseguente alla retrazione palpebrale (alt), è un aspetto comune di presentazione di questi pazienti e interessa soprattutto la palpebra superiore. L’incremento dei livelli circolanti di ormoni tiroidei e l’aumentata attività simpatica sono responsabili in una fase iniziale della retrazione palpebrale (2) che, con il tempo, diviene permanente a causa dell’infiltrazione del muscolo di Muller da parte di linfociti e fibroblasti e dei conseguenti esiti cicatriziali. Nella valutazione della retrazione si tiene conto della posizione delle palpebre in posizione primaria di sguardo. La posizione di entrambe le palpebre viene misurata in riferimento al limbus sclero-corneale, che in condizioni fisiologiche è coperto dalla palpebra superiore e solo lambito marginalmente da quella inferiore. La retrazione viene misurata come valore positivo in mm. Nello schema in alto è rappresentata una retrazione palpebrale monolaterale: è visibile una striscia di bianco della sclera tra il limbus e il margine palpebrale superiore.

 

alt

Lagoftalmo (alt). È l’incapacità della palpebra di coprire completamente la superficie dell’occhio attraverso la chiusura palpebrale (disegno in basso). Dipende dalla retrazione palpebrale, dalla proptosi e dalla motilità palpebrale. L’eccessiva esposizione corneale che ne deriva contribuisce da un lato ad esacerbare lo stimolo irritativo sull’occhio e dall’altro predispone ad una grave e temibile complicanza che è l’ulcerazione corneale. Il rischio di ulcerazione della cornea è correlato sia al lagoftalmo che all’assenza del riflesso protettivo di Bell (deviazione degli occhi verso l’alto durante il sonno o nella chiusura forzata delle palpebre). Questo non è presente nel 10% dei soggetti sani, ma può anche essere perso nei soggetti con orbitopatia di Graves a causa della limitazione del movimento del muscolo retto inferiore. Il lagoftalmo non è un marcatore di attività clinica, ma è associato ad un maggiore rischio di sequele pericolose per la vista. Vi può anche essere un’assenza o un ritardo nella discesa della palpebra superiore nello sguardo verso il basso (segno di von Graefe).

Altri segni estremamente comuni sono quelli a carico dei tessuti molli. La loro presenza o assenza definisce l’attività della malattia e il grado di coinvolgimento ne descrive la severità.

 

Edema palpebrale (alt). Il grado di riempimento del tessuto peri-orbitario varia tra i soggetti sani, in base all’età, alla massa corporea e all’integrità del setto orbitario anteriore. Poiché quest’ultimo si indebolisce con l’età, è comune che vi sia un prolasso del grasso. Per distinguere le due condizioni, bisogna valutare la cute posta tra i cuscinetti di grasso: nel normale processo di invecchiamento questa si presenta rugosa ma non ispessita e i cuscinetti di grasso sono ancora distinguibili.


Iperemia palpebrale (alt). L’iperemia palpebrale localizzata può interessare il margine palpebrale, pretarsale (ed essere confusa con la condizione più comune di blefarite) o più comunemente la restante porzione di palpebra definita pre-settale. Nella sua valutazione può essere utile prendere come riferimento il colore della cute del viso.


Iperemia congiuntivale (alt). Questo segno non dipende soltanto dalla retrazione palpebrale e dall’esposizione della superficie oculare, infatti pazienti in fase non attiva di malattia presentano la sclera bianca anche in presenza di retrazione palpebrale o proptosi marcata. È da mettersi in relazione piuttosto con l’aumento di volume dei tessuti dell’orbita, con conseguente aumento della pressione endo-orbitaria che ostruisce il ritorno venoso.


Chemosi (alt). Si tratta di una protrusione edematosa della congiuntiva. Gradi minori di chemosi devono essere distinti dalla frequente condizione di congiuntivocalasi, caratterizzata da pieghe ridondanti di congiuntiva che compaiono spesso in età avanzata ai margini palpebrali. La diagnosi differenziale richiede l’utilizzo di una lampada a fessura. La chemosi più grave può essere individuata anche senza questo ausilio, semplicemente spingendo con un dito verso l’alto la palpebra inferiore e osservando lateralmente sulla superficie dell’occhio se il tessuto edematoso viene mobilizzato.


Edema della plica e della caruncola (alt). La normale posizione della caruncola è variabile ed è influenzata dalla posizione del globo oculare, per cui può apparire più sporgente se è presente proptosi. Bisogna distinguere questa condizione da quella di edema. Inoltre, sebbene la plica e la caruncola abbiano generalmente comportamenti simili, è possibile che una sia infiammata ed edematosa e l’altra no, pertanto dovrebbero essere valutate entrambe separatamente.

 

Il metodo comparativo fotografico rimane  quello più affidabile per la valutazione dei segni interessanti i tessuti molli.

 

Lesioni corneali. La rottura della cornea è un fenomeno secondario all’incapacità di proteggere la stessa con la chiusura palpebrale. Gradi lievi di cheratite puntata sono comuni, ma se le palpebre coprono completamente la cornea in questi soggetti non vi è rischio di ulcerazione. Se invece la cornea rimane visibile, la cheratite puntata può rapidamente progredire verso l’ulcerazione e la successiva perforazione.
Pressione intra-oculare. È determinata dalla produzione di umor acqueo dal corpo ciliare, dalla resistenza al drenaggio attraverso il sistema trabecolare e dal livello di pressione nelle vene episclerali. Nei pazienti con OG è comune riscontrare un aumento della pressione intra-oculare di 1-15 mmHg nello sguardo verso l’alto. Questo può essere spiegato da una inelasticità del muscolo retto inferiore fibrotico e dall’incapacità dello stesso di rilasciarsi sul globo quando l’antagonista porta l’occhio verso l’alto, causando compressione e quindi aumento della pressione nelle vene episclerali e congestione orbitaria. Tuttavia, tale aumento della pressione si associa alla comparsa di glaucoma meno frequentemente rispetto al resto della popolazione.
Proptosi. È dovuta alla spinta in avanti del globo oculare. Si può considerare una “auto-decompressione” dell’orbita che è una struttura rigida tranne anteriormente, dove è presente il setto orbitario anteriore. Il grado di proptosi dipende quindi dall’ingrandimento muscolare, dall’eccesso di grasso retro-orbitario, ma anche dall’elasticità del setto. Se rigido, non c’è una proptosi importante, ma in compenso si ha un aumento significativo della pressione intra-orbitaria con compressione del nervo ottico e maggior rischio di DON. Il rischio è minore se il setto è più lasso, in questo caso vi sarà però una proptosi più marcata. Per valutare la proptosi si utilizza l’esoftalmometro di Hertel (figura), un sistema di triangolazione che quantifica la posizione dell’apice corneale. È costituito da una bacchetta graduata per la misurazione della distanza intercantale, cioè la distanza dei canti esterni dei due occhi, detta base, e da due sistemi di specchi a forma di triangolo rettangolo, che, grazie alla riflessione dell’immagine corneale su una scala graduata, permettono di calcolare la sporgenza dell’apice corneale rispetto al bordo orbitario. Viene considerato significativo l’esoftalmo che si discosta di oltre 2 mm dal limite di normalità di 18 mm (dai 14 mm nei bambini).

 

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Esoftalmometro di Hertel

 

Diplopia e strabismo. Sono conseguenti all’alterazione della motilità del globo oculare a causa dell’infiammazione prima e della fibrosi poi dei muscoli estrinseci. La limitazione è di tipo restrittivo, per cui è impedita la rotazione dell’occhio nella direzione opposta a quella del muscolo coinvolto.
La diplopia può essere valutata sia soggettivamente che oggettivamente. Quella soggettiva viene valutata con uno score (4).

 

Score di diplopia soggettivo (Gorman)
Grado I diplopia intermittente, si manifesta quando il paziente è stanco
Grado II diplopia incostante, si manifesta nelle posizioni estreme di sguardo laterale e verso l’alto
Grado III diplopia costante, presente in posizione primaria di sguardo ma correggibile con il prisma
Grado IV diplopia costante, non correggibile con il prisma

 

 

Orbitopatia attiva o quiescente: clinical activity score. Attraverso una valutazione strettamente clinica è possibile ricavare indicazioni circa la presenza o meno di infiammazione in atto a carico dell’orbita. Il Clinical Activity score è un punteggio numerico ottenuto dalla combinazione di due sintomi e cinque segni di interessamento dei tessuti molli (5). A ciascun elemento viene assegnato un punto sulla base della presenza o assenza dello stesso. Ad un valore uguale o superiore a 3 corrisponde una patologia in fase attiva.

 

Clinical activity score (CAS)

Dolore orbitario spontaneo
Dolore nei movimenti oculari
 

Iperemia delle palpebre
Edema delle palpebra
Iperemia della congiuntiva
Edema della plica e/o della caruncola
Chemosi

 

 

Tale punteggio nasce dall’esigenza di orientare correttamente la scelta terapeutica nelle diverse fasi di malattia e si è rivelato uno strumento efficace nel predire la risposta al trattamento medico e radioterapico. In presenza di un punteggio alto, l’azione anti-infiammatoria e immunosoppressiva dei suddetti trattamenti si accompagna ad una più elevata probabilità di successo e questo ne giustifica l’impiego nonostante i potenziali effetti avversi. Se il punteggio è basso, verosimilmente la patologia è in una fase di quiescenza e l’unico intervento possibile è di tipo chirurgico (6).
Sebbene indispensabile per una prima valutazione, risulta purtroppo di scarsa utilità nel monitoraggio del paziente nel tempo. Basandosi infatti sul binomio assenza/presenza, solo la scomparsa di un determinato segno o sintomo influisce sul punteggio finale, mentre un miglioramento degli stessi, lieve o importante che sia, lo lascia immodificato (3).

 

Valutazione della gravità. La severità descrive il grado di deficit funzionale o estetico presente nelle diverse fasi di malattia.
La classificazione NO SPECS è stata introdotta da Werner nel 1969 e, nonostante le successive modifiche (7), rimane di scarsa utilità. I pazienti, infatti, non progrediscono necessariamente da una classe all’altra e ciascun aspetto è poco definito, lasciando spazio alla soggettività e impedendo una comparazione dei dati ai fini di studio. L’acronimo risulta tuttavia un efficace aiuto mnemonico per l’esame clinico dei pazienti.

 

NOSPECS
N o symptoms or signs Classe 0
O nly signs Classe 1
S oft tissue involvement Classe 2
P roptosis Classe 3
E xtraocular muscle involvement Classe 4
C orneal involvement  Classe 5
S ight loss Classe 6

 

 

Classificazione NO SPECS modificata
CLASSE GRADO  
0   No sintomi e segni
1   Solo segni
Coinvolgimento dei tessuti molli
2 0 assente
a minimo
b moderato
c marcato
Proptosi > 3 mm al limite normale
3 0 assente
a 23-24 mm
b 25-27 mm
c ≥28 mm
Coinvolgimento dei muscoli extra-oculari in base alla diplopia
4 0 assente
a intermittente
b incostante
c costante
Coinvolgimento corneale
5 0 assente
a cheratite puntata
b ulcerazione
c edema, necrosi e perforazione
Perdita della vista dovuta a neuropatia ottica
6 0 assente
a pallore papillare, deficit del campo visivo e acuità visiva ridotta max a 3/10
b stessi segni e acuità visiva ridotta tra 1/10 e 2/10
c stessi segni ma visione < 1/10 fino alla cecità completa

 

 

Più recentemente nel 2008 l’EUGOGO (European Group of Graves’ Orbitopathy) ha proposto una classificazione sulla base della severità dell’orbitopatia di Graves che prevede 3 gradi: lieve, moderato-severa, con compromissione della vista (8).
Se nella definizione dell’attività di malattia è rilevante la presenza di un coinvolgimento dei tessuti molli, per la valutazione della severità bisogna attribuirgli un grado e tener conto, in associazione a questo, anche di altri parametri, oggettivamente misurabili e quantificabili, quali la retrazione palpebrale, la proptosi, l’interessamento corneale e quello muscolare descritto in termini di diplopia.

 

Valutazione EUGOGO della severità
GO lieve

Retrazione palpebrale < 2 mm
Coinvolgimento lieve dei tessuti molli
Esoftalmo < 3 mm
Diplopia assente o intermittente
Coinvolgimento della cornea responsivo ai farmaci

GO moderato-severa

Retrazione palpebrale  > 2 mm
Coinvolgimento moderato o severo dei tessuti molli
Esoftalmo > 3 mm
Diplopia incostante o costante

GO con compromissione della vista

Neuropatia ottica distiroidea (DON)
Rottura corneale

 

 

Neuropatia ottica distiroidea (DON). La compromissione del nervo ottico è una manifestazione secondaria di malattia severa e, benché colpisca solo il 3-5% dei pazienti con GO, comporta un rischio considerevole di cecità. Fattori di rischio sono il sesso maschile, l’età avanzata, il diabete ed il fumo.
La gravità di tale condizione non è di immediata evidenza clinica, considerando che in molti casi si accompagna ad un esoftalmo non significativo. Il principale meccanismo di insulto sul nervo è, infatti, l’aumento della pressione in corrispondenza dell’apice orbitario: essa dipende dalla combinazione di due fattori che sono, da un lato l’ingrandimento delle strutture muscolari che vi passano attraverso, e dall’altro l’eccessiva tensione costituzionale del setto orbitario anteriore, che limita la protrusione del globo oculare e la conseguente “auto-decompressione”. Più di rado è il prolasso di grasso nella fessura orbitaria a premere sul nervo ottico. Meno frequentemente è lo stiramento del nervo ottico a comprometterne la funzione: si verifica con l’aumentare del grado di proptosi, che può arrivare nei casi più gravi fino alla sublussazione del bulbo oculare.
Anche un’acuità visiva normale non esclude la diagnosi, che è invece supportata dalla presenza di anomalie nella discriminazione dei colori, edema della papilla, deficit pupillare afferente e deficit del campo visivo: tutti questi reperti devono pertanto essere attentamente ricercati. Il CAS è più di frequente uguale o superiore a 4. La diplopia, pur se molto comune, non è un requisito diagnostico di DON (9). Anche se la diagnosi resta clinica, validi ausili per identificare la DON sono i potenziali evocati visivi e le metodiche di diagnostica per immagini per evidenziare l’apical crowding.

 

Orbitopatia di Graves monolaterale
L’interessamento orbitario è più spesso bilaterale anche se asimmetrico. La monolateralità riguarda il 5-15% dei casi di orbitopatia tiroide-correlata (1): tale condizione quindi, seppur da considerare come campanello d’allarme nel processo diagnostico differenziale, non esclude la diagnosi di GO. Spesso infatti il coinvolgimento dell’orbita controlaterale è solo subclinico o piuttosto si tratta di uno stadio precoce di malattia con successiva evoluzione bilaterale (10).

 

Bibliografia

  1. Putta-Manohar S, Perros P. Epidemiology of Graves' orbitopathy. Pediatr Endocrinol Rev 2010, 7 Suppl 2: 182-5.
  2. Bartley GB, Fatourechi V, Kadrmas EF, et al. Clinical features of Graves’ ophthalmopathy in an incidence cohort. Am J Ophthalmol 1996, 121: 284-90.
  3. Dickinson AJ, Perros P. Controversies in the clinical evaluation of active thyroid-associated orbitopathy: use of a detailed protocol with comparative photographs for objective assessment. Clin Endocrinol 2001, 55: 283-303.
  4. Bahn RS, Gorman CA. Choice of therapy and criteria for assessing treatment outcome in thyroid-associated ophthalmopathy. Endocrinol Metab Clin North Amer 1987, 16: 391-407.
  5. Pinchera A, Wiersinga W, Glinoer D, et al. Classification of eye changes of Graves’ disease. Thyroid 1992, 2: 235-6.
  6. Mourits MP, Prummel MF, Wiersinga WM, et al. Clinical activity score as a guide in the management of patients with Graves’ ophthalmopathy. Clin Endocrinol 1997, 47: 9–14.
  7. Werner SC. Modification of the classification of the eye changes of Graves' disease. Am J Ophthalmol 1977, 83: 725-7.
  8. Bartalena L, Baldeschi L, Dickinson A, et al. Consensus statement of the European Group on Graves' orbitopathy (EUGOGO) on management of GO. Eur J Endocrinol 2008, 158: 273–85.
  9. McKeag D, Lane C, Lazarus JH, et al; European Group on Graves' Orbitopathy (EUGOGO). Clinical features of dysthyroid optic neuropathy: a European Group on Graves'Orbitopathy (EUGOGO) survey. Br J Ophthalmol. 2007, 91: 455-8.
  10. Wiersinga WM, Smit T, van der Gaag R, et al. Clinical presentation of Graves' ophthalmopathy. Ophthalmic Res 1989, 21: 73-82.
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Alfonsina Chiefari, Silvia Caprioli, Vincenzo Toscano, Salvatore Monti
UOC di Endocrinologia – Azienda Ospedaliera S. Andrea, Facoltà di Medicina e Psicologia - “Sapienza” Università di Roma

 

 

La diagnosi di orbitopatia è semplice nei pazienti con ipertiroidismo che presentano esoftalmo bilaterale, ma diventa più insidiosa se non vi è una disfunzione tiroidea di base e le manifestazioni cliniche sono meno evidenti. Nessun segno o sintomo preso singolarmente è specifico di malattia; fortemente indicativi sono la presenza di retrazione palpebrale associata ad esoftalmo e il coinvolgimento della muscolatura oculare estrinseca o del nervo ottico nel contesto di una disfunzione tiroidea pregressa o in atto (1).

 

Diagnosi differenziale dell'orbitopatia di Graves
Linfoma
Neoplasie primitive o metastatiche
Tumore delle cavità nasali e dei seni
Fistola del seno cavernoso carotideo
Pseudotumor orbitae e miosite orbitaria

 

Una visita oculistica completa comprende, oltre alla valutazione di segni e sintomi per la definizione del Clinical Activity Score (CAS) e della gravità, l’esoftalmometria, l’esame del campo visivo e del fondo oculare, la misura della pressione oculare e dell’acuità visiva e la valutazione della visione dei colori. La diplopia e le alterazioni della motilità oculare devono essere indagate con una visita ortottica.

 


Indagini di laboratorio
Nessun test di laboratorio è attualmente in grado di diagnosticare con certezza l’orbitopatia di Graves, ma la funzionalità tiroidea (TSH, FT4 ed FT3 ) e gli anticorpi anti-tiroide (Ab anti-recettore del TSH e Ab anti-TPO) devono essere eseguiti in ogni paziente in cui vi è un sospetto diagnostico. L’orbitopatia si associa infatti nell'85% dei casi ad un ipertiroidismo, ma in una percentuale minore dei casi compare in pazienti con ipotiroidismo da tiroidite cronica autoimmune o in pazienti con funzionalità tiroidea perfettamente nella norma, che svilupperanno o meno una disfunzione tiroidea successivamente (2). In tal caso la correlazione tiroidea dell’orbitopatia è possibile grazie alla positività auto-anticorpale. In particolare, la misura nel siero degli anticorpi anti-recettore del TSH è utile per la diagnosi nei pazienti eutiroidei (3) ed è raccomandata nei casi già diagnosticati in considerazione della correlazione positiva tra i livelli di tali anticorpi e la severità e l’attività della malattia e del loro valore prognostico del corso dell’orbitopatia (4,5).

 


Valutazione della motilità oculare
La diplopia, quale sintomo cardine di una anomalia oculomotoria, deve essere valutata nelle nove posizioni di sguardo (centrale, ai 4 punti cardinali e alle 4 semidiagonali). L’esame ortottico serve a valutare la presenza di diplopia, ma in alcuni casi molto complessi, le minime ipofunzioni associate non riescono ad essere correttamente evidenziate. A questo scopo si utilizza lo schermo di Hess, detto anche coordimetro di Hess o schermo di Lancaster.
Lo strumento: è costituito da una serie di linee orizzontali e verticali a formare una fitta rete. La distanza di ogni linea sottende un angolo visivo di 5° e vi sono identificati punti di fissazione su linee che si intersecano sottendendo angoli di 5°, 15° e 30°. Detto strumento serve di aiuto nella quantificazione delle variazioni oculomotorie riscontrate con l’esame ortottico.
La tecnica: la valutazione della motilità oculare tramite lo schermo di Hess impiega colori complementari per la dissociazione dei due occhi. Il paziente porta occhiali con filtro colorato diverso per ciascun occhio, in modo che, attraverso queste lenti, un occhio veda i punti di fissazione mentre l’altro vede solamente la luce dell’indicatore. Il paziente deve sovrapporre, in successione, l’indicatore su ciascuno dei punti di fissazione e la posizione relativa dell’indicatore viene registrata sul diagramma separatamente per i 2 occhi, in modo da rappresentare la funzione muscolare dei due occhi nelle varie posizioni di sguardo.
Vantaggi: facile eseguibilità e riproducibilità nel tempo, che permette di monitorare successivamente le variazioni indotte dalla patologia o da un eventuale trattamento.
Limiti: pre-esistenza di eventuali disordini della visione binoculare, in pazienti con patologie oculari che presentano danni a livello del bulbo oculare o uno dei suoi elementi. La presenza di opacità catarattose o di danni retinici impedisce la corretta esecuzione dell’esame; taluni disturbi del visus particolarmente accentuati, possono rendere ineseguibile l’esame, in quanto non permettono al paziente una visualizzazione corretta dello schermo. Pre-esistenti strabismi latenti o manifesti possono, in caso di personale non specializzato, complicare una corretta diagnosi impedendone la formulazione. Deve sempre essere eseguita un’anamnesi specialistica accurata, con lo scopo di evidenziare eventuali strabismi latenti pre-esistenti che la patologia gravesiana ha semplicemente slatentizzato.

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Foto superiore: schermo di Hess normale con esatta corrispondenza nelle nove posizioni di sguardo
Foto inferiore: schermo di Hess patologico in paziente affetto da orbitopatia.  In occhio destro impossibilità nella depressione

 


Il campo visivo
Nell’orbitopatia di Graves l’erniazione del grasso orbitario attraverso il forame ottico può provocare sofferenza a livello del nervo ottico. La campimetria è un esame strumentale che permette di valutare la sensibilità luminosa differenziale (sia l’estensione che l’omogeneità) di ogni punto dello spazio percepito dall’occhio fissante un punto fisso.
Lo strumento: è un sistema che associa un computer ad una cupola nella quale vengono proiettati stimoli luminosi con specifiche caratteristiche di luminosità e grandezza.
La tecnica: il paziente, poggiato su una mentoniera in visione monoculare e fissante un unico punto fisso, segnala la percezione dello stimolo luminoso spingendo un pulsante. Il risultato viene stampato in una veste grafica che permette di rilevare la presenza di eventuali aree di sofferenza, dette scotomi, che possono distinguersi in assoluti, nel caso in cui il danno risulti ormai consolidato, e relativi per forme di sofferenza lieve. La moderna perimetria statica automatica, che si distingue dalla precedente definita manuale e dinamica, permette di fornire per ogni punto del campo visivo esaminato un valore di riferimenti detto soglia. La risposta dell’esame è data dalla rappresentazione dei valori soglia in scala colorimetrica o di grigi: tanto più essi sono alterati, maggiormente verranno rappresentati con colori scuri. Altre due mappe permettono infine di comparare l’esame con quello di riferimento considerato normale, permettendo subito di sapere, di quanto e come, l’esame eseguito si discosta dalla normalità. La moderna perimetria permette inoltre di ottenere delle informazioni statistiche, che tramite analisi di regressione lineare attribuiscono valori di significatività alle variazioni rilevate in esami successivi.
Nell’orbitopatia di Graves: danni a livello del nervo ottico si possono manifestare con la presenza di scotomi centrali o paracentrali, che possono associarsi ad acuità visiva normale o a bruschi cali del visus; di difficile riscontro sono invece i deficit perimetrici periferici che non si associato a perdita dell’acuità visiva. L’esecuzione dell’esame perimetrico è quindi sempre indispensabile, anche nelle forme con sintomatologia modesta o nulla a carico del segmento anteriore dell’occhio. L’esame ortottico, di complemento indispensabile alla visita oculistica, che mostri un deficit marcato della muscolatura estrinseca, può preannunciare una sofferenza a livello della porzione intra-orbitaria del nervo ottico. L’esame perimetrico risulta infine indispensabile per la valutazione di eventuali danni indotti dall’ipertono oculare, secondario all’aumento della pressione intra-orbitaria che può provocare danno alla testa del nervo ottico, dando origine a difetti campimetrici patognomonici.

 

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Figura sinistra: campo visivo normale, assenza di deficit della sensibilità; destra: campo visivo gravemente alterato. Ben evidenti le aree scure di sofferenza della sensibilità; in colore nero le aree con perdita assoluta della percezione visiva.

 


Potenziali evocati visivi
Sono una metodica valida di indagine che permette di analizzare le strutture visive retino-corticali. Essi permettono di studiare l’attività elettrica del cervello umano sano o patologico, registrando le correnti elettriche che vengono generate da uno stimolo luminoso anche di debole intensità. La forma e la latenza del potenziale rilevato, evidenziano alterazioni clinicamente latenti delle vie afferenti e permettono di individuare  un difetto sensitivo, quantificandone l’entità. Tale metodica di indagine è utile sia in corso di patologie sistemiche, che coinvolgono il sistema nervoso (quali patologie degenerative acute o croniche), che nelle lesioni focali delle vie sensitive. Per generare un potenziale registrato tramite elettrodi, la stimolazione usata può essere varia.
Lo strumento: Gli occhi vengono studiati separatamente e le onde generate vengono registrate attraverso tre elettrodi, uno posto in sede occipitale, definito attivo, il secondo, detto elettrodo di referenza, che viene collocato sulla fronte ed il terzo, la terra, sul lobo di un orecchio. Lo stimolo  può essere rappresentato o da una immagine a barre o a scacchi bianchi o neri (oppure a diverso colore), oppure può essere usato uno stimolo a variazione di luminanza, cioè un flash stroboscopico con la possibilità di modificare l’intensità o la frequenza. I risultati dei PEV sono rappresentati da un tracciato nel quale si possono identificare alcune componenti con polarità negativa (N) o positiva (P), seguite dal valore medio in latenza in ms nella popolazione normale (75-100) e con ampiezza variabile in rapporto all’età del paziente.
L’aumento della latenza della risposta corticale P100 è suggestiva di ritardo di conduzione nel nervo ottico. In caso di neurite o lesione compressiva del nervo ottico, il PEV può anche scomparire. In caso di miglioramento della patologia, si assiste alla comparsa di una risposta, pur se ritardata e di ampiezza ridotta, che progressivamente migliora al migliorare dell’acuità visiva. L’esame e l’evoluzione dell’ampiezza è il parametro che meglio si correla con l’acuità visiva. È inoltre possibile studiare in modo specifico la funzione foveale afferente attraverso le componenti N75 e P100 e le afferenze periferiche con la N105 e P135. Sebbene il PEV sia una risposta corticale, essa riflette lesioni a livelli di tutta la via ottica, potendo identificare le lesioni prechiasmatiche, chiasmatiche e post-chiasmatiche.
Le alterazioni rilevate dei potenziali evocati non devono essere sempre considerate patognomoniche di patologie, ma devono essere sempre correlate al quadro clinico in esame. Nell’orbitopatia di Graves che determina compressione a livello del nervo ottico (prechiasmatica), è presente una risposta occipitale con latenza normale ma con ampiezza patologicamente ridotta.

 


Diagnostica per immagini
Le metodiche di imaging non sono necessarie per confermare un sospetto diagnostico, soprattutto quando questo è posto sulla base di un'evidenza clinica e avvalorato da appropriate indagini biochimiche.
L’imaging trova indicazione:

  1. in fase diagnostica, in presenza di un quadro clinico monolaterale o asimmetrico (20% dei pazienti con GO) al fine di escludere altre patologie che, da un punto di vista clinico, possono mimare l’orbitopatia di Graves
  2. in una fase successiva, qualora la decisione terapeutica possa essere influenzata da informazioni ottenute tramite queste metodiche
  3. nel sospetto di un coinvolgimento del nervo ottico.

Le tecniche di diagnostica per immagini utilizzate sono principalmente: ecografia orbitaria, TC e RMN.

Ecografia orbitaria. Questa metodica, benché facilmente accessibile sul territorio, dai costi limitati e di semplice esecuzione in mani esperte, presenta dei limiti non indifferenti. Permette, infatti, la visualizzazione solo della porzione anteriore e media dell’orbita, ma non di quella posteriore, sede di potenziale compressione sul nervo ottico. Ha pertanto uno scarso valore nella diagnosi differenziale con le altre lesioni dell’orbita localizzate in profondità (6).

Tomografia computerizzata. La presenza nell’orbita di grasso intra- ed extra-conico agisce come un mezzo di contrasto naturale, che permette un’ottima visualizzazione delle strutture ossee in contrapposizione con i tessuti molli dell’orbita. Per tale motivo l’esame TC viene preferito nella programmazione di un intervento di decompressione orbitaria e nel successivo follow-up post-chirurgico (7). Inoltre, la TC delle orbite è un esame relativamente rapido, che non richiede l’uso di mezzo di contrasto, disponibile su larga scala e dai costi moderati. Bisogna considerare tuttavia l’esposizione del cristallino ad una certa dose di radiazioni, che lo rende un esame poco idoneo a rivalutazioni successive nel tempo, soprattutto in soggetti giovani.

 

 

Risonanza magnetica nucleare. Questa tecnica diagnostica è in grado di fornire immagini influenzate dalla densità di protoni contenuti in un tessuto, parametro che aumenta in presenza di edema infiammatorio. Ha il vantaggio, quindi, di fornire informazioni circa l’attività di malattia (8): se infatti sia la TC che l’ecografia individuano un ingrandimento muscolare, nessuna delle due tecniche diagnostiche permette di distinguere se sia di tipo edematoso o fibrotico. La RMN è quindi un utile strumento nei casi in cui la valutazione dell’attività di malattia su base esclusivamente clinica sia dubbia e per predire in tal modo la risposta al trattamento, sia di tipo immuno-soppressivo che radioterapico (9). È un esame che non prevede l’esposizione a radiazioni ionizzanti, ma allo stesso tempo è costoso, con tempi di esecuzione piuttosto lunghi e con una distribuzione limitata sul territorio. Ha inoltre delle limitazioni intrinseche nella metodica per i portatori di dispositivi metallici e i soggetti claustrofobici.

 

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Reperti suggestivi di orbitopatia di Graves all’esame TC/RMN (6)
Proptosi mono o bilaterale (protrusione del globo oculare oltre la linea inter-zigomatica)
Ispessimento fusiforme dei muscoli extra-oculari (coinvolti soprattutto retto inferiore e mediale), con risparmio dell’inserzione muscolare sul globo oculare
Incremento del grasso intra- ed extra-conico
Compressione del nervo ottico all’apice dell’orbita (crowded orbital apex syndrome) o impressione della lamina papiracea
Assenza di lesioni infra-orbitarie occupanti spazio

 

 

Vantaggi e limiti di TC e RM nello studio dell’orbitopatia di Graves
  Vantaggi Limiti
TC Larga disponibilità
Costo limitato
Minore durata dell’esame
Buona visualizzazione delle strutture ossee
Possibile applicazione in caso di contro-indicazioni alla RM (pacemaker o altri device elettromedicali)
Mancanza di informazioni sull’attività di malattia
Dose radiante (dose media al cristallino 40 mSv/esame)
RM

Non uso di radiazioni ionizzanti
Maggiori informazioni sulla composizione e le dimensioni dei muscoli e delle strutture orbitarie
Migliore risoluzione dei tessuti molli (utile in diagnosi differenziale)

Limitata nella valutazione delle strutture ossee e calcifiche
Tempi di esecuzione più lunghi (20-30 minuti)
Controindicazioni (presenza di dispositivi elettronici o corpi estranei di natura metallica, claustrofobia)
Costi elevati
Minore disponibilità sul territorio

 

Apical crowding. Si definisce come una obliterazione dei piani adiposi che circondano il nervo ottico per almeno il 25% della sua circonferenza. È un reperto tipico di Neuropatia Ottica Distiroidea (DON), che può essere valutato all’esame TC e caratterizza insieme ad altri reperti quella definita come “crowded orbital apex syndrome”. Questi sono: l’aumento del diametro dei muscoli extra-oculari, l’appiattimento del nervo ottico all’apice, il prolasso del grasso orbitario nella fessura superiore, la proptosi, l’ingrandimento della vena oftalmica superiore e la dislocazione anteriore della ghiandola lacrimale (10).

 


Bibliografia

  1. Bartley GB, Gorman CA. Diagnostic criteria for Graves’ ophthalmopathy. Am J Ophthalmol 1995, 119: 792-5.
  2. Putta-Manohar S, Perros P. Epidemiology of Graves' orbitopathy. Pediatr Endocrinol Rev 2010, 7 Suppl 2: 182-5.
  3. Eckstein A, Esser J, Mann K, et al. Clinical value of TSH receptor antibodies measurement in patients with Graves' orbitopathy. Pediatr Endocrinol Rev 2010, 7 Suppl 2: 198-203.
  4. Gerding MN, et al. Association of thyrotropin receptor autoantibodies with the clinical features of Graves’ ophthalmopathy. Clin Endocrinol 2000, 52: 267–71.
  5. Eckstein AK, et al. TSH-receptor autoantibodies are independent risk factors for Graves’ ophthalmopathy and help to predict severity and outcome of the disease. J Clin Endocrinol Metab 2006, 91: 3464–70.
  6. Kahaly GJ. Imaging in thyroid-associated orbitopathy. Eur J Endocrinol 2001, 145: 107–18.
  7. Kirsch E, Hammer B, von Arx G. Graves' orbitopathy: current imaging procedures. Swiss Med Wkly 2009, 139: 618-23.
  8. Mayer EJ, Fox DL, Herdman G, et al. Signal intensity, clinical activity and cross-sectional areas on MRI scans in thyroid eye disease. Eur J Radiol 2005, 56: 20-4.
  9. Kirsch EC, Kaim AH, De Oliveira MG, et al. Correlation of signal intensity ratio on orbital MRI-TIRM and clinical activity score as a possible predictor of therapy response in Graves’ orbitopathy—a pilot study at 1.5 T. Neuroradiology 2010, 52: 91–7.
  10. Nugent RA, Belkin RI, Neigel JM, et al. Graves’ orbitopathy: correlation of CT and clinical findings. Radiology 1990, 177: 675-82.
Stampa

Sara Nazzarena Morgante, Silvia Caprioli, Alfonsina Chiefari, Vincenzo Toscano, Salvatore Monti
Facoltà di Medicina e Psicologia, “Sapienza” Università di Roma; UOC di Endocrinologia, AO S. Andrea

(aggiornato al 23 maggio 2017)

 

Il decorso naturale dell’Orbitopatia di Graves (OG) è generalmente autolimitante e migliora spontaneamente. Tale patologia necessita di un trattamento medico specifico quando è in fase di attività clinica e in funzione del grado di severità.

 

MISURE GENERALI

Indipendentemente dalle caratteristiche cliniche e dalla sintomatologia dell’OG, è fondamentale l’astensione dall’abitudine al fumo, in quanto fattore di rischio per la comparsa e la progressione dell’OG e per la scarsa risposta al trattamento (1).
Una normale funzionalità tiroidea è fondamentale per il controllo dell’OG, considerando l’influenza che sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo hanno sul decorso naturale della malattia. L’ipotiroidismo, raramente primitivo, più frequentemente secondario al sovradosaggio di farmaci anti-tiroidei, può essere responsabile di una progressione dell’OG. L’ipertiroidismo è presente nella maggioranza dei pazienti con OG (80%). La scelta terapeutica dell’ipertiroidismo (farmaci anti-tiroidei, radioiodio o tiroidectomia) influenza l’andamento dell’OG, attraverso la rimozione degli antigeni tiroidei e la conseguente presumibile attenuazione della reazione autoimmune. Qualora sia indicata la terapia radiometabolica per la gestione dell’ipertiroidismo, al fine di evitare il peggioramento, o l’insorgenza de novo, dell’OG, è opportuno intraprendere la profilassi steroidea, in particolare nei fumatori e nei pazienti con ipertiroidismo severo o di recente insorgenza:

  • ad alto rischio di progressione o insorgenza de novo di OG: prednisone 0.3-0.5 mg/kg/die per 3 mesi;
  • basso rischio di progressione o insorgenza de novo di OG: prednisone 0.2 mg/kg/die per 6 settimane.

L’utilizzo dei farmaci anti-tiroidei di per sé è neutrale sull’andamento dell’OG, tuttavia è stato osservato che indirettamente può dare un vantaggio, probabilmente attraverso una graduale e progressiva riduzione dei livelli degli anticorpi anti-recettore del TSH. Esistono due possibili regimi terapeutici con i farmaci anti-tiroidei: titration (dosaggio in base ai valori degli ormoni tiroidei) e block-replace (alto dosaggio abbinato a L-tiroxina sodica) (2). I dati disponibili non evidenziano nel complesso vantaggi significativi del regime "block and replace" a fronte della sua maggiore complessità di impiego.

 

 

TRATTAMENTO SPECIFICO

È legato alla severità e all’attività della malattia (3).

 

OG DI GRADO LIEVE
Il coinvolgimento oculare è lieve e l’atteggiamento più idoneo da adottare è quello del “wait and see”. Infatti, questa forma di OG tende spesso a migliorare spontaneamente.
Si possono, tuttavia, mettere in atto misure di supporto locale per alleviare la sintomatologia: il sollevamento della testata del letto è utile per ridurre l’edema peri-orbitario, la fotofobia può essere attenuata tramite l’uso di occhiali da sole scuri, il senso di irritazione e di corpo estraneo con lacrime artificiali e gel.
È consigliabile l’utilizzo di lacrime artificiali senza conservanti, con proprietà osmoprotettive (4).
Se presente lagoftalmo, il paziente deve essere istruito circa il posizionamento di bende che mantengano la palpebra chiusa e impediscano l’esposizione corneale durante il sonno, da associare all’utilizzo di gel o unguenti.
Per correggere la diplopia lieve, si può fare uso di prismi.
La somministrazione di selenio migliora significativamente la qualità di vita, migliora il quadro clinico oculare e rallenta la progressione della malattia.
Qualora si associ una compromissione della qualità della vita (valutata con specifico questionario), è possibile proporre gli stessi trattamenti indicati per la forma moderato-severa.

 

OG DI GRADO MODERATO-SEVERO

FORME ATTIVE

Trattamento di prima linea
La terapia di prima scelta, in presenza di attività clinica, si basa sull’utilizzo di glucocorticoidi ad alte dosi. I glucocorticoidi hanno dimostrato un effetto benefico su edema dei tessuti molli, acuità visiva e motilità oculare, mentre l’effetto sulla proptosi è piuttosto limitato. È raccomandato il trattamento per via endovenosa, perché più efficace e meglio tollerato rispetto alla via orale e locale (retro-bulbare e sub-congiuntivale).
Il regime terapeutico proposto dalla Consensus del 2008 dell’European Group On Graves Orbitopathy (EUGOGO) prevede la somministrazione, in monoterapia, di 500 mg di metilprednisolone una volta a settimana per 6 settimane, seguiti da 250 mg una volta a settimana per altre 6 settimane (dose totale 4.5 g) (1). Tale schema, secondo le linee guida ETA/EUGOGO 2016, viene considerato un dosaggio intermedio, utilizzabile nella maggioranza delle forme di OG moderato-severe in fase attiva.
Un regime ad alto dosaggio, per le forme particolarmente gravi, prevede la somministrazione, in monoterapia, di 750 mg di metilprednisolone una volta a settimana per 6 settimane, seguiti da 500 mg una volta a settimana per altre 6 settimane (dose totale 7.5 g) (4).
All’inizio e nel corso della terapia infusionale, è necessario valutare la presenza di eventuali epatopatie e di altri potenziali effetti avversi (5) del trattamento con glucocorticoidi, quali ipertensione, iperglicemia, patologie gastriche, infezioni, osteoporosi e glaucoma, per intraprendere eventuali terapie specifiche volte al controllo degli stessi.

 

Schema terapeutico con metilprednisolone ev per OG di grado moderato-severo in fase attiva
Prima di intraprendere il trattamento Controllare:
  • funzionalità e morfologia epatica
  • marcatori delle epatiti virali
  • emocromo completo
  • esame urine con urinocoltura ed eventuale antibiogramma
  • sangue occulto nelle feci
  • screening per TBC
Preparazione Metilprednisolone (Solumedrol) in 250 mL di soluzione fisiologica + Inibitore di Pompa Protonica
Somministrazione Infusione ev lenta (40 gocce al minuto - circa due ore)
Rilevare la pressione arteriosa all’inizio e al termine dell’infusione 
Schema Schema dosaggio-intermedio: 500 mg a settimana per sei settimane, poi 250 mg per altre sei settimane
Schema alto-dosaggio: 750 mg a settimana per 6 settimane, poi 500 mg per altre 6 settimane
Dose massima totale: 8 g
Durante il trattamento Eseguire i controlli di glicemia, funzionalità epatica, emocromo completo, esame urine con urinocoltura ed eventuale antibiogramma, sangue occulto nelle feci
Consigliare la terapia orale con inibitori di pompa protonica

 

 

Trattamenti di seconda linea
Secondo ciclo di corticosteroidi
(dose massima 8 g).
Radioterapia orbitaria: 20 Gy (frazionati in 10 dosi da 2 Gy), in associazione a basse dosi di glucocorticoidi per via orale.
Ciclosporina, in associazione con il prednisone, si è mostrata efficace nei casi di OG moderata-severa, non controllata dalla terapia corticosteroidea.
Rituximab (6,7) ha mostrato risultati incoraggianti, simili a quelli ottenuti con i glucocorticoidi endovena, tuttavia il potenziale effetto benefico deve essere confermato in studi più ampi e controllati.

 

Altri trattamenti
Iniezioni peri-oculari di triamcinolone
acetonide (40 mg/mL) hanno dimostrato di ridurre diplopia e volume dei muscoli extra-oculari.
Lenti prismatiche
in caso di diplopia in posizione primaria di sguardo.
Tossina botulinica
per la correzione della retrazione palpebrale superiore e del lagoftalmo.
Immunoglobuline
per via endovenosa hanno efficacia non superiore rispetto al trattamento tradizionale (glucocorticoidi e radioterapia). Peraltro il costo eccessivo e il rischio di trasmissione di malattie infettive ne limita l’utilizzo nel trattamento dell’OG.
L’uso degli analoghi della somatostatina ha dimostrato effetti benefici marginali.

 

 

FORME INATTIVE
Questa condizione richiede differenti step di chirurgia riabilitativa:

  1. chirurgia decompressiva
  2. chirurgia muscolare
  3. chirurgia palpebrale

 

 

Flow-chart per la gestione GO (modificata da 4)

 

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Bartalena L, Baldeschi L, Dickinson A, et al. Consensus statement of the European Group on Graves' orbitopathy (EUGOGO) on management of GO. Eur J Endocrinol 2008, 158: 273–85.
  2. Abraham P, Avenell A, Park CM, et al. A systematic review of drug therapy for Graves’ hyperthyroidism. Eur J Endocrinol 2005, 153: 489–98.
  3. Dickinson J, Perros P. Thyroid-associated orbitopathy: who and how to treat. Endocrinol Metab Clin North Am 2009, 38: 373-8.
  4. Bartalena L, et al. The 2016 European Thyroid Association/European Group of Graves’ Orbitopathy guidelines for the management of Graves’ Orbitopathy. Eur Thyroid J 2016, 5: 9-26.
  5. Zang S, Ponto KA, Kahaly GJ. Intravenous glucocorticoids for Graves’ orbitopathy: efficacy and morbidity. J Clin Endocrinol Metab 2011, 96: 320-32.
  6. Salvi M, Vannucchi G, Curro N, et al. Efficacy of B-cell targeted therapy with rituximab in patients with active moderate to severe Graves’ orbitopathy: a randomized controlled study. J Clin Endocrinol Metab 2015, 100: 422–31.
  7. Salvi M, Vannucchi G, Curro N, et al. Small dose of rituximab for Graves’ orbitopathy: new insights into the mechanism of action. Arch Ophthalmol 2012, 130: 122–4.