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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

 

Il ruolo della terapia farmacologica con i farmaci attualmente disponibili sembra assolutamente secondario, quanto meno in fase pre-operatoria (1).

I farmaci più impiegati sono stati i dopaminergici: i risultati con le varie molecole, in particolare la cabergolina, dimostrano un controllo della crescita tumorale (cioè stabilità o miglioramento, valutato come campimetria e RM) in oltre l’80% dei casi (tabella). È però stato fallimentare il tentativo di utilizzare tecniche non invasive, quali la scintigrafia recettoriale (che comunque sarebbe stata gravata da alti costi e scarsa diffusione), per predire l’efficacia del trattamento (2).

Anche gli analoghi commerciali della somatostatina sono stati impiegati con successo parziale in alcuni casi: l’apparente dissociazione fra la diminuzione del volume tumorale e il miglioramento del campo visivo (più frequente) è probabilmente dovuto all’azione diretta degli SA sulla retina.

La combinazione delle 2 classi di farmaci (SA + DA), riportata aneddoticamente, non ha dato risultati migliori.

Infine, vista la biologia di questi tumori, in passato sono stati impiegati in pochi casi i superagonisti dl GnRH, con risultati assolutamente deludenti (3): pur modificando in vivo e in vitro i livelli di gonadotropine e alfa-subunità, tale trattamento non ha indotto alcuna modificazione delle dimensioni dell’adenoma. Sono stati provati in vitro anche antagonisti del GnRH (3), senza ottenere risultati.

 

Efficacia dei farmaci nel trattamento primario (pre-operatorio) dei pazienti con NFPA
(modificato da 1)
  Campo visivo Volume adenoma
migliorato invariato peggiorato diminuito invariato aumentato
DA 16/107
(15%)
77/107
(72%)
14/107
(13%)
36/180
(20%)
133/180
(74%)
11/180
(6%)
SA 27/84
(32%)
50/84
(60%)
7/84
(8%)
11/154
(7%)
130/154
(84%)
12/154
(9%)

 

La temozolomide, un citostatico alchilante, si è dimostrato efficace nel ridurre il volume tumorale in un piccolo numero di casi di NFPA aggressivi (4).

 

Bibliografia

  1. Colao A, et al. Medical therapy for clinically non-functioning pituitary adenomas. Endocr Relat Cancer 2008, 15: 905–15.
  2. de Herder WW, Reijs AE, de Swart J, et al. Comparison of iodine-123 epidepride and iodine-123 IBZM for dopamine D2 receptor imaging in clinically non-functioning pituitary macroadenomas and macroprolactinomas. Eur J Nucl Med 1999, 26: 46-50.
  3. Chanson P, Lahlou N, Warnet A, et al. Responses to gonadotropin releasing hormone agonist and antagonist administration in patients with gonadotroph cell adenomas. J Endocrinol Invest 1994, 17: 91-8.
  4. Buchfelder M. Management of aggressive pituitary adenomas: current treatment strategies. Pituitary 2009, 12: 256–60.
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Clinica e diagnostica

Terapia

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Enrica Ciccarelli
SSD Oncologia, Ospedale Martini, Torino

(aggiornato al 1 maggio 2017)

 

L'iperprolattinemia rappresenta un riscontro comune nella pratica clinica endocrinologica ed è il marcatore più frequente di patologia ipotalamo-ipofisaria. L'incremento dei valori di PRL può presentarsi come patologia singola od occasionalmente essere parte di una MEN-1, in associazione con tumori delle paratiroidi e pancreatici. Eccezionalmente l'iperprolattinemia è presente in forme familiari isolate (FIPA), in adenomi determinati da mutazioni genetiche (gene AIP).
Vista la normale secrezione pulsatile della PRL, la diagnosi di iperprolattinemia richiede conferme da multipli dosaggi plasmatici. Alcune cause di iperPRL sono fisiologiche e facilmente diagnosticabili, mentre nella maggior parte dei casi è necessario un approfondimento anamnestico, biochimico e neuroradiologico. Le cause di iperPRL sono riassunte nella tabella.

 

Cause di iperprolattinemia
Fisiologiche

Età neonatale
Gravidanza
Allattamento
Stimolazione del capezzolo
Sonno
Attività fisica
Stress (ipoglicemia, interventi, IMA, epilessia)
Coito

Farmaci

Bloccanti dopaminergici: metoclopramide, sulpiride, domperidone, neurolettici
Inibitori della sintesi di DA (α-metilDOPA)
Depletori di catecolamine (reserpina)
Oppiacei, morfina
Anti-istaminergici H2 (cimetidina ev)
Anti-depressivi: imipramina, amitriptilina
Verapamil

Malattie ipotalamiche Tumori ipotalamici: craniofaringiomi, germinomi, ependimomi, gliomi, meningiomi, metastasi
Lesioni infiltrative: istiocitosi, sarcoidosi, ipofisiti, TBC
Malformazioni arterovenose (aneurismi)
Radiazioni al cranio
Traumi del peduncolo ipofisario: traumi cranici, interventi NCH
Malattie ipofisarie

PRLoma
Acromegalia
M. di Cushing
TSHoma
Gonadotropinomi
NFPA
Empty sella

Altre cause Ipotiroidismo primario
Insufficienza renale cronica
Insufficienza epatica
Lesioni della parete toracica
PCOs
Sindromi paraneoplastiche
IperPRL idiopatica

 

Tra le cause di iperPRL patologica, quelle iatrogene rappresentano la maggior parte e pertanto è necessario un approfondimento anamnestico prima di intraprendere un costoso iter diagnostico. Quando possibile, è opportuna la sospensione del farmaco o la sostituzione con altro ad effetto neutro sui valori di PRL (es. aripiprazolo in luogo dei comuni neurolettici), con rivalutazione successiva dei valori di PRL: nel caso di riscontro di normali valori di PRL, è possibile la sospensione dell'iter diagnostico. Nel caso in cui la sospensione non possa essere attuata (es. pazienti psichiatrici), l'iter diagnostico andrà comunque completato.
L'adenoma PRL-secernente è la lesione neoplastica più frequente e rappresenta il 40% delle lesioni tumorali della regione ipotalamo-ipofisaria; livelli elevati di PRL possono però derivare da una lesione peduncolare in presenza di un tumore non PRL-secernente di grandi dimensioni (pseudo-prolattinoma).
L'adenoma PRL-secernente colpisce maggiormente il sesso femminile, anche se nel maschio si ritrovano adenomi a maggiore invasività e aggressività.
Gli adenomi PRL-secernenti vengono distinti in rapporto a:

  • dimensioni: microadenomi (< 1 cm) e macroadenomi;
  • invasività nei tessuti circostanti: invasivi o non invasivi;
  • aggressività in rapporto ai valori di Ki67 (e all'espressione di p53): per definizione adenomi atipici se > 3%.

L'ipersecrezione della PRL può essere isolata da parte delle cellule tumorali o, più raramente, essere accompagnata dall'ipersecrezione di altri ormoni (tumori misti), come più frequentemente accade per GH (cellula mammo-somatotropa) o ACTH e TSH.
I sintomi determinati dall'iperPRL sono collegati agli effetti dei valori elevati della PRLemia e all'effetto compressivo della lesione tumorale. Un'iperPRL cronica, indipendentemente dalla causa che la determina, induce:

  • nella donna alterazioni del ciclo mestruale (amenorrea primaria o secondaria, oligomenorrea, polimenorrea) e infertilità; è frequente la presenza di galattorrea spontanea o provocata, anche se questa correla più direttamente allo stato estrogenico della paziente (meno frequente nelle pazienti con amenorrea primaria, quasi costante nelle pazienti che hanno avuto gravidanze o assunto estrogeni). Come conseguenza dell'ipoestrogenismo cronico e di lunga durata, possono essere presenti dispareunia e osteoporosi (quest'ultima forse anche determinata da alterazioni nel metabolismo della vitamina D per opera diretta dell'iperPRL o dall’iperPRL di per sè);
  • nel maschio vengono riscontrati disfunzione erettile, riduzione o perdita della libido, riduzione della quantità di liquido seminale e, più raramente, oligospermia; possono essere presenti ginecomastia, galattorrea e osteoporosi.

L'effetto compressivo della lesione tumorale può indurre cefalea (sia ex novo che variazione nelle caratteristiche di una precedente cefalea cronica), difetti visivi (riduzione dell'acuità visiva e alterazioni campimetriche, quali quadrantopsie, emianopsie, amaurosi, sindrome chiasmatica), paralisi dei nervi cranici (sindrome del seno cavernoso, diplopia). In alcuni casi con grave estensione sopra-sellare, può manifestarsi confusione mentale fino al coma, a causa di idrocefalo: in questi casi la diagnosi di ipersecrezione va effettuata rapidamente per iniziare quanto prima il trattamento con cabergolina. Nei pazienti con estensione infra-sellare, può manifestarsi rinoliquorrea. Nei pazienti in cui le dimensioni dell'adenoma sono rilevanti, va ricercata la presenza di insufficienza secretiva dei vari ormoni ipofisari, per effetto distruttivo sull'ipofisi sana da parte della neoplasia, con necessità conseguente di appropriato trattamento sostitutivo.
La diagnosi di iperprolattinemia e di adenoma PRL-secernente si basa su esami di laboratorio e radiologici.
Dato che la PRL è un ormone pulsatile influenzabile dallo stress, la diagnosi deve essere effettuata su campionamenti ripetuti a distanza dopo un adeguato periodo di riposo. Valori di PRL > 200 ng/mL sono diagnostici di iperprolattinemia secretoria e spesso di macroadenoma; valori inferiori non possono escludere la presenza di adenomi PRL-secernente a bassa espressione ormonale o cause di iperPRL iatrogena.
In presenza di alcune metodiche immuno-radiometriche, è possibile osservare l'hook-effect (effetto gancio), con sottostima dei valori di PRL per artefatto tecnico da saturazione di anticorpi. In questi casi è necessario che il laboratorio proceda a una diluizione del campione di plasma, al fine di non mancare la diagnosi di macroadenoma PRL-secernente, con conseguenti errati comportamenti terapeutici. In presenza di elevati livelli di PRL ed assenza di sintomi correlati, occorre prendere in considerazione la macroprolattinemia, legata alla presenza in alcuni casi di elevate concentrazioni di big-big PRL (macromolecole con aggregati anticorpali con attività biologica ridotta), che possono indurre valori falsamente elevati di PRL. Anche in questo caso viene in aiuto il laboratorio: la ripetizione del dosaggio ormonale con uso di polietilenglicole (PEG), che fa precipitare gli aggregati, porta a un ridotto recupero di PRL (< 40% del valore precedente prima di PEG). La ricerca di macroprolattinemia è particolamente rilevante nei pazienti con livelli di PRL moderatamente elevati e senza cause evidenti.
L'uso dei test dinamici, utilizzati negli anni passati per la diagnosi differenziale tra iperPRL funzionale e patologica o tra adenoma PRL-secernente e pseudo-prolattinoma, è da ritenersi desueto e privo di utilità clinica.
Dopo aver confermato la presenza di iperPRL sul piano biochimico, è necessario uno studio morfologico della regione ipotalamo-ipofisaria. L'esame di elezione è la risonanza magnetica nucleare (RM) con gadolinio. La tomografia computerizzata (TC) con mdc va riservata ai casi in cui la RM non può essere effettuata (pazienti portatori di protesi metalliche o pace-maker, importante claustrofobia); la TC è preferibile anche nei casi in cui sia da esaminare con accuratezza il profilo osseo (nei casi di rinoliquorrea) o in presenza di calcificazioni. La RM evidenzia la lesione presente all'interno della regione ipotalamo-ipofisaria e i suoi rapporti con le regioni circostanti. Nel caso in cui sia richiesta una valutazione approfondita dell'albero vascolare (es. sospetto aneurisma, fase pre-operatoria in caso di lesioni voluminose), è indicata l'esecuzione di angioRM o angiografia cerebrale. Va però considerato che difetti focali di piccole dimensioni possono essere presenti nel 10-27% di soggetti normali e possono rappresentare piccole cisti, aree di necrosi o artefatti. La RM trova anche indicazione nel follow-up delle lesioni, in particolare dopo trattamento.
Nel caso di riscontro di macroadenoma ipofisario, è necessaria una valutazione neuro-oftalmologica mediante esecuzione di fundus e campimetria; in casi particolarmente gravi, può essere utile eseguire i potenziali evocati visivi.

 

Bibliografia

  1. Frieze TW, Mong DP, Koops MK. "Hook effect" in prolactinoma: case report and review of literature. Endocr Pract 2002, 8: 296-303.
  2. McCudden CR, Sharpless JL, Grenache DG. Comparison of multiple methods for identification of hyperprolactinemia in the presence of macroprolactin. Clin Chim Acta 2010, 411: 155-60.
  3. Casanueva FF, Molitch ME, Schlechte JA, et al Guidelines of the Pituitary Society for the diagnosis and management of prolactinomas. Clin Endocrinol  2006, 65: 265-73.
  4. Camanni F, Cannavò S, Colao A, et al. Linee di consenso diagnostico-terapeutiche: le iperprolattinemie. Documento di consenso SIE 2006.
  5. Melmed S, Casanueva FF, Hoffman AR. Diagnosis and treatment of hyperprolactinemia: an endocrine society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab 2011, 96: 273-88.
  6. Famini P, Maya MM, Melmed S. Pituitary magnetic resonance imaging for sellar and parasellar masses: ten-year experience in 2598 patients. J Clin Endocrinol Metab 2011, 96: 1633-41.
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Enrica Ciccarelli
SSD Oncologia, Ospedale Martini, Torino

(aggiornato al 1 maggio 2017)

 

L'intervento neurochirurgico è generalmente usato come seconda scelta nella terapia del prolattinoma, ma alcune analisi costo-efficacia (di confronto con la terapia farmacologica) e l'utilizzo di nuove tecniche di microchirurgia endoscopica endonasale lo hanno recentemente riproposto come primo approccio nei pazienti con microprolattinoma.
Nei microadenomi l’intervento può essere preso in considerazione in pazienti intolleranti o resistenti alla terapia farmacologica, oppure nei pazienti con ridotta compliance che non vogliano affrontare una terapia medica a lungo termine.
Deve essere posta indicazione a intervento chirurgico nel caso di rinoliquorrea, apoplessia ipofisaria con compromissione visiva grave o in caso di gravidanza con espansione del prolattinoma non responsivo alla terapia medica.
In mani esperte, l'adenomectomia selettiva, effettuata con le tecniche più moderne, del microprolattinoma induce normalizzazione della PRL nel 71-100% dei casi. Tuttavia, è documentata la possibilità di recidiva nel 20% dei casi. Nei pazienti con macroprolattinoma, la guarigione definitiva è rara, data la frequente natura invasiva nei tessuti circostanti. Fattori prognostici negativi sono l'età, il sesso maschile e l'aggressività della malattia.
Le complicanze di un intervento per via trans-sfenoidale sono assai ridotte (mentre hanno maggiore frequenza negli interventi effettuati per via trans-cranica), con differenze fra microadenoma e macroadenoma: rispettivamente, riduzione campimetrica 0.1% vs 1.5%, paresi oculomotoria 0.1% vs 0.6%, ictus 0.2% vs 0.6%, meningite 0.1% vs 0.5%, rinoliquorrea 1.9% vs 3.3%). Un diabete insipido transitorio è frequente in tutti gli operati, ma diviene permanente solo nell'1% dei macroadenomi. Ipopituitarismi multipli possono essere riscontrati nel 50% dei macroprolattinomi e solo occasionalmente nei microprolattinomi. Nei pazienti che presentino ipopituitarismo già in precedenza, è possibile verificare un peggioramento immediatamente dopo l'intervento, ma con recupero dopo il 4° mese. Pertanto, in tutti i pazienti dopo l'intervento NCH deve essere effettuato l'esame della funzionalità ipofisaria.

 

Bibliografia

  1. Gilliam MP, Molitch ME, Lombardi G, et al. Advances in the treatment of prolactinomas. Endocr Rev 2006, 27: 485-534.
  2. Jan M, Dufour H, Brue T, et al. Prolactinoma surgery. Ann Endocrinol 2007, 68: 118-9.
  3. Primean V, Raftopaulos C, Maiter D. Outcome of transfenoidal surgery in prolactinomas: improvement of hormonal control in dopaminergic agonist resistant patients. Eur J Endocrinol 2012, 166: 779-86.
  4. Tampourlou M, Trifanescu R, Paluzzi A, et al. Therapy of endocrine disease: surgery in microprolactinoma. Effectiveness and risks based on contemporary literature. Eur J Endocrinol 2016, 175: R89-96.
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Enrica Ciccarelli
SSD Oncologia, Ospedale Martini, Torino

(aggiornato al 1 maggio 2017)

 

I farmaci agonisti dopaminergici hanno modificato radicalmente la strategia terapeutica dei prolattinomi.

 

Obiettivo della terapia
Ridurre i valori di PRLemia, ridurre il volume della neoplasia (soprattutto nei pazienti con macroadenoma) e ripristinare una normale funzione gonadica.

 

Farmaci disponibili: bromocriptina e soprattutto cabergolina.
La cabergolina è attualmente il farmaco di prima scelta, per la maggiore efficacia ipoprolattinemizzante e la maggiore frequenza di shrinkage tumorale. La cabergolina è un derivato ergolinico con prolungata durata d'azione; oltre alla ben nota azione dopaminergica, possiede anche una modesta attività serotoninergica. La dose di farmaco necessaria per il controllo della malattia è generalmente di 0.25-3 mg/settimana, anche se alcuni pazienti assumono fino a 11 mg/settimana. Nelle situazioni più comuni il farmaco viene frazionato in 2-3 somministrazioni settimanali. La tolleranza del farmaco è generalmente buona, ma alcuni pazienti possono lamentare ipotensione, nausea, vomito. Recentemente è stata riscontrata la presenza di valvulopatia mitralica e/o tricuspidale, causata dalla componente serotoninergica del farmaco, in alcuni pazienti con m. di Parkinson trattati con alte dosi di cabergolina (> 3 mg/die). Tale effetto non sembra manifestarsi nelle casistiche fin qui pubblicate di pazienti con prolattinoma, che assumono in genere dosi nettamente inferiori di cabergolina, anche se per periodi molto più lunghi. Per questo motivo, è consigliabile effettuare prudenzialmente un ecocardiogramma in tutti i pazienti che assumano cabergolina, in particolare quelli trattati con dosi maggiori.
La bromocriptina, un alcaloide semi-sintetico ergotaminico, è stato il primo farmaco utilizzato per la terapia medica delle iperprolattinemie. Attualmente il suo uso è limitato ai pazienti che necessitino del farmaco in corso di gravidanza o che siano intolleranti alla cabergolina. La dose utilizzata varia da 2.5 a 50 mg/die. Il farmaco deve essere assunto in dosi crescenti, a stomaco pieno con il pasto serale (occasionalmente anche in 2-3 frazioni giornaliere) per evitare effetti collaterali importanti (ipotensione ortostatica, nausea, vomito, vertigini, naso chiuso). Circa il 5-10% dei pazienti non tollera il farmaco e pertanto è necessario il passaggio alla cabergolina.
Nei rarissimi casi di neoplasia maligna PRL-secernente, può essere utilizzata la temozolomide.

 

Risultati.
Con la terapia medica si ottiene la normalizzazione dei livelli di PRL mediamente nel 94% dei casi, mentre lo shrinkage tumorale si verifica nell'82% degli adenomi. Vi è peraltro una significativa differenza nella risposta tra i due sessi:

  • nei maschi, oltre a una maggiore presenza pre-terapia di macroadenomi con carattere di invasività (aumentati indici angiogenici, di proliferazione e di atipie cellulari nel 30% vs 8% nel sesso femminile), sono necessarie dosi di farmaco maggiori e più frequentemente si riscontrano fenomeni di resistenza;
  • il sesso femminile è invece maggiormente sensibile alla terapia: nel 63% delle donne contro il 36% dei maschi è riscontrabile una risposta alla terapia con dosi di cabergolina < 1 mg/settimana.

La menopausa, a causa della riduzione dei livelli estrogenici, sembra rappresentare un fattore positivo sulla risposta alla terapia, soprattutto nelle pazienti con microprolattinoma; è quindi indicata la sospensione della terapia dopo l'evento menopausale, per verificare la possibilità di remissione a lungo termine dell'iperPRL. Questo non si verifica usualmente nella paziente con macroprolattinoma.
Nel corso della terapia farmacologica è necessario monitorare i livelli di PRL (inizialmente frequentemente, ogni 1-2 mesi, fino al raggiungimento della normalizzazione ormonale, in seguito ogni 3-6 mesi) e la RM sellare (inizialmente ogni 3-6 mesi in rapporto alla gravità della condizione clinica; dopo lo shrinkage, annualmente).
Ancora controversa è la definizione di resistenza alla terapia medica: più frequentemente si tratta di resistenza primaria, mentre più raramente si tratta di un fenomeno di escape dopo iniziale risposta. Recenti studi hanno evidenziato una correlazione con la ridotta presenza del mRNA dell'isoforma lunga del recettore D2; sono state invece escluse altre cause, come la mancanza di efficacia per ridotto assorbimento del farmaco o un’alterazione dell'affinità recettoriale per la dopamina. Attualmente si tende a utilizzare come criteri di resistenza una dose di bromocriptina > 15 mg/die e di cabergolina > 2 mg/settimana; alcuni autori includono anche la mancata riduzione dell'adenoma alla RM. In caso di resistenza alla bromocriptina, è necessaria la sostituzione con cabergolina; nel caso di resistenza a dosi di cabergolina > 3.5 mg/settimana, occorre prendere in considerazione la neurochirurgia e/o la radioterapia.
Un tentativo farmacologico con cabergolina può avere anche un significato diagnostico: infatti, una risposta positiva con shrinkage dell'adenoma è osservabile solo nei pazienti con adenoma PRL-secernente e non negli pseudoprolattinomi (NFPA, che dovranno quindi essere operati).
Nei casi di iperPRL funzionale in assenza di sintomi clinici, è indicato solo follow-up, senza terapia. Nelle pazienti con microadenoma e amenorrea, in cui non sia presente aspettativa di gravidanza, è possibile impiegare gli estroprogestinici.
La terapia farmacologica nei pazienti con macroprolattinoma deve essere proseguita spesso indefinitamente, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi terapeutici (normalizzazione della PRL, remissione dell'adenoma). La sospensione del farmaco è spesso seguita dalla ricomparsa di iperprolattinemia. In alcuni casi particolari si è osservata la remissione (nel 20-30% dei casi), con necessità di ripresa della cura nel caso di recidiva.

 

Macroprolattinoma alla diagnosi (a) e dopo terapia dopaminergica (b). La riduzione di volume dell'adenoma porta a liberazione delle vie ottiche, mentre persiste l'invasione del seno cavernoso sinistro

 

Bibliografia

  1. Ciccarelli E, Camanni F. Diagnosis and drug therapy of prolactinoma. Drugs 1996, 51: 954-65.
  2. Webster J, Piscitelli G, Polli A, et al The efficacy and tolerability of long term cabergoline therapy in hyperprolactinemic disorders: an open, uncontrolled multicenter study. European Multicenter Study Group. Clin Endocrinol 1993, 39: 323-9.
  3. Delgrange E, Daems T, Verhelst J, et al Characterization of resistance to the prolactin-lowering effects of cabergoline in macroprolactinomas: a study in 122 patiens. Eur J Endocrinol 2009, 160: 747-52.
  4. Vasilev V, Daly AF, Vroonen L, et al. Resistant prolactinomas. J Endocrinol Invest 2011, 34: 312-6.
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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

 

Meccanismo d’azione
Legame a specifico recettore di membrana (D2) presente in tutte le cellule ipofisarie, ma soprattutto nelle cellule PRL- e GH-secernenti, dove inibisce la secrezione ormonale e la crescita tumorale.

 

Indicazioni

Tranne la prima, le altre indicazioni sono attualmente off-label (modulo consenso).

 

Contro-indicazioni

  • Psicosi in atto.
  • Raynaud.

 

Farmaci disponibili, via di somministrazione e posologia

capostipite dei dopaminergici, oggi largamente abbandonato per la sua minore efficacia e per gli effetti collaterali. Indicazioni attuali: iperprolattinemia in gravidanza (quando occorre)
iniziare la somministrazione a bassa dose (1.25 mg alla sera durante la cena); la titolazione (fino alla dose massima di 20-40 mg/die) va eseguita in base all’efficacia e alla tollerabilità (che spesso ne limita l’uso).

cominciare con 0.25 mg 1-3 volte alla settimana; la dose iniziale e la titolazione vanno scelte in base al quadro clinico e all’efficacia. Usualmente non si superano 3.5 mg/settimana, anche se non esiste una dose massima (nei pazienti resistenti). È stata dimostrata maggiore efficacia e tollerabilità rispetto alla bromocriptina. Se esiste rischio di rinoliquorrea (adenoma invasivo nel seno sfenoidale, erosione del pavimento sellare, è prudente iniziare con basse dosi per evitare la troppo rapida riduzione del volume tumorale

  • Lisuride, metergolina, quinagolide (Norprolac cp 25 µg, 50 µg, 75 µg): sono scarsamente impiegati (o non disponibili in Italia).

 

Effetti collaterali
Frequenti con bromocriptina, scarsi o assenti con cabergolina.

  • Gastroenterici: nausea, vomito, anoressia
  • Raynaud
  • Ipotensione ortostatica
  • Cefalea
  • Senso di chiusura nasale
  • Rino-liquorrea nei pazienti con riduzione volumetrica rapida di un adenoma erosivo del pavimento sellare (vedi sopra)
  • Recente segnalazione di aumento di valvulopatie nei pazienti con m di Parkinson, solo per dosi molto alte (> 3 mg/die) di cabergolina)

 

Limitazioni prescrittive
No (tranne che per le formulazioni ad alte dosi di cabergolina, da 1 mg in su, che richiedono piano terapeutico del neurologo)

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Enrica Ciccarelli
SSD Oncologia, Ospedale Martini, Torino

(aggiornato al 1 maggio 2017)

 

La radioterapia viene utilizzata solo nei casi di insuccesso della neurochirurgia e di resistenza alla terapia farmacologica, in presenza di tumori il cui volume non viene controllato dalla terapia medica per la loro aggressività locale o malignità. Non deve essere utilizzata per prevenire la recidiva tumorale post-intervento, in quanto in questi casi il controllo dell’iperprolattinemia con la cabergolina è l'indicazione terapeutica appropriata. Obiettivo della terapia radiante è l'arresto della crescita tumorale nei pazienti resistenti alla terapia farmacologica e già sottoposti a intervento chirurgico e, se possibile, la normalizzazione dell'iperprolattinemia, anche se questo viene raggiunto solo in pochi casi. Particolare attenzione va posta al trattamento di lesioni situate in stretta vicinanza al nervo ottico; in questi casi sembra preferibile un trattamento con approccio stereotassico ipofrazionato.

Per tutte le informazioni tecniche sulla radioterapia e i suoi effetti collaterali, vedi capitolo specifico.

 

Bibliografia

  1. Plowman PN, Grossman A. Radiotherapy in the treatment of pituitary tumours. Int J Rad Oncol Biol Phys 1990, 19: 229-30.
  2. Landolt AM, Lomax N. Gamma knife radiosurgery for prolactinomas. J Neurosurg 2000, 93 (suppl 3): 14-18.
  3. Puataweepong P, Dhanacai M, Hansasuta A, et al. The clinical outcome of hypofractionated stereotactic radiotherapy with cyberknife robotic radiosurgery for perioptic pituitary adenoma. Technical Cancer Res Treat 2015, 15: NP10-5.
  4. Cohen-Inbar O, Schlesinger D, Vance ML, Sheehan JP. Gamma knife radiosurgery for medically and surgically refractory prolactinomas: long-term results. Pituitary 2015, 18: 820-30.
  5. Wilson PJ, Williams JR, Smee RI. Single center experience of stereotactic radiosurgery and fractionated sterotactic radiotherapy for prolactinoma with the linear accelerator. J Med Imag Radiat Oncol 2015, 59: 371-8.
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Enrica Ciccarelli
SSD Oncologia, Ospedale Martini, Torino

(aggiornato al 1 maggio 2017)

 

È ben documentato l'effetto stimolatorio degli estrogeni sulla sintesi di PRL e sulla proliferazione delle cellule lattotrope. Durante la gravidanza fisiologica l'ipofisi normale aumenta progressivamente di volume già dalle prime settimane di gestazione e i valori di PRL aumentano progressivamente, specialmente nell'ultimo trimestre quando i valori di estrogeni sono molto elevati.
L'adenoma ipofisario PRL-secernente può aumentare durante la gravidanza per la presenza di recettori per gli estrogeni anche sulle cellule tumorali. L'aumento volumetrico è proporzionale al volume iniziale del tumore: nei microadenomi il rischio di aumento è nel 3% dei pazienti, mentre sale al 30% nei pazienti con macroadenoma. Pertanto, la gravidanza deve essere attentamente pianificata, in particolare nelle pazienti con macroadenoma, nelle quali si deve ottenere uno shrinkage della neoplasia prima del concepimento.
La terapia farmacologica del prolattinoma può essere effettuata sia con cabergolina che con bromocriptina (farmaco di più lungo impiego e con esperienza più consolidata); essa deve essere sospesa al momento dell'accertamento di gravidanza. Tuttavia, nei casi di macroadenoma in cui le dimensioni dell'adenoma siano ancora voluminose o non si siano ridotte durante il trattamento farmacologico, può essere indicato proseguire la terapia durante tutta la gravidanza. In pazienti resistenti o intolleranti alla terapia farmacologica, può essere preso in considerazione l'intervento chirurgico.

 

Nel corso della gravidanza
Nelle pazienti con microprolattinoma, generalmente è sufficiente un controllo clinico periodico (trimestrale) per valutare eventuali sintomi da espansione tumorale (cefalea, disturbi visivi o neurologici); nelle pazienti con macroprolattinoma invece, il controllo clinico dovrà essere più stretto, specialmente nell'ultimo trimestre, con controllo campimetrico ogni 2-3 mesi, quando maggiore è l'aumento degli estrogeni e il rischio di danni neurologici da ri-espansione dell'adenoma. Non sono indicati controlli di PRL nel corso della gravidanza, in quanto anche nelle gravidanze fisiologiche si osserva un incremento ormonale. In caso di evidenza clinica di espansione tumorale, può essere eseguita la RM della regione ipotalamo-ipofisaria (senza mezzo di contrasto) a partire dal 4° mese di gravidanza.
Il parto può essere espletato per via naturale nelle pazienti con microprolattinoma, mentre in quelle con macroprolattinoma la scelta deve essere valutata in base alle caratteristiche cliniche neuroradiologiche pre-gravidanza.
Nelle pazienti con microadenoma che non abbiano dimostrato complicanze nel corso della gravidanza, l'allattamento al seno viene lasciato libero, a discrezione della paziente, mentre nelle pazienti con macroadenoma andrà valutato caso per caso (è comunque sconsigliato nelle pazienti con ri-espansione tumorale nel corso della gravidanza).

 

Dopo la gravidanza.
Il controllo della PRL plasmatica e di RM ipotalamo-ipofisaria andrà eseguito 2-3 mesi dopo il parto o dopo il termine dell'allattamento al seno.
Dopo la gravidanza, circa il 25% delle pazienti con microprolattinoma ha ottenuto una persistente normalizzazione dei livelli di PRL plasmatici.

 

Bibliografia

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Clinica e diagnostica

Terapia

 

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

(aggiornato al 12 aprile 2020)

 

DEFINIZIONE ED EZIOLOGIA

L’acromegalia è una malattia cronica sistemica (1).
Nella stragrande maggioranza dei casi è causata da un adenoma ipofisario GH-secernente (macro nel 75% e micro nel 25%) (2). In rari casi (< 1%) può essere causata dalla secrezione eutopica (gangliocitoma ipotalamico) o ectopica (carcinoide polmonare o pancreatico, microcitoma polmonare) di GHRH o ancor più raramente dalla secrezione ectopica di GH (linfomi). La diagnosi di sede può anche risultare negativa (1-2%).
Nel 25% dei casi l’adenoma ipofisario può avere secrezione mista (con PRL o più raramente TSH o ACTH) (3).
L’acromegalia può essere in qualche caso (3-5%) di origine genetica (4), anche nel quadro di sindromi più complesse: MEN-1, acromegalia familiare, FIPA, complesso di Carney, s. di McCune-Albright.
Dal punto di vista morfo-strutturale si possono distinguere (sul pezzo operatorio) due tipi principali di adenoma GH-secernente, densamente granulato e sparsamente granulato, con il secondo tipo associato a maggiore aggressività biologica (5). La distinzione però non è eseguita di routine.

 

EPIDEMIOLOGIA

L’acromegalia è una malattia rara (circa il 10% di tutti gli adenomi ipofisari) (6), con una prevalenza totale fra 2.8 e 13.7 casi per 100mila abitanti e un’incidenza annuale tra 0.2 e 1.1 casi/100mila abitanti (7).
La prevalenza è omogenea fra i sessi e l’età mediana di diagnosi è nella quinta decade (3,7,8).
In passato l’acromegalia è stata associata a un aumento della mortalità (9,10), ma di recente in questi pazienti è stato dimostrato un miglioramento dell’aspettativa di vita. Questo risultato è probabilmente dovuto al migliorato controllo di malattia in seguito ai progressi delle tecniche di neurochirurgia trans-sfenoidale (TNS), all’impiego di terapie farmacologiche più efficaci e all’utilizzo di criteri più rigorosi per definire la remissione di malattia. Questo andamento è stato confermato da due meta-analisi: la prima ha dimostrato una mortalità inferiore negli studi pubblicati dopo il 1995 rispetto ai precedenti (tasso standardizzato di mortalità – SMR – 1.62 vs. 2.11, rispettivamente) (11) e la seconda ha confermato che il SMR degli acromegalici non è differente da quello della popolazione generale nei 9 studi pubblicati dopo il 2008 (12), specialmente nei pazienti controllati dal punto di vista biochimico o in quelli che utilizzano analoghi della somatostatina (SSA) come trattamento adiuvante.
La causa principale di morte negli acromegalici si sta spostando progressivamente, come nella popolazione generale, dalle malattie cardio-cerebrovascolari alle neoplasie (soprattutto del polmone, colon e mammella) (10-14).

 

QUADRO CLINICO

Lo sviluppo della malattia dipende dall’ipersecrezione di GH (sia della secrezione basale, non dosabile nel soggetto normale, che del numero dei picchi secretori giornalieri) e di IGF-I (fattore di crescita prodotto soprattutto a livello epatico ma anche ubiquitariamente a livello tissutale). Il quadro clinico, tipico quando la malattia è conclamata, comprende:

  • alterazione della fisionomia;
  • aumento delle dimensioni di mani e piedi;
  • macroglossia;
  • abbassamento della voce;
  • cefalea (indipendentemente dalle dimensioni dell’adenoma);
  • ipersudorazione;
  • poli-artrosi;
  • astenia;
  • galattorrea;
  • gigantismo in epoca pre-puberale.

Nella realtà l’insorgenza delle alterazioni è così lenta che il paziente e i suoi familiari spesso non se ne accorgono. È quindi frequente un ritardo diagnostico (8-12 anni in media, più breve nei casi aggressivi), che facilita lo sviluppo di comorbilità (1,15).

 

COMPLICANZE

Ci possono essere danni variamente combinati (1,15,16) a carico di diversi organi e apparati.

 

Complicanze cardio-vascolari
Nell’acromegalia è frequente il coinvolgimento cardio-vascolare (CV) (17).
Esiste una cardiomiopatia ipertrofica specifica, che parte dall’ipertrofia bi-ventricolare concentrica con sindrome ipercinetica e poi evolve prima a disfunzione diastolica, poi a insufficienza sistolica da sforzo fino alla cardiomiopatia dilatativa con scompenso (anche se non si arriva più come in passato alla rottura di cuore). La cardiopatia è presente già alla diagnosi fino al 50% dei casi (11,17), anche se recentemente è stata riportata una frequenza inferiore (18).
Alla cardiomiopatia si può associare un’aritmia (extra-sistolia, blocchi di branca, malattia del nodo del seno, FA parossistica, TPSV e tachicardia ventricolare), soprattutto da sforzo, e i suoi effetti possono essere peggiorati dalla contemporanea presenza di ipertensione arteriosa (11,13,17).
L’ipertensione è più frequente nell’acromegalia rispetto alla popolazione generale (prevalenza media 35%) e compare in età più precoce, anche nelle prime fasi di malattia (11,19).
La prevalenza di valvulopatia (soprattutto aortica e mitralica) è molto variabile nelle diverse casistiche, dall’11% al 78% (11, 19-21).
Non sono frequenti vasculopatia periferica e cardiopatia ischemica (18).
Aterosclerosi carotidea e disfunzione endoteliale si associano ai classici fattori di rischio cardio-vascolare (18,22).
È aumentata la frequenza di eventi cerebro-vascolari e aneurismi intra-cranici (per gli aneurismi OR 4.40 rispetto al gruppo di controllo) (23). Una nuova diagnosi di aneurisma intra-cranico è stata riportata nel 17.3% dei pazienti acromegalici di una casistica italiana (24).
Sono obbligatori diagnosi precoce, monitoraggio e trattamento dei fattori di rischio e delle malattie cardio-vascolari (25).
Il position statement AME (26) dà queste indicazioni:

  • raccomanda lo screening delle malattie CV alla diagnosi mediante la misurazione della pressione arteriosa e l’esecuzione di ECG ed ecocardiogramma (questo può essere posposto nei pazienti giovani senza evidenza di malattia CV);
  • suggerisce l’esecuzione di angio-RM alla ricerca di aneurismi intra-cranici asintomatici;
  • raccomanda il monitoraggio CV, con modalità dipendenti dalla presenza di fattori di rischio, condizioni cliniche, attività di malattia e risultati della valutazione basale.

 

Complicanze respiratorie
In relazione alle alterazioni anatomiche e della meccanica respiratoria, nell’acromegalia è frequente la sindrome delle apnee del sonno, soprattutto del tipo ostruttivo (OSAS), che aumenta ulteriormente il rischio CV: è riportata in una media del 69% dei casi, con un’ampia variabilità (i.e. 27-100%) (27). Di conseguenza, tutti i pazienti acromegalici alla diagnosi dovrebbero essere sottoposti a una valutazione del sonno, da ripetere nel corso del follow-up in caso di risultati patologici (25,28). Questa valutazione deve essere eseguita rapidamente soprattutto nei pazienti sintomatici, con obesità o gravi comorbilità CV, e in quelli con attività lavorativa che li pone a rischio di incidenti sul lavoro.
Il controllo di malattia può migliorare gli indici di gravità dell’OSAS (29). Nonostante la normalizzazione dell’ipersecrezione di GH e IGF-I porti a miglioramento dell’OSAS, in parecchi pazienti è però necessario mantenere la terapia con ventilazione a pressione positiva continua (CPAP), probabilmente per la presenza di alterazioni anatomiche irreversibili. Gli effetti positivi della CPAP sono strettamente dipendenti dalla compliance, motivo per cui è obbligatorio il follow-up regolare da parte di uno specialista.
Il position statement AME (26) raccomanda lo screening dell’OSAS attraverso la valutazione clinica e del punteggio di Epworth, da confermare preferibilmente con un esame polisonnografico formale.

 

Complicanze metaboliche
Intolleranza glucidica e diabete sono più frequenti negli acromegalici rispetto alla popolazione generale (30), con una prevalenza del 12-37%. L’ampia variabilità dipende dall’età e dalla familiarità, ma anche dalla durata e dal controllo della malattia acromegalica.
In tutti i pazienti acromegalici bisogna valutare la presenza di diabete mellito alla diagnosi e durante il follow-up. Il trattamento efficace dell’acromegalia può migliorare e anche far regredire le alterazioni del metabolismo glucidico, ma anche i farmaci impiegati nel trattamento possono talvolta influenzare tale metabolismo, in particolare pegvisomant (PegV) può migliorarlo e gli SSA possono peggiorarlo (31).
Nel 30-40% degli acromegalici sono riportate alterazioni del metabolismo lipidico, in particolare aumento di lipoproteina (a) e trigliceridi e diminuzione di colesterolo-HDL (32). Vista l’associazione di queste alterazioni con il rischio di complicanze CV e cerebro-vascolari, tutti i pazienti devono essere valutati da questo punto di vista alla diagnosi e durante il follow-up.
Il position statement AME (26):

  • raccomanda il dosaggio di glicemia a digiuno e HbA1c alla diagnosi;
  • suggerisce l’esecuzione di OGTT alla diagnosi in casi selezionati;
  • raccomanda la valutazione dell’effetto sul metabolismo glucidico dei diversi farmaci impiegati nell’acromegalia;
  • suggerisce la valutazione del profilo lipidico nei pazienti con fattori di rischio CV.

 

Rischio neoplastico
Negli studi epidemiologi recenti, in cui la mortalità degli acromegalici si è normalizzata e l’aspettativa di vita è aumentata, le cause principali di morte si sono spostate dalle complicanze CV e cerebro-vascolari alle patologie neoplastiche, come nella popolazione generale (11,12).
L’acromegalia è associata a moderato aumento del rischio oncologico (33). Una meta-analisi di 23 studi (34) ha indicato un tasso di incidenza standardizzato (SIR) di 1.5 per la totalità dei tumori, con intervallo di confidenza (IC) al 95% pari a 1.2-1.8. I dati epidemiologici e i registri oncologici di popolazione possono variare da paese a paese (35). In un recente studio italiano con una casistica di 1512 acromegalici (36), il SIR per tutte le neoplasie era significativamente aumentato in confronto alla popolazione generale (SIR 1.41, IC 95% 1.18-1.68, p < 0.001), con aumento in particolare del cancro a livello colo-rettale (SIR 1.67), renale (SIR 2.87) e tiroideo (SIR 3.99).
Le lesioni del colon associate all’acromegalia hanno alcuni aspetti particolari: rispetto alla popolazione non acromegalica, i polipi adenomatosi sono più grandi, multipli e più displasici (37). Né i livelli di GH né quelli di IGF-I sembrano correlarsi alla comparsa di cancro del colon, mentre quelli di IGF-I si correlano alla presenza di polipi. Non è ancora chiaro se, in assenza di altri fattori di rischio, lo screening tramite colonscopia debba essere effettuato in tutti i pazienti acromegalici o se sia meglio partire dopo i 40 anni. Sono disponibili solo risultati preliminari con l’utilizzo della colonografia computerizzata virtuale al posto della colonscopia in questa tipologia di pazienti.
L’apparente aumento della prevalenza di cancro della tiroide negli acromegalici può essere ascritto all’uso diffuso delle moderne tecniche diagnostiche, come nella popolazione generale (38). Rispetto a questa, nei pazienti acromegalici l’andamento clinico non è differente e la frequenza delle mutazioni di BRAF non è aumentata nel carcinoma papillare tiroideo (39).
Il position statement AME (26):

  • raccomanda l’esecuzione di pancolonscopia alla diagnosi nei pazienti acromegalici dopo i 40 anni, da anticipare in presenza di altri fattori di rischio come la familiarità, e suggerisce di ripeterla in relazione all’attività di malattia e alle linee guida della popolazione generale;
  • raccomanda l’esecuzione di ecografia tiroidea alla diagnosi nei pazienti con reperti sospetti all’esame obiettivo cervicale o con altri fattori di rischio.

 

Complicanze scheletriche
GH e IGF-I regolano l’omeostasi ossea. Anche se questi ormoni hanno effetto anabolico, che porta alla stimolazione del turnover e specialmente alla neoformazione ossea, i pazienti acromegalici hanno un’osteoporosi secondaria con aumentato rischio di frattura, anche in relazione ai differenti valori di BMD nei diversi siti scheletrici (40). Grado e durata della malattia attiva e ipogonadismo associato sono stati considerati i principali determinanti delle fratture vertebrali negli acromegalici (41). Nella prevenzione di tali fratture è quindi di importanza cruciale il controllo biochimico di malattia (42).
Negli acromegalici con fattori di rischio, quali ipogonadismo, iperparatiroidismo e trattamento sovra-fisiologico dei deficit di TSH e ACTH, è stato suggerito di valutare i livelli di vitamina D, i marcatori di turnover osseo, la densitometria con DXA, la morfologia ossea con radiografia del rachide in doppia proiezione e di correggere i fattori di rischio per malattia ossea e fratture (41,43).
La s. del tunnel carpale può colpire fino a 2/3 dei pazienti.
L’artropatia è una complicanza comune dell’acromegalia, presente già alla diagnosi nella maggior parte dei casi. È scarsamente passibile di miglioramento anche con trattamenti efficaci della malattia acromegalica e quindi costituisce uno dei principali determinanti di disabilità e peggioramento della qualità di vita, con frequente necessità di protesizzazione (44,45).
Il position statement AME (26):

  • raccomanda di eseguire una raccolta anamnestica e un esame obiettivo accurati, con la ricerca attiva dei fattori di rischio per osteoporosi e fratture patologiche;
  • raccomanda l’esecuzione di radiografia del rachide per una valutazione morfometrica e di densitometria alla diagnosi in casi selezionati, con follow-up a intervalli biennali, da eseguire in relazione ai dati strumentali iniziali, all’età e alle linee guida per la popolazione generale;
  • nei pazienti con artropatia, raccomanda una collaborazione precoce con gli altri specialisti (ortopedici, fisiatri, reumatologi).

 

QUANDO SOSPETTARE LA MALATTIA?

Oltre alle situazioni di alterazioni fisionomiche (utile controllare vecchie fotografie per valutare modificazioni fisionomiche nel tempo), sono da considerare (soprattutto se presenti in combinazione o in gruppi di età più precoci rispetto all’insorgenza nella popolazione generale) la presenza di cefalea intrattabile, ipertensione resistente, artrosi in giovane età, malocclusione, diabete mellito 2 non obeso, iperidrosi, roncopatia, sindrome del tunnel carpale.
L’acromegalia va specificamente cercata con un dosaggio di IGF-I in tutti i pazienti che presentano iperprolattinemia patologica o con adenoma ipofisario anche di riscontro incidentale.

 

 

DIAGNOSI

Livelli ormonali
La secrezione di GH del soggetto normale (ma anche dell’acromegalico) può essere variabile nei diversi giorni e nella stessa giornata (picchi secretori). La sua secrezione è normalmente modificabile dai neuro-ormoni ipotalamici e dal glucosio. Il prelievo singolo è quindi poco utile, a meno che non sia molto basso o molto alto (se > 40 ng/mL non necessita di conferma). Va comunque ricordato che, quando il sospetto clinico è fondato, l’acromegalia si può accompagnare anche a valori di GH non particolarmente elevati (2-3 ng/mL). Il termine “micromegalia” definisce un’acromegalia a bassa attività secretoria, in cui i livelli di IGF-I sono modicamente aumentati e quelli medi di GH sono bassi (intorno a 1 ng/mL), con la mancanza delle fisiologiche fluttuazioni nell’ambito indosabile.
Allo scopo di facilitare confronto e interpretazione, è attualmente raccomandato l’uso di metodi di dosaggio del GH calibrati con la preparazione di riferimento internazionale 98/574 per hGH ricombinante 22 kDA (46).
Esistono alcune condizioni fisiologiche e patologiche in cui i livelli di GH sono elevati senza che vi sia acromegalia (vedi tabella 1), ma in tutte queste (tranne l’ipertiroidismo) i livelli di IGF-I sono bassi.

 

Tabella 1
Aumento dei livelli di GH
Condizioni fisiologiche Picchi secretori
Digiuno
Esercizio fisico
Stress
Ragazzi alti
Sonno
Stati patologici Diabete mellito tipo 1
Epatopatie
Insufficienza renale cronica
Depressione
Malnutrizione
Disturbi del comportamento alimentare
Ipertiroidismo

 

La secrezione di IGF-I è più costante nella giornata e dipendente da GH, età, sesso, stato nutrizionale, funzione epatica, ambiente estrogenico. Il dosaggio di IGF-I è il singolo dosaggio più utile nella diagnosi, con una correlazione semi-lineare con i valori medi di GH (arriva a plateau per valori di GH intorno a 20 ng/mL). Bisogna però fare attenzione al laboratorio (non tutti dispongono di un dosaggio adeguato), alla necessità di paragonare i valori a quelli di un gruppo di soggetti normali di pari età (nel soggetto normale i valori diminuiscono con l’avanzare dell’età, mentre le differenze di sesso sono clinicamente rilevanti solo in epoca peri-puberale) e ai possibili fattori interferenti (vedi tabella 2).

 

Tabella 2
Interferenze sui livelli di IGF-I
Livelli aumentati Pubertà
Periodo post-puberale
Ragazzi/e alti/e
Gravidanza
Livelli diminuiti Malattie acute
Malattie sistemiche
Insufficienza epatica
Insufficienza renale
Diabete mellito tipo 1
Digiuno
Malnutrizione
Estrogeni esogeni (o SERM)

 

 

Come fare la diagnosi di malattia
Livelli di GH e IGF-I spiccatamente elevati sono sufficienti a porre la diagnosi di acromegalia. Nel caso in cui i valori di IGF-I non siano dirimenti, è consigliabile ripetere il dosaggio nello stesso laboratorio o in un altro laboratorio che usi un metodo di dosaggio differente. Altrimenti, la diagnosi deve essere confermata con OGTT.
L’OGTT per GH è un test di II livello, che diventa inutile per la diagnosi di malattia (mantiene l’utilità solo per valutare la tolleranza glucidica) allorchè, in presenza di contesto clinico, sono già patologici IGF-I e GH basali. Anche nei casi in cui è utile farlo, si osservano falsi positivi, cioè mancata soppressione (tabella 3) (47).

Sono considerati diagnostici per acromegalia la combinazione di mancata soppressione del GH (< 1 ng/mL o anche inferiore, fino a < 0.2 ng/mL, se si utilizzano dosaggi ultra-sensibili) (48,49) e aumento dei livelli di IGF-I rispetto ai limiti per età e sesso (50,51).
 

Tabella 3
Mancata soppressione del GH in corso di OGTT
Ragazzi alti
Adolescenza
Diabete mellito
Insufficienza epatica
Insufficienza renale
Malnutrizione
Anoressia nervosa
Depressione
Tossicodipendenza da eroina

 

 

Come monitorare l’attività di malattia
Nella pratica clinica corrente l’IGF-I è l’unico parametro utilizzabile per monitorare l’efficacia della terapia nei pazienti trattati con PegV.
Non è ancora definitivamente accertato se livelli di IGF-I lievemente al di sopra dell’intervallo di riferimento rappresentino un reale fattore di rischio sulla mortalità e per la morbilità correlata alle complicanze sistemiche della malattia (50,51); valori < 120-130% ULNR possono essere considerati accettabili, data la variabilità individuale spontanea o in casi specifici come il paziente anziano asintomatico. La diminuzione di IGF-I dopo intervento neurochirurgico può essere lenta, con stabilizzazione raggiunta di solito entro 3 mesi.
Il dosaggio di GH può essere utilizzato nel follow-up per definire il controllo di malattia del paziente acromegalico, tranne che in corso di terapia con PegV: la malattia può essere definita in remissione o controllata in presenza di livelli puntiformi di GH < 1.0 ng/mL (o inferiori, fino a < 0.2 ng/mL, con metodiche ultra-sensibili) (50).
È stato suggerito di impiegare lo stesso metodo di dosaggio per GH e IGF-I nel corso del follow-up del singolo paziente acromegalico (51).
L’uso dell’OGTT è raccomandato per valutare i risultati neurochirurgici (con gli stessi cut-off utilizzati in fase diagnostica) (28,50), mentre non ha nessun ruolo nel follow-up dei pazienti in trattamento farmacologico con SSA (52). Dopo l’intervento neurochirurgico, i risultati dell’OGTT sono attendibili già a una settimana nei pazienti che non erano stati trattati con terapia GH-soppressiva in fase pre-operatoria.

 

Con che frequenza ripetere gli esami?
Gli esami ormonali vanno ripetuti in rapporto all'attività dell’ipersecrezione ormonale o alla sua remissione:

  • quando il paziente è in remissione post-chirurgica, la cadenza del follow-up deve essere annuale, mediante il dosaggio di IGF-I;
  • quando il paziente è in trattamento farmacologico, la frequenza può essere molto più ravvicinata, in rapporto alla titolazione del dosaggio dei farmaci (vedi paragrafi specifici) oppure più allungata, nei casi di controllo stabile della malattia.

 

Interpretazione dei casi con valori discrepanti di GH e IGF-I
Al di là dei problemi analitici correlati ai dosaggi, in alcune situazioni si possono trovare valori discordanti di GH e IGF-I: gravidanza, fase post-operatoria precoce dopo adenomectomia, diabete mellito, insufficienza renale o epatica, malnutrizione, terapia estrogenica orale (53). Tale discrepanza è riportata in circa il 25% dei casi (54) ed è attribuita soprattutto all’uso di metodi ultra-sensibili di determinazione del GH e al trattamento con SSA.
Il position statement AME (26):

  • raccomanda di utilizzare sia GH che IGF-I nella diagnosi e nel follow-up dei pazienti acromegalici (solo IGF-I nei trattati con PegV);
  • raccomanda la normalizzazione dei livelli di IGF-I per età come obiettivo di ogni trattamento e suggerisce di considerare accettabili in alcuni pazienti valori di IGF-I < 120-130% ULNR;
  • nel caso di discrepanza fra i livelli di IGF-I e GH, suggerisce di considerare più attendibile il valore di IGF-I;
  • suggerisce che tutti gli specialisti che seguono pazienti acromegalici abbiano ben presenti le caratteristiche e i limiti dei metodi impiegati per il dosaggio di GH e IGF-I;
  • durante il follow-up del singolo paziente, suggerisce che GH e IGF-I vengano misurati con lo stesso metodo e possibilmente nello stesso laboratorio (questa sarebbe stata una raccomandazione forte ma è stata diminuita di grado per le limitazioni della vita reale).

 

Diagnostica strumentale
La RM ipofisaria deve essere eseguita con apparecchiature ad alto campo, almeno 1.5 T, prima e dopo iniezione di Gadolinio, utilizzando piani coronali e sagittali, con sequenze T1- e T2-pesate. Lo spessore degli strati ipofisari deve essere di 2-3 mm.
Anche se l’invasione del seno cavernoso può essere valutata con buona accuratezza, sensibilità e specificità sono inversamente correlate e dipendono dai diversi criteri radiologici: i parametri più specifici sono la carotide interna intra-cavernosa completamente circondata da tessuto tumorale e l’obliterazione del compartimento venoso inferiore (55).
È stato riportato che durante terapia con SSA gli adenomi ipointensi in T2 hanno migliore soppressione dei valori di GH e IGF-I e più accentuata riduzione del volume tumorale rispetto a quelli iperintensi (56).
Nei pazienti acromegalici con contenuto sellare aumentato omogeneamente, senza chiara evidenza di adenoma, bisogna sospettare e ricercare una secrezione ectopica di GHRH, inizialmente con TC toraco-addominale, seguita poi da diagnostica per immagini medico-nucleare. La secrezione ectopica di GHRH è dimostrata definitivamente con il dosaggio dei livelli circolanti di GHRH, che però non è ampiamente disponibile.
La tempistica per il follow-up neuroradiologico post-neurochirurgia deve essere individualizzata in relazione ai risultati ormonali:

  • pazienti con risposta patologica di GH a OGTT: la RM può essere eseguita a 3-4 mesi dall’intervento (per permettere l’eliminazione della componente edematosa);
  • in quelli con normalizzazione ormonale: si può tranquillamente eseguire a 6 mesi.

Il follow-up neuroradiologico in corso di terapia farmacologica deve prevedere sempre il confronto dell’immagine attuale non solo con la precedente ma anche con la prima post-chirurgica, per valutare piccole variazioni progressive del volume tumorale.
Nei pazienti con remissione ormonale persistente dopo neurochirurgia e in quelli con malattia stabilmente controllata dalla terapia farmacologica, la tempistica dei controlli RM può essere progressivamente allungata con sicurezza, anche fino alla sospensione, dato che la dissociazione tra il controllo ormonale e quello tumorale è una possibilità molto remota. Visto il dibattito sugli effetti a lungo termine dell’esposizione a Gadolinio, si può ipotizzare l’uso di RM senza contrasto nel follow-up di pazienti con malattia stabilizzata, in cui sia ben chiara la posizione del residuo tumorale.
La RM non è solitamente necessaria in gravidanza e nel post-partum. Deve essere presa in considerazione (ed essere eseguita senza Gadolinio) solo in circostanze particolari, come malattia non controllata in peggioramento con grave cefalea, deficit visivo o paralisi dei nervi cranici.
È raccomandata l’esecuzione di campimetria nei casi di macroadenoma contiguo alle vie ottiche.
Per gli esami strumentali relativi alle complicanze, vedi i relativi paragrafi.

 

QUANDO PENSARE A UN'ORIGINE GENETICA?

Bisogna sospettare una base genetica in alcune situazioni cliniche:

  • acromegalici giovani (< 30 anni), specialmente in caso di gigantismo (in questo gruppo le forme genetiche possono essere fino al 50% dei casi), particolarmente se prima dei 10 anni;
  • acromegalia presente in più membri della stessa famiglia;
  • altri tipi di adenoma ipofisario presenti in altri membri della famiglia;
  • contemporanea presenza di clinica suggestiva per MEN-1 o altre patologie multi-organo (Carney, McCune-Albright) (tab 4).

È obbligatorio raccogliere un’anamnesi familiare e personale dettagliata, eseguire un esame obiettivo accurato e la misurazione della calcemia per la valutazione dell’iperparatiroidismo (e quindi di una potenziale MEN-1).
In questi casi, è opportuno eseguire una valutazione genetica in base al sospetto clinico, ma questa è opportuno venga eseguita nei pochi centri di riferimento in grado di dare risposte attendibili.

 

Tabella 4
Forme familiari di acromegalia
(modificata da 57)
Gene implicato Prevalenza nell’acromegalia Fenotipo (oltre all’acromegalia)
AIP 50% in FIPA omogenei
4% in acromegalia apparentemente sporadica
FIPA, pazienti più giovani, tumori invasivi, poco responsivi a SSA
MEN-1 1.2% MEN-1: iperparatiroidismo e tumori neuroendocrini pancreatici
CDKN1B Rara MEN-4: iperparatiroidismo e tumori neuroendocrini pancreatici
PRKARIA 65% dei pazienti con complesso di Carney Complesso di Carney: mixomi cardiaci e cutanei, PPNAD e lesioni pigmentate di cute e mucose
SDHx Rara Sindrome delle 3 P: PGL/Feocromocitoma
GPR101 0-4.4% X-LAG (gigantismo a insorgenza molto precoce)
GNAS 40% Sindrome di McCune-Albright

 

Nella maggior parte dei casi familiari (50-86%) è presente un macroadenoma, con andamento aggressivo/invasivo in circa il 31-50% dei casi.
Le indagini genetiche devono essere eseguite secondo questa falsariga:

  • in tutti i casi di FIPA e gigantismo ricercare le mutazioni di AIP (in questo ambito sono riportate fino al 50% dei casi);
  • nel caso di accelerazione della crescita staturale nella prima infanzia sospettare X-LAG;
  • nell’appropriato contesto clinico sospettare altre sindromi MEN.

Bisogna eseguire uno screening nei parenti dei portatori del gene mutato, perché gli esiti sono migliori nel caso di malattia diagnosticata a seguito di screening (58).

 

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

(aggiornato al 12 aprile 2020)

 

Obiettivi
Studi epidemiologici hanno dimostrato che la maggiore mortalità che si osserva nella malattia attiva viene ricondotta a quella della popolazione di controllo se si riportano i livelli di GH sotto 2-2.5 µg/L e si normalizzano quelli di IGF-I per gruppo di età (1).
Il trattamento ideale (2-5) normalizza rapidamente l’ipersecrezione di GH e IGF-I, elimina il tumore e i sintomi e segni della malattia acromegalica, fa regredire le comorbilità, riporta la mortalità a quella della popolazione di riferimento e migliora la qualità della vita (QoL), che può essere misurata con un questionario specifico (AcroQOL). Nonostante i fenomenali progressi degli attuali trattamenti rispetto a quanto disponibile in passato, siamo ancora ben lontani dall’aver raggiunto tutti questi obiettivi.
Ogni paziente di nuova diagnosi dovrebbe essere indirizzato a un’equipe multi-disciplinare con esperienza nel trattamento degli adenomi ipofisari, che comprenda almeno endocrinologi, neuroradiologi, neurochirurghi e radioterapisti (6).
Le 3 opzioni terapeutiche disponibili, neurochirurgica, farmacologica e radiante, non sono da considerare come mutuamente esclusive, ma come integrate e complementari.

 

Strategia terapeutica
La gestione terapeutica del paziente acromegalico richiede una strategia personalizzata che tenga conto di (2,3,7,8):

  • caratteristiche cliniche del paziente (età, comorbilità);
  • aspetto neuroradiologico dell’adenoma ed entità della secrezione ormonale;
  • caratteristiche della malattia (aggressività);
  • aspettative del paziente (desiderio di fertilità, accettazione dell’indicazione chirurgica).

L’intervento TNS eseguito da un neurochirurgo esperto è la modalità di trattamento primaria per la maggior parte dei pazienti, con micro-o macro-adenoma, specialmente nel caso vi siano complicanze neurologiche (danno visivo, ipertensione endocranica, coinvolgimento dei nervi cranici), perché è l’unica potenzialmente in grado di guarire definitivamente l’acromegalia. Il reintervento deve essere proposto solo ai pazienti in cui il primo intervento è stato inefficace con voluminoso residuo, o nel caso molto raro di tumore aggressivo non controllabile con la terapia farmacologica.
Nei pazienti con adenoma ampiamente invasivo e prevedibile insuccesso neurochirurgico, o condizioni cliniche scadute o che rifiutano l’intervento, bisogna proporre una terapia farmacologica primaria. Gli SSA depot di prima generazione ottengono i migliori risultati e devono essere somministrati alla dose massimale per ottenere la massima inibizione di GH/IGF-I.
La cabergolina deve essere riservata ai pazienti con ipersecrezione lieve di GH/IGF-I, indipendentemente dai livelli di PRL.
Nei pazienti non sottoposti a neurochirurgia, in cui il trattamento farmacologico primario non è riuscito a ottenere livelli di IGF-I <120-130% ULNR e/o a tenere sotto controllo le dimensioni tumorali, deve essere raccomandato l’intervento TNS.
Nei pazienti con persistenza di valori patologici di GH/IGF-I dopo neurochirurgia, deve essere avviato il trattamento farmacologico con SSA depot di prima generazione o cabergolina (questa in caso di ipersecrezione lieve), in mono-terapia o in combinazione in caso di risposta parziale agli SSA. Ai pazienti che non raggiungono l’obiettivo terapeutico con questa strategia, devono essere proposte due alternative:

  • pasireotide LAR, indipendentemente dalla resistenza totale o parziale agli SSA di prima generazione;
  • PegV, in mono-terapia o in combinazione con SSA nel caso sia presente un voluminoso residuo tumorale.

In questa scelta bisogna prendere in considerazione diversi fattori: compenso gluco-metabolico, dimensioni e localizzazione del residuo tumorale, costo dei farmaci e preferenze individuali.
Nei pazienti con cefalea non responsiva agli SSA di 1° generazione è fortemente raccomandato l’utilizzo di pasireotide LAR.
Nei pazienti con minimo residuo chirurgico che vogliono evitare una terapia farmacologica a lungo termine, la radiochirurgia rappresenta un’opzione eccellente. I pazienti con attività di malattia persistente o crescita tumorale nonostante chirurgia e terapia farmacologica, devono essere irradiati con la tecnica appropriata in relazione a dimensioni e localizzazione del residuo tumorale.
La strategia individualizzata per la gestione terapeutica dell’acromegalia deve sempre considerare il costo complessivo di ogni scelta. Questo non si deve limitare a considerare solo il prezzo grezzo di ogni farmaco (o procedura), ma deve sempre prevedere una valutazione integrata di eventuali effetti collaterali, QoL, trattamento delle comorbilità, giorni lavorativi persi, ecc.

Riassumendo, si deve proporre:

  • come prima terapia:
    • la neurochirurgia nei pazienti con:
      • complicanze neurologiche, con l’obiettivo di migliorare acutamente il quadro neuro-oftalmologico (anche se l’intervento non può ottenere la guarigione);
      • adenoma non invasivo, sia micro- che macro-, senza comorbilità (con l’obiettivo della guarigione);
    • la terapia farmacologica con SSA depot di prima generazione in caso di:
      • adenoma invasivo (in cui la guarigione chirurgica è improbabile);
      • condizioni cliniche scadute;
      • rifiuto della chirurgia;
      • mancanza di chirurgo valido (se il paziente non può essere inviato in una sede più adeguata);
    • come terapia adiuvante (in caso di persistenza di malattia dopo chirurgia):
      • SSA depot di prima generazione, che dopo debulking efficace (> 75%) normalizzano frequentemente l’ipersecrezione (9,10);
      • cabergolina in caso di acromegalia lieve (11);
      • nei casi di resistenza/intolleranza agli SSA: pegvisomant o pasireotide LAR;
      • la radioterapia nei casi di inefficacia o rifiuto delle terapie precedenti o quando il paziente voglia evitare una terapia cronica.

Caso particolare è quello della terapia in gravidanza e degli adenomi aggressivi.

 

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

(aggiornato al 12 aprile 2020)

 

L’intervento TNS, con tecnica microscopica o endoscopica, è la procedura di scelta ogni volta che sia praticabile, in grado di guarire definitivamente l’acromegalia con effetti immediati (1,2).

 

Obiettivo
Asportazione completa dell’adenoma GH-secernente, con eliminazione dell’effetto massa e conservazione della funzione ipofisaria.

 

Tecnica
L’intervento è praticabile per via trans-sfenoidale (TNS) con approccio microscopico o endoscopico secondo preferenza ed esperienza del chirurgo; solo in casi rari viene utilizzata la via trans-cranica.

 

Risultati
La percentuale di successo dipende (3-7) da:

  1. soprattutto invasività del tumore (c’è un progressivo peggioramento dei risultati se si passa dai microadenomi o macroadenomi completamente intra-sellari, ai tumori ad estensione extra-sellare, soprattutto nel seno cavernoso che è la localizzazione critica per la scarsa resecabilità, agli adenomi giganti);
  2. livelli pre-operatori di GH (le percentuali di guarigione sono inversamente proporzionali ai livelli di GH);
  3. esperienza del neurochirurgo (questo fattore influenza anche la prevalenza di effetti collaterali).

I lavori più recenti dei neurochirurghi con alti volumi operatori riportano percentuali di remissione post-chirurgica fino al 75% per i macroadenomi non invasivi e fino all’85% per i microadenomi (8-10). Il tasso di remissione in caso di invasione del seno cavernoso è complessivamente del 40%, che si azzera in caso di invasione di grado 4 secondo Knosp (8,11).
I tassi di remissione sono molto inferiori (dal 20% al 37%) nel mondo reale, cioè secondo quanto riportato nei registri di malattia che combinano i risultati di chirurghi con diversi gradi di esperienza (12). Questo sottolinea la necessità di inviare i pazienti presso centri di riferimento con alti volumi.
Non esistono studi prospettici di confronto dei risultati fra le tecniche microscopica ed endoscopica, ma gli studi retrospettivi non hanno dimostrato differenze (13).
Per quanto riguarda il deficit visivo, questo migliora o si normalizza nella stragrande maggioranza dei casi, se non è passato troppo tempo dalla sua insorgenza (più di qualche settimana).
La funzione ipofisaria migliora o viene normalizzata nel 35-45% dei pazienti con deficit, non si modifica in metà e può peggiorare nel 2-6% dei casi senza deficit pre-chirurgico (2,14).

 

Come preparare il paziente all’intervento
Se è necessaria una decompressione chirurgica urgente per gravi problemi oftalmici o neurologici, c’è solo il tempo di valutare la funzione surrenalica e tiroidea, instaurando una terapia sostitutiva in caso di dimostrato deficit. È comunque vero che in tali casi si somministreranno steroidi a dosi generose, a scopo anti-edemigeno, by-passando del tutto il problema.
È stato suggerito che un trattamento pre-chirurgico con SSA possa migliorare la radicalità della resezione chirurgica (15), ma i dati disponibili non sono a favore dell’utilizzo routinario di tale pratica (1,15-24). Il trattamento pre-chirurgico può essere preso in considerazione per ridurre la morbilità peri-operatoria, in caso di pazienti con gravi complicanze cardio-vascolari o respiratorie dipendenti dall’acromegalia (1,15), anche se i dati pubblicati in proposito sono contrastanti (25).
Nei portatori di adenomi invasivi con risposta solo parziale agli SSA, si può considerare l’opportunità di un debulking chirurgico, che può portare a una migliore risposta post-operatoria agli SSA e fornire materiale per le analisi patologiche (1,26,27).

 

Dove e come operare
È opportuno che il paziente in cui una valutazione inter-disciplinare abbia posto indicazione all’intervento, venga avviato ad un centro con esperienza specifica di chirurgia ipofisaria, dove un singolo neurochirurgo abbia maturato una sufficiente esperienza e casistica personale (almeno 25 interventi ipofisari/anno). Bisogna evitare sia di mandare il paziente dal chirurgo “sotto casa”, sia di inviarlo a quei centri dove si alternano parecchi chirurghi, nessuno dei quali potrà accumulare esperienza specifica (28).

 

Come e quando valutare il risultato dell’intervento
Attenzione: il paziente acromegalico operato con successo ha una diuresi molto attiva nei giorni successivi all’intervento, perché elimina i liquidi accumulati dalla malattia. Questa situazione non deve essere confusa con un diabete insipido post-operatorio: anche in presenza di poliuria, il paziente acromegalico operato non è polidipsico e la sodiemia si mantiene normale.
I risultati dell’intervento sono valutati dosando i livelli di IGF-I (che devono essere analizzati in relazione all’età) e la soppressione di GH dopo OGTT. Il cut-off che distingue la guarigione chirurgica è stato progressivamente abbassato, con il miglioramento delle conoscenze fisiopatologiche, l’affinamento delle tecniche NCH e l’incremento della sensibilità dei dosaggi di GH. Attualmente è stato fissato a 0.4 ng/mL (29).
Il momento giusto per la valutazione del risultato dipende da quello che è stato fatto prima dell’intervento.

  • In tutti i casi, valutare l’eventuale danno della funzione ipofisaria (come negli interventi NCH per ogni tipo di adenoma) con un prelievo in 2°-3° giornata per cortisolemia e FT4.
  • Nei pazienti che non hanno fatto trattamento farmacologico GH-soppressivo pre-chirurgico, la valutazione del GH dopo OGTT è attendibile già dopo una settimana dall’intervento (30).
  • Nei pazienti pre-trattati, vista la coda dell’effetto farmacologico, è opportuno rimandare la valutazione a 6-12 settimane (intervallo più lungo nei pazienti trattati più a lungo).
  • Il dosaggio dell’IGF-I può non essere dirimente fino a 3 mesi dopo l’intervento.
  • Il controllo della RM va fatto non prima di 3-4 mesi, per evitare immagini difficilmente valutabili dovute a processi infiammatori, di cicatrizzazione e rimaneggiamento del materiale posto dal neurochirurgo per chiudere la breccia ossea e durale, ma può essere tranquillamente posposto a 6 mesi in quelli che hanno ottenuto la normalizzazione ormonale (31).

 

Come e per quanto tempo proseguire il follow-up dopo chirurgia
Nei pazienti in remissione al controllo post-operatorio (GH < 0.4 ng/mL, IGF-I normalizzata) è opportuno proseguire un follow-up di minima, perché sono descritte recidive fino al 15% dei casi (32), anche se in realtà sono molto rare nei pazienti che raggiungono il cut-off di 0.4 ng/mL. Potrebbe essere sufficiente il solo dosaggio annuale di IGF-I; se sono presenti difficoltà metodologiche del dosaggio, è consigliabile aggiungere il dosaggio del GH dopo OGTT almeno ogni 2 anni.
Nei pazienti in remissione clinica e biochimica e in cui la prima immagine RM post-chirurgica era negativa, non è necessario fare una valutazione neuro-radiologica seriata (31), perché in ogni caso l’eventuale ripresa di malattia verrà intercettata dagli esami ormonali prima che si possano avere problemi di massa tumorale.

 

Come comportarsi nei casi ambigui
Nella maggior parte dei casi è possibile dare un giudizio sulla guarigione o persistenza della malattia dopo 3-4 mesi dall’intervento. Nei casi di persistenza, bisognerà decidere con quale terapia proseguire, tenendo presente che se c’è stato un efficace debulking del tumore (di almeno ¾ della massa tumorale), la terapia farmacologica con gli analoghi della somatostatina può diventare più efficace e normalizzare i valori di IGF-I, anche se come primo trattamento non aveva raggiunto la normalizzazione dei valori ormonali (26,33).
In circa il 30% dei pazienti esiste discrepanza fra i valori di GH e IGF-I dopo l’intervento (34). I valori di IGF-I sono più legati all’attività clinica di malattia e quindi da considerare con maggiore sospetto. Al contrario, la mancata soppressione di GH con IGF-I normale, se si escludono possibili fattori interferenti sul dosaggio di IGF-I, è probabilmente da attribuire a problemi metodologici. In entrambi i casi, comunque, il paziente va tenuto sotto controllo attento, ripetendo gli esami ogni 3-6 mesi fino a chiarire l’evoluzione (35).

 

Re-intervento
È un’opzione praticabile nel caso di voluminosi tumori intra-sellari persistenti o recidivanti, resistenti ai trattamenti farmacologici disponibili, anche se è gravato da una percentuale di complicanze lievemente superiore (36-38).

 

Il position statement AME (32):

  • raccomanda di inviare il paziente a un’equipe neurochirurgica esperta;
  • raccomanda la neurochirurgia come prima linea se l’adenoma è totalmente resecabile ed è prevedibile la remissione ormonale o se l’adenoma provoca effetto massa, in particolare deficit campimetrico;
  • suggerisce la chirurgia di debulking nei pazienti resistenti alle terapie farmacologiche.

 

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

(aggiornato al 12 aprile 2020)

 

I farmaci attualmente disponibili appartengono a 3 differenti categorie: analoghi della somatostatina (SSA) di 1° e 2° generazione, antagonisti del  recettore del GH e dopaminergici.
Nel considerare i risultati di ognuno, è opportuno ricordare che l’ambiente estrogenico influenza i risultati della terapia: le donne in età fertile possono necessitare di dosi inferiori di farmaco (1), mentre il trattamento estrogenico per via orale (per es., la pillola contraccettiva) o i SERM (2) possono influenzare il risultato della terapia, abbassando ulteriormente i livelli di IGF-I.

 

ANALOGHI DELLA SOMATOSTATINA (SSA) DI PRIMA GENERAZIONE

Octreotide e lanreotide sono SSA di prima generazione, approvati da oltre 30 anni per il trattamento dell’acromegalia (3). Entrambe le molecole si legano ai recettori della somatostatina (SSTR) di tipo 2 (e 5) sulle cellule adenomatose (4). È stato anche dimostrato un effetto diretto di inibizione periferica della sintesi di IGF-I a livello epatico (5).
Gli SSA di prima generazione possono essere usati in tutti i pazienti (6-8), sia come terapia primaria (intesa sia primo trattamento alla diagnosi che come unico trattamento della malattia) che adiuvante (dopo neurochirurgia inefficace e/o in attesa dei risultati della radioterapia).

 

Efficacia
Octreotide e lanreotide inibiscono efficacemente l’ipersecrezione ormonale nella maggior parte dei pazienti, fino a ottenere livelli di IGF-I normali (o pressoché normali) in circa metà dei casi (4,9), senza tachifilassi anche dopo molti anni di trattamento (10). È opinione comune che non ci sia differenza reale di risposta alle due molecole, anche se il passaggio dall’una all’altra può essere utile in alcuni pazienti che lamentano effetti collaterali (11,12).
L’efficacia nel controllo ormonale non è differente tra i pazienti in precedenza sottoposti a intervento neurochirurgico e quelli trattati farmacologicamente in prima battuta (13).
Il miglioramento clinico e ormonale decorre in modo parallelo, con marcato miglioramento o addirittura scomparsa di sintomi e segni di malattia e comorbilità sistemiche (a livello cardiaco, respiratorio, metabolico), almeno in quei pazienti che non sono arrivati a stadi avanzati di irreversibilità (la poli-artrosi degenerativa avanzata difficilmente può migliorare) (14-17).
Gli SSA controllano la crescita tumorale in tutti i pazienti acromegalici (nel corso di questa terapia non si verifica praticamente mai la crescita di volume dell’adenoma). Nella maggior parte dei pazienti, soprattutto nei primi mesi di trattamento, si ottiene una riduzione del volume dell’adenoma (18,19), che può essere rapida e progressiva (20). La riduzione volumetrica tumorale è più frequente e quantitativamente più marcata nei pazienti in cui gli SSA sono impiegati come terapia primaria (17,18,20).

 

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Figura 1. Paziente acromegalico di 38 anni in cui la terapia con octreotide LAR ha ottenuto una progressiva riduzione di un voluminoso macroadenoma ad espansione sovrasellare fino all'empty sella in 24 mesi.

 

Le riduzioni ormonali e volumetriche di solito sono concomitanti, ma in alcuni casi può esserci una netta dissociazione, cioè normalizzazione ormonale senza nessuna variazione volumetrica o, ancor più raramente, scarse modificazioni ormonali con netta riduzione di volume (21,22).

 

Come prevedere la risposta al trattamento
Età e sesso non influenzano la risposta al trattamento con SSA, mentre è più controverso il ruolo degli alti livelli di GH (23,24).
La risposta del GH a un test acuto con octreotide non viene più impiegata come criterio predittivo di risposta a lungo termine (25), poiché alcuni pazienti non responsivi alla somministrazione acuta si sono poi dimostrati sensibili alla terapia cronica, anche se l’assenza completa di risposta può essere utile per identificare i pochi pazienti totalmente resistenti.
I livelli di GH/IGF-I ottenuti dopo 3-6 mesi di terapia sono predittivi del successo terapeutico a lungo termine (20,23):

  • se c’è stata una buona soppressione rispetto ai livelli iniziali, anche senza aver ancora raggiunto la normalizzazione, c’è un’alta probabilità che questa venga raggiunta proseguendo la terapia;
  • al contrario, in quei casi in cui non si sono verificate modificazioni significative (diminuzione dei livelli di GH inferiore al 20-30%), è inutile proseguire ed è meglio perseguire strategie alternative.

È stato segnalato che i pazienti con ipointensità del tessuto adenomatoso alla RM con le sequenze T2 hanno migliore soppressione ormonale e riduzione volumetrica durante il trattamento con SSA (26-28).
Alcuni parametri saranno disponibili solo dopo intervento neurochirurgico (solo se è disponibile un laboratorio avanzato):

  • l’aspetto dei granuli di secrezione all’esame ultra-strutturale (non è più necessaria a questo scopo la microscopia elettronica) permetterà di distinguere fra i pazienti con alta probabilità di rispondere positivamente agli SSA (adenomi con granuli densi) e quelli con bassa probabilità (adenomi con granuli sparsi) (29);
  • l’espressione di SSTR2 a livello delle cellule adenomatose può essere utile per identificare i pazienti con maggiore probabilità di risposta agli SSA (30);
  • mutazioni di gsp sono apparentemente associate a risposta positiva agli SSA (31);
  • la presenza di una forma troncata di SSTR5 è associata a resistenza (32).

 

Molecole, dosi, monitoraggio
Octreotide e lanreotide sono disponibili in formulazioni depot a diverso dosaggio, da iniettare ogni 28 giorni:

  • octreotide LAR fl im da 10, 20, 30 mg;
  • lanreotide autogel fl sc da 60, 90, 120 mg.

Octreotide è disponibile anche in formulazione short-acting, da 50, 100, 200 µg/mL, da iniettare sc e da impiegare in casi particolari.

Si inizia abitualmente con la dose media (LAR 20 mg/28 gg o ATG 90 mg/28 gg), che viene aggiustata in relazione al risultato ottenuto dopo 3 mesi:

  • se i livelli di IGF-I sono rientrati nel range di normalità (o vi si sono avvicinati molto), proseguire con questa dose;
  • se la terapia è solo parzialmente efficace (non ha ottenuto la normalizzazione dei valori di IGF-I), aumentare la dose (a 30 mg/28 gg di octreotide LAR o a 120 mg/28 gg di lanreotide autogel);
  • se i livelli di IGF-I sono scesi al di sotto del 50% del range di normalità, diminuire la dose (a 10 mg/28 gg di octreotide LAR o a 60 mg/28 gg di lanreotide autogel), oppure allungare l’intervallo di somministrazione (di una settimana ogni 3 mesi, cioè iniettare il farmaco ogni 35, 42, 49, 56 gg), in maniera da stabilizzare i livelli di IGF-I fra il 25% e il 50% del limite massimo di normalità (33).

Nei casi particolarmente attivi (livelli ormonali molto alti, quadro clinico importante, tumore con iniziale impegno delle vie ottiche in cui vi sia qualche controindicazione alla chirurgia o i tempi di attesa dell’intervento si prolunghino), può essere utilizzata da subito la dose maggiore (octreotide LAR 30 mg o lanreotide autogel 120 mg), oppure può essere utile, dopo aver praticato la prima iniezione del long-acting, che richiede una settimana circa per raggiungere livelli terapeutici efficaci, somministrare contemporaneamente per 1-2 settimane 1 fl di octreotide sc ogni 8 ore per accelerare l’effetto del trattamento.
Per ottenere un miglior controllo ormonale nei pazienti parzialmente resistenti, si può aumentare la quantità di farmaco somministrata: l’aumento di dose è efficace con entrambe le molecole (per octreotide LAR è autorizzata la dose fino a 40 mg/28 giorni), mentre l’accorciamento dell’intervallo fra le somministrazioni è efficace solo con lanreotide ATG (120 mg/21 giorni) (34,35).
Per valutare l’efficacia della terapia, si misurano i livelli plasmatici di GH e IGF-I su campioni prelevati subito prima della successiva somministrazione del farmaco, a intervalli di 3 mesi nella fase di titolazione e ogni 6-12 mesi a dosaggio stabilizzato.
Gli analoghi short-acting hanno ancora un ruolo importante nella terapia della cefalea acromegalica e spesso sono l'unico rimedio efficace in questa complicazione invalidante (anche se oggi vale la pena di provare pasireotide, vedi oltre). Talvolta è necessaria la loro somministrazione per via sc continua con un micro-infusore.

 

Effetti collaterali
Sono tollerati molto bene anche durante terapie molto prolungate.
Fastidio in sede di iniezione e disturbi gastro-enterici sono solitamente di intensità lieve-moderata e tendono a scomparire con le iniezioni successive (14).
La colelitiasi è frequente ma raramente è sintomatica o richiede chirurgia in urgenza (36) e obesità e dislipidemia sembrano giocare un ruolo importante. È opportuno rimarcare che la colelitiasi sintomatica è invece frequente dopo sospensione degli SSA, perché si ripristina la contrattilità della colecisti che a quel punto è piena di bile densa o calcoli (37).
Gli effetti sul metabolismo glucidico sono ampiamente variabili ma raramente di rilevanza clinica (38). La comparsa o il peggioramento del diabete sono soprattutto a carico dei pazienti resistenti agli SSA o di quelli con familiarità diabetica. Una recente meta-analisi sugli effetti degli SSA sul metabolismo glucidico (39) concludeva che il parametro maggiormente coinvolto è la glicemia post-prandiale, che dovrebbe quindi essere l’obiettivo di farmaci mirati, come quelli che agiscono sul sistema delle incretine (40). È comunque esperienza comune che non è solitamente necessaria una terapia anti-diabetica aggressiva nei pazienti con modesto peggioramento del metabolismo glucidico in corso di terapia cronica con SSA.

 

SSA DI SECONDA GENERAZIONE

Pasireotide è un SSA multi-ligando, in grado di attivare differenti recettori (SSTR5, SSTR2, SSTR1, SSTR3) con differenti affinità.
Dopo alcuni studi pre-clinici e aperti, uno studio multi-centrico prospettico randomizzato di confronto diretto ha dimostrato la superiorità di pasireotide LAR rispetto a octreotide LAR nel controllo dell’ipersecrezione ormonale (41). Quello studio ha suscitato molto scalpore, perché i risultati di pasireotide LAR erano sovrapponibili a quanto comunemente osservato in precedenza con gli SSA di 1° generazione, mentre i risultati di octreotide LAR erano decisamente peggiori.
Il successivo studio PAOLA (42) ha arruolato pazienti parzialmente resistenti agli SSA di 1° generazione a dose massimale, e li ha randomizzati a pasireotide LAR o al proseguimento del trattamento precedente. Pasireotide LAR è risultato decisamente migliore, con risultati persistenti fino a 24 mesi (43,44). Anche un recente studio retrospettivo “real life” (45) ha dimostrato la normalizzazione di IGF-I in 19/35 pazienti che non erano adeguatamente controllati con octreotide. Dato oltremodo interessante era la completa scomparsa della cefalea nei pazienti che ne soffrivano. Gli effetti di pasireotide sulla cefalea refrattaria sono stati riportati anche da altri autori e un recente position paper del gruppo di Rotterdam raccomanda l’uso di questo farmaco per la cefalea non responsiva agli SSA di 1° generazione (46).
Il differente assetto molecolare degli SSTR, in particolare di SSTR5, nell’adenoma potrebbe spiegare la risposta differente a pasireotide rispetto agli SSA di 1° generazione.
Gli effetti collaterali di pasireotide sono simili a quelli degli SSA di 1° generazione, con l’eccezione di alterazioni glicemiche più frequenti e più gravi, soprattutto in quei pazienti che già prima del trattamento avevano uno screzio glicemico (glicemia a digiuno > 100 mg/dL) e/o erano in trattamento con farmaci anti-diabetici. Le alterazioni glicemiche non sono correlate all’efficacia del trattamento sull’acromegalia (47). È quindi imperativo ottimizzare le terapie anti-diabetiche prima di iniziare il trattamento con pasireotide ed eseguire uno stretto monitoraggio dei livelli glicemici fin dalle prime settimane di trattamento (48).
Pasireotide LAR è autorizzato per il trattamento dell’acromegalia nel caso la neurochirurgia non sia indicata o non abbia avuto successo e nel caso le terapie farmacologiche alternative non siano state efficaci o non siano tollerate.
Pasireotide LAR è disponibile in fiale iniettabili intramuscolo ogni 28 giorni, ai dosaggi di 20, 40 e 60 mg.

 

ANTAGONISTA DEL RECETTORE DEL GH

Pegvisomant (PegV) è una molecola di GH modificata, in grado di legarsi al suo recettore ma non di attivare i meccanismi post-recettoriali (49). Si comporta quindi come un antagonista funzionale, bloccando la sintesi e provocando la diminuzione dei livelli circolanti di IGF-I.
PegV è autorizzato in Italia per i pazienti acromegalici con malattia ancora attiva dopo intervento neurochirurgico, se gli SSA non sono efficaci o tollerati o in attesa del risultato delle terapie radianti.
In corso di terapia con PegV l’attività di malattia può essere valutata dal punto di vista biochimico solo con il dosaggio di IGF-I (il GH tende ad aumentare specularmente alla diminuzione dell’IGF-I e con i dosaggi commerciali verrebbe dosato anche il farmaco) (50).

 

Efficacia
Negli studi registrativi la mono-terapia con PegV ha ottenuto la normalizzazione di IGF-I nel 63-97% dei casi (51,52), con un parallelo miglioramento di sintomi e segni della malattia e della QoL. La molecola è efficace anche nel controllo delle complicanze cardio-vascolari e scheletriche della malattia (50).
Rispetto agli studi registrativi, la percentuale di successo negli studi osservazionali è inferiore (53): nella pratica clinica la normalizzazione di IGF-I si raggiunge in meno del 65-70% dei casi, dato attribuito a inadeguata titolazione della dose.
Il trattamento con PegV si accompagna di solito a miglioramento del metabolismo glucidico (54,55). Si può quindi prendere in considerazione questo trattamento di seconda linea nei diabetici, soprattutto nel caso di scompenso metabolico in corso di trattamento con SSA.

 

Molecola e dosi
Pegvisomant fl da 10, 15, 20, 25, 30 mg, da iniettare sottocute tutti i giorni.
La dose iniziale è di 10 mg/die, da incrementare in relazione ai risultati, a intervalli mensili, aumentandola di 5 mg/die ogni 4-6 settimane, fino a ottenere la normalizzazione dei livelli di IGF-I.
Secondo le indicazioni del foglietto illustrativo, la dose massima autorizzata è di 30 mg/die, ma sono stati riportati casi in cui il successo terapeutico è stato ottenuto con la somministrazione off-label di dosi fino a 40-60 mg/die. Il successo terapeutico è stato talora ottenuto somministrando una o due volte alla settimana la dose cumulativa settimanale (anche in questo caso off-label).
Le dosi più alte possono essere necessarie nei maschi e nei pazienti con diabete, obesità o livelli molto alti di GH (53).
A equilibrio raggiunto, si consiglia il monitoraggio ogni 6-12 mesi.

 

Indicazioni e precauzioni
PegV è autorizzato in Europa solo come trattamento adiuvante, cioè nei pazienti con persistenza di attività di malattia, già sottoposti in precedenza a terapia neurochirurgica e/o radiante e resistenti/intolleranti agli SSA.
PegV può essere particolarmente indicato nei pazienti con alterazioni del metabolismo glucidico, perché migliora la sensibilità all’insulina (55).
Dal punto di vista della sicurezza, anche se PegV non ha azione a livello dell’adenoma, nel corso degli studi osservazionali a lungo termine le dimensioni tumorali sono rimaste stabili nella maggior parte dei casi (53). Raramente (circa 3% dei casi) è stato riportato un incremento clinicamente significativo del volume tumorale, attribuito alla storia naturale dell’adenoma o alla sospensione di un precedente trattamento con SSA, che aveva ottenuto una riduzione di tale volume. In alcuni casi è stata invece osservata una riduzione delle dimensioni tumorali. È sempre raccomandata la sorveglianza con RM, soprattutto nei casi con voluminoso residuo tumorale e malattia aggressiva, non precedentemente irradiati.
In meno del 3% dei pazienti è stato riportato un transitorio aumento degli enzimi epatici in corso di terapia con PegV, soprattutto nei maschi, nei diabetici, nei portatori di s. di Gilbert e nei pazienti che fanno terapia combinata con SSA. Si raccomanda uno stretto monitoraggio clinico e biochimico (anche settimanale) nei casi in cui gli esami di funzione epatica aumentano di oltre tre volte sopra il limite superiore dell’intervallo di normalità, con sospensione quando le transaminasi sono > 3-5 volte il limite massimo di normalità: una volta ottenuta la normalizzazione delle transaminasi dopo sospensione del trattamento, PegV può essere nuovamente somministrato. Negli altri casi si può proseguire la terapia, rallentando il ritmo di incremento del dosaggio o tornando per qualche settimana al dosaggio inferiore, in attesa della normalizzazione delle transaminasi, ripartendo poi con una prudente e lenta titolazione della dose.
Viene raccomandata la rotazione dei siti in cui praticare l’iniezione, per minimizzare il rischio di lipo-ipertrofia.

 

DOPAMINO-AGONISTI

Efficacia
La terapia dopaminergica è spesso efficace sui sintomi, ma normalizza l’ipersecrezione ormonale solo in alcuni casi. Una metanalisi (56) ne ha confermato l’utilità in circa un terzo dei casi, se usata in mono-terapia. Può essere associata agli altri farmaci (vedi oltre).
In alcuni casi ottiene anche una riduzione del volume tumorale.

 

Molecole e dosi
Le molecole utilizzabili sono:

  • bromocriptina cp 2.5, 5 e 10 mg
  • cabergolina cp 0.5 mg.

Cabergolina è più efficace e meglio tollerata. È consigliabile partire con la somministrazione di ½ cp da 0.5 mg alla sera durante il pasto, da aumentare progressivamente (½ cp in più alla settimana) fino alle dosi massime tollerate o a 0.5 mg/die. È consigliabile eseguire il primo controllo di efficacia (se non ci sono problemi di tollerabilità) quando si è raggiunta la dose di 1.5 mg/settimana.

 

Indicazioni e precauzioni
Da utilizzare soprattutto come terapia adiuvante nei pazienti con ipersecrezione ormonale moderata. La presenza di iperprolattinemia associata non è pre-requisito per il suo impiego. In ogni caso si tratta di terapia off-label (serve quindi consenso informato e non è rimborsabile dal SSN).
Recentemente sono stati avanzati dubbi sulla sicurezza di questo trattamento a lungo termine, a seguito delle osservazioni nei pazienti con m. di Parkinson trattati con cabergolina ad alte dosi (> 3 mg/die), in cui è stato riportato un aumento dell'incidenza di valvulopatie, con un effetto additivo di dosi di farmaco e tempi prolungati di somministrazione (57). Le dosi impiegate nell’acromegalia sono sicuramente inferiori alle alte dosi utilizzate nel Parkinson, però va ricordato che la terapia va portata avanti per lungo tempo e i pazienti acromegalici hanno talvolta un’intrinseca predisposizione alle valvulopatie, correlata alla malattia. Anche se non è stato trovato un aumento della prevalenza di valvulopatie nei pazienti endocrinopatici trattati con cabergolina (58), è comunque opportuno valutare preliminarmente la situazione valvolare con un’ecocardiografia (che dovrebbe rientrare comunque nella stadiazione delle complicanze di malattia). Nel caso di lesioni valvolari conclamate clinicamente o emodinamicamente rilevanti, la terapia è da ritenersi controindicata. L’ecocardiografia dovrà essere ripetuta nel tempo, a intervalli congrui con il rischio di partenza (più frequentemente nei pazienti con qualche lesione di partenza) e con la dose di farmaco impiegata: dopo 6 mesi in chi assume 0.5 mg/die, ma non prima di 24 mesi in chi assume 1 mg/settimana.

 

 

INDICAZIONI DEL POSITION STATEMENT AME (7) SULLE MONO-TERAPIE FARMACOLOGICHE

Raccomandiamo di iniziare il trattamento farmacologico con un SSA di prima generazione.
Suggeriamo di trattare con pasireotide LAR i pazienti resistenti agli SSA di prima generazione, se hanno normale equilibrio gluco-metabolico.
Raccomandiamo di trattare con PegV i pazienti resistenti o intolleranti agli SSA dopo intervento neurochirurgico non risolutivo o in attesa degli effetti delle terapie radianti.
Raccomandiamo uno stretto monitoraggio precoce dei livelli glicemici in corso di terapia con pasireotide.
Suggeriamo di considerare la terapia con pasireotide negli acromegalici con cefalea resistente.
Raccomandiamo l’utilizzo del solo IGF-I per monitorare l’efficacia di PegV.
Raccomandiamo il monitoraggio regolare del volume tumorale, soprattutto nei pazienti con voluminoso residuo e malattia clinicamente aggressiva.
Raccomandiamo il monitoraggio dei test di funzione epatica all’inizio del trattamento con PegV e durante le fasi di titolazione del dosaggio.

 

I FARMACI POSSONO ESSERE COMBINATI?

La combinazione di due farmaci diversi, che agiscono in maniera additiva o sinergica, può migliorare l’efficacia, ridurre gli effetti collaterali delle singole molecole, diminuire la frequenza delle iniezioni e/o la dose di farmaco, migliorare la compliance a lungo termine, e perfino ridurre i costi. Non sono disponibili RCT che abbiano valutato terapie farmacologiche combinate per l’acromegalia.

SSA + Cabergolina
L’aggiunta di cabergolina agli SSA in pazienti parzialmente resistenti ha portato alla normalizzazione dei livelli di IGF-I nel 30-45% dei casi (56,59,60). È importante sottolineare che né i livelli di PRL, né la positività immuno-istochimica per PRL, né l’espressione di D2R sono predittivi dell’efficacia del trattamento con cabergolina (60,61).

SSA + PegV
Parecchi studi hanno dimostrato che in pazienti considerati parzialmente resistenti agli SSA, l’aggiunta di PegV (anche con uno schema di somministrazione una o due o tre volte a settimana) porta alla normalizzazione dei livelli di IGF-I nel 62-100% dei casi (62-68). Anche l’associazione con pasireotide LAR ha avuto successo in piccole casistiche (69,70).
Questa combinazione avrebbe il vantaggio di consentire il controllo anche della crescita tumorale in quei pazienti in cui questo può costituire un problema di rilievo (residuo voluminoso o comunque in vicinanza delle vie ottiche).
Visto il lievitare dei costi (si tratta di farmaci entrambi molto costosi), la sua rimborsabilità SSN è fonte di controversie con le autorità regolatorie, anche se a questa combinazione si dovrebbe ricorrere solo in una piccola minoranza di pazienti nell’ambito di una patologia rara ed è segnalata la possibilità di ridurre le dosi di entrambi i farmaci e/o l’allungamento dell’intervallo tra le iniezioni di PegV (a giorni alterni o anche in mono-somministrazione settimanale).
Secondo i dati disponibili, l’associazione di SSA e PegV è da prendere in considerazione nei pazienti con risposta parziale agli SSA e nei pazienti con voluminoso residuo tumorale che non hanno raggiunto il controllo ormonale.

Pegvisomant + Cabergolina
Anche se non sono ancora disponibili dati conclusivi (71), l’associazione di PegV e cabergolina può essere presa in considerazione nei pazienti con modesto aumento dei livelli di IGF-I in corso di mono-terapia con PegV o in quelli con ipersecrezione mista GH-PRL.

Il position statement AME (7):

  • suggerisce un trattamento combinato per migliorare l’efficacia o ridurre gli effetti collaterali associati ai singoli farmaci, diminuire la frequenza delle iniezioni e/o la dose dei farmaci, migliorare la compliance e ridurre i costi;
  • nel caso vi sia l’indicazione a una terapia farmacologica combinata, suggerisce la somministrazione di una combinazione con efficacia dimostrata: SSA + cabergolina o SSA + PegV.

 

 

QUALE FARMACO SCEGLIERE?

Vale quasi sempre la pena di partire con un farmaco in mono-terapia. Nel paziente acromegalico “tipo”, il farmaco di prima scelta è un SSA di 1° generazione. Infatti, gli altri farmaci hanno indicazioni particolari:

  • cabergolina (o bromocriptina) si impiega nel paziente con ipersecrezione modesta, nella speranza di riuscire a ottenere gli obiettivi terapeutici con un farmaco impiegato per via orale (la sua prescrizione è off-label);
  • pasireotide è autorizzato solo nel paziente in cui l’intervento chirurgico non è indicato o non è stato efficace, se gli SSA di 1° generazione non hanno raggiunto la normalizzazione ormonale;
  • pegvisomant è autorizzato solo come terapia di 3° linea, quindi nel paziente già operato e/o irradiato, resistente o intollerante agli SSA.

Il riscontro sul pezzo operatorio dei recettori per somatostatina, in particolare il sottotipo SSTR2, sembrerebbe associato alla successiva risposta alla terapia con SSA (72). In realtà questa determinazione non è eseguita routinariamente.
Sono pochi gli studi comparativi diretti fra octreotide LAR e lanreotide autogel. La scelta si basa su esperienza personale, tollerabilità (può capitare che un paziente tolleri il secondo farmaco dopo aver avuto effetti collaterali con il primo) (11,12) e maneggevolezza: lanreotide autogel è preparato in siringhe pre-riempite da iniettare sc, quindi più facile da utilizzare senza assistenza infermieristica, mentre octreotide LAR deve essere preparato sul momento (la diluizione del farmaco richiede attenzione).

 

PROSPETTIVE PER NUOVI FARMACI O FORMULAZIONI

Sono in cantiere nuove modalità di trattamento che potranno essere disponibili nei prossimi anni: octreotide orale alla dose di 40-80 mg/die (73), SSA a lunga durata d’azione con iniezioni trimestrali di 84 mg (74), oligonucleotidi anti-senso (75).

 

COME MONITORARE GLI EFFETTI DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA

Controlli dell’ipersecrezione ormonale e della funzione ipofisaria:

  • dosare GH e IGF-I (in corso di pegvisomant solo IGF-I; in caso di ipersecrezione associata, anche gli altri ormoni coinvolti):
    • in fase di titolazione del farmaco a intervalli trimestrali;
    • successivamente ogni 6 mesi (o anche annualmente nei pazienti stabili, ben controllati);
  • funzione ipofisaria: per i pazienti ipopituitarici vedi il capitolo ipopituitarismo, per gli irradiati vedi radioterapia nell’acromegalia. Nei pazienti con funzione ipofisaria normale, non irradiati e in cui la terapia farmacologica per il controllo dell’acromegalia ha successo, non serve ricontrollare gli esami di funzione ipofisaria annualmente, ma basta farlo ogni 2-3 anni (specialmente in quelli operati).

 

Controlli biochimici:

  • metabolismo glucidico: glicemia a digiuno e HbA1c, a intervalli inizialmente trimestrali e successivamente semestrali;
  • profilo lipidico: secondo il profilo di rischio individuale.

 

Controlli neuroradiologici: ripetere RM ipofisi:

  • nei pazienti denovo dopo 3 e 12 mesi e in seguito in base al comportamento ormonale;
  • negli operati dopo il 1° controllo post-operatorio ripetere a 1 anno e poi se in remissione ormonale non serve ripetere il controllo;
  • in terapia farmacologica ogni 12-24 mesi, sempre in base al comportamento ormonale.

 

Controlli comorbilità:

  • nei pazienti trattati con SSA, ecografia addominale a intervalli annuali (associare terapia con sali biliari in caso di fattori di rischio per colelitiasi o evidenza di fango biliare all’ecografia);
  • per le altre comorbilità, vedi capitolo clinica e diagnosi dell’acromegalia.

 

 

I FARMACI POSSONO ESSERE SOSPESI?

I farmaci sono in grado di tenere sotto controllo l’attività di malattia ma non di guarirla. Al di là di sporadiche segnalazioni (76,77), quando la terapia farmacologica viene sospesa (anche dopo lungo tempo), si osserva la progressiva ripresa dapprima dell’ipersecrezione ormonale, poi dell’attività di malattia e da ultimo della ricrescita tumorale (78,79). Quindi, di regola non ha senso provare a sospendere la terapia nel paziente che non abbia subito trattamenti ablativi.

 

 

COSA FARE NEI PAZIENTI RESISTENTI

Per resistenza al trattamento si intende il mancato raggiungimento degli obiettivi terapeutici, cioè la mancata normalizzazione dell’ipersecrezione di GH/IGF-I o la crescita del tumore dopo un periodo di trattamento di alcuni mesi a dosi piene di farmaco (4,80). Le strategie terapeutiche nei pazienti resistenti possono essere diverse.

  1. Nei pazienti trattati con SSA cambiare analogo: in alcuni casi il passaggio da un analogo all'altro può migliorare la soppressione di GH/IGF-I.
  2. Nei pazienti mai operati cambiare strategia terapeutica: il paziente con parziale responsività a un primo trattamento con SSA, può normalizzare i valori ormonali con un secondo ciclo di SSA dopo intervento (81,82).
  3. Associare diversi farmaci: vedi sopra.
  4. Usare dosaggi non convenzionali: è stato riportato che l’utilizzo di dosi potenziate (fino a 60 mg di octreotide LAR ogni 28 gg) riesce a normalizzare una certa porzione di pazienti con resistenza parziale (34). Siamo comunque nell’ambito dell’off-label.
  5. Sospendere l'SSA impiegato e iniziare PegV.
  6. Nei pazienti con adenoma aggressivo/carcinoma è stato approvato l’uso della temozolomide.
  7. Anche per l’acromegalia (come già per altri tumori) sono stati segnalati casi di efficacia di terapia radio-recettoriale con somatostatina radio-marcata (in analogia a quanto si fa con il radioiodio nei tumori tiroidei differenziati).

 

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Octreotide e lanreotide

Pasireotide

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

 

Meccanismo d’azione
Legame a specifici recettori di membrana (SSTR-2 e 5) presenti sulle cellule ipofisarie e variamente accoppiati ad inibizione della secrezione e/o della proliferazione cellulare.

 

Indicazioni

 

Contro-indicazioni
Nessuna.
Porre attenzione nei pazienti diabetici (per soppressione della secrezione anche di insulina) o con litiasi biliare (per soppressione della colecistochinina e inibizione della motilità colecistica e intestinale).

 

Farmaci disponibili, via di somministrazione e posologia

 

Effetti collaterali

  • Dolori addominali e diarrea
  • Dolore o granuloma in sede di iniezione
  • Colelitiasi (raramente colecistite acuta)
  • Possibile deterioramento del metabolismo glucidico
  • Alopecia
  • Malassorbimento vitamine liposolubili
  • Bradicardia
  • Ipotiroidismo centrale

 

Limitazioni prescrittive
Abolita la nota AIFA 40 da novembre 2016, rimane piano terapeutico.

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

 

Meccanismo d’azione
Analogo modificato del GH, che agisce come antagonista a livello del suo recettore, blocca la sintesi di IGF-I nei tessuti bersaglio del GH. Questa azione si svolge a livello di tutti i tessuti, è indipendente dalla presenza di recettori specifici a livello ipofisario e si accompagna ad aumento dei livelli circolanti di GH per la riduzione del feed-back dell’IGF-I.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Somavert fl 10, 15, 20, 25, 30 mg, iniezione sottocutanea quotidiana.

 

Indicazioni
Acromegalia e gigantismo ancora attiva dopo intervento neurochirurgico di adenomectomia e/o radioterapia, in paziente resistente o intollerante a SA e/o DA.

 

Contro-indicazioni
Da impiegare con cautela nei pazienti con residuo post-chirurgico voluminoso vicino alle vie ottiche o con epatopatia.

 

Effetti collaterali

  • Possibile incremento delle dimensioni dell’adenoma, specialmente nei pazienti con adenoma aggressivo non radio-trattato e/o in quelli con precedente riduzione del volume tumorale durante terapia con SA
  • Tossicità epatica: aumento delle transaminasi (significativo: > di 3 volte il limite superiore di riferimento), indipendente dalla dose e dalla durata (effetto idiosincrasico), che talvolta regredisce senza richiedere la sospensione del trattamento
  • Lipodistrofia in sede di iniezione
  • Cefalea

 

Precauzioni
Conservare in frigorifero, al riparo dalla luce

 

Limitazioni prescrittive
Dal 1 dicembre 2012, in fascia A con piano terapeutico.

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

(aggiornato al 12 aprile 2020)

 

TECNICHE

Le tecniche utilizzate hanno subito una grandissima evoluzione negli anni, ma quelle attualmente impiegate si possono distinguere in 2 grandi categorie:

  • radioterapia frazionata (FRT), in cui la dose radiante viene somministrata in modo refratto in più sedute, con lo scopo di interferire con il ciclo cellulare delle cellule tumorali (che hanno una maggior velocità di replicazione rispetto alle cellule normali);
  • radiochirurgia (RS), in cui viene somministrata un’alta dose radiante collimata sulla forma del tumore in unica soluzione (o al massimo in 2 o 3 sedute), con lo scopo di ottenere la radionecrosi del tessuto patologico, risparmiando quello sano circostante.

Non è più attualmente impiegata (per i pesanti effetti collaterali) l’irradiazione interstiziale ottenuta con l’impianto stereotassico diretto nel tumore di aghi radioattivi (di solito caricati con 90Y).
Efficacia (e sicurezza) dei trattamenti radianti sono dipendenti dalla dose impiegata, dall’apparecchiatura e dall’operatore.

 

RADIOTERAPIA FRAZIONATA

Risultati
C’è una dissociazione fra il controllo della crescita tumorale (che è ottenuto in tutti i pazienti irradiati) (1) e la normalizzazione dei valori ormonali, che è molto lenta e variabile nelle differenti casistiche (5-78%). La variabilità può dipendere da dosi e tecniche, dai criteri di valutazione dei risultati e dalla lunghezza del follow-up.

Viene riportato che i valori di IGF-I si normalizzano (1,2):

  • a 2 anni in < 10%;
  • a 5 anni nel 23-60%;
  • a 10 anni nel 16-74%;
  • a 15 anni nel 61-84%.

I valori ormonali al momento dell’irradiazione sono un fattore critico per la risposta: più sono alti e più lungo sarà il tempo trascorso prima della normalizzazione (3).

 

Effetti collaterali
La radioterapia può provocare grave tossicità, direttamente correlata alla dose per frazione e alla dose totale (maggiore la dose, maggiore la tossicità). La complicanza più frequente è l’ipopituitarismo, la cui prevalenza aumenta con gli anni (4):

  • a 5 anni è presente nel 37-57%;
  • a 10 anni nel 50-78%;
  • a 15 anni nel 75-85%.

La comparsa dell’ipopituitarismo segue una sequenza tipica: prima l’ipogonadismo, poi l’ipotiroidismo e l’iposurrenalismo, alla fine può comparire anche il deficit di GH (4).
Oltre all’ipopituitarismo, si possono avere:

  • danno visivo (fino al 2% dei casi);
  • aumentato rischio (quadruplicato) di malattia cerebro-vascolare, con aumento della mortalità (RR 1.6-2.7) rispetto ai pazienti non irradiati (5-9);
  • peggioramento della QOL, indipendentemente da fattori confondenti come età e ipopituitarismo (10,11);
  • comparsa di secondo tumore intra-cranico (meningiomi, sarcomi, gliomi, con un rischio totale del 2% a 20 anni, e RR di 10-24 vs. controlli) (12);
  • disfunzione neuro-cognitiva non ancora valutata e quantificata appropriatamente.

 

RADIOCHIRURGIA

Anche se sono disponibili altri generi di apparecchiatura, ognuno con suoi specifici vantaggi e limiti (cyber-knife -13-, acceleratore lineare -14,15-, proton-beam -16,17), la maggior parte degli studi nell’acromegalia sono stati eseguiti con gamma-knife (18-24), a cui ci riferiremo.

Risultati
Dopo 3 anni dal trattamento con gamma-knife, il 50% degli acromegalici ottiene la remissione ormonale, percentuale che arriva al 65% dopo 10 anni (25).
Nella stragrande maggioranza dei casi l’irradiazione ottiene il controllo delle dimensioni tumorali.

Effetti collaterali
Anche l’ipopituitarismo si sviluppa progressivamente, comparendo a 6 anni dal trattamento nel 30% di coloro che già non ne erano affetti (26). L’ipopituitarismo compare in modo proporzionale all’efficacia del trattamento (a maggiore remissione di malattia corrisponde maggiore comparsa di ipopituitarismo).
Si sta ancora valutando la tossicità a lungo termine (oltre 10 anni) dell’irradiazione sul tessuto cerebrale (27): le alterazioni neuroradiologiche della sostanza bianca nei pazienti irradiati rappresentano motivo di preoccupazione per quanto riguarda funzione cognitiva, alterazioni vascolari e sviluppo di secondo tumore.
È stato riportato danno visivo anche per dosi basse (addirittura con 0.7 Gy, 28), a dimostrazione del fatto che il danno radio-indotto sul tessuto nervoso è stocastico (anche se diminuisce al diminuire della dose, non esiste una vera soglia di sicurezza) (29). I nervi nel seno cavernoso sono più radio-resistenti degli ottici e non sono mai stati riportati danni (30). Pazienti a maggior rischio sono quelli con pregressa irradiazione o comorbilità, come danno pre-esistente dei nervi cranici, diabete mellito e vasculopatie.
La durata del follow-up post-GK è ancora troppo breve nella maggior parte delle casistiche per poter escludere con sicurezza l’assenza di danni cerebro-vascolari o di secondi tumori a distanza (31).

 

QUALE PAZIENTE AVVIARE ALLA TERAPIA RADIANTE

Alla luce della grande efficacia dei trattamenti farmacologici nel controllare la malattia acromegalica, della lunga latenza degli effetti e delle preoccupazioni sulla tossicità a lungo termine, l’irradiazione deve essere riservata ai pazienti con malattia aggressiva, a quelli con resistenza o intolleranza ai farmaci, oppure proposta a quelli che desiderano ottenere una cura definitiva, eliminando i problemi correlati a una terapia farmacologica che deve essere prolungata per tutta la vita (32).

 

SCELTA DEL CENTRO E DELLA TECNICA DI IRRADIAZIONE

Prima di tutto bisogna scegliere un centro con esperienza adeguata nel trattamento di piccole lesioni intra-craniche (e non solo con esperienza oncologica).
La scelta fra radio-terapia frazionata (FRT) e radio-chirurgia (RS, con gamma-knife, cyber-knife o proton beam) dipende dalle caratteristiche del tumore (dimensioni del residuo e vicinanza alle vie ottiche) e dalla disponibilità locale:

  • la RS consente la somministrazione di una dose maggiore al bersaglio, ma è praticabile solo su un residuo tumorale piccolo, con una distanza minima di 2-3 mm dalle vie ottiche;
  • la FRT, al giorno d’oggi da impiegare sempre con modalità stereotassiche, va riservata ai pazienti con residui di dimensioni maggiori o non ben delimitabili dalle vie ottiche.

Una recente meta-analisi (33) di 30 studi con 2464 pazienti ha confrontato i risultati di FRT e RS. Anche se il confronto diretto è reso difficile dai diversi livelli di ipersecrezione ormonale e volume irradiato, sembra che la RS si associ a migliore soppressione dei livelli di IGF-I e maggior tasso di remissione, ma tale tendenza non è significativa. L’ipopituitarismo sembra meno frequente dopo RS che dopo FRT, ma anche in questo caso la differenza non è significativa.

 

COME PREPARARE IL PAZIENTE ALL’IRRADIAZIONE

Uno studio retrospettivo (34) aveva indicato come più efficace l’irradiazione somministrata in assenza di concomitante terapia GH-soppressiva (la cellula attiva sarebbe più radio-sensibile di quella inibita funzionalmente). Tali dati non sono mai stati confermati, ma è diventato uso comune quello di sospendere la terapia GH-soppressiva prima dell’irradiazione:

  • dopamino-agonisti e gli SSA a breve durata d’azione: due settimane prima;
  • SSA depot: due mesi prima.

Non vi sarebbe comunque nessun razionale per sospendere il pegvisomant nei pazienti che lo assumono.

 

IL FOLLOW-UP

Nell’attesa dell’efficacia, riprendere la terapia farmacologica (se era stata sospesa) per sopprimere l’ipersecrezione ormonale.
Modalità per i successivi controlli:

  • se i livelli di IGF-I scendono sotto la mediana dell’intervallo di normalità in corso di trattamento farmacologico, provare a ridurre il dosaggio ed eventualmente sospenderlo (cabergolina o pegvisomant per un mese, SSA depot per 3 mesi) e poi eseguire controllo mensile della secrezione di GH/IGF-I, riprendendo la terapia al primo controllo che risulta patologico;
  • se la terapia farmacologica non ottiene il controllo dell’ipersecrezione, non serve sospenderla, ma eseguire solo il controllo della funzione ipofisaria.

Gli esami per la valutazione della funzione ipofisaria (per rilevare tempestivamente la necessità di iniziare una terapia sostitutiva per l’ipopituitarismo nel caso non sia già in corso, 34) vanno eseguiti dopo 6 e 12 mesi dall’irradiazione e poi una volta all’anno, con il dosaggio di:

  • FT4 e cortisolemia in tutti;
  • testosterone nei maschi;
  • gonadotropine nelle femmine solo quando lamentano la comparsa di alterazioni mestruali.

La terapia ormonale sostitutiva è da introdurre obbligatoriamente in coloro i cui valori sono chiaramente al di sotto del range di riferimento, ma potrebbe essere iniziata anche in quei pazienti i cui valori mostrano una discesa continua pur non essendo ancora arrivati a livelli francamente patologici.
Anche dopo la remissione dell’acromegalia, con la normalizzazione confermata di IGF-I in assenza di terapia GH-soppressiva, continuare il monitoraggio annuale di IGF-I (oltre che della restante funzione ipofisaria), per poter cogliere il momento in cui testare per l’insorgenza di deficit di GH (e l’inizio di un’eventuale terapia sostitutiva con GH).
Devono essere effettuati controlli della RM:

  • all’inizio su base annuale per vedere gli effetti della terapia radiante sulle dimensioni del residuo tumorale;
  • ogni 5 anni è opportuno valutare l’intero encefalo, per cogliere tempestivamente la possibilità di un tumore secondario.

 

LE INDICAZIONI DEL POSITION STATEMENT AME (32)

Raccomandiamo l’irradiazione nei pazienti con malattia aggressiva o che sono resistenti (o intolleranti) ai farmaci.
Suggeriamo di prendere in considerazione l’irradiazione nei pazienti che vogliono ottenere una cura definitiva della malattia, indipendentemente dalla sensibilità ai farmaci.
Raccomandiamo di scegliere la tecnica di irradiazione in relazione alle dimensioni del residuo tumorale e alla sua vicinanza alle vie ottiche.
Raccomandiamo che il trattamento radiante, indipendentemente dalla tecnica scelta, sia eseguito da un operatore esperto.
Raccomandiamo un follow-up annuale per valutare efficacia e sicurezza dell’irradiazione.

 

BIBLIOGRAFIA

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Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano

(aggiornato al 12 aprile 2020)

 

La fertilità è diminuita nella donna acromegalica per cause diverse (1):

  • effetto massa dell’adenoma sull’ipofisi sana (nel caso di macroadenoma);
  • frequente associazione di iperprolattinemia (secretoria o funzionale);
  • eccesso di androgeni.

Grazie all’efficacia combinata dei trattamenti per l’acromegalia e per l’infertilità, il numero di pazienti acromegaliche che entrano in gravidanza (spontanea o indotta) è in progressivo aumento (2).

 

Prima di iniziare la gravidanza
Nei maschi acromegalici infertili con ipogonadismo ipogonadotropo è opportuno valutare l’opportunità di normalizzare i parametri seminali e la fertilità utilizzando le gonadotropine.
Sono state riportate gravidanze andate a buon fine in donne acromegaliche infertili dopo induzione dell’ovulazione con gonadotropine o fertilizzazione in vitro in strutture specialistiche. Prima di questi trattamenti bisogna verificare l’assenza di controindicazioni alla gravidanza.
Per migliorare la fertilità e prevenire l’ingrandimento gravidico dell’ipofisi (normale e tumorale) con una possibile apoplessia, è opportuno che i tumori voluminosi o vicini alle vie ottiche vengano asportati da un neurochirurgo esperto.
Per garantire il miglior risultato per la madre e il neonato, nelle pazienti con malattia attiva è fondamentale l’ottimizzazione del controllo di malattia prima di pianificare una gravidanza.

 

Effetti dell’acromegalia sul decorso della gravidanza
Nelle donne acromegaliche il decorso della gravidanza è abitualmente normale (1-8). Ipertensione e insulino-resistenza aumentano sostanzialmente il rischio di diabete gestazionale, ma non vi è aumentata prevalenza di aborto, prematurità o malformazioni fetali rispetto alla popolazione di controllo (2,4,6,7).
È comunque indispensabile una stretta collaborazione fra endocrinologo, ginecologo e neonatologo.

 

Effetto della gravidanza sul decorso dell’acromegalia
Se la gravidanza è iniziata, vuol dire che la malattia è in remissione o a bassa attività. Le esperienze riportate dimostrano che il rischio di incremento del volume tumorale durante la gravidanza è basso (1-8), pur sospendendo le terapie specifiche per l’acromegalia.

 

Come trattare l’acromegalia in gravidanza
Alla positività del test di gravidanza bisogna sospendere qualunque trattamento volto a controllare l’ipersecrezione di GH. Gli alti livelli estrogenici della gravidanza mantengono nella maggior parte dei casi i livelli di IGF-I all’interno o appena al di sopra dei limiti di riferimento, pur in assenza di terapia soppressiva.
È raro che in gravidanza l’acromegalia si manifesti in modo aggressivo e nella maggior parte dei casi la paziente può rimanere senza terapia GH-soppressiva per tutta la gravidanza (1-3).
I farmaci specifici non sono approvati per l’uso in gravidanza, ma in caso di necessità di terapia (attività di malattia, cefalea importante, disturbi visivi confermati dalla campimetria, aumento di volume dell’adenoma o del residuo alla RM):

  • i dopaminergici (DA) possono essere usati con sicurezza (9), in quanto la gravidanza porta all'aumento delle cellule lattotrope, ma è noto che essi sono efficaci soltanto in una minoranza;
  • gli analoghi della somatostatina (SSA) sono stati usati in maniera aneddotica in gravidanza senza particolari problemi (10), ma il loro uso è da valutare caso per caso, concordandolo con la paziente dopo adeguata informazione;
  • sono stati segnalati solo pochissimi casi sull’uso di pegvisomant, anche questi andati bene (11);
  • l’intervento NCH per via TNS può essere eseguito in caso di necessità, preferibilmente nel II trimestre (si associa comunque ad aumentata incidenza di aborto spontaneo).

Il trattamento farmacologico è stato talvolta associato ad alterazioni del peso neonatale (4):

  • macrosomia in 2/13 pazienti trattate con DA;
  • microsomia in 5/21 trattate con SSA.

 

Come monitorare le pazienti acromegaliche durante la gravidanza
In aggiunta ai controlli della gravidanza “normale” (con particolare attenzione ai valori pressori e glicemici), è necessario prestare attenzione ai segni clinici di attività della malattia (astenia, sudorazione, gonfiore, roncopatia, sleep apnea) e ai sintomi di crescita dell’adenoma, in particolare cefalea e disturbi visivi.
In una gravidanza che procede regolarmente, solitamente non è necessario il monitoraggio dei livelli di GH (i dosaggi commerciali non sono in grado di distinguere la molecola di origine ipofisaria, normale e adenomatosa, dalla variante di origine placentare) e IGF-I nè di PRL (che aumenta nel corso della gravidanza normale).
Solo in caso di cefalea grave e improvvisa, con segni di interessamento ex-novo dei nervi cranici e deficit visivo, sarà opportuno eseguire campimetria ottica ed eventualmente RM senza mdc (a partire dal IV mese di gravidanza).

 

Parto e allattamento
Per quanto riguarda il parto, bisogna distinguere due situazioni:

  • nelle pazienti già operate e senza residuo voluminoso, il parto può essere espletato per via naturale;
  • nelle pazienti non operate con voluminoso macroadenoma o con evidenza di ri-espansione, bisogna programmare il parto cesareo per ridurre il rischio di possibile apoplessia ipofisaria, che potrebbe manifestarsi a seguito delle variazioni di pressione intra-cranica in corso di travaglio durante il parto eutocico.

L’allattamento è consentito se non c’è necessità di terapia GH-soppressiva, perché non sono sufficientemente noti l’escrezione di questi farmaci nel latte né i loro effetti sul neonato.
Lo stato generale di salute e il quoziente intellettivo dei bambini nati da madri acromegaliche non sono differenti rispetto ai controlli (12).

 

Come e quando riprendere la terapia GH-soppressiva
Appena possibile dopo il parto o dopo la fine dell’allattamento, eseguire un controllo dei livelli di GH e IGF-I e della RM e riavviare la terapia GH-soppressiva. Si può utilizzare lo stesso farmaco alla stessa dose di prima della gravidanza se questo dava un buon controllo della malattia, altrimenti cambiarlo (vedi terapia farmacologica dell’acromegalia).

 

Le indicazioni del position statement AME (13):

  • raccomandiamo la pianificazione della gravidanza;
  • raccomandiamo che in presenza di tumore collocato in prossimità delle vie ottiche, prima di avviare la gravidanza la paziente venga operata da un neurochirurgo esperto, in maniera da non ledere la funzionalità ipofisaria;
  • raccomandiamo la sospensione delle terapie farmacologiche specifiche per l’acromegalia durante la gravidanza;
  • raccomandiamo di evitare l’esecuzione di RM ipofisaria durante la gravidanza e all’inizio del puerperio.

 

Bibliografia

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