Stampa

Dominique Van Doorne & Moreno Busolin

 

PARTE I: PER I MEDICI

La relazione medico-paziente è oggi, più che mai, fondamentale e complessa. Il paziente non è più passivo nella scelta terapeutica e neanche nelle scelte di politica sanitaria.
L’interazione fra organismi sanitari pubblici e privati, medici, pazienti, personale sanitario e industrie che producono farmaci e/o dispositivi medici è al centro dell’attenzione. Opinioni e raccomandazioni provenienti da organismi esterni non dovrebbero essere considerati alla stregua di interferenze indebite, ma come fonte di dialogo e scambio fra le parti, con lo scopo di aumentare la condivisione tra i vari protagonisti e la trasparenza.

 

Il paziente informato
I pazienti possono acquisire informazioni mediche attraverso libri, giornali specializzati e programmi radiotelevisivi, ma quello che fa la differenza con i primi anni ’90 è l’avvento di Internet. Nel giro di pochi istanti si possono acquisire informazioni esaurienti riguardo a una specifica malattia, ai possibili trattamenti farmacologici e/o chirurgici, ai centri specializzati e ai medici esperti nella diagnosi e cura. Naturalmente sono tutte informazioni da verificare e in genere i pazienti non sono in grado di distinguerne la qualità. Se si lancia sul web la ricerca sulla parola “tiroide”, si ottengono 41.700.000 risultati in 0.18 secondi! Questa quantità di informazioni non è gestibile dal pubblico e quindi nella maggior parte dei casi l’attenzione si focalizza sui primi risultati della lista, dove si possono trovare fonti attendibili (da Wikipedia a siti gestiti da società scientifiche o organizzazioni di pazienti), ma anche fonti meno indipendenti, spesso finanziate da privati con interessi nel campo.
La nuova sfida per il medico è come affrontare un paziente che arriva a consulto dopo essersi informato su Internet. Più di 30 anni fa la maggior parte dei pazienti, vista la scarsità di informazioni mediche e l’impossibilità di cercare cure altrove, doveva fidarsi solo del proprio medico. Nessun paziente si sarebbe mai sognato di mettere in dubbio le indicazioni ricevute, limitandosi a incrociare le dita o affidandosi al Signore. Oggi i pazienti vogliono saperne di più sulla propria malattia, sui sintomi e sulla cura e apprezzano i medici che illustrano le possibili terapeutiche, i risultati attesi e i possibili effetti collaterali, confrontando le informazioni ricevute dal medico con quelle ricavate da Internet. Il medico oggi non deve sottrarsi alle domande del paziente, che sono preziose perché gli permettono di capire quali informazioni ha tratto da Internet e di completarle o correggerle per migliorare l’adesione alla cura.
È più che mai necessario dedicare un tempo adeguato a dare spiegazioni corrette, trasparenti e comprensibili, che rinforzino la fiducia del paziente e ne rinsaldino la relazione con il medico.
La relazione annuale del 2012 del Forum Europeo dei Pazienti (FEP) afferma che: “Una strategia efficace di responsabilizzazione comincia con l’alfabetizzazione sanitaria. Questa dà al paziente la conoscenza e gli strumenti necessari per assumere un ruolo attivo nella gestione della propria salute; aiuta il paziente a ricavare il massimo delle informazioni dal personale sanitario per ottenere dei risultati migliori in termini di salute con un miglior rapporto costo-efficacia. Il FEP crede che sia necessaria una strategia informativa per i pazienti a livello europeo. Ottenere informazioni di alta qualità sulla salute, la malattia e le opzioni terapeutiche è di importanza vitale per la sicurezza e il coinvolgimento del paziente.”
Il paziente informato è più responsabile e quindi segue meglio il trattamento e i consigli del medico; questo porta a migliorare il risultato finale in termini di salute, qualità della vita e soddisfazione del paziente.
“La maggior parte delle cause legali in campo sanitario non riguarda veri errori, ma piuttosto difetti di comunicazione e problemi nelle relazioni inter-personali. Una forte relazione medico-paziente, per esempio in cui il medico spiega personalmente le procedure proposte e risponde alle domande pertinenti, può essere cruciale per evitare conseguenze medico-legali” (1).
La comunicazione medico-paziente è ancora ben lungi dall’essere ottimale: nel 2000 Britten et al (2) in uno studio su 20 MMG inglesi hanno descritto 14 categorie di incomprensione, dalle informazioni riguardanti il paziente ignote al medico alle informazioni contraddittorie ottenute da medici diversi, alla mancata comunicazione delle ragioni che avevano portato alla scelta di una particolare strategia clinica.
Se c’è scarsa comunicazione medico-paziente, l’insorgenza di una complicanza può definitivamente compromettere la fiducia del paziente: il paziente può capire la complicanza, ma non può accettare la negligenza, la mancanza di informazione o il rifiuto del dialogo.
D’altro canto, la pressione sui medici e in particolare sui chirurghi è molto alta, costretti come sono fra bisogni e informazione del paziente, qualità chirurgica, gestione dell’errore, aspetti medico-legali, medicina difensiva e, non ultimo, restrizioni di spesa.
È cresciuta la consapevolezza dei pazienti ed è molto più alta la possibilità di trascinare in giudizio i medici. Anche questo influenza il sistema sanitario, poiché la cosiddetta “medicina difensiva” nuoce a tutti: i medici guardano ai pazienti come potenziali querelanti, i costi della sanità aumentano per i premi assicurativi e per l’accanimento diagnostico e terapeutico. In un’inchiesta statunitense sui medici fatta da una compagnia assicurativa, il 75% dei medici ammette di prescrivere più esami, procedure e farmaci del necessario nel tentativo di evitare grane legali. Hal Scherz e Wayne Oliver hanno affermato che “la medicina difensiva e l’abuso delle cause per malasanità sono tra le cause maggiori che stanno portando fuori controllo i costi del sistema sanitario” (Forbes 2013).
Diverse organizzazioni non profit di pazienti, come “Pazienti per un equo compenso”, propongono un sistema “non giudiziale”, con commissioni formate da rappresentanti esterni di pazienti, di medici e della struttura sanitaria, per la valutazione dell’errore e dell’eventuale compenso economico.

 

Il consenso informato
Prima di ogni intervento chirurgico o procedura invasiva, il paziente deve firmare un “consenso informato”, a dimostrazione del fatto di aver ricevuto le informazioni corrette da parte del suo medico. La strada per arrivare a questo è stata lunga. Nel 1914 per primo il Giudice Benjamin Cardoso della Corte d’Appello di New York notava che “ogni essere umano ha il diritto di decidere cosa deve essere fatto sul suo corpo”, stabilendo così il concetto che del consenso con cui il paziente ha il diritto di accettare o rifiutare un trattamento. Nel 1955 ci furono due casi in cui fu stabilito che i medici hanno il dovere di illustrare ai pazienti i potenziali rischi chirurgici. Da lì nasce il concetto di consenso informato, che richiede che il paziente dia un libero consenso al trattamento, dopo essere stato pienamente informato dei rischi della procedura, dei benefici e delle possibili alternative. Negli anni seguenti il consenso informato è diventato “il processo attraverso il quale il sanitario fornisce informazioni appropriate a un paziente in modo di permettergli di capire e poi di decidere volontariamente se accettare o rifiutare il trattamento” (3).
Questa definizione di consenso informato rappresenta una specie di contratto, dove le due parti firmano un accordo basato su informazione appropriata e capacità del paziente di recepirla.

Le informazioni appropriate comprendono (4):

  • natura e procedura del trattamento medico;
  • possibili alternative al trattamento proposto;
  • rischi, benefici e incertezze correlate a ciascuna procedura;
  • valutazione della comprensione del paziente;
  • accettazione della procedura da parte del paziente.

Il consenso informato è scritto dal medico, il che può essere discutibile: rappresentanti dei pazienti e medici dovrebbero lavorare insieme per arrivare a un consenso informato migliore e più comprensibile, con meno gergo “medichese” (5). Dovrebbero essere coinvolti i rappresentanti dei pazienti, perché sono più informati dei medici non solo su quello che i pazienti possono capire e hanno bisogno di sapere, ma anche su come vogliono che venga loro spiegato e con quale linguaggio.

 

Nuove tecnologie e trattamenti chirurgici innovativi
La comunicazione fra medico e paziente è estremamente importante quando si propone una nuova tecnica chirurgica: qui più che mai il paziente deve fidarsi del suo medico e sentirsi libero di esprimere le sue richieste e i suoi dubbi. Infatti, sia il chirurgo che il paziente si assumono rischi maggiori rispetto alle procedure chirurgiche tradizionali, perché esistono pochi dati su efficacia e sicurezza della nuova procedura.
Mentre per i nuovi farmaci il sistema degli studi clinici controllati garantisce un certo controllo da parte di un organismo terzo, il Comitato Etico, nel caso delle nuove procedure chirurgiche non esiste niente del genere. Chi stabilisce che grado di rischio si può correre? I Comitati Etici sono chiamati in causa solo nell’adozione di nuove tecnologie.
Nei Paesi Occidentali la valutazione del profilo di rischio e beneficio di farmaci innovativi e nuove tecnologie è un processo molto lungo e complicato, che che disincentiva l’industria farmaceutica e tecnologica e rischia di essere un ostacolo al processo diagnostico e terapeutico. Oggi la maggior parte delle nuove tecnologie sono sperimentate prima su pazienti in Asia e in Sud-America. I primi  dati clinici così ottenuti, insieme ai dati derivanti dalla sperimentazione in vitro e sugli animali, sono poi parte essenziale dei documenti inoltrati alle autorità regolatorie sanitarie occidentali per l’approvazione. Il sistema occidentale di approvazione delle nuove tecnologie deve essere rivalutato ed è necessario che tutte le parti coinvolte nel sistema di cura sanitario, compresa la voce dei pazienti, partecipino alla discussione dei temi etici ed economici. Dobbiamo prendere in considerazione l’idea di costituire un gruppo di lavoro di pazienti e consumatori per i nuovi dispositivi medici, come affermato dal FEP: “È necessario tener conto della prospettiva dei pazienti nel valutare il rapporto fra rischi e benefici.”.

 

Ruolo delle Organizzazioni dei Pazienti nel processo decisionale sanitario
La Federazione Internazionale delle Organizzazioni dei Pazienti afferma che “Le decisioni di politica sanitaria, a qualunque livello vengano prese, alla fine influenzano la vita dei pazienti. Per questo motivo i pazienti hanno il diritto etico e morale di avere un ruolo significativo nello sviluppo delle politiche sanitarie. Il coinvolgimento dei pazienti e dei loro rappresentanti nel processo decisionale delle politiche sanitarie aiuta a garantire che vengano tenuti in conto bisogni, preferenze e capacità dei pazienti e delle loro famiglie. Questo porta a scelte che rispondono in modo appropriato, anche dal punto di vista del rapporto costo-efficacia, ai bisogni del numero sempre maggiore di persone affette da condizioni croniche. D’altro canto, l’importanza del coinvolgimento dei pazienti sulle scelte di politica sanitaria può essere limitata da numerosi fattori, come problemi pratici e finanziari, diverse basi conoscitive, barriere culturali e attitudini personali”.
Per affrontare alcuni di questi problemi, nel febbraio 2012 è nata l’Accademia dei Pazienti Europei per l’Innovazione Tecnologica (l’acronimo inglese è EUPATI), con lo scopo di aumentare le capacità dei pazienti e delle loro organizzazioni di rappresentare i loro interessi nel processo di ricerca e sviluppo di nuovi farmaci. EUPATI svilupperà e diffonderà informazioni obiettive, credibili, corrette e aggiornate sul processo di ricerca e sviluppo di nuovi farmaci per un pubblico non addetto ai lavori. L’Accademia formerà degli esperti fra i rappresentanti dei pazienti attraverso un programma di formazione certificato e aumenterà le competenze dei pazienti e del pubblico in generale attraverso la creazione di strumenti su Internet, quali un sito educazionale dedicato e una biblioteca pubblica.
EUPATI inoltre faciliterà il coinvolgimento dei pazienti in diversi tavoli decisionali e di lavoro, attraverso la collaborazione con Università, Autorità politiche e amministrative, Enti regolatori del farmaco, industrie e Comitati Etici e attraverso la creazione di linee guida sulle buone pratiche. I moduli educazionali saranno focalizzati sulle seguenti aree: processo di sviluppo farmacologico dalla ricerca all’approvazione; medicina personalizzata e predittiva; sicurezza e valutazione rischio/beneficio dei farmaci; farmaco-economia, economia sanitaria e valutazione delle tecnologie sanitarie; disegno e obiettivi di studi clinici, compresi i soggetti coinvolti; ruolo e responsabilità dei pazienti nello sviluppo dei farmaci. Questo progetto rappresenta un nuovo paradigma per quanto riguarda il coinvolgimento dei pazienti nel processo di ricerca e sviluppo di nuovi farmaci.
I pazienti dovrebbero essere coinvolti in tutti i processi di innovazione sanitaria, nelle politiche sanitarie e nelle decisioni sulla distribuzione delle risorse, per assicurare che queste vengano investite nelle aree corrette e rispondano appropriatamente ai bisogni dei pazienti.

 

PARTE II: PER I PAZIENTI

Alcuni consigli per ricavare da Internet informazioni corrette: come valutare la qualità delle informazioni trovate in rete?
Sulla rete si possono ricavare in pochi secondi informazioni esaurienti su qualunque malattia e potenziale rimedio medico o chirurgico. Se si lancia sulla rete la ricerca “nodulo tiroideo”, si ottengono 1.830.000 risultati in 0.36 secondi. Si possono trovare informazioni di buona qualità e attendibilità o si può finire in qualche sito bizzarro e spesso inattendibile. Allora, cosa fare? Basta aprire le prime pagine che compaiono sullo schermo?
Ecco alcune raccomandazioni da seguire per capire la fonte e l’attendibilità delle informazioni mediche in rete.
Per sapere chi ha creato la pagina web, le sue motivazioni e la trasparenza delle informazioni date, cliccate sui tasti “Informazioni sul sito” oppure “Chi siamo” oppure “About us”. Può trattarsi di:

  1. una società scientifica con una sezione dedicata ai pazienti;
  2. un’Università, Ospedale o Clinica;
  3. Wikipedia o UpToDate o altre enciclopedie mediche con sezioni dedicate ai pazienti;
  4. un’Organizzazione di Pazienti con un Comitato Scientifico;
  5. un’Organizzazione di Pazienti senza Comitato Scientifico;
  6. una pagina Internet di un singolo medico a scopo auto-promozionale;
  7. un sito sponsorizzato da un’industria;
  8. un forum web o un blog personale.

Le prime 4 eventualità sono solitamente più attendibili, perché sono curate da professionisti sanitari. Le altre sono fonti meno neutre, perché possono essere a scopo di lucro, come siti di singoli professionisti o industrie, anche se le informazioni contenute possono essere comunque corrette.
È opportuno confrontare fonti diverse in modo da valutare l’attendibilità delle informazioni ottenute. Le pagine web che non dichiarano chi le ha create e chi scrive le informazioni non sono attendibili.

 

Come scegliere un chirurgo?
L’esperienza del chirurgo è fondamentale. Molti studi indicano come i risultati chirurgici migliorino in proporzione al numero di operazioni eseguite in un anno (il cosiddetto volume operatorio). Per esempio, per considerare esperto un chirurgo in campo tiroideo, la maggior parte degli autori ritiene che il volume operatorio minimo debba essere di almeno 50 tiroidectomie/anno, meglio se maggiore di 100, anche se questi numeri necessitano di essere confermati (6). Lo stesso si può dire per tutta l’équipe chirurgica, compresi gli infermieri e i ferristi. Potrebbe sembrare indelicato chiedere a un chirurgo i dati sul suo volume operatorio, ma per il chirurgo si tratta di una domanda assolutamente normale e quindi non abbiate timore a porgliela.
L’argomento è di importanza ancora maggiore quando il chirurgo suggerisce un nuovo tipo di intervento chirurgico oppure l’uso di una nuova tecnologia, alternativa alla tradizionale: è indispensabile assicurarsi di essere in un centro specializzato in patologie tiroidee, con esperti altamente qualificati nel campo.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Fleeter TB. Informed consent: more than just a signature. AAOS Now, Jan 2010.
  2. Britten N, et al. Misunderstandings in prescribing decisions in general practice: qualitative study. BMJ 2000, 320: 484–8.
  3. Appelbaum PS. Assessment of patients' competence to consent to treatment. N Engl J Med 2007, 357: 1834-40.
  4. De Bord J. Informed Consent. Ethics in Medicine. University of Washington School of Medicine, 2014.
  5. Farrington C. Reconciling managers, doctors, and patients: the role of clear communication. J Roy Soc Med 2011, 104: 231-6.
  6. Kandil E, Noureldine SI, Abbas A, Tufano RP. The impact of surgical volume on patient outcomes following thyroid surgery. Surgery 2013, 154: 1346-52.

Stampa

Federica Innaimi
Palermo

 

L'ipotalamo può essere considerato il centro di coordinamento del sistema endocrino. E' situato alla base del cervello, sotto il terzo ventricolo e appena sopra il chiasma ottico ed è collegato all’ipofisi dal peduncolo ipofisario. Appartiene al sistema nervoso centrale e i suoi neuroni ricevono segnali sia dalle strutture nervose superiori, sia dalle ghiandole del sistema endocrino, che non sono strutture nervose. E’ la sede in cui si verificano le connessioni tra sistema nervoso centrale e sistema endocrino. L'ipotalamo fornisce precisi segnali all’ipofisi, stimolando la produzione e l’ingresso nel sangue degli ormoni ipofisari. In particolare, l’asse ipotalamo-ipofisario agisce direttamente sulle funzioni della tiroide, delle ghiandole surrenaliche e delle gonadi, regolando anche l’ormone della crescita, la prolattina e l'equilibrio idrico.
L'ipotalamo è anche coinvolto in diverse importanti funzioni non endocrine, come la regolazione della temperatura corporea, l'attività del sistema nervoso autonomo e il controllo dell’appetito. L'anatomia e la fornitura di sangue dell'asse ipotalamo-ipofisario sono essenziali per la sua funzione.

L’ipofisi è una ghiandola situata alla base del cranio, nella sella turcica dell’osso sfenoide, in prossimità del chiasma ottico ed è divisa in due lobi: lobo anteriore (adeno-ipofisi) e lobo posteriore (neuro-ipofisi), strutturalmente e funzionalmente diversi. L'ipofisi è accessibile chirurgicamente attraverso la parte posteriore del naso (attraverso l'osso sfenoide).
L’adeno-ipofisi è collegata all’ipotalamo dai vasi sanguigni nel quale vengono immessi gli ormoni ipotalamici che arrivano all’ipofisi e viceversa. Il plesso venoso si svuota nei seni petrosi e poi nella circolazione periferica attraverso le vene giugulari interne. Il sangue venoso nei seni petrosi ha una concentrazione relativamente alta di ormoni ipofisari ed è un sito utile per valutare in casi particolari la funzione ipofisaria, attraverso un cateterismo selettivo (andando a raccogliere direttamente il sangue in quella sede).
La neuro-ipofisi è una struttura nervosa nella quale arrivano direttamente alcune sostanze prodotte dai neuroni dell’ipotalamo, che vengono poi immesse nel circolo sanguigno ed hanno azioni su tutto l’organismo.

Stampa

Federica Innaimi
Palermo

 

PANORAMICA

Normalmente, la produzione di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali è attentamente controllata dall’ipotalamo e dall’ipofisi. Il cortisolo ha molte funzioni importanti ed è necessario per la vita. Tuttavia, un eccesso di questo ormone ha effetti negativi sul corpo.
La sindrome di Cushing si verifica quando c’è un eccesso di cortisolo, prodotto dalle ghiandole surrenali.
La sindrome di Cushing colpisce circa tre volte di più le donne rispetto agli uomini.
Oggi, tutte le persone possono essere trattate efficacemente, e molte possono essere guarite.
Poiché la sindrome di Cushing è potenzialmente mortale se non trattata, le persone con questa condizione dovrebbero avere cure mediche regolari e seguire da vicino il loro piano di trattamento.

 

LE CAUSE

La causa è solitamente divisa in due grandi categorie, a seconda che il problema iniziale sia:

  • nella “ghiandola ipofisaria”, chiamata comunemente ipofisi;
  • nelle “ghiandole surrenali”, che si trovano sopra i reni.

Spesso i pazienti con sindrome di Cushing hanno tumori benigni ipofisari (chiamati adenomi) che producono quantità in eccesso di ACTH, l’ormone che stimola le ghiandole surrenali per la produzione di cortisolo. Questa condizione è chiamata morbo di Cushing, che non dovrebbe essere confuso con la sindrome di Cushing. La maggior parte di questi tumori sono molto piccoli e possono essere difficili da identificare.
Altre cause di livelli alti di ACTH nel sangue sono i tumori non – ipofisari che producono ACTH. Questa forma di sindrome di Cushing è chiamata sindrome di ACTH ectopica. Molti di questi tumori sono localizzati nei polmoni o altrove, soprattutto nel torace.

 

I SINTOMI

I sintomi derivano da un eccesso di cortisolo. La maggior parte dei pazienti sviluppa almeno alcuni di questi sintomi, e i sintomi in genere peggiorano nel tempo. Tuttavia, i sintomi di ogni persona dipendono da diversi fattori, tra cui:

  • il grado e la durata dell’eccesso di cortisolo
  • i livelli di altri ormoni surrenalici
  • la causa della sindrome di Cushing

Nei pazienti con adenoma surrenalico (tumore benigno), i sintomi possono essere molto lievi nelle persone con più di 50 anni di età.
Aumento di peso: l’aumento progressivo di peso è il sintomo più comune della sindrome di Cushing. Questo aumento di peso di solito colpisce viso, collo, tronco e addome più che gli arti, che diventano sottili. I pazienti spesso sviluppano un volto arrotondato e grasso indietro e alla base del collo, a forma di gibbo.
Cambiamenti di pelle: la pelle tende a diventare sottile, fragile e sensibile alle infezioni e contusioni. Difficilmente le ferite guariscono. Striature ampie di colore rossastro-viola, chiamate strie (smagliature) possono svilupparsi nelle aree dell’aumento di peso (soprattutto all'addome, glutei, cosce).
Irregolarità mestruale: le donne possono avere una varietà di problemi mestruali, periodi mestruali infrequenti o assenti. Spesso hanno difficoltà a restare incinte.
Sintomi da eccesso di androgeni: queste donne possono avere un eccesso di ormoni maschili (androgeni), come ad esempio eccesso di peluria (irsutismo), pelle grassa e acne.
Perdita e debolezza dei muscoli: la sindrome di Cushing prolungata provoca un assottigliamento dei muscoli della parte superiore delle braccia e delle gambe, che diventano sottili e più deboli.
Perdita di massa ossea: assottigliamento delle ossa (osteoporosi), che alla fine provoca fratture delle ossa lunghe, delle costole e delle vertebre.
Intolleranza al glucosio: aumento dei livelli di glucosio del sangue fino al diabete mellito grave.
Ipertensione e malattie cardiovascolari: pressione sanguigna alta, e stress cardiaco.
Sintomi psicologici: oltre la metà di tutti i pazienti con sindrome di Cushing ha sintomi psicologici, che vanno dalla perdita di controllo emotivo, irritabilità e depressione, fino ad attacchi di panico e paranoia. Anche l’insonnia è comune.
Infezioni: il cortisolo inibisce il sistema immunitario, quindi le persone con sindrome di Cushing possono sviluppare infezioni più frequentemente.
Coaguli di sangue: tendono a formarsi coaguli di sangue più facilmente
Calcoli renali: è anche frequente la possibilità della formazione di calcoli renali.

 

DIAGNOSI

Le persone con questa sindrome saranno sottoposte a test e prove di laboratorio. Le prove di laboratorio sono necessarie per misurare i livelli di cortisolo. Il test può includere una o più delle seguenti operazioni:

  • misurazioni di cortisolo nelle urine delle 24 ore
  • la misurazione su sangue o saliva per verificare la normale quotidiana ascesa e caduta notturna dei livelli di cortisolo (questo test può richiedere la raccolta di sangue o saliva a mezzanotte).

Determinare la causa
Una volta diagnosticata l'esistenza della sindrome di Cushing, altri test sono usati per determinare la causa della produzione di cortisolo in eccesso. Il tipo e il numero di test consigliati dipenderà dai risultati delle prove preliminari.
Esami del sangue: possono determinare i livelli di cortisolo e ACTH. I livelli di cortisolo e ACTH possono aiutare a distinguere tra le diverse cause della sindrome di Cushing.
Cateterismo dei seni petrosi: prendendo un campione di sangue da questi seni (che sono dei "laghi vascolari", che si trovano al di sotto dell’ipofisi), si possono misurare i livelli di ACTH e distinguere la malattia ipofisaria da quelle forme in cui l’ACTH viene prodotto in una sede ectopica, cioè al di fuori dell'ipofisi. Questa operazione viene eseguita mentre il paziente è sotto anestesia, inserendo un catetere in una vena dell’inguine fino ad arrivare in prossimità dei vasi sanguigni che portano all’ipofisi. I livelli di ACTH nel sangue dai seni petrosi sono confrontati con quelli misurati nel sangue di una vena dell’avambraccio:

  • se i livelli di ACTH sono superiori nei seni petrosi è probabile un adenoma ipofisario
  • livelli simili in entrambe le posizioni suggeriscono la secrezione di ACTH da un tumore non-ipofisario.

Esami radiologici: la Tomografia Computerizzata o la  Risonanza Nucleare Magnetica dei surreni, ipofisi, polmoni e addome possono identificare i tumori.
Scintigrafia: comporta l’iniezione di una sostanza radioattiva, seguita da una serie di immagini corporee. Questo test è utile per l’individuazione di tumori non visibili con le altre indagini radiologiche che causano la sindrome di ACTH ectopico.

 

TERAPIA

Una volta identificata la causa (quale tumore a livello dell'ipofisi o dei surreni o in altra sede), la sua asportazione chirurgica è il modo più sicuro e veloce di arrivare alla guarigione.
Se l'asportazione non è possibile o non riesce, esistono alcuni farmaci che possono aiutare a tenere la malattia sotto controllo.
È poi indispensabile prendere quei farmaci che tengono sotto controllo la pressione alta, la glicemia alta, l'indebolimento delle ossa e tutte le altre complicazioni della malattia.

Stampa

Federica Innaimi
Palermo

 

PANORAMICA

È una malattia caratterizzata da un progressivo ingrossamento delle ossa, delle mani, dei piedi e dei lineamenti del viso. E' causata da una prolungata ed eccessiva secrezione dell'ormone della crescita (GH). La causa più comune di acromegalia è un tumore (adenoma) delle cellule che producono il GH, all'interno della ghiandola ipofisaria anteriore. Questi tumori sono sempre benigni.
L'acromegalia è una malattia rara: sono diagnosticati solo tre o quattro casi  per milione di persone ogni anno. Si sviluppa in modo molto graduale e non viene riconosciuta se non dopo molti anni.
L’acromegalia può portare a gravi complicazioni se non trattata, tuttavia, la maggior parte dei pazienti può essere trattata con successo.

SINTOMI

L'eccessiva produzione di GH stimola la sovraproduzione di un altro ormone, chiamato insulin-like growth factor-1 (IGF-1), da parte del fegato. IGF-1 stimola la crescita di pelle, tessuto connettivo, cartilagine, ossa, organi, tessuti e altre parti del corpo. Altri sintomi sono causati dalla crescita dell’adenoma ipofisario, che può comprimere strutture vicine, come il chiasma ottico, causando disturbi visivi.
L’ingrossamento delle ossa, delle mani, dei piedi e le modificazioni dei lineamenti del viso sono tra i sintomi più evidenti della malattia.
Il viso e la testa: le caratteristiche del viso (naso, labbra, orecchie e fronte) diventano più ampie e più grandi, si ingrossa la lingua, lo spazio tra i denti aumenta e la mandibola cresce in maniera tale che causa problemi di masticazione. Altri sintomi sono cefalea e irsutismo (eccesso di crescita di peli).
La gola: l’eccessiva crescita dei tessuti molli della gola e delle corde vocali può portare a una voce profonda o apnea nel sonno, una condizione in cui una persona smette di respirare temporaneamente durante il sonno, provocando livelli bassi di ossigeno e l’aumento della pressione arteriosa.
Mani e piedi: l’ingrossamento delle mani e dei piedi spesso costringe i pazienti ad indossare anelli e scarpe di dimensioni più grandi. La crescita eccessiva dei tessuti del polso può portare alla compressione dei nervi delle mani, con conseguente formicolio o dolore alle dita (detta sindrome del tunnel carpale). La sudorazione eccessiva può manifestarsi anche durante il riposo.
Le ossa: la crescita eccessiva delle ossa può danneggiare la cartilagine e causare un'artrosi molto grave, che può richiedere interventi chirurgici di protesi (anca, ginocchio).
I tumori: predisposizione alla formazione di tumori benigni dell'utero (fibromi). I polipi del colon sono più comuni e possono diventare cancerosi se non vengono rimossi chirurgicamente.
Il cuore: alterazioni cardiovascolari causate dall’ingrossamento del muscolo cardiaco ed ipertensione.
Diabete: elevati livelli di glucosio nel sangue sono una caratteristica del paziente acromegalico. Le persone con precedente diagnosi di diabete possono richiedere dosi maggiori di farmaci.

 

DIAGNOSI

Se si sospetta l'acromegalia, la diagnosi deve essere confermata con la misurazione dei livelli ematici di IGF-1 e/o GH. Il livello di IGF-1 può essere determinato in un singolo campione di sangue prelevato a qualsiasi ora del giorno. Il GH deve essere misurato prendendo diversi campioni di sangue, prima e dopo aver bevuto una soluzione contenente glucosio.
Una volta confermata l’eccessiva secrezione di GH, si effettua la Risonanza Magnetica (RM) per confermare la presenza di un adenoma nella ghiandola ipofisaria

 

TERAPIA

I pazienti con acromegalia sono trattati per evitare il rischio di conseguenze, anche se non ci sono sintomi evidenti. L'obiettivo della terapia è di abbassare il livello di GH e IGF-1 nel sangue. Se il trattamento avrà successo, si avrà una diminuzione dei sintomi e delle patologie che caratterizzano la malattia, con una migliore qualità della vita.
Ci sono tre forme principali di trattamento: chirurgia, farmaci e radioterapia.

Chirurgia
La chirurgia offre la possibilità di guarigione se il tumore ipofisario può essere completamente rimosso, il che è più probabile nelle persone il cui adenoma non si estende al di fuori dei normali confini della ghiandola ipofisaria. Per questo motivo, la chirurgia è la prima scelta in questa situazione. La chirurgia è anche la prima scelta di trattamento quando l'adenoma non è invasivo.
Viene effettuata chirurgia trans-sfenoidale, attraverso la quale il chirurgo è in grado di visualizzare e rimuovere il tessuto adenomatoso. I neurochirurghi usano un dispositivo dotato di microscopio.
La chirurgia è di solito efficace nel ridurre i livelli di GH, anche se i livelli non sempre tornano alla normalità. La possibilità che i livelli di GH tornino alla normalità dopo l'intervento chirurgico dipende dalle dimensioni dell’adenoma prima dell'intervento: i livelli di GH e IGF-1 torneranno alla normalità in circa l’80 per cento delle persone con adenomi di piccole dimensioni, i cosiddetti microadenomi ipofisari; solo circa il 30 per cento di persone che hanno grandi adenomi, i cosiddetti macroadenomi ipofisari che si estendono oltre la ghiandola ipofisaria, avranno livelli ormonali normali dopo l'intervento chirurgico.
Se l'adenoma viene completamente rimosso, il livello di GH nel sangue rientra nella norma entro poche ore dopo l'intervento chirurgico e il livello di IGF-1 torna alla normalità nel giro di settimane o mesi.
Complicanze gravi sono rare quando la procedura viene eseguita da un neurochirurgo di grande esperienza in chirurgia ipofisaria. La possibilità di complicazioni gravi, come peggioramento della vista, meningite, o perdita nasale di liquido spinale, è inferiore al 5 per cento. La possibilità di danni alla ghiandola ipofisaria è di circa il 7 per cento: può portare a ipoattività della tiroide, delle ghiandole surrenali e delle ovaie nelle donne o dei testicoli negli uomini.



Farmaci
I farmaci disponibili appartengono a tre categorie. Essi agiscono abbassando i livelli ematici di GH o bloccando gli effetti del GH.

Gli analoghi della somatostatina: bloccano l’ipersecrezione ormonale da parte delle cellule tumorali.

  • Octreotide (marca: Sandostatina LAR ® e Longastatina LAR ®) viene utilizzato con una iniezione ogni quattro settimane.
  • Lanreotide (marca: Ipstyl Autogel ®) viene somministrato ogni quattro settimane per iniezione.

Questi farmaci possono essere utilizzati come trattamento iniziale, specialmente quando un adenoma è troppo grande per essere rimosso completamente con la chirurgia. Possono anche essere usati dopo intervento chirurgico inefficace nelle persone che hanno ancora dopo la chirurgia tessuto adenomatoso residuo e un'elevata concentrazione nel sangue di GH.
Gli analoghi della somatostatina riducono le concentrazioni nel sangue di GH e IGF-1 nella maggior parte dei pazienti con acromegalia, sebbene il ritorno ai livelli normali avvenga in meno della metà dei pazienti. Gli analoghi della somatostatina possono anche ridurre le dimensioni dell’adenoma.
Gli analoghi della somatostatina sono generalmente ben tollerati, ma possono causare effetti collaterali. Gli effetti indesiderati più comuni comprendono dolori addominali, gonfiore e diarrea durante il primo mese di trattamento. Questi sintomi generalmente si risolvono continuando il trattamento. Si sviluppano calcoli biliari in circa il 20 per cento dei pazienti entro i primi sei mesi di trattamento, di solito non richiedono l’interruzione del trattamento, fatta eccezione per la piccola percentuale di persone che soffrono di infiammazione della cistifellea (colecistite).

Antagonista del recettore dell'ormone della crescita: pegvisomant (marca: Somavert ®) blocca gli effetti del GH legandosi al suo recettore, diminuendo di conseguenza la produzione di IGF-1. Può essere impiegato in tutti quei pazienti che dopo l'intervento o la radioterapia presentano ancora valori elevati di GH e di IGF-1 durante il trattamento con gli analoghi della somatostatina o che non tollerano questi farmaci. Viene somministrato tutti i giorni per iniezione. In oltre il 90 per cento dei soggetti che sono trattati con pegvisomant si osserva un abbassamento di IGF-1, che raggiunge la normalità in circa il 70%.
Effetti collaterali: in alcuni casi si verificano alterazioni reversibili della funzionalità epatica (aumento delle transaminasi), per cui devono essere effettuati periodicamente test epatici. Poichè la dimensione dell’adenoma può aumentare durante l'uso di questo farmaco, è consigliata la Risonanza Magnetica una volta all'anno per monitorare le dimensioni del residuo dell'adenoma.

I dopamino-agonisti: possono bloccare la secrezione del GH e, quindi, ridurre i livelli di IGF-1, anche se non sono generalmente efficaci come altre classi di farmaci. Alcuni studi riportano che la cabergolina (marca: Dostinex ®) riduce alla normalità il livello di GH e IGF-1 in un terzo dei pazienti. La bromocriptina (marca: Parlodel ®) è un altro dopamino-agonista, meno efficace e non raccomandato per gli effetti collaterali che può determinare.
Gli effetti collaterali sono rari: i più comuni sono nausea, annebbiamento mentale, disturbi dell'umore, fatica, congestione sinusale, brutti sogni. Gli effetti collaterali, soprattutto nausea, possono essere minimizzati assumendo il farmaco con i pasti o prima di coricarsi e assumendo inizialmente la dose più bassa, aumentandola gradualmente.



Radioterapia
La radioterapia è stata usata per molti anni per il trattamento degli adenomi ipofisari, compresi quelli che producono l'ormone della crescita. La radioterapia è di solito efficace nel bloccare la crescita dell’adenoma e nel diminuire i valori di GH e IGF-1. Tuttavia, la diminuzione della secrezione del GH (e il miglioramento clinico) è molto lenta: anche 10 o 20 anni dopo il trattamento, solo una piccola percentuale di pazienti raggiunge un normale livello nel sangue di GH.
Gli effetti collaterali che si verificano durante o subito dopo il trattamento sono rari e comprendono affaticamento, nausea. Questi problemi di solito si risolvono in poche settimane o mesi dopo il trattamento.
Entro 10 anni dopo il trattamento, circa il 50 per cento dei pazienti trattati con radiazioni all’ipofisi sviluppano una carenza di uno o più ormoni ipofisari, tra cui gli ormoni che controllano la tiroide, le ghiandole surrenali, le ovaie o i testicoli.



GRAVIDANZA E ACROMEGALIA

Poco si sa circa l'interazione tra acromegalia e gravidanza, anche se sembra che le donne di solito sono in grado di portare la gravidanza a termine. Suggerimenti ragionevoli per le donne con acromegalia sono:

  • consultare un endocrinologo prima e durante una gravidanza
  • monitorare il campo visivo nelle donne con adenoma
  • eseguire RM se insorgono nuovi problemi visivi. La RM è generalmente ritenuta sicura per la madre e il feto durante la gravidanza se viene effettuata senza l'utilizzo di gadolinio (mezzo di contrasto) a partire dal quarto mese di gravidanza.

 

MONITORAGGIO
I pazienti devono essere monitorati durante tutta la vita per garantire che il trattamento sia ottimale e ridurre al minimo il rischio di complicanze della malattia e gli effetti collaterali del trattamento.
I pazienti dovranno valutare se il trattamento migliora i sintomi, come mal di testa, l'allargamento del viso, mani e piedi.
Fino a quando i livelli ematici di GH e IGF-1 non ritornano normali, i pazienti e i loro medici dovrebbero controllare l’apnea notturna.
A causa del rischio di polipi del colon, nei pazienti che continuano a presentare attività di malattia dopo i 50 anni deve essere eseguita periodicamente (ogni due/quattro anni) la colonscopia.
Per valutare la risposta al trattamento, bisogna misurare nel sangue il GH e l'IGF-1: l'obiettivo è raggiungere livelli di GH minori di 2.5 ng/ml, ma soprattutto IGF-1 normale. I livelli di IGF-1 vanno sempre considerati in rapporto all'età e al sesso.
I pazienti con acromegalia possono produrre quantità insufficienti di altri ormoni ipofisari a causa della compressione dell’adenoma ipofisario o a causa di un intervento chirurgico o per la radioterapia. Bisogna quindi controllare, oltre alla prolattina, anche i livelli di ormoni prodotti dalla tiroide, dai surreni e dalle ovaie o testicoli.
Se l’adenoma inizialmente era più grande di 1 cm, è importante controllare con la RM se  se il trattamento ne ha diminuito le dimensioni.
Se il trattamento iniziale non ha avuto successo, bisogna prendere in considerazione ulteriori trattamenti.
I pazienti con malattia ben controllata hanno un minor rischio di complicanze.

Stampa

Federica Innaimi
Palermo

 

Cause e manifestazioni cliniche
La produzione di ormone della crescita (GH) da parte della ghiandola ipofisaria è controllata da stimoli provenienti da una zona dell’encefalo detta “ipotalamo”. Il GH, a sua volta, agisce su alcuni organi bersaglio: fegato, ossa, cartilagini e muscoli. In tali organi il GH stimola la produzione di particolari sostanze le “Somatomedine” o IGF-I, responsabili delle azioni del GH.
Le cause di deficit di GH (GHD) sono numerose e per la maggior parte dei casi rimangono sconosciute (deficit idiopatico). Comunemente il GHD deriva dalla riduzione o assenza completa della produzione di questo ormone da parte dell’ipofisi. Questo malfunzionamento dell’ipofisi può determinare:

  • nel bambino rallentamento della crescita, della maturazione ossea e dello sviluppo muscolare, con bassa statura;
  • nell’adulto alterazioni metaboliche, come l’ipoglicemia e alterazioni del metabolismo lipidico; se la forma è grave, determina insufficienza della funzionalità cardiaca, che in assenza di trattamento può portare ad aumento del rischio di mortalità cardiovascolare.

È una malattia rara: ne soffre circa un soggetto su 4000.
Si possono distinguere due forme di GHD:

  • organiche, in cui malformazioni o tumori (o la cura chirurgica o radioterapica di questi) provocano alterazioni nell’anatomia dell’ipotalamo o dell’ipofisi;
  • non-organiche, in cui pur essendovi un deficit della secrezione ormonale, non si rilevano alterazioni anatomiche.

In alcuni casi vi può essere un’alterazione su base genetica. In base al tipo di mutazione, si possono avere quadri più o meno gravi di GHD.
Nei casi in cui il GHD è associato a difetti della produzione di altri ormoni ipofisari, si possono avere alterazioni dello sviluppo puberale, della funzionalità tiroidea e surrenalica.

 

Diagnosi
I test che permettono di stabilire se effettivamente esiste un GHD sono:

  • misurazione dei livelli di GH nel sangue, effettuata dopo la somministrazione di farmaci che ne stimolano la produzione (livelli bassi senza previa stimolazione sono presenti comunemente nelle persone normali);
  • esami radiologici, quali Risonanza Magnetica e TAC, per verificare la presenza di malformazioni o lesioni espansive (adenomi, craniofaringiomi o altro).

 

Terapia
Lo scopo della terapia nel bambino è quello di assicurare una statura finale adeguata, un buono sviluppo della massa muscolo-scheletrica e cardiaca e ridurre il rischio di mortalità cardiovascolare in età adulta; nell’adulto migliorare le alterazioni metaboliche e la qualità della vita.
La terapia sostitutiva con ormone della crescita utilizza un ormone biosintetico.
La dose di GH, somministrata sottocute, in somministrazioni giornaliere serali, va aggiustata in relazione al peso (con quantità diverse nell’adulto e nel bambino) e alla risposta clinica.
Nella maggior parte dei casi essa viene interrotta 2-3 anni dopo il raggiungimento della statura definitiva per assicurare un’adeguata maturazione ossea. Dopo la sospensione si rifanno gli esami (dosaggi di GH dopo stimolo) per identificare quei soggetti che dovranno proseguire la terapia anche in età adulta.

Stampa

Federica Innaimi
Palermo

 

Cosa sono i craniofaringiomi?
Sono tumori rari che nascono all’interno del cranio. Derivano dalla proliferazione dei residui del dotto cranio-faringeo, o tasca di Rathke, una formazione presente durante la vita embrionale, che normalmente regredisce senza lasciare traccia.

 

I craniofaringiomi sono frequenti?
Sono tumori rari, che costituiscono circa l’1-3% di tutti i tumori cerebrali, con comparsa più frequente nel bambino e nell’anziano.

 

I craniofaringiomi sono maligni?
Sono tumori epiteliali che sorgono nella zona sellare (dove si trova normalmente l’ipofisi) e non hanno tendenza a degenerare, bensì hanno un comportamento benigno. Possono dare però ugualmente problemi importanti a causa della localizzazione vicino a strutture importanti (ipofisi, vie nervose ottiche, regione ipotalamica e terzo ventricolo) che ne rendono impossibile o molto problematica l’asportazione radicale.
La maggior parte dei craniofaringiomi sono costituiti da parti solide e cistiche, e a volte presentano calcificazioni più o meno ampie.
Se ne distinguono due varietà:

  1. craniofaringioma adamantinomatoso
  2. craniofaringioma papillare.

 

Come si manifestano i craniofaringiomi?
I craniofaringiomi hanno una crescita lenta. I sintomi compaiono dopo qualche anno e sono dovuti alla compressione delle strutture vicine (vedi sopra) e dunque variano in base alla precisa localizzazione del tumore. La maggior parte dei pazienti presenta cefalea e disturbi visivi. La prima manifestazione può essere confusione mentale e stato soporoso.
Tra le alterazioni endocrine può esserci la carenza degli ormoni prodotti dall’ipofisi:

  • la carenza dell’ormone della crescita provoca blocco della crescita nei bambini (che è la manifestazione più comune in questa età) e astenia e alterazioni metaboliche nell’adulto;
  • la carenza delle gonadotropine provoca disturbi sessuali (amenorrea primaria nella femmina, pubertà ritardata nel maschio, impotenza, infertilità);
  • la carenza dell’ormone stimolante la tiroide provoca ipotiroidismo;
  • la carenza dell’ormone stimolante il surrene provoca iposurrenalismo;
  • la carenza dell’ormone antidiuretico, che si manifesta quando è coinvolto il peduncolo ipofisario (cioè nella quasi totalità dei casi dopo l’intervento chirurgico di asportazione, ma talvolta anche prima), provoca il diabete insipido, caratterizzato da eccessiva diuresi (parecchi litri di urina al giorno e anche durante la notte) e sete molto intensa.

L’ipotiroidismo e l’iposurrenalismo possono essere spesso asintomatici e devono essere ricercati mediante il dosaggio degli esami ormonali specifici.

 

Come si fa la diagnosi?
La diagnosi viene sospettata sulla base di alcune caratteristiche rilevata alla TAC o alla RMN, ma quella definitiva viene posta con l’esame istologico del campione asportato chirurgicamente.

 

Come si cura?
Se il tumore non invade l’ipotalamo, il trattamento di elezione consiste nell’asportazione completa del tumore.
Se è presente invasione ipotalamica, il trattamento consiste in una resezione subtotale associata a trattamento radioterapico post-operatorio, anche se vi è controversia sull’argomento data la giovane età dei pazienti coinvolti.
Le carenze ormonali ipofisarie sono abitualmente permanenti ed in tal caso si devono sostituire gli ormoni ipofisari (GH e ormone antidiuretico) oppure gli ormoni  prodotti dalle ghiandole periferiche che non sono più stimolate dall’ipofisi quali gli ormoni tiroidei e surrenalici. Per quanto riguarda gli ormoni sessuali, se si desidera una gravidanza, è necessario stimolare l’ovaio od il testicolo con le gonadotropine, altrimenti è molto più semplice somministrare direttamente gli ormoni sessuali (testosterone nel maschio oppure estrogeni e progestinici nella donna).

Stampa

Dominique Van Doorne

 

La tiroide è una ghiandola a forma di farfalla, collocata nella parte più bassa e anteriore del collo, al di sotto del cosiddetto “pomo di Adamo” (cartilagine tiroidea) e al di sopra della “fossetta del giugulo” e dello sterno. È costituita da due lobi, ciascuno di circa 5 cm di diametro (le dimensioni di una piccola prugna), uniti fra loro perTiroide mezzo di una giunzione di tessuto chiamata “istmo”.

La tiroide è quindi un organo piuttosto piccolo, ma è comunque importante perché regola lo sviluppo e la crescita, i processi metabolici ed il consumo di energia dell’intero organismo attraverso la produzione di due ormoni: la tiroxina (T4) e la tri-iodotironina (T3). Per la sintesi di questi ormoni è indispensabile lo iodio ed è questo il motivo per cui un insufficiente apporto alimentare di iodio può essere seguito da conseguenze sfavorevoli.

In gravidanza il fabbisogno di iodio e di ormone tiroideo aumenta sensibilmente, con una tendenza all’incremento delle dimensioni della tiroide. Questo fenomeno è tanto più evidente quanto maggiore è la carenza di iodio nella gestante. Nella donna che pianifica una gravidanza è opportuno un supplemento di iodio nella dieta, che dovrebbe costituire un'integrazione corrente, in modo analogo a quella di ferro e folati.

Gli ormoni tiroidei T4 e T3 circolano nel sangue legati a proteine di trasporto e solo una piccola parte di essi che rimane libera (definite come FT3 e FT4, dove F sta per Free in inglese) è in grado di svolgere la propria attività ormonale. Il TSH, ormone prodotto dall'ipofisi (una piccola ma importante ghiandola posta alla base del cranio), ha il compito di regolare accuratamente il livello di funzione della tiroide.

Quando la tiroide funziona meno del necessario (condizione chiamata “ipotiroidismo”), gli ormoni tiroidei FT3 e FT4 diminuiscono, mentre il TSH nel sangue è solitamente elevato (vedi ipotiroidismo); al contrario, quando la funzione tiroidea è eccessiva (condizione chiamata “ipertiroidismo”) i livelli del TSH si abbassano e gli ormoni tiroidei aumentano (vedi ipertiroidismo).

Stampa

Ipotiroidismo

Ipertiroidismo

Stampa

Dominique Van Doorne

 

L'ipotiroidismo è un quadro clinico dovuto alla riduzione degli ormoni tiroidei in circolo. E' una patologia molto frequente, in particolare nel sesso femminile e negli anziani.

 

Quali sono le cause?
Le principali sono rappresentate da:

  • tiroidite cronica autoimmune, nota anche come tiroidite di Hashimoto;
  • pregressi interventi chirurgici di asportazione, totale o parziale, della tiroide;
  • pregressa somministrazione di iodio radioattivo per il trattamento dell’ipertiroidismo;
  • impiego di farmaci anti-tiroidei (propiltiouracile, metimazolo), o di farmaci in grado di interferire con la funzione tiroidea (es. amiodarone e litio);
  • carente introduzione di iodio con gli alimenti;

Molte delle cause indicate nell'elenco sopra riportato sono iatrogene, cioè riconducibili a trattamenti chirurgici o medici che comportanto l'asportazione totale o parziale della tiroide o il blocco funzionale della ghiandola: in tutti questi casi l'ipotiroidismo costituisce un risultato atteso ed è facilmente prevenibile qualora il paziente si sottoponga ai controlli medici stabiliti.

La tiroidite autoimmune è una condizione oggi estremamente frequente nella popolazione generale, in particolare nel sesso femminile: si calcola che tale problema arrivi a interessare il 10-20% delle donne di età superiore ai 50-60 anni. Fortunatamente, in molti casi l'ipotiroidismo si sviluppa tardivamente e in modo estremamente lento e graduale: per molti anni la tiroidite determina infatti minime alterazioni della funzionalità tiroidea, che nella maggior parte dei pazienti non si associano a sintomi di rilievo (ipotiroidismo subclinico). Il riconoscimento precoce di tale condizione è tuttavia importante per anticipare l'evoluzione alla fase sintomatica della malattia e perché può provocare negli anni un aterosclerosi precoce. 

La grave carenza alimentare di iodio, in grado di causare ipotiroidismo, è un'eventualità rara; tuttavia va sottolineato che nella popolazione italiana in genere l'apporto iodico è tendenzialmente insufficiente. Di qui l'avvio di programmi di prevenzione, stabiliti da un apposita legge sulla iodoprofilassi del 2005, basati sull'impiego di sale iodato. Si tratta di sale fortificato con iodio, facilmente reperibile in tutti i punti di vendita, il cui impiego non presenta sostanziali controindicazioni. Il consumo di sale iodato assicura l'introduzione giornaliera di una dose fisiologica di iodio, equivalente al contenuto di iodio in 150-200 grammi di pesce di mare. In gravidanza il fabbisogno di iodio deve essere incrementato (250-300 µg al giorno), per garantire una corretta funzione della tiroide fetale. E' opportuno usare un integratore con iodio, perché l'assunzione di 250 µg di iodio alimentare è possibile solo con un consumo quasi quotidiano di pesce di mare.

 

Quali sono i sintomi dell'ipotiroidismo?
L’ipotiroidismo si associa in modo caratteristico ad un rallentamento generalizzato delle funzioni corporee. Si osserva un rallentamento dell’attività fisica e di quella mentale, della funzione cardiovascolare, di quella gastrointestinale e di quella neuromuscolare.
I sintomi tendono ad apparire gradualmente, nell'arco di un lungo periodo di tempo. Il rallentamento del metabolismo negli anziani viene considerato un cambiamento naturale dovuto all'età; pertanto, una condizione di ipotiroidismo senile risulta spesso misconosciuta.
I sintomi tipici dell’ipotiroidismo sono:

  • sensazione di freddo
  • stanchezza a carattere ingravescente
  • depressione, apatia
  • sonnolenza diurna, anche dopo aver dormito tutta la notte
  • difficoltà di concentrazione e di memoria
  • aumento di peso in genere di grado modesto
  • stipsi
  • cute secca
  • gonfiore del viso
  • voce rauca
  • capelli secchi e fragili

 

Come si fa la diagnosi?
La diagnosi di ipotiroidismo si fa effettuando un prelievo di sangue per misurare la concentrazione di TSH, che risulta elevato, e di FT4 che è spesso al limite inferiore della norma nelle forme lievi oppure francamente ridotto nelle forme conclamate. Nel caso di un lieve aumento del TSH (tra 2.5 e 5.5), associato ad FT4 nei limiti, si parla di ipotiroidismo subclinico. Questa condizione necessita di essere trattata farmacologicamente  soprattutto nella donna in età fertile al fine di evitare un ipotiroidismo in gravidanza, condizione quest'ultima in grado di compromettere lo sviluppo neuropsichico del bambino.
La diagnosi di Tiroidite Cronica Autoimmune è possibile grazie al riscontro di anticorpi positivi anti-TPO e/o anti-tireoglobulina; il dosaggio di tali anticorpi è necessario nella fase di inquadramento clinico iniziale, mentre la ripetizione del dosaggio nel tempo non fornisce in genere informazioni di utilità clinica.

 

Come si cura l'ipotiroidismo?
L’ipotiroidismo viene curato con la somministrazione di ormone tiroideo (principalmente tiroxina). Si tratta pertanto di un trattamento sostitutivo, perché il paziente assume la quantità di ormone che la tiroide non è più in grado di produrre autonomamente.
L'assunzione della tiroxina avviene per bocca, al mattino a digiuno, almeno 30 minuti prima della colazione. Si inizia con una piccola dose, destinata ad essere gradualmente aumentata finché non si ottiene una normalizzazione del TSH (prova che è stata raggiunta la dose appropriata).
L'assunzione di tiroxina in compresse o in soluzione è praticamente priva di effetti collaterali. Gli effetti collaterali descritti nel foglietto illustrativo sono riconducibili all'eventuale sovradosaggio della tiroxina.
Stabilita la dose necessaria, è sufficiente controllare la funzionalità tiroidea una volta all'anno. Il semplice dosaggio del TSH è in genere sufficiente per tale valutazione.
La comparsa di malattie acute o croniche intercorrenti, in particolare a carico del tratto gastrointestinale, o variazioni rilevanti del peso corporeo possono rendere necessari aggiustamenti del dosaggio. In questi casi è suggeribile ricontrollare il livello di TSH e, se necessario, modificare il dosaggio della tiroxina.

 

Stampa

Dominique Van Doorne

 

L'ipertiroidismo è un quadro clinico da eccessiva quantità di ormoni tiroidei in circolo, dovuto nella maggior parte dei casi ad ipersecrezione di ormoni da parte della tiroide (malattia di Graves-Basedow e noduli tiroidei iperfunzionanti) oppure da una distruzione più o meno marcata del tessuto tiroideo (tiroidite subacuta, tiroidite post-partum, tiroidite da farmaci).

 

Malattia di Graves-Basedow
La malattia di Graves-Basedow è la forma più frequente di ipertiroidismo. E' causata da un'infiammazione di carattere cronico della tiroide, su base autoimmune. In particolare, la malattia è riconducibile alla comparsa di autoanticorpi anti-recettore del TSH (TRAb), che hanno la capacità di “attivare” la tiroide attraverso il legame con il recettore del TSH situato sulle cellule tiroidee. Nelle forme classiche, l'aumentata produzione di ormoni tiroidei si associa all'incremento dimensionale della ghiandola (gozzo diffuso).
In una quota minoritaria di pazienti, gli anticorpi possono causare l'infiammazione dei tessuti retro-orbitari e la conseguente discrepanza tra la cavità ossea dell'orbita (inestensibile) e il suo contenuto. Ciò determina la protrusione (spinta in fuori) dei bulbi oculari, chiamata “esoftalmo”. Le manifestazioni a carico degli occhi e dei tessuti peri-oculari possono essere di varia entità: irritazione degli occhi, senso di secchezza, eccessiva lacrimazione, sporgenza dei globi oculari che può rendere difficile la chiusura delle palpebre, gonfiore della palpebre, e, più raramente, visione doppia. La comparsa di tali segni e sintomi nel paziente con ipertiroidismo richiede una immediata valutazione specialistica e l'eventuale adozione di terapie specifiche, che possono contemplare la somministrazione di corticosteroidi, e in taluni casi provvedimenti chirurgici. L'infiammazione del tessuto orbitario è più frequente nei fumatori; è pertanto fortemente consigliabile che i pazienti affetti da ipertiroidismo si astengano dal fumo.

 

Nodulo tossico (adenoma) e gozzo nodulare tossico
Un nodulo tiroideo viene chiamato “autonomo” o “ipersecernente” o “tossico” quando funziona in eccesso, autonomamente, non in risposta allo stimolo del TSH. L’ipersecrezione può essere lieve e non dare sintomi di ipertiroidismo (cosiddetto nodulo pretossico), con ormoni tiroidei al limite alto della norma e TSH basso (vedi cosa è la tiroide e a cosa serve). Altre volte il nodulo secerne grandi quantità di ormoni, dando il quadro di ipertiroidismo (cosiddetto nodulo “tossico”) con FT3 e FT4 alti e TSH basso.
Per gozzo multinodulare tossico si intende un gozzo nodulare nel quale uno o più noduli diventano iperfunzionanti; è più comune nelle persone anziane e nelle zone di carenza iodica. L’uso di sale iodato, al contrario di quanto generalmente creduto, riduce nettamente l’incidenza del gozzo multinodulare tossico, come dimostrato in tutti paesi dove più del 90% della popolazione consuma sale iodato da più di 20 anni. La scintigrafia tiroidea con Tc-99 o Iodio-131 mette in evidenza i noduli iperfunzionanti perché captano avidamente il radiotracciante (nodulo ”caldo”), mentre spesso il restante parenchima tiroideo non capta per la soppressione del TSH.

 

Altre patologie tiroidee che si accompagnano a ipertiroidismo
La tiroidite subacuta di De Quervain, la tiroidite post-partum, la tiroidite silente linfocitica e la tiroidite da farmaci hanno tutte, molto spesso, una fase di ipertiroidismo seguita da una fase di ipotiroidismo.

 

Quali sono i sintomi da ipertiroidismo ?
I sintomi dell'ipertiroidismo variano da soggetto a soggetto, secondo l'intensità della malattia e secondo l'età. Possono esserci:

  • nervosismo, agitazione, facile irritabilità
  • tremore alle mani
  • battito cardiaco accelerato
  • intolleranza al caldo
  • mani sudate, eccessiva sudorazione corporea
  • perdita di peso nonostante l'aumento di appetito
  • stanchezza
  • debolezza muscolare
  • frequente emissione di feci molli
  • alterazioni mestruali

 

Come si cura l'ipertiroidismo
La terapia dell'ipertiroidismo può essere farmacologica, radiometabolica e chirurgica.
La terapia farmacologica con Metimazolo o Propiltiouracile permette di "frenare" la produzione eccessiva di ormoni tiroidei. Nel morbo di Basedow la terapia deve essere proseguita per molti mesi (fino a 18-24 mesi), mentre nel caso di nodulo tossico la terapia serve solo ad abbassare gli ormoni tiroidei per migliorare le condizioni generali prima dell'intervento chirurgico o della terapia radiometabolica.
La terapia radiometabolica con piccole dosi di radioiodio è molto efficace perché la tiroide è avida di iodio, in particolare nella fase di iperattività. Il radioiodio captato distrugge, nelle settimane successive l'assunzione, il nodulo tossico ipercaptante o tutta la tiroide nel Morbo di Basedow.
A volte è necessario ricorrere all'intervento chirurgico per una rimozione della tiroide o del nodulo tossico.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

La tiroidite cronica di Hashimoto è una patologia infiammatoria della tiroide su base autoimmune, cioè provocata da un'alterazione del sistema immunitario con produzione di anticorpi che aggrediscono la ghiandola tiroidea. La tiroidite cronica, come tutte le patologie autoimmunitarie, è di gran lunga più frequente nelle donne. La diagnosi viene fatta in presenza di anticorpi (anti-TPO e anti-tireoglobulina) nel sangue e/o di riscontro del tipico quadro ecografico: disomogeneità diffusa, più o meno marcata, del tessuto tiroideo e accentuazione della vascolarizzazione della ghiandola. Spesso a questo quadro si aggiunge la comparsa di uno o più noduli tiroidei (vedi gozzo e nodulo tiroideo).

In molti casi il paziente con tiroidite cronica è eutiroideo, cioè presenta una funzione tiroidea normale (TSH normale). In questi casi è sufficiente fare dei controlli annuali regolari, senza necessità di trattamento farmacologico. Lo stato di eutiroidismo può durare per anni, ma la probabilità di sviluppare un ipotiroidismo aumenta con il passare del tempo: comunque una percentuale inferiore al 5% dei pazienti con tiroidite cronica autoimmune va incontro annualmente ad ipotiroidismo. Il paziente deve sapere che se compaiono sintomi di ipotiroidismo (vedi ipotiroidismo) o più raramente di ipertiroidismo (vedi ipertiroidismo) deve anticipare il controllo della funzione tiroidea.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

È un'infiammazione della ghiandola tiroidea di probabile origine virale. L'infiammazione provoca una distruzione della ghiandola, con liberazione improvvisa, che dura qualche settimana, di ormoni tiroidei in circolo, con sintomi propri dell’ipertiroidismo. La tiroide è lievemente ingrandita e dolente; il dolore è nella parte bassa del collo e si irradia in alto a tutto il collo fino alle orecchie. Spesso il quadro clinico viene scambiato per un semplice mal di gola e il sospetto sorge solo per l’eccessiva durata dei sintomi e l’inefficacia della terapia antibiotica.

Dopo la prima fase di ipertiroidismo, segue una fase di lieve ipotiroidismo, che dura, nella maggior parte dei casi, alcune settimane. La guarigione si associa nella maggior parte dei casi al pieno e duraturo recupero di una normale funzionalità tiroidea.

Il sospetto clinico viene confermato dagli esami di laboratorio (VES molto alta, emocromo normale, TSH basso e ormoni tiroidei elevati nella prima fase, TSH alto e ormoni tiroidei bassi nella seconda fase).

La terapia è a base di farmaci anti-infiammatori (Aspirina, Ibuprofene o altri FANS) o cortisone e viene in genere protratta fino alla completa remissione clinica e normalizzazione della VES.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

Il gozzo è un aumento volumetrico della tiroide e si distingue in gozzo semplice (senza noduli) e gozzo uninodulare o multinodulare.
Il nodulo della tiroide è un ingrossamento ben circoscritto e delimitato di una parte (anche molto piccola) della tiroide.

La causa più frequente del gozzo e dei noduli troidei è la carenza di iodio, che riguarda ancora oggi il 55% della popolazione italiana. La iodoprofilassi è la prevenzione più efficace ed è facilmente attuabile mediante l’uso di sale fortificato con iodio, ovunque ampiamente disponibile.

Noduli tiroidei apprezzabili con la semplice palpazione del collo sono presenti nel 5% circa della popolazione, ma noduli così piccoli da poter essere svelati solo dall'ecografia della tiroide interessano fino al 30-40% della popolazione adulta. Nei paesi con carenza di iodio i noduli possono essere riscontrati anche nel 60% della popolazione. È chiaro che un disturbo così diffuso è nella maggior parte dei casi del tutto benigno e non necessita di alcuna terapia. Tuttavia, è importante svelare i rari casi (circa il 5-7% del totale) in cui il nodulo può essere una neoplasia maligna. Fortunatamente nella stragrande maggioranza dei casi, la diagnosi precoce, il trattamento chirurgico adeguato e l'eventuale terapia radiometabolica consentono la guarigione completa della malattia.

La maggior parte dei noduli tiroidei non causa alcun disturbo e viene riscontrata casualmente nel corso di una visita medica di controllo o di uno studio ecografico o radiologico effettuato per altri motivi. Con semplici esami come la visita, l’esame ecografico, il profilo ormonale e talvolta l’esame scintigrafico è possibile valutare le caratteristiche dei noduli. Talvolta l'aumento del volume della tiroide e dei noduli è così marcato da provocare sintomi di compressione sugli organi circostanti la tiroide, quali il nervo ricorrente (voce rauca), l'esofago (difficoltà alla deglutizione) e la trachea (senso di peso e raramente soffocamento nella posizione supina).

Per determinare la natura del nodulo, è spesso necessario eseguire un agoaspirato tiroideo con ago sottile (vedi ecografia tiroidea e agoaspirato). Una volta definita la natura benigna della lesione, sarà possibile gestirla con assoluta tranquillità e, spesso senza bisogno di alcun trattamento. Ovviamente, se nel tempo il nodulo dovesse ingrossarsi progressivamente o causare dei disturbi locali, sarà necessario mettersi immediatamente in contatto con l'endocrinologo.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

I noduli tiroidei benigni sono molto frequenti e diffusi nella popolazione generale. Un corretto apporto di iodio con l’alimentazione e con l’uso quotidiano di un pizzico di sale iodato sta portando a una lenta e progressiva riduzione della frequenza dei noduli tiroidei in Italia.
Molti pazienti scoprono di avere noduli tiroidei per caso, incidentalmente, durante l’esecuzione di altri esami di diagnostica per immagini, come un ecodoppler dei tronchi sovra-aortici. La diagnosi di un nodulo tiroideo comporta un percorso diagnostico-terapeutico che cerca di rispondere a più domande:

  1. si tratta di un nodulo benigno o maligno? La risposta, nel caso che ci sia questo sospetto, è data dall’agoaspirato;
  2. si tratta di un nodulo che produce troppi ormoni tiroidei (cosiddetto nodulo iperfunzionante)? La risposta è data dal dosaggio degli ormoni tiroidei nell’esame del sangue;
  3. si tratta di un nodulo che aumenta progressivamente di volume?

Il 90% dei noduli benigni può essere “osservato” nel tempo, facendo solo controlli periodici dell’ecografia e della funzione tiroidea (ogni 1-3 anni secondo i casi). Tuttavia, il 10% dei noduli tende a crescere nel tempo, raggiungendo delle dimensioni tali da dare sintomi da compressione delle strutture vicine, come la trachea, l’esofago, i nervi e i vasi del collo. I sintomi più frequenti sono un senso di compressione che si avverte soprattutto in alcune posizioni del collo, disturbo respiratorio (dispnea), disturbo della voce (disfonia), fastidio durante la deglutizione (disfagia). Altre volte i noduli benigni voluminosi si manifestano con un gonfiore nella parte bassa del collo, visibile a occhio nudo, che crea un problema estetico.
In Italia, nel 2017, sono stati eseguiti circa 26.000 interventi chirurgici per asportazione di noduli tiroidei benigni sintomatici. Nella maggior parte degli interventi è stata tolta tutta la tiroide (tiroidectomia totale) per la presenza di noduli nei due lobi tiroidei; in un numero più piccolo di casi è stata asportata solo mezza tiroide (emitiroidectomia o lobectomia) per la presenza di uno o più noduli in un solo lobo tiroideo. Negli ultimi 20 anni ci sono stati molti progressi nelle procedure chirurgiche tiroidee, tanto da richiedere che sia praticata solo da chirurghi esperti in tiroidectomia. L’approccio mini-invasivo ne è il miglior esempio, permettendo al chirurgo di trasformare la tradizionale tiroidectomia in MIVAT (tiroidectomia mini-invasiva video-assistita). La MIVAT non è indicata per tutti i pazienti e la tiroidectomia classica è ancora indicata nei noduli e gozzi molto voluminosi o in certi tumori della tiroide. Le due tecniche sono equivalenti per efficacia e tasso di complicanze, ma dal punto di vista del paziente la differenza sta nel minor impatto estetico della MIVAT, che lascia una cicatrice più piccola.
Vantaggi della chirurgia: soluzione definitiva che non richiede più ecografie di controllo.
Svantaggi della chirurgia: ipotiroidismo (se viene tolta tutta la ghiandola), necessità di anestesia generale, necessità di ricovero (1-4 notti) e, ovviamente, la presenza di una cicatrice chirurgica.
Le possibili complicanze della chirurgia sono:

  • ipoparatiroidismo nel 2-6% (solo nei casi di tiroidectomia totale), con necessità di prendere calcio e vitamina D per tutta la vita. Nel caso della lobectomia non si rischia di avere un ipoparatiroidismo, perché le paratiroidi dell’altro lato del collo possono compensare l’eventuale danno delle paratiroidi del lato operato;
  • danno permanente del nervo laringeo ricorrente, in circa l’1% dei pazienti operati, con paralisi di una corda vocale e conseguente disfonia, che richiede una logopedia per riabilitare la voce. Questa complicanza ha un forte impatto sulla qualità di vita del paziente;
  • danno del nervo laringeo superiore nel 3.7% dei casi, che provoca difficoltà a cantare, urlare e fare toni acuti, cose che possono essere un problema molto serio per i cantanti professionisti, ma che per tutti hanno un impatto sulla qualità di vita;
  • emorragia in circa l’1.2% dei casi, con necessità di un rapido re-intervento in rari casi.

Nelle ultime 2 decadi sono stati proposti diversi trattamenti mini-invasivi, mirati al trattamento ambulatoriale dei noduli sintomatici, senza necessità di anestesia generale e con  minimo rischio di danno alla cute e ai tessuti cervicali (1).
L’alcolizzazione percutanea ecoguidata (PEI) è un’alternativa consolidata alla chirurgia, sicura ed efficace per le voluminose cisti tiroidee (a contenuto liquido) recidivanti. Dapprima si aspira il liquido cistico, per esaminarlo allo scopo di escludere le rare cisti neoplastiche. In caso di recidiva della cisti, si riaspira il liquido e si inietta etanolo per “seccare” le pareti della cisti. Attualmente la PEI viene considerata il trattamento di scelta per le grosse cisti recidivanti, poiché l’efficacia (considerata come diminuzione di volume di almeno il 50%) è di circa il 90% con una o più iniezioni di etanolo e il tasso di complicanze è molto basso. Le complicanze maggiori sono eccezionali e per la maggior parte transitorie (paralisi transitoria delle corde vocali). Poiché la riduzione di volume viene mantenuta a lungo nel tempo, la PEI è considerata come il trattamento con il miglior rapporto costo-efficacia per le cisti tiroidee benigne recidivanti dopo l’aspirazione. Al contrario, la PEI non è considerata un’opzione sicura per i noduli solidi, poiché la possibile diffusione dell’etanolo nei tessuti molli cervicali adiacenti può provocare la paralisi della corda vocale con raucedine, o un forte dolore cervicale o ancora la fibrosi dei tessuti cervicali (briglie di tessuto cicatriziale duro).
Da qualche anno è possibile fare una terapia non chirurgica del nodulo tiroideo benigno solido sintomatico, grazie all’uso di onde Laser o onde di radiofrequenza (RF), portate nel nodulo attraverso un ago. Le onde surriscaldano la parte interna del nodulo fino a provocare la morte delle cellule (necrosi). Questa tecnica, chiamata termoablazione del nodulo tiroideo, è molto ben tollerata, viene eseguita in anestesia locale e non richiede ricovero. L’operatore si serve di un ecografo per controllare il corretto posizionamento dell’ago e la quantità di tessuto “bruciato”. È importante sottolineare che, prima di procedere alla termoablazione, bisogna essere certi che si tratti di un nodulo benigno, attraverso l’esecuzione di 1 o 2 agoaspirati. La termoablazione non è indicata nel caso di noduli molto voluminosi o presenza di più noduli grandi (gozzi multinodulari), perché non permette di ottenere risultati soddisfacenti. In questi casi, si procede all’asportazione chirurgica di una parte o di tutta la ghiandola tiroidea.
I vantaggi della termoablazione sono:

  • assenza di cicatrice chirurgica;
  • assenza di anestesia generale;
  • non necessità di ricovero;
  • funzione tiroidea conservata.

Le complicanze durante e subito dopo la procedura sono poco frequenti e per lo più transitorie. In mani esperte non superano l’1% dei casi e consistono in:

  • emorragia all’interno della tiroide (1% dei casi);
  • ematoma cutaneo (0.5% dei casi);
  • bruciatura cutanea (0.5% dei casi);
  • dolore: lieve nel 10% dei casi e moderato nello 0.5%;
  • danno transitorio del nervo ricorrente che controlla la voce (0.5% dei casi).

Sono estremamente rare (pochi casi descritti nel mondo, che non succedono quando l’operatore è esperto) le complicanze gravi: rottura del nodulo o danno permanente del nervo laringeo ricorrente con disfonia e dispnea da sforzo persistenti.
La termoablazione, sia con Laser che con RF, permette di ottenere una riduzione di circa il 50-80% del volume del nodulo nei mesi successivi. Se la riduzione del volume del nodulo non è ritenuta sufficiente, si procede a una seconda seduta di termoablazione. La riduzione delle dimensioni del nodulo persiste per molti anni (anche 5-10). Alcuni noduli riprendono a crescere dopo 5 anni, per cui può essere necessario ripetere la procedura.
In conclusione, i noduli tiroidei benigni nella maggior parte dei casi possono essere tenuti sotto osservazione con ecografie periodiche, non ravvicinate (ogni 1-3 anni secondo i casi). La chirurgia è ancora l’unica scelta terapeutica per i noduli molto voluminosi o nei casi di gozzi multinodulari con diversi noduli grandi e/o in crescita. Sono attualmente disponibili trattamenti meno invasivi come alternativa alla chirurgia tradizionale, per la riduzione delle dimensioni dei noduli benigni voluminosi e sintomatici. Nel caso di noduli grandi e che danno sintomi, si può prendere in considerazione la termoablazione per ridurre il volume del nodulo ed evitare il rischio di complicanze della chirurgia. Per fare la scelta migliore, bisogna ricordarsi di chiedere al medico quali sono i risultati e le complicanze del trattamento proposto e qual è la sua esperienza nell’esecuzione della procedura chirurgica o della nuova tecnica ablativa, poiché, come già detto, il tasso di complicanze diminuisce quando la procedura invasiva viene eseguita da medici esperti in centri altamente specializzati.

 

Bibliografia

  1. Gharib H, et al. Nonsurgical, image-guided, minimally invasive therapy for thyroid nodules. J Clin Endocrinol Metab 2013, 98: 3949-57.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

L’ecografia tiroidea è un esame basato sulla capacità dei tessuti di riflettere gli ultrasuoni emessi da una sonda elettronica fatta scorrere sulla superficie del collo. I segnali che ritornano all’apparecchio ecografico vengono elaborati da un programma informatico, che ricostruisce le immagini anatomiche delle strutture del collo. Si tratta di un esame sicuro, privo di effetti collaterali o di controindicazioni, che non comporta l'impiego di radiazioni.

L’ecografia tiroidea è estremamente utile per definire in modo accurato: a) il volume della ghiandola, b) la presenza di eventuali quadri di infiammazione, c) la presenza di noduli e le loro caratteristiche. La descrizione dettagliata dei noduli da parte dell'ecografista esperto in patologie tiroidee permette di decidere quando effettuare l’agoaspirato tiroideo con ago sottile.

L’agoaspirato viene eseguito in posizione sdraiata, con la testa estesa all’indietro su un cuscino (con qualche fastidio per le persone che soffrono di artrosi cervicale) e non necessita di digiuno né di anestesia locale. Si inserisce un ago molto sottile all’interno del nodulo (in genere sotto guida ecografica) e si aspirano le cellule che successivamente vengono strisciate e fissate su un vetrino per la lettura citologica. La durata della manovra è estremamente breve; il dolore è di grado lieve o moderato e ben sopportabile. Solo raramente, dopo l’esame, può comparire un dolore più intenso e protratto; in questo caso, i comuni analgesici e anti-infiammatori sono efficaci a controllarlo completamente. Il rischio di danni alle strutture vitali del collo (vene, arterie, nervi) è pressochè assente se viene utilizzata la guida ecografica e se gli operatori sono esperti. In una piccola percentuale di casi (meno del 5%) possono formarsi piccoli ematomi all’interno della tiroide, dolenti ma destinati a riassorbirsi spontaneamente in pochi giorni. È comunque opportuno leggere attentamente e sottoscrivere il modulo di consenso informato fornito prima dell’esecuzione dell’agoaspirato per conoscerne l’utilità e i limiti diagnostici (vedi consenso informato)

Il citopatologo esperto in patologia tiroidea, oltre a dare una descrizione citologica dettagliata, definisce la lesione inserendo una classe denominata Tir (o Thy nei paesi anglosassoni). La classificazione in 5 classi (Tir 1-5) facilita l'interpretazione dei dati citologici.

  • La lesione benigna (85% dei casi) viene classificata come Tir 2.
  • Se il numero di cellule sui vetrini è troppo scarso per permettere al citologo di formulare una diagnosi, il risultato viene classificato come Tir 1. In questi casi ( 5-10% degli agoaspirati), può essere opportuno ripetere l'agoaspirato a distanza di almeno un mese.
  • In alcuni noduli, a causa del tipo di cellule che li compongono, l'agoaspirato può fornire un risultato indeterminato (classe Tir 3). Questi noduli, spesso definiti come "lesioni follicolari" sono benigni nell'80-85% dei casi e maligni nel restante 15-20%. Per questa ragione, il risultato Tir 3 suggerisce di valutare l'opportunità di un intervento chirurgico, o in alternativa, di seguire nel tempo il nodulo con estrema attenzione. Talvolta, se il TSH è basso ed il nodulo è grande, una scintigrafia tiroidea può aiutare a dirimere tra nodulo benigno e nodulo sospetto.
  • Le classi Tir 4 e Tir 5 indicano il sospetto o l'evidenza citologica di tumore tiroideo e rendono necessario procedere all'intervento chirurgico.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

La scintigrafia tiroidea viene eseguita mediante somministrazione, per bocca o per endovena, di una piccola dose di un radioisotopo (più spesso Iodio-131 o Tecnezio-99), che la tiroide capta selettivamente. Il paziente viene quindi fatto distendere su un lettino e uno speciale contatore (una “gamma camera” o uno “scanner”) viene avvicinato al suo collo per misurare le debolissime radiazioni emesse dalla tiroide e dai singoli noduli che si trovano al suo interno.

Si tratta di un'indagine sicura e non invasiva. Tuttavia, poichè la scintigrafia richiede l'impiego di preparati radioattivi è assolutamente controindicata in gravidanza e richiede l'adozione di alcune misure di radioprotezione.

Una tiroide normale capta in modo diffuso e omogeneo il radioisotopo, producendo una caratteristica immagine a farfalla di densità (o colore) uniforme.

Nell'ipertiroidismo da morbo di Basedow la tiroide capta molto e la curva di captazione ha un andamento tipico, mentre nella tiroidite subacuta la ghiandola non capta praticamente nulla.

Un nodulo tiroideo che funziona troppo appare come una zona di segnale molto più intenso (o colorato) rispetto al tessuto tiroideo circostante ed è chiamato “nodulo caldo”. Al contrario, un nodulo che funziona meno della ghiandola normale non capta il radioisotopo ed appare quindi come una zona più chiara o meno colorata ed è definito “nodulo freddo”.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

Il carcinoma della tiroide è una neoplasia a crescita molto lenta, derivata dalle cellule che compongono la ghiandola tiroide. La sua causa non è ben conosciuta; tuttavia un fattore di rischio certo è rappresentato dalle radiazioni, come dimostrato dall’aumento della sua frequenza nella popolazione esposta ad irraggiamento del collo. La grande maggioranza dei carcinomi tiroidei non è ereditaria e non pone a rischio la salute dei figli.

Tipi di carcinoma tiroideo

Come si tratta il carcinoma tiroideo?

Cos'è la stadiazione del tumore?

Terapia medica con tiroxina

Terapia radiometabolica con radioiodio

Quali controlli devono essere svolti negli anni?

 

Stampa

Dominique Van Doorne

 

Il carcinoma tiroideo può essere distinto in diversi tipi sulla base del suo aspetto all’esame effettuato sul pezzo asportato durante l'intervento (“esame istologico”). Ogni tipo istologico ha un diverso comportamento clinico e necessita pertanto di terapie diverse.

Carcinoma Papillare: di gran lunga il più frequente (80-90% dei casi di neoplasia tiroidea), molto comune nel sesso femminile e nei soggetti di giovane età. La sua aggressività è moderata e i trattamenti disponibili (asportazione chirurgica seguita da terapia con iodio radioattivo) sono molto efficaci. Le cure assicurano un'altissima probabilità di guarigione o di controllo clinico della malattia, assicurando una sopravvivenza simile a quella della popolazione generale.

Carcinoma Follicolare: meno frequente (5-10% dei casi), tende a colpire persone più anziane delle precedenti e viene talora diagnosticato in una fase più avanzata. Anche in questo caso la terapia è estremamente efficace, perché il tumore capta lo iodio radioattivo, che è in grado di distruggerlo, e la sopravvivenza è buona.

Carcinoma Midollare: molto meno frequente (< 5% dei casi), talora a carattere familiare ed ereditario. Per questo motivo (e solo per questo tipo di tumore) è opportuno eseguire  un prelievo di sangue per calcitonina ed un  esame genetico che permette di individuare i familiari a rischio di malattia. La completezza della resezione chirurgica del tumore tiroideo e dei linfonodi del collo è importante ai fini della completa guarigione del tumore. Infatti il carcinoma midollare non capta il radioiodio ed il trattamento medico-nucleare post-operatorio non consente di distruggere gli eventuali residui di malattia.

Carcinomi Scarsamente Differenziati o Anaplastici: sono fortunatamente molto rari e colpiscono in genere persone di età molto avanzata. La terapia in questi casi è poco efficace ed in genere  il controllo della malattia non viene ottenuto neanche dalla chirurgia, quando effettuabile.

Stampa

Dominique Van Doorne

 

La chirurgia è la prima e più importante modalità di trattamento del carcinoma tiroideo. Di norma viene rimossa tutta la ghiandola (operazione chiamata “Tiroidectomia totale”), talora insieme ai linfonodi della regione centrale del collo (operazione chiamata “Linfoadenectomia del compartimento centrale”). Solo in presenza di metastasi evidenti all’esame clinico, ecografico o intra-operatorio, si estende la rimozione anche ai linfonodi delle regioni laterali del collo (“Linfoadenectomia laterocervicale”).

Se il carcinoma è stato scoperto solo dopo un intervento di tiroidectomia parziale (chiamata “Lobectomia”), eseguito per una patologia tiroidea inizialmente ritenuta benigna, dovrà essere valutato se è opportuno effettuare un nuovo intervento per completare l’asportazione di tutto il tessuto tiroideo residuo.

Talora l’intervento chirurgico è seguito da un abbassamento della voce o da un leggero cambiamento nel suo timbro abituale. Nella grande maggioranza dei casi si tratta di un fenomeno passeggero, causato dal trauma operatorio, che si risolve nel corso di alcuni giorni o settimane. Nei pochi casi in cui la raucedine è persistente, essa è dovuta a un danno dei nervi che controllano le corde vocali (chiamati “nervi ricorrenti”). Un'accurata valutazione dello specialista otorinolaringoiatra e un ciclo di semplici esercizi saranno in grado di ripristinare quasi completamente la voce.

Subito dopo l'intervento, in circa il 20% dei pazienti, la calcemia scende per una sofferenza transitoria dellle ghiandole paratiroidee. I sintomi dell'ipocalcemia sono formicolii al labbro superiore, alle mani e ai piedi e, nei casi più gravi, crampi muscolari. E' sufficiente un'iniezione di calcio endovena seguita da un'assunzione di calcio e vitamina D per bocca per normalizzare la calcemia. Nelle settimane successive all'intervento sarà necessario ricontrollare la calcemia e adattare il dosaggio della terapia. Nella maggior parte dei casi la funzione delle paratiroidi si normalizza nei mesi successivi all'intervento ed è possibile sospendere gradualmente la terapia con calcio e vitamina D. In una piccola percentuale dei casi (1-2%) le paratiroidi non riprendono la loro funzione (ipoparatiroidismo) ed è necessario continuare la terapia per tutta la vita.

Dopo la tiroidectomia, secondo la stadiazione del tumore, può essere indicata una terapia radiometabolica allo scopo di eliminare le cellule tiroidee residue e di facilitare i controlli nel tempo (terapia con radioiodio).