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Andrea Frasoldati1, Mario Cappagli2 & Virginia Cappagli3
1Endocrinologia, Arcispedale S Maria Nuova, Reggio Emilia
2Ex SSD Endocrinologia, Ospedale S. Andrea, La Spezia
3Endocrinologia e malattie del metabolismo, Università di Pisa

 

(aggiornato al 17 marzo 2020)

 

Il carcinoma differenziato della tiroide (DTC) si caratterizza per un’ottima prognosi, con una probabilità di guarigione che può essere complessivamente stimata attorno al 90% dei casi. La maggior parte dei pazienti è infatti guarita dopo il trattamento iniziale (intervento chirurgico ± terapia radiometabolica con 131-I); tuttavia circa il 5-20% dei pazienti presenterà nel corso del follow-up metastasi/recidiva loco-regionale di malattia, mentre un gruppo più limitato (5-10%) svilupperà metastasi a distanza. Circa il 60-70% di questi ultimi casi e più in generale il 5% di tutti i tumori tiroidei diventerà refrattario al radioiodio, con un conseguente impatto prognostico negativo.
Disporre di sistemi di stratificazione del rischio è importante per stimare la prognosi di malattia e scegliere quindi i trattamenti più indicati, da un lato evitando un monitoraggio eccessivamente intensivo e prolungato, con conseguente dispendio di risorse, in pazienti a basso o bassissimo rischio, e dall’altro sorvegliando con strumenti appropriatamente sensibili e specifici i pazienti a rischio intermedio o elevato di sviluppare ripresa e/o progressione di malattia.
Per la stadiazione del tumore tiroideo sono stati proposti e utilizzati numerosi sistemi (TNM, AMES, MACIS, ecc), ma nessuno è superiore all’altro. Se tutti questi sistemi avevano il “difetto” di valutare la malattia tumorale tiroidea in modo statico, con l’introduzione nella pratica clinica delle linee guida ATA 2015 e la successiva revisione da parte delle società italiane è stato proposto un nuovo sistema di stadiazione di tipo dinamico della stratificazione del rischio. La dinamicità di questo sistema parte dal presupposto che la storia naturale del paziente e della sua malattia ci impone di formulare periodici aggiornamenti del suo inquadramento prognostico. In particolare, tali aggiornamenti avvengono in tre momenti principali:

  1. in fase post-chirurgica, in base ai dati clinico-anamnestici di partenza e al dato istopatologico;
  2. post-terapia ablativa con 131I (qualora eseguita), che integra i dati istopatologici con il risultato della scintigrafia post-dose e della tireoglobulina (Tg) misurata in condizioni di stimolazione;
  3. sulla base di quanto emerso dal follow-up iniziale e dalla risposta ai provvedimenti terapeutici (chirurgia e/o radioiodio).

 

STADIAZIONE DEL TUMORE TIROIDEO 1: FASE POST-CHIRURGICA
La stadiazione del tumore tiroideo nella fase post-chirurgica tiene conto di fattori prognostici correlati al paziente (es. età, sesso) e alla neoplasia (dimensioni, invasività, multi-focalità, metastasi). Dalle modalità di impiego (e non impiego) di questi fattori sono scaturiti nel corso degli scorsi decenni diversi sistemi di classificazione prognostica (1,2).
Il sistema maggiormente utilizzato è il sistema TNM (tumore-node-metastasis), elaborato dalla American Joint Committee on Cancer (AJCC), che permette di predire il rischio di morte malattia-correlato (2-4). Le principali novità introdotte nell’ultima versione del TNM, 8° edizione (tabella 1), rispetto alla versione precedente riguardano:

  • l’aumento del cut-off di età da 45 a 55 anni;
  • la minor rilevanza del significato prognostico negativo di alcune caratteristiche istologiche tumorali (es. metastasi linfonodali loco-regionali, minima estensione extra-tiroidea) a favore dell’estensione ai muscoli peri-tiroidei.

 

Tabella 1
Stadiazione TNM per i tumori tiroidei differenziati (papillare o follicolare)
(modificato da AJCC Cancer Staging Manual, 8th Edition, 20)
T  
T1  T1a Tumore < 1 cm
T1b Tumore 1-2 cm, limitato alla tiroide
T2  Tumore 2-4 cm, limitato alla tiroide
T3  T3a Tumore > 4 cm, limitato alla tiroide
T3b Tumore di qualsiasi dimensione, con estensione macroscopica ai muscoli peri-tiroidei
T4  T4a Tumore di qualsiasi dimensione, con invasione tessuti molli, laringe, trachea, esofago, nervo ricorrente
T4b Tumore di qualsiasi dimensione, con invasione fascia pre-vertebrale, carotide, vasi mediastinici
 
Nx  Linfonodi loco-regionali non valutati
N0  Nessuna evidenza di metastasi linfonodali
N1  N1a Presenza di metastasi linfonodali del VI o VII livello
N1b Presenza di metastasi linfonodali ai linfonodi laterali del collo e retro-faringei
M  
M0  Assenza di metastasi a distanza
M1  Presenza di metastasi a distanza

 

I criteri per definire le classi di rischio sono identici per tutti i tipi e le varianti istologiche del DTC (tabella 2).

 

Tabella 2
Stadiazione TNM e gruppi prognostici per i tumori tiroidei differenziati (papillare o follicolare)
(modificato da: AJCC Cancer Staging Manual, 8th Edition, 2016)
Stadio T N M Sopravvivenza a 10 anni
< 55 anni
I Qualsiasi Qualsiasi M0 98-100%
II Qualsiasi Qualsiasi M1 85-95%
≥ 55 anni
I T1 N0/Nx M0 98-100%
T2 N0/Nx M0
II T1 N1 M0 85-95%
T2 N1 M0
T3a/b Qualsiasi N M0
III T4a Qualsiasi N M0 60-70%
IVa T4b Qualsiasi N M0 < 50%
IVb Qualsiasi T Qualsiasi N M1

 

 

Il sistema MACIS (tabella 3) (6) considera 5 variabili: metastasi a distanza (Metastases), età (Age), radicalità chirurgica (Complete surgical treatment), invasività locale (Invasiveness) e dimensioni della neoplasia primitiva (Size). Predice il rischio di mortalità patologia-correlata. In analogia al sistema UICC/AJCC, individua 4 classi di rischio, ma non tiene conto della presenza o meno di metastasi linfonodali.

 

Tabella 3
Sistema MACIS: attribuzione punteggio
Metastasi Assenti 0
Presenti 3
Età < 40 3.1
≥ 40 0.08 x età
Radicalità Completa 0
Incompleta 1
Invasività Assente 0
Presente 1
Dimensioni tumore 0.3 x dimensioni tumore in cm
Classificazione prognostica MACIS
Punteggio Stadio Mortalità
< 6 1 1%
6-6.99 2 11%
7-7.99 3 44%
> 8 4 76%

 

 

Il sistema EORTC, pubblicato nel 1979, fu il primo a raggruppare sotto un unico sistema la stadiazione di tutti i tipi istologici di carcinoma tiroideo, compresi il carcinoma midollare e anaplastico (tabella 4) (6). Identifica 5 gruppi di rischio, utilizzando come parametri: età, genere, tipo istologico, estensione del tumore primitivo, numero dei siti metastatici. Rispetto agli altri sistemi, assegna al sesso maschile un valore prognostico peggiorativo, tiene conto del tipo e sottotipo istologico, attribuendo un rischio più elevato ai follicolari con aspetti di scarsa differenziazione e considera la molteplicità dei siti metastatici.

 

Tabella 4
Classificazione prognostica EORTC
  Somma
Calcolo punteggio Età alla diagnosi (anni)
Sesso maschile: + 12
Tumore midollare: + 10
Tumore scarsamente differenziato: +10
Tumore anaplastico: + 45
Estensione extra-capsulare: +10
Almeno un focolaio di metastasi a distanza:  + 15
Siti metastatici plurimi: + 15 (in aggiunta al precedente)
Gruppi di rischio in base al punteggio EORTC
gruppo 1: < 50
gruppo 2: 50-65
gruppo 3: 66-83
gruppo 4: 84-108
gruppo 5: ≥ 109

 

 

Il punteggio AMES (tabella 5) (7), introdotto alla fine degli anni ’80, è complessivamente simile al MACIS, pur essendo stato costruito su una casistica comprensiva di PTC e FTC. Propone infatti come fattori di rischio età, metastasi a distanza, estensione extra-tiroidea e dimensioni del tumore primitivo. Tuttavia, viene suggerito un cut-off di età differenziato tra maschi e femmine. Inoltre, a differenza del MACIS, il diametro della neoplasia non costituisce una variabile continua, ma viene proposto un cut-off dimensionale critico di 5 cm. Inoltre, a differenza di quanto avviene nel sistema AJCC, i pazienti con metastasi a distanza vengono tutti considerati ad alto rischio, indipendentemente dall'età.

 

Tabella 5
Classificazione prognostica AMES
Basso rischio Tutti i pazienti più giovani (maschi ≤ 40 anni, donne ≤ 50 anni) se M0
Pazienti di età superiore solo se:
  • PTC intra-tiroideo o FTC minimamente invasivo
  • diametro massimo della neoplasia < 5 cm
  • M0
Rischio elevato

Tutti i pazienti M1
Pazienti più anziani (maschi > 40 anni, donne > 50 anni) in caso di:

  • PTC ad estensione extra-tiroidea
  • FTC ampiamente invasivo
  • diametro massimo della neoplasia ≥ 5 cm

 

 

Negli anni ’90 ha goduto di una certa fortuna, in virtù della semplicità e immediatezza, il sistema cosiddetto Clinical Class (tabella 6) (8) a 4 classi di rischio, messo a punto dal gruppo di Chicago e quindi anche denominato dalla città nordamericana. Si tratta di un sistema che non tiene conto di parametri che hanno un valore prognostico unanimemente riconosciuto, quali età e dimensioni della neoplasia primitiva e non considera sesso e tipo istologico.

 

Tabella 6
Clinical Class
Classe I Tumore confinato alla tiroide
Classe II Metastasi cervicali
Classe III Tumore ad estensione extra-tiroidea o non completamente asportato
Classe IV Metastasi a distanza

 

 

Abbastanza simile al precedente è il sistema OSU (Ohio State University), proposto dal gruppo di Mazzaferri (9), che identifica 4 classi di rischio (tabella 7). Anch’esso non tiene conto dell’età, ma valuta le dimensioni del tumore primitivo e l’eventuale multi-focalità.

 

Tabella 7
Sistema di classificazione prognostica OSU
Classe Dimensioni T (cm) N Multi-focalità (> 3 foci) Invasività locale M Mortalità (%)
I < 1.5 N0 No No M0 0
II 1.5-4.49 N1 No M0 6
III ≥ 4.5 N0/N1 Sì/No M0 14
IV Qualsiasi N0/N1 Sì/No Sì/No M1 65

 

 

Interessante per alcuni suoi aspetti di originalità e per la sua aderenza alla clinica è il sistema a 3 livelli di rischio formulato dal gruppo del Memorial Sloan Kettering di New York, e quindi definito con l’acronimo MSK, su una casistica di oltre mille pazienti con PTC e FTC (10) (tabella 8). Tale sistema non tiene conto del superamento capsulare, né della presenza di linfonodi metastatici, ma dell’età (utilizzando il cut-off dei 45 anni), del diametro tumorale (con il cut-off di 4 cm), della presenza di metastasi a distanza, e del tipo e grading istologico.

 

Tabella 8
Sistema di stratificazione prognostica MSK
Classe di rischio Età (anni) Metastasi Dimensioni T (cm) Istologia e grading
Bassa < 45 M0 < 4 PTC
Intermedia < 45 M1 > 4 FTC e/o alto grado
> 45 M0 < 4 PTC
Elevata > 45 M1 > 4 FTC e/o alto grado

 

 

Uno dei limiti principali comune ai sistemi di classificazione prognostica sopracitati è quello di essere stati costruiti per valutare la mortalità specifica per la malattia. Proprio per questo, non costituiscono uno strumento sufficientemente accurato per valutare invece il rischio di recidiva loco-regionale, un problema di più frequente riscontro nella pratica clinica. Inoltre, molti sistemi di classificazione non attribuiscono a PTC e FTC un diverso profilo di rischio, né considerano la maggiore aggressività tipica di alcune varianti istologiche del PTC (es. cellule alte, cellule colonnari, sclerosante diffusa), o la minore pericolosità associata al FTC minimamente invasivo. A tale riguardo, è opportuno sottolineare che il diverso rischio prognostico che differenzia PTC e FTC secondo alcuni autori non è da ricondursi all’istologia per sè, ma piuttosto al fatto i pazienti con FTC, per un ritardo di diagnosi, presentano mediamente un’età più avanzata e una neoplasia più estesa, spesso già caratterizzata da metastasi a distanza (11). I lavori di confronto tra i diversi sistemi di classificazione, in particolare quelli pubblicati dal gruppo di Toronto su una casistica originale di circa 300 casi (12) e quelli, più recenti, del gruppo di Wurzburg su oltre 1200 pazienti (13), sono concordi nell’indicare che il sistema AJCC presenta un'adeguata accuratezza prognostica unita ad una maggior semplicità di utilizzo e maggior diffusione nella pratica clinica. Non è peraltro da escludersi che nel prossimo futuro possa affermarsi l’impiego di sistemi di classificazione prognostica differenziati nei pazienti con PTC o FTC: secondo i risultati ottenuti da diverse casistiche, il sistema MACIS sarebbe il più accurato per l’inquadramento prognostico dei pazienti con FTC rispetto agli altri sistemi (14-16).

 

 

STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO 2: FASE POST-TRATTAMENTO ABLATIVO
Un modello di stratificazione del rischio appartenente a una fase successiva a quella immediatamente post-chirurgica è quello proposto dalle nuove linee guida dell’American Thyroid Association (ATA) (17), che rivedono il modello precedentemente descritto delle linee guida del 2009, e riviste anche dalla consensus delle società italiane (18). Tale modello prevede la suddivisione dei pazienti in tre classi di rischio (basso/intermedio/elevato) sulla base dell’integrazione di dati di tipo anatomo-patologico, molecolare e clinico, prendendo in considerazione alcune “nuove” variabili, come il grado di invasione vascolare tumorale, il numero di linfonodi coinvolti e lo stato mutazionale del tumore (tabella 9).

 

Tabella 9
Rischio iniziale di recidiva secondo American Thyroid Association 2015
Rischio basso PTC con le seguenti caratteristiche:
  • non metastasi a distanza (M0);
  • resezione completa del tumore (R0);
  • nessuna invasione dei tessuti loco-regionali (T1/T2);
  • istologia non aggressiva;
  • non invasione vascolare;
  • N0 o N1 con ≤ 5 metastasi (< 0.2 cm di diametro max);
  • non captazione extra-tiroidea di I-131 alla WBS post-ablazione.

PTC intra-tiroideo, variante follicolare capsulata.
FTC intra-tiroideo ben differenziato, con invasione capsulare e invasione vascolare assente o minima (< 4 foci).
MicroPTC, intra-tiroideo, uni- o multi-focale (inclusi i casi BRAF V600E +)

Rischio intermedio Tumore con invasione microscopica dei tessuti lassi peri-tiroidei.
Tumore con istologia aggressiva.
PTC con invasione vascolare.
N1 clinico o riscontro istologico N1 con > 5 metastasi (< 3 cm di diametro max).
MicroPTC multi-focale con estensione extra-tiroidea (inclusi i casi BRAF V600E +).
Presenza di iodiocaptazione nel collo alla scintigrafia post-dose di 131-I.
Rischio alto Tumore con invasione macroscopica dei tessuti lassi peri-tiroidei.
Resezione tumorale incompleta.
Presenza di metastasi a distanza.
Tg post-operatoria suggestiva di metastasi a distanza.
Riscontro istologico N1 con metastasi > 3 cm di diametro max.
FTC con invasione vascolare massiva > 4 foci.

 

Tale modello è in grado di predire il rischio di recidiva/persistenza di malattia, che varia dal < 1% nel basso rischio a > 50% nell’alto rischio (17). Sulla base quindi delle classi di rischio, dovrebbe essere presa la decisione se sottoporre il paziente a terapia ablativa con 131-I (17-18):

  • basso rischio: non è routinariamente raccomandata;
  • rischio basso-intermedio o intermedio: dovrebbe essere presa in considerazione, soprattutto nei casi con età avanzata, varianti istologiche aggressive, invasione vascolare, ecc;
  • alto rischio: è raccomandata routinariamente.

 

 

STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO 3: RISPOSTA INIZIALE AL TRATTAMENTO CON RADIOIODIO
Il nuovo concetto introdotto dalle linee guida ATA 2015 è quello per cui la stratificazione iniziale del rischio di recidiva/persistenza di malattia non è un concetto statico, ma dinamico e deve pertanto essere aggiornata durante il follow-up dei pazienti, alla luce dei trattamenti effettuati e della risposta ottenuta. La risposta al trattamento iniziale si basa sulla valutazione dei seguenti parametri a distanza di 6-12 mesi dalla terapia con radioiodio:

  • Tg circolante in condizioni basali o dopo stimolazione;
  • ecografia cervicale;
  • eventuali indagini strumentali aggiuntive (TC o 18F-FDG TC-PET) in casi selezionati.

L’insieme di questi dati permette una nuova suddivisione dei pazienti in quattro diverse categorie (17) (tabella 10). Ad ogni tipo di risposta corrisponde una riclassificazione del rischio di recidiva (17). Tale sistema è già stato testato nella pratica clinica, che ne ha confermato la validità nel predire il rischio di recidiva di malattia (19).

 

Tabella 10
Risposta al trattamento iniziale
Risposta Tg sierica/AbTg Ecografia Altro imaging (TC/WBS/PET) Rischio recidiva
Eccellente (tutti i criteri indicati) < 0.2 ng/mL (in terapia soppressiva con L-T4).
< 1 ng/mL (dopo rhTSH).
Negativa Negativo 1-4%
Biochimica incompleta (uno qualsiasi dei criteri indicati) > 1 ng/mL (in terapia soppressiva con L-T4).
> 10 ng/mL (dopo rhTSH)
Incremento del titolo di AbTg.
Negativa Negativo 20-30%
Strutturale incompleta (uno qualsiasi dei criteri indicati) Qualsiasi valore di Tg o AbTg. Positiva per persistenza/recidiva di malattia loco-regionale Positiva per persistenza/ comparsa di malattia a distanza 50-85%
Indeterminata Tg 0.2-1 ng/mL (in terapia soppressiva con L-T4).
Tg 1-10 ng/mL (dopo rhTSH).
Titolo anticorpale AbTg stabile o in riduzione.
Presenza di immagini aspecifiche Presenza di immagini aspecifiche 15-20%

 

La determinazione della tireoglobulina sierica costituisce un parametro chiave dell’inquadramento prognostico, ma va tenuto di contro che i valori di Tg possono essere influenzati da diversi parametri: la quantità di tessuto residuo dopo l’intervento e/o la terapia ablativa, il livello di soppressione dei valori di TSH, il dosaggio utilizzato per la determinazione e il tempo intercorso tra l’intervento chirurgico/terapia ablativa e la misurazione analitica (17).

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Gilliland FD, Hunt WC, Morris DM, et al. Prognostic factors for thyroid carcinoma. Cancer 1997, 79: 564-73.
  2. Tuttle M, Morris LF, Haugen B, et al. Thyroid- differentiated and anaplastic carcinoma (Chapter 73). In: Amin MB, et al (Eds). AJCC Cancer Staging Manual, 8th edition. Springer International Publishing, New York, NY, USA 2017.
  3. Loh KC, Greenspan FS, Gee L, et al. Pathological tumor-node-metastasis (pTNM) staging for papillary and follicular thyroid carcinomas: a retrospective analysis of 700 patients. J Clin Endocrinol Metab 1997, 82: 3553-6.
  4. Ito Y, Miyauchi A, Jikuzono T, et al. Risk factors contributing to a poor prognosis of papillary thyroid carcinoma: validity of UICC/AJCC TNM classification and stage grouping. World J Surg 2007, 31: 838-48.
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  6. Byar DP, Green SB, Dor P, et al. Prognostic index for thyroid carcinoma. A study of the E.O.R.T.C. Thyroid Cancer Cooperative Group. Eur J Cancer 1979, 15: 1033-41.
  7. Cady B, Rossi R. An expanded view of risk-group definition in differentiated thyroid carcinoma. Surgery 1988, 104: 947-53.
  8. DeGroot LJ, Kaplan EL, McCormick et al. Natural history, treatment, and course of papillary thyroid carcinoma. J Clin Endocrinol Metab 1990, 71: 414-24.
  9. Mazzaferri EL, Jhiang SM. Long term impact of initial surgical and medical therapy on papillary and follicular thyroid cancer. Am J Med 1994, 97: 418-28.
  10. Shaha AR, Loree TR, Shah JP. Intermediate-risk group for differentiated thyroid carcinoma of thyroid. Surgery 1994, 116: 1036-40.
  11. Verburg FA, Mäder U, Luster M, et al. Histology does not influence prognosis in differentiated thyroid carcinoma when accounting for age, tumour diameter, invasive growth and metastases. Eur J Endocrinol 2009, 160: 619-24.
  12. Brierley JD, Panzarella T, Tsang RW, et al. A comparison of different staging systems predictability of patient outcome. Thyroid carcinoma as an example. Cancer 1997, 79: 2414-23.
  13. Verburg FA, Mäder U, Kruitwagen CL, et al. A comparison of prognostic classification systems for differentiated thyroid carcinoma. Clin Endocrinol (Oxf) 2010, 72: 830-8.
  14. Teo KW, Yuan NK, Tan WB, Parameswaran R. Comparison of prognostic scoring systems in follicular thyroid cancer. Ann R Coll Surg Engl 2017, 99: 479–84.
  15. Lang BH, Lo CY, Chan WF, et al. Staging systems for papillary thyroid carcinoma: a review and comparison. Ann Surg 2007, 245: 366-78.
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  17. Haugen BR, Alexander EK, Bible KC, et al. 2015 American Thyroid Association Management Guidelines for Adult Patients with Thyroid Nodules and Differentiated Thyroid Cancer: The American Thyroid Association Guidelines Task Force on Thyroid Nodules and Differentiated Thyroid Cancer. Thyroid 2016, 26: 1–133.
  18. Pacini F, Basolo F, Bellantone R, et al. Italian consensus on diagnosis and treatment of differentiated thyroid cancer: joint statements of six Italian societies. J Endocrinol Invest 2018, 41: 849–76.
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Andrea Frasoldati
UO Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

Il carcinoma tiroideo differenziato (DTC) comprende le neoplasie maligne a sviluppo dall’epitelio follicolare (tabella 1), corrispondenti ad oltre il 90% dei casi di carcinoma primitivo della tiroide (1-3). Il DTC è in larga prevalenza (85-90%) rappresentato dal carcinoma papillare (papillary thyroid carcinoma, PTC), la cui crescente incidenza è alla base del boom epidemiologico dei tumori tiroidei realizzatosi negli ultimi 15 anni (4-5). Nettamente distanziato per incidenza dal PTC, è il carcinoma tiroideo follicolare (follicular thyroid carcinoma = FTC), che corrisponde a circa il 10% dei casi.

 

Tabella 1
Classificazione istologica dei tumori primitivi maligni della tiroide
(
adattata dalla classificazione istologica WHO 1988 (1) e AFIP 1992 (2)
Tumori dell’epitelio follicolare Carcinoma papillare classico
variante follicolare
variante sclerosante diffusa
variante a cellule alte o colonnari
Carcinoma follicolare minimamente invasivo
ampiamente invasivo
Carcinoma oncocitario (cellule di Hürthle) minimamente invasivo
ampiamente invasivo
Carcinoma scarsamente differenziato insulare
altre varianti
Carcinoma indifferenziato (anaplastico)
Altri tumori epiteliali Carcinoma squamo-cellulare
Carcinoma mucoepidermoide
Carcinoma mucinoso
Tumori delle cellule parafollicolari (cellule C) Carcinoma midollare
Tumori misti epitelio follicolare/parafollicolare
Tumori non di derivazione epiteliale Linfomi
Sarcomi

 

 

Carcinoma tiroideo papillare
Presenta la massima incidenza nella IV-V decade ed una netta prevalenza nel sesso femminile (5,6,7,8). Le forme familiari, un tempo considerate rare, si ritiene corrispondano al 5-15% dei casi di PTC (9).
Nei paesi a più elevato sviluppo, la maggior parte delle nuove diagnosi di PTC avviene su noduli di  riscontro incidentale o rivelati da un’ecografia tiroidea eseguita per motivi aspecifici. Il profilo citologico corrisponde solitamente alle classi Tir-4 e Tir-5, tuttavia esiste una quota minoritaria di PTC, in genere rappresentati dalla variante follicolare, in cui l’esame citologico fornisce spesso un risultato indeterminato (Tir-3). Anche se rari, i falsi negativi citologici sono peraltro possibili.
Il PTC corrisponde spesso ad una lesione  di piccole dimensioni: in una percentuale vicina al 50%, la neoplasia presenta un diametro ≤ 1 cm (papillary microcarcinoma = PMC) (8,10). Un tempo quasi esclusivamente di riscontro istologico incidentale, i PMC oggi sono nella maggior parte dei casi diagnosticati mediante esame citologico (10).
Nei pazienti con PTC, la frequenza di metastasi linfonodali loco-regionali (compartimento centrale del collo e distretto latero-cervicale) alla diagnosi è elevata (35-50%)(8). Anche per questa ragione, la storia naturale della malattia si caratterizza per frequenti recidive loco-regionali di malattia (10-20%), possibili a anche a distanza di molti anni dalla tiroidectomia.  E’ interessante sottolineare che alcune delle maggiori casistiche di PMC pubblicate negli ultimi anni riportano una frequenza di estensione extra-tiroidea (pT3) e di metastasi linfonodali (pN1) rispettivamente corrispondenti al 15-30% ed al 20-35%, percentuali non dissimili da quelle che si registrano nei PTC di dimensioni superiori (10-16). Anche la bilateralità dei foci neoplastici non è infrequente nel PMC, verificandosi in circa il 15% (12-19%) dei casi (10-16). Pertanto, anche se la maggioranza (57-82%) dei pazienti con PMC presenta una stadiazione pT1N0, l’opportunità di un trattamento chirurgico di tipo conservativo è a tutt’oggi controversa. Ampie casistiche di PMC nordamericane e giapponesi caratterizzate da un lungo periodo di follow-up evidenziano che il rischio di recidiva loco-regionale di malattia nei pazienti trattati con chirurgia monolaterale e nei pazienti sottoposti a tiroidectomia totale o quasi-totale è sostanzialmente sovrapponibile (14,16).
ll PTC presenta una ridotta frequenza di metastasi a distanza (~5%); la sede prevalente è il polmone e nella maggior parte dei casi si tratta di localizzazioni multiple a carattere micro-nodulare, iodocaptanti e quindi responsive al trattamento con radioiodio. Nelle forme caratterizzate da evoluzione sfavorevole, possono comparire metastasi ossee e cutanee, più raramente epatiche e cerebrali (8). Il rischio di metastasi a distanza nel PMC è estremamente ridotto e i casi di mortalità aneddotici (10-16).
Nella maggior parte dei casi (70-80%) il PTC è rappresentato dalle varianti istologiche classica e follicolare, entrambe caratterizzate da una prognosi decisamente favorevole (17-21); sono tuttavia possibili varianti istologiche dotate di maggiore aggressività (tabella 2) (21,22).

 

Tabella 2
Profilo clinico-epidemiologico di PTC e FTC
Istologia Frequenza Età di massima incidenza Rapporto F:M Metastasi loco-regionali Metastasi a distanza Sopravvivenza a 10 anni
PTC 80% 30-55 3:1 30-50% 5-7% 90-95%
FTC 10-15% 45-70 3:1 10-15% 10-15% 80-85%

 

La variante a cellule alte, descritta originariamente nella seconda metà degli anni ’70, ha una prevalenza approssimativamente compresa nelle varie casistiche tra il 5 e il 15%. Le prime serie pubblicate indicavano una più elevata frequenza di secondarietà linfonodali (50-57%) e soprattutto di metastasi a distanza (25-31%) rispetto alle varianti classica o follicolare del PTC (23-25). Inoltre, la frequenza di recidiva loco-regionale risulterebbe circa 4 volte maggiore a quanto osservato nella variante classica del PTC (26). Alcuni autori ritengono comunque che la maggiore pericolosità della variante a cellule alte derivi da un’età media dei pazienti più elevata (V-VI decade) e da dimensioni della neoplasia alla diagnosi superiori rispetto a quelle riscontrate nel PTC classico. Inoltre il rapporto femmine:maschi (1.8:1) indicherebbe una più alta frequenza relativa nel sesso maschile. In altri termini, la variante a cellule alte non sarebbe per sè un fattore indipendente di prognosi sfavorevole (26,27), ma la più alta probabilità di un'evoluzione negativa della malattia deriverebbe dalle caratteristiche del paziente e dall’estensione iniziale del tumore. Il PTC a cellule alte si caratterizza comunque anche per una maggiore probabilità che le localizzazioni metastatiche non siano iodocaptanti, elemento che concorre ad una più elevata mortalità (23.6% vs 1.5 %)(26).
La variante a cellule colonnari è decisamente più rara (0.5%), è spesso associata ad una prognosi sfavorevole, con un’aumentata frequenza di metastasi a distanza e un’aumentata mortalità. Tuttavia, la maggior parte dei casi pubblicati è rappresentata da case report isolati e non è possibile derivare forti evidenze cliniche a riguardo (28).
La variante sclerosante diffusa, anch’essa rara (1-2%), si caratterizza per alcune peculiarità: viene spesso diagnosticata in individui giovani (massima incidenza nella III decade), di sesso femminile (4-5:1), e si associa a tiroidite cronica linfocitaria (29,30). Si tratta di una variante che pone particolari problemi in ambito diagnostico, poiché l’associazione con la tiroidite cronica e l’estensione di tipo diffuso nel parenchima tiroideo concorrono a rendere la neoplasia di non agevole individuazione ecografica. Spesso proprio la presenza di metastasi linfonodali guida la diagnosi, analogamente a quanto avviene in una quota di PMC. La mortalità associata a tale variante si ritiene non sia significativamente superiore a quanto osservato nelle forme classiche di PTC (29,30).
La variante solida o trabecolare ha anch’essa una frequenza dell’1-2%, che sale al 20-30% nelle casistiche delle neoplasie tiroidee indotte da radiazione. Tale variante, analogamente alla variante insulare, si associa ad una prognosi sfavorevole; proprio l’architettura solida/trabecolare o insulare della neoplasia viene identificata come uno dei criteri per definire una neoplasia tiroidea come scarsamente differenziata (poorly differentiated thyroid carcinoma, PDTC) (31,32).
Nel loro complesso, le evidenze disponibili suggeriscono che tutte le varianti istologiche sopra indicate presentano una maggiore pericolosità. Se da un lato ciò suggerisce l’opportunità di  una particolare attenzione nella gestione clinica dei pazienti con questi tipi di neoplasia, le modalità di trattamento suggerite dalle linee guida non differiscono in modo sostanziale da quelle relative alle forme usuali di  PTC. La stadiazione della neoplasia riveste infatti attualmente un ruolo di primo piano nel determinare la gestione clinica del paziente; occorre tuttavia ricordare che sono allo studio nuove proposte classificative dei tumori dell’epitelio follicolare, con l’obiettivo di realizzare una sintesi efficace tra criteri istopatologici tradizionali (es. invasività di capsula e vasi), e dati clinici ricavati dalle maggiori casistiche pubblicate (33).

 

Carcinoma tiroideo follicolare
Presenta la massima incidenza in una fascia di età più avanzata (V-VI decade) rispetto al PTC; inoltre, la frequenza di metastasi linfonodali è significativamente più bassa (10-20 %), mentre aumenta (10-15%) quella delle metastasi ematogene (10-12%).
Alla diagnosi il FTC si presenta in genere come un tumore monofocale, di grosse dimensioni (3-5 cm di diametro); per questo può corrispondere ad un nodulo palpabile.
La diagnosi di FTC è sempre istologica: la
citologia nella maggior parte dei casi corrisponde a quadri di proliferazione (o neoformazione) follicolare (Tir-3) e sono possibili falsi negativi.  All’esame istologico, il grado di invasione vascolare permette di distinguere forme “minimamente invasive”, a comportamento sostanzialmente benigno, da forme “ampiamente invasive”, spesso caratterizzate da metastasi a distanza (34-38).
Il carcinoma a cellule di Hürthle presenta un profilo clinico sostanzialmente sovrapponibile a quello del carcinoma follicolare, con l’importante caratteristica di risultare non infrequentemente insensibile al radioiodio. Inoltre, il carcinoma a cellule di Hürthle presenta multifocalità e metastasi linfonodali con una frequenza intermedia tra quella osservata nel PTC e quella assai contenuta del FTC (39).

 

Tabella  3
Classificazione clinico-prognostica dei tumori tiroidei maligni
 Grado di malignità Tumore
Basso Carcinoma papillare variante classica e follicolare
Carcinoma follicolare minimamente invasivo
Carcinoma a cellule di Hürthle minimamente invasivo
Intermedio Carcinoma papillare variante a cellule alte
Carcinoma papillare variante a cellule colonnari
Carcinoma follicolare ampiamente invasivo
Carcinoma a cellule di Hürthle ampiamente invasivo
Carcinoma midollare
Carcinoma scarsamente differenziato (es. insulare)
Carcinoma misto midollare/follicolare
Carcinoma mucoepidermoide
Linfomi
Alto Carcinoma indifferenziato (anaplastico)
Carcinoma squamocellulare
Sarcomi

 

 

 Bibliografia

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Enrico Papini e Irene Misischi
Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

(20 Febbraio 2012)

 

INTRODUZIONE

I tumori maligni della tiroide comprendono carcinomi derivati dalle cellule follicolari (carcinoma papillifero, carcinoma follicolare e carcinoma anaplastico) (vedi Classificazione e Stadiazione dei Tumori Differenziati) e dalle cellule parafollicolari (carcinoma midollare sporadico, familiare o in corso di MEN), le metastasi di neoplasie maligne di altri organi (mammella, rene, colon, melanoma) e alcuni tumori rari (linfoma primitivo della tiroide, sarcomi).
Questo capitolo è dedicato alla gestione clinica dei tumori differenziati tiroidei. Per il Carcinoma Anaplastico si rimanda al capitolo corrispondente, mentre per specifici approfondimenti della condotta terapeutica si rimanda ai capitoli sulla Chirurgia, Terapia radiometabolica, Radioterapia esterna, Follow-up e PET.
Benchè vi siano alcune rilevanti differenze nel comportamento biologico del carcinoma papillifero rispetto al follicolare, ai fini della pratica clinica la gestione dei carcinomi differenziati (DTC) può essere trattata in comune (1). E’ tuttavia necessario ricordare che i carcinomi follicolari compaiono in media in età più avanzata, si associano più frequentemente a metastasi a distanza e presentano una prognosi complessivamente meno favorevole dei carcinomi papilliferi (2-3).
L’incidenza dei tumori differenziati della tiroide ha mostrato nel corso dell’ultimo decennio un incremento superiore a quello delle altre neoplasie (4-5). L’aumento dell’incidenza è in parte conseguenza delle migliorate capacità diagnostiche per la diffusione dell'ecografia e dell’agoaspirato ecoguidato della tiroide (6). L’aumentata incidenza dei DTC, tuttavia, riguarda non solo i microcarcinomi papilliferi ma anche i tumori differenziati di maggiori dimensioni (5). A fronte della più elevata frequenza dei DTC, la mortalità tumore-specifica è invariata nel tempo, confermando l’importanza della diagnosi precoce e della gestione terapeutica integrata (4-5).
Per la presentazione e i quadri clinici dei DTC si rimanda al capitolo Manifestazioni Cliniche del Carcinoma Differenziato Tiroideo.

 

GESTIONE TERAPEUTICA

1.Terapia chirurgica

Il trattamento chirurgico è la modalità terapeutica più importante per i pazienti con DTC. Sono disponibili opzioni terapeutiche diverse in rapporto a tipo istologico, età, estensione di malattia e alla preferenza e condizioni generali del paziente (1). La scelta dell’approccio chirurgico deve essere sempre preceduta da un'attenta stadiazione pre-operatoria, basata principalmente sullo studio ecografico del collo.

La tiroidectomia totale è l’intervento di scelta nei pazienti con lesioni tiroidee maggiori di 10 mm su cui sia stata posta diagnosi citologica pre-operatoria di malignità (7). Questo approccio si associa a minore incidenza di recidive loco-regionali nei pazienti a basso rischio e a riduzione della mortalità complessiva nei pazienti a rischio intermedio e alto (8-9).  

La lobectomia con istmectomia è una possibile opzione terapeutica nei pazienti con DTC minore di 10 mm che, sulla base della stadiazione ecografica pre-operatoria, appaia unico e circoscritto alla ghiandola. In questo gruppo di pazienti la sopravvivenza a lungo termine è prossima al 100% e non appare ulteriormente migliorabile da interventi chirurgici più aggressivi (9). E’ necessario che il paziente operi la propria scelta essendo informato che nel 20-60% dei casi i DTC sono multifocali e/o bilaterali e che la stadiazione istologica definitiva può indurre (in caso di estensione extra-capsulare o di impegno linfonodale) a un secondo intervento per il completamento della tiroidectomia. Per il follow-up, inoltre, non possono essere adeguatamente utilizzate la tireoglobulina (Tg) sierica né la scintigrafia whole-body con radioiodio.

La tiroidectomia subtotale non ha attualmente indicazione (1).

La dissezione del compartimento centrale del collo (livello VI) deve essere eseguita quando vi è l’evidenza di impegno linfonodale alla stadiazione pre-operatoria o all'esplorazione intra-operatoria (10). La dissezione di principio (eseguita in assenza di metastasi evidenziabili) del compartimento centrale consente una stadiazione istopatologica più completa, definendo il pN e orientando più precisamente verso l'opportunità di un trattamento ablativo con radioiodio (11). La linfoadenectomia di principio, tuttavia, non si associa a riduzione significativa della mortalità a lungo termine, mentre è seguita da un incremento delle complicanze permanenti (ipoparatiroidismo e danno del nervo laringeo ricorrente). Dovrebbe pertanto essere considerata solo nei DTC di ampie dimensioni (> 4 cm) o con estensione extra-capsulare, perché associati con elevata frequenza a metastasi linfonodali (1). Deve comunque essere eseguita in ambienti chirurgici con specifica competenza e alto volume di interventi di tiroidectomia.

La linfoadenectomia latero-cervicale deve essere eseguita in presenza di metastasi linfonodali ecograficamente o clinicamente accertate (1). La dissezione deve essere funzionale (risparmiando l’integrità di muscoli, fibre nervose e vasi del collo) ed estesa ai compartimenti II, III, IV e V del collo.

L’impiego della ecografia intra-operatoria o della chirurgia radioguidata è utile in caso di reintervento per recidiva linfonodale o nel letto tiroideo in pazienti già sottoposti a precedente linfoadenectomia per ridurre i tempi operatori e minimizzare il rischio di complicanze (12).

Un approccio chirurgico più aggressivo deve essere impiegato nei tumori avanzati della tiroide che coinvolgono i muscoli e le strutture vitali del collo (13). L’intervento deve consentire il miglioramento della aspettativa e/o della qualità di vita e non deve essere causa di alterazioni anatomiche o funzionali penose o disabilitanti (vedi Carcinoma avanzato della tiroide: salvataggio delle vie aeree e digestive). In queste circostanze è necessaria una accurata stadiazione pre-operatoria da condurre con TAC o RM del collo e torace con mezzo di contrasto, studio endoscopico delle vie aeree e digestive superiori e, ove possibile, PET-TC con 18F-deossiglucosio (14).

 

2. Stadiazione

La stadiazione post-operatoria dei pazienti con DTC riveste un ruolo fondamentale per la gestione della malattia nel tempo. Essa consente di:

  • stimare con buona approssimazione il rischio di recidiva e mortalità tumore-specifica del singolo paziente
  • individuare la necessità e l’intensità delle terapie adiuvanti: ablazione con radioiodio e terapia soppressiva con ormone tiroideo
  • definire la frequenza e le modalità del follow-up
  • comunicare in modo conciso ma chiaro le condizioni del paziente.

Nella pratica clinica è opportuno utilizzare in successione tre sistemi di stadiazione, in grado di guidare la condotta clinica in fasi diverse.

  • Il rischio iniziale di mortalità tumore-specifico può essere definito sulla base dei dati istopatologici disponibili dopo l’intervento chirurgico. Il sistema di stadiazione più diffuso e accettato è il TNM, adottato dalla UICC e dall’AJCC. I pazienti, sulla base di età, dimensioni del tumore, estensione locale di malattia e presenza di metastasi a distanza, sono distinti in 4 stadi, caratterizzati da un rischio crescente di mortalità. La predittività del TNM è soddisfacente nel definire la mortalità ma, essendo basata sui soli dati anatomo-patologici, è meno precisa nel definire il rischio di recidiva o persistenza di malattia (15).

 

Tabella 1
Stadiazione TNM per il tumore della tiroide
modificato da: AJCC Cancer Staging Manual, Seventh Edition (2010)
Tumore primitivo (T)*
Tx tumore primitivo che non può essere evidenziato
T0 non evidenza di tumore primitivo
T1 T1a tumore ≤ 1 cm limitato alla tiroide
T1b 1 cm < tumore ≤ 2 cm limitato alla tiroide
T2 2 cm < tumore ≤ 4 cm limitato alla tiroide
T3 tumore > 4 cm limitato alla tiroide oppure
tumore di qualasiasi dimensione con minima estensione extra-tiroidea (es. muscolo sterno-tiroideo o tessuti soffici peri-tiroidei)
T4
(tutti i tumori anaplastici sono considerati T4)
T4a
(malattia moderatamente avanzata)
tumore di qualsiasi dimensione con estensione oltre la capsula tiroidea, che invade i tessuti soffici sottocutanei, laringe, trachea, esofago o il nervo laringeo ricorrente
carcinoma anaplastico intra-tiroideo
T4b
(malattia molto avanzata)
tumore che invade la fascia prevertebrale e circonda l'arteria carotide o i vasi mediastinici
carcinoma anaplastico con totale estensione extra-tiroidea
Linfonodi (N)•
Nx linfonodi cervicali che non possono essere evidenziati
N1 N1a metastasi ai linfonodi livello VI (pre-tracheali, para-tracheali e peri-laringei/linfonodo di Delfi)
  N1b metastasi ai linfonodi laterocervicali uni-bilaterali o controlaterali (livello I, II, III, IV, V) o ai linfonodi retro-faringei o del mediastino superiore
Metastasi a distanza
M0 Assenti
M1 Presenti

NotacTNM è la classificazione clinicapTNM è la classificazione patologica.
* Tutte le categorie possono essere suddivise(s) tumore solitario e (m) tumore multifocale (il più grande determina la classificazione).
• I linfonodi regionali sono il compartimento centrale laterale del collo, e ilinfonodi del mediastino superiore.



Tabella 2
Stadiazione TNM e gruppi prognostici per i tumori tiroidei differenziati (papillare e follicolare)
modif da AJCC Cancer Staging Manual, 7th Edition (2010)
< 45 anni
Stadio T N M
I qualsiasi qualsiasi M0
II qualsiasi qualsiasi M1
≥ 45 anni
I T1 N0 M0
II T2 N0 M0
III T3 N0 M0
T1 N1a M0
T2 N1a M0
T3 N1a M0
IVa T4a N0 M0
T4a N1a M0
T1 N1b M0
T2 N1b M0
T3 N1b M0
T4a N1b M0
IVb  T4b qualsiasi M0
IVc qualsiasi qualsiasi M1

 

  • Il rischio iniziale di recidiva è meglio definito dal sistema di stadiazione clinico-patologica dell’American Thyroid Association. I pazienti vengono suddivisi in tre categorie a rischio crescente sulla base di dati anatomopatologici più articolati e dei dati forniti dalla terapia con radioiodio:
    • basso rischio: carcinomi papilliferi confinati alla tiroide
    • rischio intermedio: DTC con istologia aggressiva, minima estensione extra-tiroidea o metastasi cervicali o captazione patologica del I131
    • alto rischio: invasione delle strutture del collo, resezione incompleta o metastasi a distanza.

La stratificazione del rischio suggerita dalla ATA consente una previsione soddisfacente del rischio di recidiva o persistenza di malattia nel singolo paziente (1).

 

Tabella 3
Rischio iniziale di recidiva secondo l'American Thyroid Association 2009
Basso: tutti i seguenti presenti Intermedio: uno dei seguenti presenti Alto: uno dei seguenti presenti
Non metastasi locali o a distanza (N0, M0)
Resezione completa del tumore
Nessuna invasione dei tessuti loco-regionali (T1/T2)
Tumori con istologia non aggressiva
Non invasione vascolare
Non captazione di I-131 alla WBS post-terapia ablativa
Metastasi cervicali linfonodali (N1, M0) 
Resezione completa del tumore
Invasione microscopica dei tessuti soffici peri-tiroidei (T3)
Tumore con istologia aggressiva (a cellule alte, insulare, a cellule colonnari, carcinoma a cellule di Hurtle, carcinoma follicolare) 
Invasione vascolare
Presenza di captazione I-131 alla WBS post-terapia ablativa
Metastasi a distanza (M1)
Resezione incompleta del tumore 
Estesa invasione locale (T4)

 

  • La stratificazione dinamica del rischio del Memorial-Sloan Kettering Cancer Center consente di modificare nel tempo il rischio di recidiva o decesso del paziente sulla base della risposta alla terapia nel corso del follow-up. La ristratificazione, condotta sulla base dei risultati dei primi due anni, permette di distinguere ulteriormente le tre classi iniziali ATA in un gruppo con risposta eccellente, accettabile o incompleta alla terapia. Quest’ultima suddivisione appare modificare sensibilmente il profilo di rischio inizialmente assegnato al singolo paziente (16).

 

Tabella 4
Classificazione dinamica del rischio di recidiva o mortalità (MSKCC, 2010)

(modificato da 16)
  Eccellente Accettabile Incompleta
Tg < 1 ng/mL (off L-T4 e/o dopo rhTSH) < 1 ng/mL on L-T4 e/o 1-10 ng/mL off L-T4 e/o dopo rhTSH > 1 ng/mL on L-T4 e/o > 10 ng/mL off L-T4 e/o dopo rhTSH e/o in incremento
US negativa possibile minimo coinvolgimento N ma stabile  
Imaging pesante (WBS/TC/PET) negativa Non completa negatività (aspecifica?) Persistenza o nuova comparsa di malattia

 

 

3. Terapia radiometabolica

La terapia con radioiodio (131-I) è impiegata nei DTC come trattamento adiuvante dopo l’intervento di tiroidectomia totale (1). La terapia con 131-I non appare migliorare la prognosi nei pazienti con microcarcinoma o stadiazione iniziale a rischio basso (17). Tuttavia, i pazienti con DTC a rischio moderato o alto (1) hanno l’indicazione a un trattamento ablativo con dosi variabili di 131-I. Il trattamento ablativo è in grado di ridurre significativamente il rischio di recidiva di malattia a 10 anni e di ridurre, in minor misura, la mortalità tumore-specifica (18).
Per le indicazioni, modalità di preparazione ed esecuzione, norme protezionistiche, risultati e complicanze vedi Terapia Radiometabolica.
Il trattamento ablativo con 131-I provoca, attraverso l’emissione di radiazioni β, la distruzione del tessuto tiroideo residuo e degli eventuali residui microscopici di malattia. La terapia con radioiodio consente inoltre di visualizzare persistenza di malattia ed eventuali metastasi a distanza con la scintigrafia whole-body post-dose, completando la stadiazione della neoplasia, e rende il dosaggio della Tg sierica un marcatore di malattia sensibile e di semplice impiego per il follow-up.
La terapia con radioiodio ad alte dosi è un efficace mezzo terapeutico per le metastasi polmonari e, in minor misura, per le altre metastasi a distanza (scheletro, fegato, cervello) (1-3). Complessivamente, i pazienti trattati con 131-I per metastasi a distanza hanno una sopravvivenza a 5 anni che è circa il doppio dei non trattati (19, 20). La risposta terapeutica è migliore nei pazienti con metastasi polmonari di piccole dimensioni non visualizzabili con esame radiologico (19).
Gravidanza e allattamento costituiscono una controindicazione assoluta alla terapia con 131-I (1).

 

4. Terapia con ormone tiroideo

La terapia con levotiroxina, da sola o in associazione con la T3, deve essere iniziata subito dopo la tiroidectomia per evitare l’instaurarsi di ipotiroidismo. Quest’ultima condizione deve essere evitata sia per la qualità di vita del paziente sia per il possibile stimolo proliferativo nei confronti di un eventuale residuo neoplastico (1-3). Il trattamento sostitutivo deve essere iniziato con la sola T3 soltanto nei casi in cui l’accesso al trattamento ablativo con 131-I sia rapido (circa 30 giorni) e previsto con sufficiente certezza.

Dopo il trattamento chirurgico, ove non sussistano controindicazioni, la terapia con ormone tiroideo è generalmente intrapresa con dosi semi-soppressive (target: TSH 0.2 – 0.5 mU/L). Il grado di soppressione deve in seguito essere modulato sulla base di stadiazione TNM, età, istotipo, persistenza di malattia ed eventuali comorbilità (vedi Follow-up).

Nei 5 anni successivi al trattamento iniziale è opportuno seguire queste indicazioni per la terapia di mantenimento (21):

  • nel caso di tumori ben differenziati senza metastasi a distanza e con risposta eccellente alla terapia (riclassificati dopo 1 anno come a basso rischio) mantenere valori di TSH ai limiti inferiori della norma (0.5 – 1.0 mU/L)
  • in presenza di tumori con istotipo aggressivo, a crescita estesamente extra-capsulare (TNM pT4), incompletamente resecati (R1), con metastasi locali o a distanza (M1) o risposta incompleta alla terapia ottenere la soppressione pressoché completa del TSH (< 0.2 mU/L) mantenendo entro la norma i valori degli ormoni tiroidei liberi
  • nei pazienti con cardiopatia ischemica, aritmie ipercinetiche, scompenso cardiaco cronico, severa osteoporosi, impegno dello stato generale da malattie internistiche o età avanzata, i valori di TSH devono essere mantenuti entro i limiti inferiori della norma (1.0 – 2.0 mU/L).

Dopo 5 anni nei pazienti in remissione completa, mantenere il TSH a livelli di 1.0 – 2.0 mU/L.

 

 

5. Radioterapia esterna

Ha scarsa indicazione nel trattamento iniziale dei DTC. Può essere utilizzata come trattamento adiuvante per ridurre/rallentare la recidiva di malattia in pazienti con neoplasie localmente avanzate (pT4) o sottoposte a resezione incompleta e che appaiano non concentrare il radioiodio (1).
La radioterapia esterna è un trattamento palliativo efficace per le metastasi a distanza (prevalentemente cerebrali o scheletriche, soprattutto se iperalgiche) non controllabili dal solo trattamento con radioiodio (22).

 

 

6. Follow-up (1, 16)

La maggioranza delle recidive dei DTC ha luogo entro 5 anni dal trattamento iniziale. Il follow-up deve tuttavia essere esteso per tutta la vita del paziente, perché le recidive possono avere luogo anche alcune decadi dopo la diagnosi della neoplasia (9). Elementi essenziali del follow-up sono la determinazione della Tg (on L-T4 e dopo stimolo) e l’ecografia del collo (22-24). La scintigrafia whole-body (WBS) è importante nella stadiazione post-dose ablativa, ma ha un ruolo ristretto nel follow-up a lungo termine. Deve essere impiegata nei soli casi ad alto rischio o con sospetta recidiva di malattia (Tg sierica in incremento) in assenza di lesioni cervicali dimostrabili all’esame ecografico (25-27).

a. Follow-up a breve termine
In tutti i pazienti, controllo clinico dopo 3 mesi dalla terapia iniziale con:

  • determinazione di TSH, FT4, tireoglobulina (Tg), anticorpi anti-tireoglobulina (TgAb)
  • aggiustamento della terapia con levo-tiroxina per soppressione parziale del TSH (0.2-0.5 mU/L)
  • nei soli pazienti con neoplasia localmente avanzata: ecografia tiroidea (con resezione chirurgica in caso di persistenza macroscopica di malattia).

In tutti i pazienti: controllo clinico dopo 6 – 12 mesi dalla terapia iniziale con:

  • determinazione di TSH, FT4, Tg, TgAb
  • ecografia del collo: nei casi in cui l’esame ecografico evidenzia lesioni cervicali sospette per persistenza/recidiva di malattia eseguire agoaspirato ecoguidato della lesione per esame citologico e determinazione della Tg su wash-out dell’ago (28)
  • nei pazienti a basso rischio (classificazione ATA): Tg dopo stimolo con rhTSH
  • nei pazienti a rischio molto basso (carcinoma papillifero pT1N0M0 con ecografia negativa) è possibile eseguire il semplice controllo della Tg ultrasensibile on L-T4 (19-20)
  • nei pazienti ad alto rischio: Tg e WBS con 131-I dopo stimolo con rhTSH o in sospensione di L-T4.

 

b. Follow-up nei successivi 5 anni (1, 16, 25, 30):
Nei pazienti a basso rischio ATA con risposta eccellente alla terapia (Tg on L-T4 non dosabile, Tg dopo stimolo < 1 ng/mL ed ecografia cervicale negativa per persistenza di malattia nel controllo 6-12 mesi dopo la terapia iniziale):

  • non indicazione alla ripetizione del test di stimolo della Tg nel tempo (22)
  • controllo clinico annuale con determinazione della Tg on L-T4 e ecografia del collo.

Nei soggetti a rischio ATA intermedio o elevato o con risposta incompleta alla terapia (Tg dopo stimolo > 5 ng/mL o 10 ng/mL in accordo con il cut-off del Centro), residuo di malattia all'ecografia cervicale o captazione patologica nel controllo 6-12 mesi dopo la terapia iniziale):

  • conferma della sospetta persistenza/recidiva di malattia a livello cervicale con studio di immagine e procedura bioptica (se localizzabile)
  • WBS con dose diagnostica
  • ristadiazione con 18F-FDG PET/TC (in caso di negatività del WBS diagnostico)
  • in caso di uptake patologico: trattamento chirurgico (sempre, quando possibile) e/o con dose terapeutica di 131-I (con attività in rapporto alla sede ed entità delle secondarietà) (31).

 

c.  Follow-up a lungo termine
Nei pazienti in remissione di malattia eseguire ogni 12–24 mesi controllo clinico con:

  • determinazione di: TSH, FT4, Tg, TgAb
  • ecografia tiroidea

Nei pazienti che nel controllo a 12 mesi avevano presentato livelli di Tg dopo stimolo dosabili ma < 5 ng/mL:

  • in presenza di stabilità o di riduzione della Tg on L-T4: ripetizione della Tg dopo stimolo dopo 12 mesi
  • in presenza di incremento progressivo della Tg o evidenza di recidiva locale di malattia all'ecografia: ristadiazione.
  • In caso di incremento progressivo della Tg nel tempo in assenza di localizzazione d'organo all'WBS e alla ecografia tiroidea, considerare l’esecuzione di 18F-FDG PET/TC. Un breve tempo di raddoppio della Tg ( < 12 mesi) costituisce un elemento di allarme (32).

 

d.  Presenza di anticorpi anti-Tg elevati
I valori della Tg sierica non sono affidabili in presenza di elevazione del titolo anticorpale (33). E’ opportuno procrastinare di alcuni mesi la ristadiazione prevista a 6–12 mesi in attesa di una loro possibile normalizzazione.
Le variazioni della concentrazione degli anticorpi anti-Tg possono essere usate come marcatore surrogato di malattia, posto che siano determinati costantemente con lo stesso metodo (34).

  • In caso di livelli anticorpali stabili nel tempo (oltre i 6–12 mesi), eseguire sia la Tg dopo stimolo sia il WBS con dose diagnostica di 131-I (1).

 

e.  Pazienti a basso rischio non sottoposti a terapia ablativa
Controllo clinico ed ecografico del collo ogni 12 mesi.
Determinazione della Tg sierica on L-T4, anche se con significato fortemente limitato dalla persistenza di tessuto tiroideo normale (35, 36).

 

 

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Andrea Frasoldati°, Corrado Pedroni*, Davide Giordano*, Verter Barbieri*
Divisione ORL* e °UOC Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia.

 


Premesse
La  tiroidectomia totale (TT) rappresenta il trattamento chirurgico standard del carcinoma tiroideo differenziato (differentiated thyroid carcinoma, DTC). Tuttavia, la sempre più frequente diagnosi ecografica e citologica di neoplasie di piccole dimensioni e la prognosi eccellente della malattia hanno negli ultimi anni alimentato la discussione circa l’opportunità di un approccio di tipo conservativo (1-5). In particolare, le principali linee-guida suggeriscono che l’emitiroidectomia, o la semplice lobectomia, possano essere sufficienti nel caso di neoplasie di piccole dimensioni, unifocali, in assenza di estensione extra-capsulare e/o di secondarietà linfonodali (6-10). Tali considerazioni si applicano sia nel caso della diagnosi citologica di carcinoma papillare (papillary thyroid carcinoma, PTC), sia nel caso del riscontro istologico di neoplasia a bassa aggressività, come la variante classica del PTC, o le forme minimamente invasive di  carcinoma tiroideo follicolare (follicular thyroid carcinoma, FTC) e carcinoma a cellule di Hürtle (HTC) (6-10).
Un secondo argomento di accesa discussione è quello relativo alla chirurgia dei linfonodi del compartimento centrale nel paziente con PTC. Come è noto, tale neoplasia  si caratterizza per un'elevata frequenza di metastasi linfonodali, e l'asportazione dei linfonodi del compartimento centrale (central neck dissection, CND) è stata da tempo proposta come misura necessaria anche in chiave profilattica, per conseguire una corretta stadiazione della neoplasia e una più elevata probabilità di guarigione (6-10). Analogamente a quanto si è verificato per l’estensione della chirurgia di T, il numero crescente di neoplasie diagnosticate in fase precoce, e in particolare, delle diagnosi pre-operatorie di microPTC, ha posto in discussione l’opportunità del ricorso sistematico alla CND, in assenza di un evidente coinvolgimento linfonodale, specie quando si consideri la potenziale morbilità associata a tale procedura (11-14). I seguenti paragrafi saranno pertanto dedicati a questi due controversi temi:

  • l’approccio chirurgico al microcarcinoma papillare (microPTC)
  • indicazioni, limiti e morbilità  della CND.

Sarà inoltre dettagliatamente affrontato, in relazione agli argomenti sopra citati, il tema dello studio pre-operatorio del paziente con DTC.
In questo capitolo non si affrontano i temi di tecnica chirurgica relativi alla tiroidectomia totale e alla resezione dei linfonodi locoregionali.

 


Approccio chirurgico al microcarcinoma tiroideo papillare
I microPTC, cioè i carcinomi papillari di diametro < 1cm corrispondono a una quota significativa (~50%) dei PTC di nuova diagnosi (15-17); mentre un tempo essi costituivano nella quasi totalità dei casi un riscontro istologico incidentale (18), oggi sono in larga maggioranza (75-85%) diagnosticati in fase pre-operatoria, mediante agoaspirazione ecoguidata (19-20). Pertanto, poiché sempre più spesso siamo chiamati a formulare l’indicazione chirurgica in pazienti con evidenza ecografica e citologica di microPTC, dobbiamo domandarci quale tipo di intervento sia preferibile nel nostro paziente e quali siano i criteri che devono guidare la nostra scelta. Un approccio razionale a tale problema deve tenere conto dei seguenti fattori:

  • la probabilità che il microPTC corrisponda ad una malattia  multifocale bilaterale
  • la probabilità che la neoplasia si estenda oltre la capsula tiroidea (= pT3)
  • la probabilità che presenti metastasi linfonodali (N1).

Tutti questi elementi suggeriscono infatti una maggiore aggressività della neoplasia e giustificano l’adozione  di una chirurgia più estensiva.
Dalla revisione delle principali casistiche di microPTC pubblicate negli ultimi anni, si ricava che la frequenza dei casi pT3 è mediamente del 25% (17-29%), analogamente a quanto avviene per i casi pN1 (15-30%), mentre le forme multifocali hanno una frequenza di poco superiore (23-35%), con un 15% (12-19%) di focalità bilaterale. Complessivamente, i pazienti con stadiazione pT1N0 costituiscono il gruppo prevalente (57-82%) (17, 21-26), ed è pertanto verosimile che l’adozione sistematica della tiroidectomia totale in tutti i pazienti con microPTC possa rappresentare un overtreatment per una quota di pazienti approssimativamente corrispondente al  50%. In altri termini, circa la metà dei pazienti con PTC di diametro  < 1 cm potrebbe essere curata dalla sola emitiroidectomia.
L’ampia (900 pazienti) casistica di microPTC della Mayo Clinic dimostra che la percentuale di  recidiva loco-regionale di malattia valutata a 10 e 20 anni dall’intervento non presenta differenze statisticamente significative tra i pazienti trattati con chirurgia monolaterale (9.8%) e quelli trattati con tiroidectomia totale o quasi-totale (5.5%) (24).
Analoga osservazione proviene dalle casistiche del Giappone, paese in cui da diversi anni l’emitiroidectomia rappresenta l’approccio chirurgico di elezione al microPTC. I dati pubblicati dal Cancer Institute Hospital di Tokyo, relativi a una serie di 450 pazienti trattati con chirurgia conservativa, mostrano un tasso di recidiva loco-regionale dell’8.0% vs. il 10.5% osservato nel gruppo di pazienti trattati con TT, con una sopravvivenza libera da malattia rispettivamente pari al 95.7% e all’89.2% (27).
I dati provenienti da due ampi studi multicentrici nordamericani forniscono risultati solo in apparenza contrastanti: infatti, il registro REER su 5432 pazienti non evidenzia differenze significative in termini di sopravvivenza tra i pazienti che hanno ricevuto una TT e quelli trattati con la sola lobectomia (28). L’analisi dei dati relativi agli oltre 52.000 pazienti del National Cancer Database mostrerebbe una diminuzione del rischio di recidiva e di mortalità nei pazienti trattati con TT, ma tale differenza assume rilevanza significativa solo nei pazienti con neoplasia di diametro > 1 cm (29).
Secondo alcuni autori, la chirurgia conservativa potrebbe essere proposta con sufficiente sicurezza non solo nei microPTC, ma in tutti i casi di DTC a basso rischio prognostico: in uno studio retrospettivo canadese su circa 200 pazienti con DTC di diametro > 1 cm, dei quali 126 sottoposti a chirurgia conservativa, e seguiti per un follow-up medio di 10 anni, l’incidenza di recidiva loco-regionale risultava 1.9% nei pazienti a basso rischio sottoposti a chirurgia conservativa, una percentuale inaspettatamente più bassa di quella osservata nei pazienti a basso rischio sottoposti a TT (30).
Nel loro insieme, i dati sopra riportati suggeriscono che l’adozione di un approccio chirurgico conservativo rappresenti una scelta del tutto adeguata nei pazienti con microPTC o più in generale nei pazienti con malattia intratiroidea e non estesamente plurifocale.
Il problema è naturalmente quello di disporre, prima dell’intervento, di elementi sufficienti per una corretta stratificazione prognostica del paziente, poiché anche nell’ambito dei microPTC una minoranza di pazienti presenterà una malattia capace di progressione (23,25,26,31). Due recenti studi retrospettivi entrambi provenienti dalla Cina indicano l’opportunità di eseguire una chirurgia estensiva (TT e CND) nei pazienti con microPTC multifocale aventi un diametro complessivo > 10 mm o il diametro della focalità principale ≥ 7 mm (32-33).

 

Tabella 1.
Caratteristiche cliniche dei microcarcinomi papillari in alcune delle principali casistiche della letteratura
Autore N Diagnosi pre-chirurgica < 5 mm pT3 pN1 Multifocalità Bilateralità
Baudin 1998 281 32.8% 49% 15% 43% 40% 16%
Hay 2008 900 40% ? 2%* 30% 23% 12%
Chow 2003 203 ND 34.6% 20.7% 24.6% 31% ND
Roti 2006 243 79.6% 35% 17% 13% 32% 19%
Mercante 2009 445 83.5% 34.2% 29.9% 25.6% 35% 13.5%

* La casistica della Mayo Clinic comprende unicamente neoplasie con Grade 1

 

Nelle casistiche più recenti la quota delle diagnosi pre-chirurgiche è di circa l’80%, circa il doppio di quanto descritto nelle precedenti. La frequenza delle forme bilaterali è mediamente circa il 15%.

 

Tabella 2.
Frequenza di recidiva locoregionale in rapporto al tipo di trattamento chirurgico in alcune casistiche di microPTC
Autore N Follow-up medio (anni) Trattati con chirurgia monolaterale (%) Frequenza di recidive (chirurgia monolaterale vs bilaterale)
Hay 1992 535 16 39 (7.4%) 11.8 vs 1.8%
Baudin 1998 281 4.3 86 (30.6% 8.2 vs 2.3%
Chow 2003 203 8.4 16 (7.9%) 12.5 vs 5.3%
Hay 2008 900 17.2 135 (14%) 9.8 vs 5.5%
Mercante 2009 445 5.3 41 (9.2%) 0 vs 3.2%

La significatività del confronto statistico è limitata dalla numerosità nettamente più contenuta dei casi trattati con chirurgia conservativa.

 


Studio pre-operatorio
Come abbiamo visto, il trattamento chirurgico del paziente con DTC deve essere pianificato sulla base della stadiazione pre-operatoria della malattia e in particolare della sua estensione loco-regionale (1-2, 6-8, 34-36). Tali informazioni nella maggior parte dei casi vengono ricavate dallo studio ecografico della regione cervicale; l’ecografia è infatti la tecnica dotata della maggiore sensibilità nell'individuazione delle metastasi linfonodali cervicali (37-42). A dimostrazione di ciò, l’impiego sistematico dell'ecografia pre-operatoria ha prodotto la riduzione del tasso di recidiva loco-regionale di malattia (37, 43-46).
L’ecografia deve fornire sede, dimensioni e ubicazione del tumore primitivo (T); in particolare, dovranno essere valutati i segni o gli indizi di infiltrazione e/o superamento della capsula tiroidea, di multifocalità e soprattutto di bilateralità della neoplasia. L’esatta localizzazione del focolaio neoplastico individuato mediante esame citologico (es. terzo superiore, medio o inferiore del lobo, porzione anteriore o posteriore, laterale o mediale) può facilitare l’individuazione della lesione durante l’intervento, particolarmente utile nei casi di patologia multinodulare nei quali sia richiesto un accertamento istologico intra-operatorio. Anche nelle mani più esperte, tuttavia, l’individuazione certa di una minima estensione extra-capsulare della malattia non può essere confermata né esclusa con certezza dall’ecografia: il potere predittivo positivo (PPV) di un giudizio ecografico di superamento capsulare corrisponde infatti al 55-80% (46,48-51). Nell’individuazione della malattia bilaterale, l’ecografia ottiene risultati lusinghieri con un PPV del 70-100% (45,47-50).
Il punto centrale dello studio ecografico pre-operatorio è rappresentato dalla valutazione di N (51). Come è noto, il  compartimento centrale (livelli VI-VII) è certamente l’area maggiormente coinvolta dalle metastasi del DTC (52-56); tuttavia, lo studio ecografico di tale distretto anatomico prima della tiroidectomia non presenta purtroppo elevata accuratezza, facendo registrare numerosi falsi negativi (36-42, 44-51, 57,58). Come discuteremo nel paragrafo dedicato alla CND, la limitata sensibilità dell’ecografia nella valutazione pre-tiroidectomia dei linfonodi del compartimento centrale costituisce uno degli argomenti “forti” a favore della CND profilattica. Lo studio ecografico del compartimento laterale, completato nei casi dubbi/sospetti da esame citologico e dosaggio intra-lesionale di tireoglobulina, è invece di indiscussa importanza, perché la dimostrazione di metastasi latero-cervicali pone indicazione allo svuotamento del compartimento linfatico latero-cervicale (lateral neck dissection = LND) (37-39, 43-45, 59, 60). I livelli più frequentemente ed estesamente coinvolti dalle metastasi del DTC sono nell’ordine il III, il IV e il II, mentre Il V livello è interessato in una quota limitata di casi, in genere caratterizzati da estesa metastatizzazione degli altri livelli (52-56,59-66). Il coinvolgimento del compartimento laterale si realizza tipicamente in associazione a quello del compartimento centrale, ma esiste la possibilità di localizzazioni laterali isolate (“skip metastasis”) (54,59,67). La sensibilità dell’ecografia nell’individuare le metastasi linfonodali nel compartimento laterale è nettamente superiore a quanto riportato per il compartimento centrale (75-90% vs. 25-50%) (36-42,44-51,57,58).
E’ indispensabile che le informazioni raccolte dalla stadiazione ecografica vengano collegialmente valutate dall’equipe multispecialistica, al fine di formulare l’indicazione chirurgica più appropriata. Questa dovrà sempre essere esaustivamente discussa con il paziente, al quale andranno rappresentati rischi e benefici potenziali associati alle diverse opzioni disponibili. Inoltre, deve essere sottolineato che l’ecografia non esaurisce naturalmente le opzioni di indagini strumentali, che possono rendersi opportune in sede  pre-chirurgica. In particolare, la TC con mezzo di contrasto può essere occasionalmente utile a meglio definire i rapporti della neoplasia con gli altri organi cervico-mediastinici e in particolare a evidenziare o escludere l’eventualità di un'infiltrazione tracheale o esofagea.
Un promettente contributo alla discussione inerente l’estensione della chirurgia nel PTC si basa sul ruolo della mutazione di BRAF come fattore predittivo prognostico. Secondo numerosi studi, la mutazione di BRAF sarebbe associata a neoplasie maggiormente aggressive, più suscettibili di atteggiamenti infiltrativi, e gravate da un aumentato rischio di persistenza e/o recidiva di malattia (68-71). E’ stato pertanto suggerito che nei pazienti con carcinoma papillare BRAF+ trovino sempre indicazione la TT e la CND, indipendentemente dalla dimensioni della neoplasia e dall'assenza di segni di multifocalità ed invasività loco-regionale nello studio pre-operatorio. In altre parole, la dimostrazione pre-operatoria della mutazione di BRAF, consentendo di etichettare il paziente come a rischio prognostico elevato, autorizzerebbe la pianificazione di un approccio chirurgico più aggressivo (72-73).

 


La chirurgia di N nel compartimento centrale (CND = central neck dissection)
Secondo quanto indicato dalle principali linee-guida (6-8), la CND è: 

  • sempre raccomandata in caso di evidenza pre- o intra-chirurgica di metastasi linfonodali;
  • consigliata ma opzionale in presenza di neoplasie con estensione extra-capsulare (pT3), quando non vi sia evidenza macroscopica di metastasi linfonodali;
  • non indicata in presenza di neoplasie di piccole dimensioni, ben differenziate e senza caratteri invasivi (pT1).

Pertanto, se la CND trova indicazione in tutti i pazienti con coinvolgimento linfonodale evidente in fase pre- o intra-operatorio, resta a tutt’oggi controversa l’indicazione alla chirurgia profilattica sistematica, mono- o bilaterale, del compartimento centrale, come testimoniano le numerose recenti rassegne sull’argomento  (11-14, 74-79).
Gli elementi a favore della CND profilattica possono essere così riassunti:

  • la CND sistematica offre la possibilità di stadiare in modo più accurato la neoplasia, identificando metastasi che sono spesso occulte alla valutazione ecografica pre-operatoria (11-13,14, 80);
  • la persistenza di metastasi linfonodali non riconosciute e quindi asportate in occasione della prima chirurgia, sarebbe alla base di una quota predominante dei casi di “recidiva” loco-regionale di malattia, con conseguente necessità di un re-intervento (7,11,14,44,48,81,82). In particolare, uno studio svedese su 195 pazienti seguiti per un lungo periodo di follow-up (mediana = 13 anni) indicherebbe che la recidiva loco-regionale è correlata a un rischio aumentato di mortalità e che la CND migliora i dati di sopravvivenza (83);
  • i livelli post-intervento di tireoglobulina (Tg) risultano significativamente più bassi nei pazienti sottoposti a CND (84);
  • in mani esperte, la CND profilattica non causerebbe un incremento significativo della morbilità chirurgica (85,86).

In realtà, i dati della letteratura su quest’ultimo aspetto sono controversi: in numerosi studi, infatti, la CND si associa a una maggiore incidenza di paralisi cordale e/o di ipoparatiroidismo permanente (87-91). Tra le possibili cause di tali discrepanze, è che la definizione anatomica della CND non è univoca come quella della LND: la procedura seguita in diversi centri può pertanto non essere del tutto sovrapponibile. Inoltre, l’adozione della CND monolaterale piuttosto che bilaterale, dato non sempre chiaramente esplicitato in tutti gli studi, può determinare un diverso grado di morbilità (79). Le casistiche basate sulla CND unilaterale documentano infatti una frequenza di ipocalcemia permanente piuttosto limitata, pari allo 0-1.8% (84,85,92).
Nella casistica retrospettiva del nostro centro (1052 pazienti) il ricorso alla CND ipsi – o bilaterale non sembra comportare un incremento significativo dell'incidenza di danno ricorrenziale (rispettivamente 0.5% e 2.3%) rispetto alla sola TT (1.0%) (93). Invece, la CND bilaterale, ma non quella monolaterale, determina un aumento del rischio di lesione su base  traumatica o ischemica delle paratiroidi, con un incremento significativo dell’ipoparatiroidismo permanente rispetto a quanto osservato con la sola TT (16.2% vs. 6.3%) (93).
Contro la CND profilattica, oltre ad una maggiore morbilità, l’altro argomento forte è costituito dall’assenza di un beneficio clinico certo (11,13,75,78,79). In uno studio su 266 pazienti seguiti per un follow-up medio di circa 7 anni, la frequenza delle recidive regionali appariva del tutto confrontabile nei pazienti sottoposti alla sola TT (85.6%) e in quelli sottoposti a CND (88.2%) (94). Nell’esperienza del gruppo dell’MD Anderson (Houston, Texas, USA), oltre il 60% dei 210 casi sottoposti a reintervento nel compartimento centrale per persistenza/recidiva di malattia erano già stati sottoposti a CND terapeutica o profilattica in occasione della prima chirurgia, ad indicare la dubbia efficacia di tale approccio (95). Lo studio, in accordo con precedenti evidenze della letteratura (96,97) fornisce indirettamente un altro elemento di segno contrario all’opportunità della CND sistematica, poiché dimostra che:

  • la seconda chirurgia sul compartimento centrale non costituisce un intervento gravato da una maggiore morbilità: nella casistica dell’MD Anderson la frequenza di ipoparatiroidismo e di danno ricorrenziale non riconducibile all’infiltrazione neoplastica del nervo risulta infatti rispettivamente pari all’1% e allo 0.2% (95);
  • la necessità di reintervenire sul compartimento centrale non pregiudica il conseguimento di un pieno controllo della malattia, con il 98% dei pazienti rioperati libero da malattia nel follow-up di lungo periodo (95).

Alcuni autori sottolineano l’importanza di limitare la CND ai pazienti a rischio più elevato di recidiva loco-regionale di malattia. In uno studio retrospettivo condotto dal  gruppo dell’Università di Istanbul  su 343 pazienti con PTC sottoposti a TT senza CND e seguiti per un follow-up medio di 9 (±4) anni, i casi di recidiva loco-regionale di malattia erano 22 (6%) e i casi fatali 5 (2%) (98). L’età > 60 anni, il diametro del tumore primitivo > 3 cm, l’estensione microscopica extra-capsulare della neoplasia e le varianti istologiche dotate di maggiore aggressività costituivano i fattori di rischio per recidiva loco-regionale e mortalità, ad indicare l’opportunità di riservare la CND ai casi che presentano tali caratteristiche (98).
Come indicato nel paragrafo dedicato allo studio pre-operatorio del paziente, la ricerca della mutazione di BRAF potrebbe nel prossimo futuro costituire un efficace strumento per la  stratificazione prognostica del paziente e quindi anche per il planning chirurgico (72,73).
Nei pazienti a basso rischio prognostico con studio ecografico pre-operatorio negativo, la CND potrebbe essere riservata secondo alcuni autori solo ai casi in cui valutazione clinica dei linfonodi del compartimento centrale in corso di intervento risulta dubbia o sospetta (81,99). La dissezione del compartimento centrale viene cioè in questi casi sostituita da una esplorazione chirurgica, che in assenza di rilievo di linfonodi sospetti può concludersi senza ulteriori manipolazioni, con rischio ridotto di complicanze. Nella serie di 304 pazienti sottoposti a TT per diagnosi citologica di PTC studiati presso il Rhode Island Hospital (Providence, USA), i pazienti non sottoposti a CND sulla base di questo tipo di approccio erano il 63%. Nei 161 pazienti di questo gruppo considerati a basso rischio prognostico, solo 3 (1.8%) presentavano evidenza ecografica  di persistenza di malattia nel compartimento centrale nella valutazione a sei mesi dall’intervento (81).
Un approccio bilanciato rispetto alle due opposte posizioni (CND bilaterale sistematica vs CND solo nei casi di evidenza macroscopica pre-  o intra-operatoria di metastasi linfonodali) è rappresentato dal ricorso alla CND monolaterale, cioè la dissezione del solo compartimento centrale ipsilaterale alla sede della neoplasia primitiva. Nei pazienti con tumore di diametro < 1-2 cm, apparentemente limitati a un unico lobo e senza evidenza pre- o intra-chirurgica di metastasi ipsilaterali, la probabilità di metastasi controlaterali risulta assai limitata (92,100). La dimensione della neoplasia primitiva, in particolare, sembra costituire un fattore di rischio indipendente per la presenza di metastasi nel compartimento centrale controlaterale (101). Al tempo stesso, la morbilità operatoria, in particolare l’ipocalcemia del post-operatorio, risulta in alcuni studi significativamente più contenuta in caso di CND monolaterale (86,93).

 


Considerazioni conclusive

  1. In presenza di una diagnosi citologica certa di DTC, la TT rappresenta sempre un'opzione giustificata.
  2. Nei casi di tumori di piccole dimensioni ( < 1.0 cm), senza evidenza di bilateralità e/o coinvolgimento linfonodale e/o evidente estensione extra-capsulare, la sola lobectomia tiroidea può rappresentare un provvedimento altrettanto adeguato rispetto alla TT. La tendenza prevalente nella maggior parte dei paesi occidentali favorisce un uso estensivo della TT. La stadiazione ecografica pre-chirurgica e la disponibilità di marcatori biomolecolari in grado di fornire indicazioni sul comportamento prognostico della neoplasia consentiranno con tutta probabilità nei prossimi anni un ampliamento della quota di pazienti con microPTC trattati con modalità conservativa.
  3. In mancanza di studi prospettici e controllati di lungo periodo, la cui esecuzione appare peraltro irrealistica, la controversia sul trattamento chirurgico ottimale dei linfonodi del compartimento centrale appare destinata a restare priva di una risposta definitiva (74-76, 102-103). Possono essere sintetizzati i seguenti concetti generali:
  • il ricorso alla CND sistematica espone il paziente ad un rischio aumentato di morbilità post-chirurgica, in particolare di ipoparatiroidismo permanente. Tale rischio è ridotto quando la procedura viene eseguita in centri con elevata esperienza e ciò suggerisce di limitare un impiego diffuso ed estensivo della CND;
  • L’adozione della CND monolaterale si associa ad una minore morbilità rispetto alla CND bilaterale e può rappresentare l’opzione preferenziale in molti pazienti con evidenza pre-chirurgica di PTC monolaterale di piccole dimensioni;
  • la CND ricopre un ruolo protettivo nei confronti della recidiva loco-regionale di malattia nei pazienti a maggiore rischio prognostico. La sua efficacia resta dubbia nel caso di neoplasie di minori dimensioni (es. microPTC);
  • Nei prossimi anni, lo sforzo della ricerca clinica dovrà essere quello di identificare con la maggiore accuratezza possibile i criteri clinico-ecografici e biomolecolari in grado di individuare i pazienti suscettibili di beneficiare della CND mono- o bilaterale, consentendo la definizione di protocolli di trattamento patient-tailored.

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Massimo Salvatori
Istituto di Medicina Nucleare, Università Cattolica del S. Cuore-Roma

(aggiornato al 12 giugno 2022)

 

Dopo quasi 80 anni dal primo impiego, la terapia con radioiodio (131I) gioca ancora un ruolo fondamentale nella gestione del carcinoma differenziato della tiroide (DTC) con recenti innovazioni e cambiamenti, come l’indicazione personalizzata in base al rischio individuale, le nuove modalità di preparazione del paziente, l’impiego di attività di radioiodio differenti rispetto al passato e l’uso dell’imaging ibrido [tomografia computerizzata per emissione di fotone singolo/tomografia computerizzata (SPECT/CT) e tomografia per emissione di positroni/tomografia computerizzata (PET/TC)] per la diagnosi di metastasi o a fini prognostici (1).
Negli ultimi anni sono stati meglio compresi i meccanismi di accumulo cellulare del radioiodio, in particolare il rapporto con l’espressione sulla membrana cellulare del Sodio-Iodio Symporter (NIS) (2), ed è stato introdotto il concetto di refrattarietà alla terapia con radioiodio con introduzione della terapia con inibitori molecolari delle tirosin-chinasi (TKI) (3).
Questo capitolo mira a fare il punto sugli aspetti generali e clinici della terapia con 131I del DTC, con riferimento a quanto riportato nelle più recenti linee guida (4-9) e consensus nazionali (10) ed internazionali (11):

  1. la prima parte analizza le basi molecolari della terapia con 131I, le tre tipologie in cui viene classificata, la preparazione del paziente e le indagini diagnostiche pre-trattamento;
  2. la seconda parte tratta le modalità di somministrazione del radioiodio, la scintigrafia corporea globale con attività terapeutica di 131I (TxWBS), la valutazione della risposta al trattamento, i rischi ed effetti collaterali della terapia e gli aspetti legislativi;
  3. la terza parte, relativa al trattamento ablativo e adiuvante, illustra le indicazioni e le attività da somministrare;
  4. la quarta parte affronta il tema della terapia delle metastasi loco-regionali e a distanza, dei pazienti con Tg elevata e imaging negativo e dei DTC refrattari al radioiodio.
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Massimo Salvatori
Istituto di Medicina Nucleare, Università Cattolica del S. Cuore-Roma

(aggiornato al 12 giugno 2022)

 


BASI MOLECOLARI DELLA TERAPIA CON RADIOIODIO
La terapia con radioiodio rappresenta in medicina nucleare il prototipo delle terapie molecolari e costituisce il primo e più noto esempio di teragnostica, parte della medicina di precisione finalizzata al trattamento personalizzato del paziente, in cui il 131I viene utilizzato per imaging molecolare (grazie all’emissione di fotoni gamma) e per radioterapia molecolare (in virtù dell’emissione di particelle beta).
Dopo la prima somministrazione a scopo clinico di una dose terapeutica di radioiodio da parte di Saul Hertz nel gennaio 1941, per più di 50 anni il radioiodio è stato ampiamente utilizzato per la diagnosi e il trattamento del DTC senza che se ne conoscessero a fondo i meccanismi di accumulo nelle cellule tiroidee normali e tumorali (1).
La clonazione nel 1996 del Sodio-Iodio Symporter (NIS), glicoproteina di membrana costituita da 643 amminoacidi, responsabile del trasporto attivo di due molecole di sodio contro una di iodio, ha reso più chiare le basi molecolari dell’accumulo del radioiodio nella cellula tiroidea normale e tumorale. L’efficacia della terapia con radioiodio è altamente dipendente dall’espressione del NIS sulla membrana cellulare tiroidea, cosa che avviene in più del 70% dei DTC (2). Il NIS è scarsamente o per nulla espresso nei carcinomi tiroidei poco differenziati e nelle forme anaplastiche, in cui viceversa si osserva una elevata espressione del trasportatore di membrana di tipo 1 per il glucosio (GLUT-1), presupposto molecolare all’impiego diagnostico in questi tumori della PET/TC con 18F-fluoro-desossiglucosio (FDG PET/TC) (2).
L’espressione del NIS nelle cellule follicolari tiroidee è modulata principalmente dal TSH attraverso la via dell’AMP ciclico, presupposto della stimolazione endogena o esogena del TSH prima della somministrazione di radioiodio a fini diagnostici e terapeutici. Oltre che nelle cellule tiroidee, è presente una moderata espressione di NIS anche nelle ghiandole salivari, nella mucosa gastrica, nell’intestino tenue, nei dotti naso-lacrimali e nella mammella in fase di allattamento (2).

 


MODALITÀ DI TERAPIA CON RADIOIODIO
Dopo iniziale tiroidectomia totale o near-total, il radioiodio può essere somministrato a fini terapeutici con tre diverse finalità: trattamento ablativo, trattamento adiuvante e terapia di metastasi iodo-captanti loco-regionali o a distanza (4) (tab 1).

 

Tabella 1
Terapia con radioiodio del carcinoma differenziato della tiroide:
tipologia e scopo delle diverse modalità di trattamento
  Facilitare il follow-up Migliorare
stadiazione iniziale DFS DSS
Trattamento ablativo + +    
Trattamento adiuvante + + +  
Terapia delle metastasi + + + +
DFS: disease free survival, sopravvivenza libera da malattia
DSS: disease specific survival, sopravvivenza specifica da malattia

 

Il trattamento ablativo non ha solo lo scopo di eliminare il residuo tiroideo, ma è finalizzato soprattutto a facilitare il successivo follow-up con dosaggio della tireoglobulina (Tg) e a migliorare la stadiazione iniziale attraverso la TxWBS.
Il trattamento adiuvante, eseguito sempre dopo iniziale tiroidectomia totale, si differenzia da quello ablativo per l’impiego di un’attività di radioiodio più elevata, al fine di eliminare la malattia residua sospettata ma non provata, soprattutto in pazienti ad alto rischio di recidiva di malattia. Tale trattamento, oltre che a facilitare il follow-up e aumentare l’accuratezza della stadiazione iniziale, tende anche a migliorare la sopravvivenza libera da malattia (DFS).
La terapia delle metastasi iodo-captanti loco-regionali o a distanza ha lo scopo di migliorare la DFS e la sopravvivenza tumore-specifica (DSS), eliminando o riducendo il carico di malattia residua.
Le indicazioni e l’attività di radioiodio da utilizzare nel trattamento ablativo e adiuvante verranno trattate nella terza parte, mentre quelle relative alla terapia delle metastasi nella quarta parte di questo capitolo.

 


PREPARAZIONE DEL PAZIENTE
Prima della somministrazione di radioiodio a scopo diagnostico o terapeutico, il paziente deve essere adeguatamente preparato, in maniera da ottimizzare la prestazione.

 

Stimolazione del TSH
Allo scopo di aumentare l’accumulo di radioiodio nella cellula tiroidea normale o tumorale attraverso una maggiore espressione del NIS, è necessario raggiungere un livello ematico di TSH ≥ 30 mUI/L. Questo può essere ottenuto in due differenti maniere.

La stimolazione per via endogena prevede la sospensione della terapia ormonale sostitutiva, che può essere effettuata secondo due schemi (analoghi in termini di raggiungimento dei livelli ematici di TSH necessari e di efficacia ablativa):

  • sospensione della L-tiroxina 4 settimane prima del trattamento;
  • sospensione della L-tiroxina 6 settimane prima del trattamento, con somministrazione di triiodotironina in tre dosi quotidiane frazionate nelle prime 4 settimane.

La stimolazione per via esogena avviene attraverso la somministrazione di tireotropina alfa umana ricombinante (rhTSH, Thyrogen®), forma altamente purificata di TSH ottenuta con tecnica del DNA ricombinante. Mentre il paziente continua la terapia con L-T4, vengono somministrate, attraverso iniezione i.m. in due giorni consecutivi, due dosi da 0.9 mg di rhTSH, seguite dalla somministrazione di radioiodio al terzo giorno. In questo modo si ottiene un pronto ed elevato innalzamento del TSH ematico, con successiva rapida scomparsa (4).

Indicazione e contro-indicazioni all’uso di rhTSH. Per la preparazione al trattamento ablativo con attività da 30 a 100 mCi (da 1.1 a 3.7 GBq) nei pazienti sottoposti a tiroidectomia sub-totale o totale che non presentano metastasi a distanza rhTSH e sospensione della terapia ormonale sono equivalenti, perché le normali cellule tiroidee presentano elevata espressione di NIS altamente funzionante e non richiedono prolungata stimolazione del TSH per un adeguato accumulo e ritenzione di 131I. Due studi clinici prospettici randomizzati di non inferiorità hanno dimostrato che, in termini di efficacia ablativa, la preparazione con rhTSH non è inferiore alla sospensione della terapia ormonale in caso di ablazione con 30 mCi e 100 mCi (12-13).
Il tessuto neoplastico metastatico tiroideo è invece più disomogeneo rispetto al normale tessuto tiroideo, mostra minore densità cellulare e possiede NIS meno funzionante. In caso di terapia delle metastasi, per ottenere elevato accumulo e adeguata ritenzione tumorale di 131I è quindi necessario un prolungato innalzamento del TSH nel tempo, che si ottiene soltanto attraverso la sospensione della terapia ormonale. L’uso del rhTSH non è stato infatti approvato in presenza di metastasi a distanza, ad eccezione dei seguenti casi:

  • incapacità a raggiungere adeguati livelli di TSH (≥ 30 mUI/L) con stimolazione endogena per condizioni cliniche concomitanti (ad es. ipopituitarismo, metastasi funzionanti);
  • gravi condizioni cliniche potenzialmente aggravate dall’ipotiroidismo iatrogeno, come:
    • anamnesi positiva per ictus o TIA;
    • franca cardiomiopatia (classe NYHA III o IV);
    • severa insufficienza renale (stadio ≥ 3);
    • disturbi psichiatrici gravi (depressione grave, psicosi).

 

Dieta ipoiodica ed interferenza da farmaci o prodotti iodati
L’esposizione ad eccessive quantità di iodio stabile può influenzare negativamente l’accumulo di attività diagnostiche o terapeutiche di radioiodio. Può essere prescritta una dieta ipoiodica, da seguire per 1-2 settimane prima della terapia con 131I e finalizzata ad ottenere bassi livelli di ioduria (idealmente ≤ 50 µg/die), ma la sua utilità non è dimostrata in maniera univoca e non esistono studi prospettici che abbiano determinato il cut-off di ioduria sopra il quale viene compromessa l’efficacia del trattamento con radioiodio (14). Non è ugualmente noto quale sia la dieta migliore né la durata del tempo di osservazione delle prescrizioni dietetiche. In caso di dieta ipoiodica, è importante non ridurre l’assunzione di sale non iodato, poiché questo può comportare una condizione di iposodiemia, soprattutto in pazienti sottoposti a sospensione della terapia ormonale (4).
Nella programmazione del trattamento è inoltre importante indagare su possibili esposizioni ad alte dosi di iodio stabile proveniente da m.d.c. radiologici organo-iodati o da farmaci come l’amiodarone (14). Quando si sospetti un significativo carico di iodio, può essere eseguita la misura della ioduria prima del trattamento, in maniera routinaria o in casi selezionati (14).

 

Test di gravidanza per donne in età fertile e allattamento al seno
In caso di trattamento di donne in età fertile, prima della somministrazione di radioiodio, è necessario ottenere un test di gravidanza negativo nelle 72 ore precedenti, ad eccezione ovviamente dei casi di pregressa isterectomia o di donne in fase post-menopausale (4). In donne con parto recente, l’eventuale allattamento al seno dovrebbe essere sospeso per escludere un possibile accumulo nelle mammelle di radioiodio per espressione mammaria di NIS (4). Considerando l’elevata radio-sensibilità del tessuto mammario, per donne che abbiano allattato di recente, può essere consigliabile eseguire prima della terapia una scintigrafia diagnostica con 123I o con bassa dose di 131I per escludere la presenza di accumulo mammario di radioiodio ed in caso positivo ritardare la somministrazione terapeutica di 131I (4).

 


DIAGNOSTICA PRE-TRATTAMENTO
L’indicazione al trattamento ablativo o adiuvante viene posta in base alla categoria di rischio del paziente e allo stato di malattia post-operatorio, tramite:

  • dosaggio della tireoglobulina, in corso di terapia con L-T4 (Tg on L-T4) e/o dopo stimolazione del TSH (TSH-Tg);
  • ecografia del collo;
  • in casi selezionati scintigrafia corporea globale con attività diagnostica di radioiodio (DxWBS).

Considerando l’emivita di 1-3 giorni, il dosaggio della Tg, insieme con quello degli anticorpi anti-Tg (AbTg), deve essere eseguito non prima di 3-4 settimane dall’intervento chirurgico, quando quasi tutti i pazienti raggiungono il nadir. Il valore predittivo della Tg è influenzato da numerosi fattori, come l’entità del tessuto tiroideo residuo (funzione del tipo di intervento chirurgico eseguito e della sua radicalità), l’eventuale presenza di metastasi loco-regionali o a distanza, il livello del TSH al momento del dosaggio, la sensibilità funzionale del kit utilizzato, il cut-off impiegato e il tempo trascorso dalla tiroidectomia totale (4,5). Ad oggi non sono stati definiti con certezza i livelli di Tg on L-T4 e di TSH-Tg utili a porre indicazione al trattamento ablativo con radioiodio. In generale, i livelli post-operatori di Tg sono più utili per identificare i pazienti che possono beneficiare del trattamento che nell’identificare quelli che non richiedono ablazione. Ad esempio, un valore di Tg > 5–10 ng/mL in un paziente che per categoria di rischio non sarebbe candidato al trattamento suggerisce l’utilità di un trattamento ablativo allo scopo di migliorare la stadiazione iniziale e favorire il follow-up. Viceversa, in un paziente classificato ad alto rischio e quindi candidato al trattamento ablativo, un valore di Tg < 1 ng/mL non esclude la potenziale presenza di malattia residua e quindi la possibilità di omettere il trattamento. In un paziente classificato a basso rischio, un valore di Tg post-operatoria < 1 ng/mL tende invece generalmente a confermare la sua corretta classificazione (5).
L’ecografia del collo è la metodica più efficace nell’identificare la malattia strutturale e risulta particolarmente utile dopo tiroidectomia in caso di sospette metastasi linfonodali loco-regionali residue. Valutando i risultati dell’ecografia in maniera combinata con l’esame citologico da ago-aspirato (FNA) e la Tg si ottiene un’accuratezza diagnostica prossima al 100%. I limiti dell’ecografia comprendono la dipendenza dall’operatore, l’elevata frequenza del rilievo di immagini non specifiche e la difficoltà o impossibilità di studiare strutture profonde o ostacolate da ossa o aria (4,5).
Il DxWBS fornisce informazioni sull’entità del normale tessuto tiroideo residuo e sull’eventuale presenza di metastasi iodo-captanti linfonodali o a distanza (15). L’esecuzione del DxWBS prima del trattamento ablativo con radioiodio viene omessa in alcuni Centri per almeno tre motivi:

  • scarso impatto sulla decisione di trattare il paziente, che viene presa in genere in base alla categoria di rischio del paziente e ai valori di Tg post-tiroidectomia;
  • timore di provocare stunning del tessuto tiroideo, con possibile ridotta efficacia del trattamento. Per questo, nel caso venga eseguito, si raccomanda di somministrare una bassa attività di 131I (o di utilizzare, se disponibile, il 123I) e di ridurre a 24-48 ore l’intervallo di tempo tra DxWBS e terapia con 131I;
  • la sua sensibilità nel diagnosticare metastasi è di molto inferiore a quella del TxWBS (4).

In altri Centri viene regolarmente eseguito, perché le informazioni ottenute con il DxWBS possono modificare la stadiazione del rischio, la decisione se eseguire o meno la terapia con 131I e la strategia da seguire nel follow-up a lungo termine (15). L’impiego della SPECT/TC in corso di DxWBS permette di aumentare in maniera significativa l’accuratezza diagnostica della metodica, definendo meglio sede, numero e natura delle lesioni, soprattutto in aree critiche come la regione del collo, dove aiuta a distinguere il residuo presente in loggia tiroidea dalle metastasi linfonodali loco-regionali (15).
La FDG PET/TC viene oggi utilizzata soprattutto nel follow-up di pazienti che dopo trattamento iniziale presentano TxWBS negativo ma elevati livelli di Tg ematica circolante (generalmente > 10 ng/mL) (16). Può comunque essere indicata anche prima della somministrazione della terapia con 131I, ma solo in pazienti con DTC ad alto rischio accuratamente selezionati, nei quali si sospetti la presenza di metastasi non iodo-captanti. In questi casi, i risultati della metodica risultano complementari a quelli ottenuti con TxWBS, evidenziando lesioni FDG-positive non-iodocaptanti e permettendo a volte di modificare la gestione (17).
La PET/TC con 124I viene impiegata in pochi Centri per il calcolo dosimetrico dell’attività da somministrare, soprattutto in pazienti con metastasi a distanza. Problematiche legate all’approvvigionamento del 124I e l’assenza di evidenze cliniche e di valutazioni di costo/efficacia rendono attualmente assai limitato il suo impiego (18).

 


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Massimo Salvatori
Istituto di Medicina Nucleare, Università Cattolica del S. Cuore-Roma

(aggiornato al 12 giugno 2022)

 


MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEL RADIOIODIO
Il radiofarmaco utilizzato e registrato per la terapia del DTC è lo 131I in forma di ioduro di sodio, per la cui preparazione è opportuno utilizzare sistemi automatici di dispensazione e attuare norme che minimizzino il rischio di dispersione della radioattività nell’ambiente. Nella quasi totalità dei casi il radiofarmaco viene somministrato per via orale in forma di capsule, formulazione preferibile dal punto di vista radio-protezionistico, in quanto riduce la possibilità di contaminazione degli operatori e dell’ambiente dovuta alla seppur minima volatilità del prodotto. In alternativa, può essere utilizzata la formulazione in soluzione liquida, che consente di calibrare con maggiore facilità l’attività da somministrare, riduce l’irraggiamento della parete gastrica per un più rapido assorbimento e permette un’agevole somministrazione anche nei pazienti che presentano difficoltà a deglutire. È possibile ricorrere anche alla somministrazione per via endovenosa, da prendere in considerazione in pazienti con vomito incoercibile, difficoltà di deglutizione o non collaboranti.

 


SCINTIGRAFIA CORPOREA GLOBALE DOPO TERAPIA
Dopo la somministrazione di terapia con radioiodio viene eseguita una scintigrafia corporea globale (TxWBS) per diagnosticare eventuali metastasi iodo-captanti loco-regionali o a distanza (1) (fig 1). La metodica presenta elevata sensibilità diagnostica (superiore a quella della Tg) ed è spesso in grado di svelare metastasi non note, permettendo un accurato restaging della malattia, una modifica dell’iniziale stratificazione prognostica e una personalizzazione del trattamento e del successivo follow-up. È stato riportato che in pazienti a rischio intermedio o elevato è in grado di rilevare metastasi in una percentuale di pazienti compresa tra il 6% e il 13% (1). La TxWBS viene normalmente eseguita a distanza di 3-7 giorni dal trattamento, anche se la cinetica del radioiodio nelle diverse lesioni può essere differente ed alcune possono essere rilevate con imaging precoce, mentre altre con rilevazioni tardive. In uno studio che ha confrontato immagini ottenute tre e sette giorni dopo la somministrazione del trattamento, nell’80.5% dei casi è stata riportata concordanza tra le immagini precoci e tardive, nel 7.5% dei casi le immagini precoci fornivano più informazioni rispetto a quelle tardive e nel 12% dei casi le immagini tardive fornivano più informazioni rispetto a quelle precoci (2).

 

Figura 1
Scintigrafia corporea globale dopo terapia con 131I (TxWBS) in paziente con residuo tiroideo e metastasi ossea del rachide lombare
A sinistra: immagine whole-body di tipo planare. Si può osservare, a partire dall’alto, residuo nel letto tiroideo, attività nello stomaco, metastasi ossea del rachide lombare (freccia) e radioattività vescicale
A destra: le immagini SPECT/TC nei piani assiale, coronale e sagittale permettono di meglio localizzare la metastasi ossea presente nel rachide lombare (freccia)

 

L’accuratezza diagnostica del TxWBS può essere ulteriormente migliorata con l’impiego della tomografia computerizzata per emissione di fotone singolo/tomografia computerizzata (SPECT/TC) (fig 1). A confronto con l’imaging planare, la SPECT/TC rivela un maggior numero di lesioni (maggiore sensibilità), distingue meglio fisiologiche zone di captazione del radioiodio da sedi di malattia (migliore specificità) e mette in evidenza metastasi in sedi non attese (3,4). La SPECT/TC suggerisce a volte l’approccio terapeutico più opportuno verso una determinata lesione e riduce il ricorso ad altre forme di imaging tomografico (TC, RM, FDG PET/TC) (4).

 


RISPOSTA AL TRATTAMENTO
Dopo tiroidectomia totale il paziente con DTC viene stratificato in base al rischio di mortalità tumore-specifica (predetto dal sistema di classificazione TNM) e al rischio di malattia residua o di recidiva, stimato con il sistema di classificazione dell’American Thyroid Association (ATA) che prevede tre categorie di rischio (basso, intermedio ed elevato) (1). Questa iniziale classificazione, definita “statica”, guida la terapia post-chirurgica e l’inziale follow-up e può essere modificata in base alla risposta al trattamento.
Dopo 6-18 mesi il paziente viene riclassificato con un sistema di classificazione definito “dinamico”, basato sul risultato del dosaggio della Tg, degli AbTg e dell’imaging diagnostico (5). Il tipo di risposta al trattamento guida il follow-up a lungo termine e suggerisce la necessità e la tipologia di eventuali ulteriori trattamenti. Dopo tiroidectomia e trattamento ablativo con radioiodio, vengono utilizzate quattro categorie per definire il tipo di risposta al trattamento iniziale (1) (tab 1).

 

Tabella 1
Classificazione della risposta alla tiroidectomia totale e terapia con 131I
Risposta al trattamento Dati clinici, biochimici e strutturali
Eccellente o completa Non evidenza di malattia clinica, biochimica (AbTg indosabili e Tg < 0.2 ng/mL o TSH-Tg < 1 ng/mL) o strutturale
Biochimica incompleta Livelli dosabile di Tg (Tg ≥ 1 ng/mL o TSH-Tg ≥ 10 ng/mL) o AbTg in crescita, senza evidenza strutturale di malattia
Strutturale incompleta Persistenza o evidenza di malattia loco-regionale o a distanza
Indeterminata Dati biochimici o strutturali non chiaramente classificabili

 

Risposta eccellente al trattamento iniziale viene definita una situazione in cui l’imaging è negativo e la Tg e gli AbTg sono indosabili (1). Se la risposta è eccellente, la probabilità di recidiva è (5):

  • per pazienti inizialmente classificati a basso rischio prossima allo zero;
  • per pazienti inizialmente classificati a rischio intermedio intorno all’1-2%;
  • per pazienti inizialmente classificati a rischio elevato può arrivare al 14%.

Risposta biochimica incompleta, definita dalla presenza di livelli dosabili di Tg evidenti 6-8 mesi dopo il trattamento iniziale, viene riscontrata in circa il 10% dei pazienti a basso rischio e nel 20% dei pazienti a rischio intermedio (1). Tale situazione clinica è generalmente monitorata con il dosaggio ogni 6-12 mesi di Tg e AbTg e con la valutazione non del singolo risultato ma del loro andamento temporale:

  • livelli di Tg stabili o in declino nel tempo sono indicativi di remissione e fino a due terzi di questi pazienti entrano nel gruppo di risposta eccellente senza necessità di ulteriori trattamenti;
  • livelli crescenti nel tempo di Tg saranno altamente sospetti per persistenza/recidiva di malattia e dovranno essere valutati con ecografia ed eventualmente altre indagini strumentali. L’incremento nel tempo degli AbTg è associato ad aumentato rischio di recidiva, mentre un rapido tempo di raddoppio della Tg (< 12 mesi) è associato non solo a recidiva ma anche a possibile prognosi severa (5).

Risposta strutturale incompleta è definita dalla presenza di residuo di malattia, localizzato il più delle volte nel collo ed evidenziato attraverso tecniche di imaging (1). L’ecografia e l’FNA (con eventuale dosaggio della Tg nel liquido di lavaggio) rappresentano le metodiche di riferimento per sospetta recidiva nel collo. In caso di metastasi a distanza, il DxWBS permette di dimostrare la presenza e l’entità di accumulo di radioiodio, suggerendo l’opportunità o meno di una terapia con 131I. La TC e la FDG PET/TC permettono di definire sede, numero, dimensioni e metabolismo delle lesioni. La scelta tra quale tra le due metodiche utilizzare e la necessità o meno di impiegare m.d.c. dipende dalla sede delle lesioni, mentre la frequenza con cui impiegare la TC è determinata dal tasso di crescita del tumore. La FDG PET/TC permette di studiare rapidamente il corpo intero e fornisce informazioni non solo di tipo diagnostico ma anche prognostico (6). Lesioni FDG-positive sono, infatti, probabilmente resistenti al radioiodio anche se la sola positività alla FDG PET-TC non permette di escludere il ricorso alla terapia con 131I. Inoltre, anche il riscontro di un accumulo di FDG di elevata intensità non è sicuramente indicativo di rapida progressione di malattia.
Per risposta indeterminata si intende la presenza di alterazioni aspecifiche all’imaging o al dosaggio di Tg e AbTg, situazione osservata nel 12-23% dei pazienti a rischio-basso intermedio. Nell’80-90% di questi casi il successivo follow-up non mostra recidiva clinica o strumentale di malattia (1,5). Rimane non chiara l’importanza clinica di un valore di Tg basso ma dosabile, che a volte può essere spiegato con il dosaggio della TSH-Tg. Il test eseguito dopo alcuni anni dall’iniziale trattamento permette di riclassificare la maggior parte delle risposte indeterminate in risposte eccellenti (5). Come ricordato, molto importante è l’andamento nel tempo dei valori di Tg e AbTg, anche per stabilire la frequenza con cui eseguire gli accertamenti (generalmente condotti su base annuale) e per porre indicazione all’uso dell’ecografia del collo o di altre tecniche di imaging (1,5).

 


RISCHI ED EFFETTI COLLATERALI
In base all’epoca di comparsa, vengono classificati e divisi in precoci e tardivi, sebbene alcuni dei rischi classificati come precoci possano apparire più tardivamente rispetto a quando attesi (tab 2). La terapia con 131I è sicura e presenta un rischio molto basso di complicanze, ma è fondamentale essere certi che i benefici siano superiori ai potenziali rischi, specialmente in caso di somministrazione di trattamenti multipli con elevate attività cumulative e nei pazienti giovani.

 

Tabella 2
Potenziali rischi ed effetti collaterali della terapia con 131I del DTC
Precoci Tardivi

Nausea da gastrite e vomito.
Scialo-adenite acuta/xerostomia.
Depressione midollare transitoria.
Tiroidite da radiazioni.
Amenorrea/oligomenorrea temporanea.
Ipospermia.
Ostruzione naso-lacrimale.

Leucemia e secondi tumori.
Fibrosi polmonare da radiazioni.
Depressione midollare permanente.
Scialo-adenite cronica/xerostomia.

 

Effetti precoci
Possono comparire nei primi giorni o nelle prime settimane dopo la terapia, sono più frequenti in caso di elevate attività di 131I utilizzate per metastasi a distanza, sono generalmente reversibili, possono essere facilmente gestiti e per la loro comparsa sono necessari elevati valori di dose assorbita da parte dei normali organi o tessuti (8).
Gli effetti sull’apparato gastro-enterico, come nausea da gastrite e vomito, possono comparire 4-12 ore dopo la somministrazione di 131I e si risolvono in genere entro 36-48 ore. Possono essere prevenuti utilizzando anti-emetici e lassativi, che riducono la dose di radiazione all’apparato gastro-enterico e al corpo intero.
Le ghiandole salivari esprimono NIS, concentrando iodio 30-40 volte più del sangue, e questo può portare alla comparsa, con incidenza variabile, di scialo-adenite con possibile successiva xerostomia. Per prevenire o ridurne la severità, vengono utilizzati diversi metodi, come l’idratazione, l’uso di succo di limone o di chewing gum e agenti colinergici, anche se non esistono evidenze né a favore né contro la loro efficacia (1).
Elevate attività di 131I, come dose singola o cumulativa, possono comportare il rischio di ostruzione del dotto naso-lacrimale, con possibile epifora e predisposizione allo sviluppo di infezioni.
Molto rara è la comparsa di tiroidite da radiazioni, con modesta, transitoria dolorabilità nel collo ed edema della regione in pazienti con ampio residuo tiroideo, complicanza che può essere facilmente risolta o limitata con l’uso per pochi giorni di farmaci anti-infiammatori steroidei e non.
Quando la dose di radiazione assorbita dal midollo osseo è < 2 Gy, la possibile comparsa di depressione midollare acuta, con riduzione di leucociti e piastrine, è un fenomeno generalmente transitorio, con nadir 1–2 mesi dopo la somministrazione di 131I e risoluzione spontanea dopo 60-90 giorni (9). L’evento potrebbe avere maggiore rilevanza in pazienti con metastasi ossee multiple, dopo somministrazione di elevate attività cumulative e in pazienti pediatrici o anziani. Quando compare, la depressione si risolve spontaneamente senza terapia, è difficile che diventi permanente ed è stato riportato che possa dipendere non solo dalla quantità di attività somministrata, ma anche dalla funzionalità renale (1).

Effetti tardivi
Il più importante è la potenziale associazione tra terapia con 131I e rischio di comparsa di secondo tumore solido o di neoplasia ematologica (SPM), argomento molto dibattuto in letteratura con risultati non univoci e a volte contraddittori (7-14). Alcuni studi riportano la presenza di un piccolo incremento a lungo termine del rischio di SPM (9), mentre altri negano tale associazione (10). Sebbene una revisione sistematica della letteratura riporti un incremento del rischio relativo pari a 1.19 per secondi tumori solidi e a 2.5 per leucemia (11), una seconda metanalisi ha concluso che non esistono chiare evidenze e che sono necessari studi più approfonditi (12).
Studi condotti sul registro del programma Surveillance, Epidemiology, and End Results ipotizzano, senza però riportare evidenze, una maggiore sensibilità alle radiazioni ionizzanti dei bambini rispetto agli adulti, a causa della ridotta distanza tra gli organi, della maggiore concentrazione dell’attività in organi più piccoli, e della presenza di cellule più radio-sensibili perché in fase di crescita e di attiva proliferazione (13). Mentre non esistono evidenze di rischio di SPM per somministrazione di singole attività di 1.1-3.7 GBq (30-100 mCi) (1), il rischio potrebbe essere maggiore per singole attività più elevate o per attività cumulative > 22.2 GBq (600 mCi) (9).
È stato osservato che per stabilire un chiaro rapporto tra comparsa di SPM e terapia con 131I dovrebbero essere presi in considerazione diversi aspetti, come l’età al momento dell’esposizione, il tempo di latenza tra esposizione e comparsa di SPM, l’uso di un modello dosimetrico utile a stabilire un rapporto dose/risposta e l’impiego di gruppi di controllo di pazienti con DTC trattati e non trattati con radioiodio a parità di sesso ed età (14).
Altre potenziali complicanze tardive della terapia con 131I sono rappresentate dall’infertilità e dalla potenziale compromissione della riproduzione. Nel 20–27% di donne in età fertile è stata riportata amenorrea/oligomenorrea temporanea per 4-10 mesi, attribuita all’esposizione delle gonadi al radioiodio presente nel sangue, nelle urine e nelle feci (1). Non è dimostrato un aumento di infertilità, aborti, malformazioni fetali e conseguenze sui nascituri, mentre in donne in fase pre-menopausale è stato riportato un anticipo medio di circa un anno della menopausa rispetto alla popolazione generale (7,8). Negli uomini, dopo somministrazione di elevate attività cumulative di radioiodio, è stato osservato un transitorio incremento dell’FSH e un calo della motilità spermatica, con riduzione temporanea della conta degli spermatozoi (1,8). Non sono riportati invece effetti sulla riproduzione, in termini di infertilità a lungo termine o rischi per il nascituro, anche se in caso di trattamenti multipli con elevate attività dovrebbe essere presa in considerazione la crioconservazione del seme e dovrebbe essere evitato il concepimento per almeno 6 mesi dopo il trattamento, in maniera da permettere il rimpiazzo di spermatozoi irradiati ed evitare potenziali transitorie anomalie cromosomiche (7,8).

 


ASPETTI NORMATIVI
I principali obblighi legislativi relativi alla terapia con 131I sono stati per diversi anni dettati dal D.Lgs 230/95 e soprattutto dal D.Lgs 187/00 (15). Il D.Lgs 101/2020 vigore dal 27 agosto 2020 ha sostituito e integrato tali decreti, pur mantenendone l’impianto generale (16). Sono stati conservati i principi fondamentali di giustificazione e di ottimizzazione, con programmazione individuale dell’esposizione dei volumi bersaglio e necessità che le dosi ai tessuti non bersaglio siano le più basse ragionevolmente ottenibili. Viene ribadito l’obbligo di trattamento in regime di ricovero protetto in caso di somministrazioni di attività > 600 MBq (16 mCi) e quello di fornire all’atto della dimissione del paziente informazioni ed istruzioni scritte, atte a non superare limiti e vincoli di dose per popolazione e familiari. L’unica vera novità riguarda l’introduzione dell’obbligo di effettuare una determinazione radiometrica al termine del ricovero in degenza protetta (16). La misura, eseguita in collaborazione tra l’esperto di radio-protezione e lo specialista in fisica medica, deve permettere di indicare il periodo di tempo necessario affinché il paziente dimesso possa soddisfare le raccomandazioni fornite dal medico specialista atte ad evitare il superamento dei vincoli di dose di 3 mSv/trattamento (per soggetti di età 18-60 anni) e 15 mSv/trattamento (per soggetti > 60 anni) (16). La puntuale applicazione di quanto richiesto nell’articolo permetterà una più precisa e personalizzata durata delle norme di comportamento da parte del paziente, troppo spesso protratte in maniera eccessiva e non necessaria.

 


BIBLIOGRAFIA

  1. Haugen BR, Alexander EK, Bible KC, et al. 2015 American Thyroid Association management guidelines for adult patients with thyroid nodules and differentiated thyroid cancer. Thyroid 2016, 26: 1-133.
  2. Salvatori M, Perotti G, Villani MF, et al. Determining the appropriate time of execution of an I-131 post-therapy whole-body scan: comparison between early and late imaging. Nucl Med Commun 2013, 34: 900–8.
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  4. Xue YL, Qiu ZL, Song HJ, Luo QY. Value of 131I SPECT/CT for the evaluation of differentiated thyroid cancer: a systematic review of the literature. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2013, 40: 768–78.
  5. Lamartina L, Grani G, Durante C, et al. Follow-up of differentiated thyroid cancer - what should (and what should not) be done. Nature Rev Endocrinol 2018, 14: 538-51.
  6. Salvatori M, Biondi B, Rufini V. Imaging in endocrinology: 2-[18F] -fluoro-2-deoxy-D-glucose positron emission tomography/computed tomography in differentiated thyroid carcinoma: clinical indications and controversies in diagnosis and follow-up. Eur J Endocrinol 2015, 173: R115-30.
  7. Fard-Esfahani A, Emami-Ardekani A, Fallahi B, et al. Adverse effects of radioactive iodine-131 treatment for differentiated thyroid carcinoma. Nucl Med Commun 2014, 35: 808–17.
  8. Rizzo A, Annunziata S, Salvatori M. Side effects of theragnostic agents currently employed in clinical practice. Q J Nucl Med Molec Imaging 2021, 65: 315-26.
  9. Rubino C, de Vathaire F, Dottorini ME, et al. Second primary malignancies in thyroid cancer patients. Br J Cancer 2003, 89: 1638–44.
  10. Hirsch D, Shohat T, Gorshtein A, et al. Incidence of nonthyroidal primary malignancy and the association with 131I treatment in patients with differentiated thyroid cancer. Thyroid 2016, 26: 1110–6.
  11. Sawka AM, Thabane L, Parlea L, et al. Second primary malignancy risk after radioactive iodine treatment for thyroid cancer: a systematic review and meta-analysis. Thyroid 2009, 19: 451-7.
  12. Yun Yu C, Saeed O, Goldberg AS, et al. A systematic review and meta-analysis of subsequent malignant neoplasm risk after radioactive iodine treatment of thyroid cancer. Thyroid 2018, 28: 1662-73.
  13. Iyer NG, Morris LG, Tuttle RM, et al. Rising incidence of second cancers in patients with low-risk (T1N0) thyroid cancer who receive radioactive iodine therapy. Cancer 2011, 117: 4439–46.
  14. Verburg FA, Hoffmann M, Iakovou I, et al. Errare humanum est, sed in errare perseverare diabolicum: methodological errors in the assessment of the relationship between I-131 therapy and possible increases in the incidence of malignancies. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2020, 47: 519-22.
  15. Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n. 187. Attuazione della direttiva 97/43/Euratom in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche. Gazzetta Ufficiale Serie Generale n 157 del 7 luglio 2000. Modificato dall’art. 39, Legge 1 marzo 2002, n. 39. Gazzetta Ufficiale Serie Generale n 72 del 26 marzo 2002, suppl ordinario n 54.
  16. Decreto Legislativo 31 luglio 2020, n. 101. Attuazione della direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti, che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom e riordino della normativa di settore. Gazzetta Ufficiale Serie Generale n 201 del 12 agosto 2020, suppl ordinario n 29.
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Massimo Salvatori
Istituto di Medicina Nucleare, Università Cattolica del S. Cuore-Roma

(aggiornato al 12 giugno 2022)

 

Dopo iniziale tiroidectomia totale o near-total, il radioiodio può essere somministrato come trattamento ablativo (con lo scopo di eliminare residuo tiroideo, facilitare il follow-up e migliorare la stadiazione iniziale) (fig 1) o come trattamento adiuvante (volto ad eliminare anche malattia residua sospettata ma non provata in pazienti ad alto rischio di recidiva). La differenza tra le due modalità di trattamento è rappresentata non solo dai diversi obiettivi, ma anche dall’attività di radioiodio utilizzata, più elevata nella forma adiuvante.

Figura 1
Trattamento ablativo in paziente con DTC
A sinistra: 131I WBS dopo tiroidectomia totale (residuo in loggia tiroidea)
A destra: 131I WBS dopo trattamento ablativo con radioiodio

 

Qui si affronta il tema dell’indicazione al trattamento ablativo/adiuvante, tra gli argomenti più controversi nella gestione del DTC, e della somministrazione di basse o alte attività ablative. Si rimanda ad altri capitoli per:

  • preparazione del paziente e diagnostica pre-trattamento;
  • modalità di somministrazione del radioiodio, scintigrafia corporea globale dopo terapia, risposta al trattamento, rischi ed effetti collaterali e aspetti legislativi.

 


INDICAZIONI AL TRATTAMENTO
Sebbene nelle diverse linee guida (LG) (1-9) e linee di consenso europee (10) ed italiane (11) sulla gestione del DTC esistano differenze nella definizione di rischio (12), è condiviso il principio che l’indicazione al trattamento ablativo/adiuvante debba essere posta in base alla categoria di rischio del paziente e ai risultati delle indagini diagnostiche post-tiroidectomia, in particolare tireoglobulina (on L-T4 e post TSH) ed ecografia.
Nell’ultima edizione delle LG ATA, per definire la categoria di rischio del paziente, viene raccomandato il contemporaneo impiego di due sistemi di classificazione che assumono un diverso significato prognostico (2):

  • TNM, emanato dall’Union for International Cancer Control (UICC) è indicativo del rischio di mortalità tumore-specifica. L’ultima edizione (8°) ha introdotto importanti modifiche (13), che hanno portato al down-staging di circa il 35% dei pazienti (14). Tra le novità va ricordato il down-staging dell’estensione extra-tiroidea con minima infiltrazione della capsula (in precedenza classificata pT3b ed ora stadiata solo in base alle dimensioni della neoplasia pT1, pT2 o pT3a) e il cut-off di età (aumentato da 45 a 55 anni), per definire il rischio di mortalità in pazienti con metastasi (13). Esiste un sistema di calcolo online per stratificare i pazienti in base a queste nuove raccomandazioni;
  • American Thyroid Association (ATA) è indicativo del rischio di presenza di malattia residua o di recidiva. Era già presente nelle LG del 2009 (1) ed è stato poi perfezionato nella terza edizione del 2015 (2). Il sistema, basato su dati desunti da un referto anatomo-patologico di elevata qualità, stima un rischio assoluto di recidiva variabile da < 1% al 55% e prevede tre categorie di rischio (basso ≤ 5%, intermedio 6-20%, elevato > 20%). È importante sottolineare che non esiste una netta separazione tra le tre classi di rischio, ma un passaggio continuo e graduale (2).

Questa iniziale classificazione del paziente, eseguita con i due diversi sistemi e definita “statica, può essere poi modificata nel corso del follow-up in maniera “dinamica”, in base all’evoluzione della malattia e alla risposta al trattamento (risposta eccellente, biochimica incompleta, strutturale incompleta o indeterminata), con eventuale passaggio da una categoria all’altra in senso migliorativo o meno (2,14,15). Mentre la classificazione statica iniziale serve a guidare eventuali trattamenti post-tiroidectomia, l’appartenenza alla nuova categoria di rischio, definita in base alla risposta al trattamento iniziale, suggerisce soprattutto la modalità e l’intensità del successivo follow-up (2,15).
Poiché il rischio di mortalità da DTC è in assoluto molto basso, per l’indicazione al trattamento ablativo si utilizza soprattutto il punteggio ATA di rischio di recidiva/residuo di malattia (2). Mentre non esistono dubbi sull’indicazione al trattamento ablativo nei pazienti ad alto rischio, esiste una significativa controversia riguardo i pazienti a rischio basso o intermedio, dovuta all’assenza di dati provenienti da studi clinici controllati, prospettici e randomizzati (RCT), difficili da eseguire a causa dell'ampio campione di pazienti necessario e della lunga durata del follow-up richiesto, conseguenza della particolare biologia del tumore tiroideo. La letteratura fornisce, quindi, dati derivati da studi retrospettivi ed osservazionali, caratterizzati da non pochi limiti. Sono state pubblicate eccellenti revisioni sull’argomento (16-18).
Nel prossimo futuro saranno probabilmente disponibili dati clinici più affidabili, grazie a due RCT attualmente in corso (Estimabl2, IoN study), finalizzati a valutare l’utilità del trattamento ablativo nei pazienti a rischio basso/intermedio (19,20). In particolare, lo studio IoN ha lo scopo di definire se durante un follow-up di 5 anni il tasso di sopravvivenza libero da malattia (DFS), è diverso tra i pazienti sottoposti o meno a trattamento ablativo con 1.1 GBq (50 mCi) di 131I (19). Alcune perplessità su questo studio sono state avanzate in relazione alla durata del follow-up, che potrebbe essere troppo breve per evidenziare differenze prognostiche tra gruppi, che diventano evidenti e significative solo dopo più di 10 anni dal trattamento (12).
A causa, quindi, della mancanza di dati certi e nell’attesa dei risultati degli RCT in corso, al momento esistono due atteggiamenti diversi, uno orientato verso un uso selettivo e personalizzato del trattamento ablativo, che riduce le indicazioni nei pazienti a rischio basso e basso/intermedio, l’altro che propende per un uso più estensivo del trattamento anche in questi pazienti.

 

Uso selettivo
L’indicazione all’uso selettivo dell’ablazione con 131I è suggerita soprattutto dalle ultime LG ATA, nelle quali viene riportato che la maggior parte dei DTC a basso rischio presenta un andamento clinico favorevole, con tasso di sopravvivenza > 90% e tasso di recidiva < 5-10%, poco influenzati dal tipo di trattamento (2). Secondo tale documento, un ritardo nel trattamento, quando necessario, non avrebbe significativo impatto sulla sopravvivenza tumore-specifica e il riscontro post-operatorio di malattia residua minima, persistente o recidivante risulterebbe frequente e spesso di scarsa rilevanza clinica. Inoltre, la diagnosi e il trattamento precoce dell’eventuale malattia residua minima offrirebbero uno scarso vantaggio clinico. Salvo casi particolari, quindi, il trattamento ablativo non è  raccomandato di routine nei pazienti a basso rischio ATA e nei pazienti con micro-carcinoma papillifero uni-focale e multi-focale (21).

 

Uso estensivo
L’indicazione a un uso molto selettivo del trattamento ablativo suggerito dalle LG ATA non ha trovato d’accordo molti clinici e l’European Association of Nuclear Medicine (EANM) non ha dato il suo endorsement, sostenendo che “… a tuttora non sono disponibili studi prospettici controllati che indichino con precisione quali pazienti con DTC a basso rischio potrebbero trarre beneficio dalla terapia post-operatoria con 131I” (22). L’EANM sostiene che le LG ATA del 2015 sono troppo riluttanti nel raccomandare il trattamento con radioiodio e che solo 11 delle 191 raccomandazioni riportate in tale LG sono basate su evidenze di alta qualità, mentre 97 sono basate su evidenze di bassa qualità (22). Viene, quindi, proposto un uso più estensivo del trattamento ablativo, soprattutto in pazienti con metastasi linfonodali, con tumori pT2 (fino a 4.0 cm di diametro) e pT3 o pT1-3 N1a o N1b, che nelle LG ATA non sono candidati di routine alla terapia con radioiodio o per i quali il trattamento è solo da considerare (12,18). A seguito di un meeting tra rappresentanti di ATA, EANM, SNMMI ed ETA, tenutosi in Martinica nel 2018, è stato pubblicato un documento congiunto, nel quale vengono formulati 9 principi condivisi relativi alla terapia con 131I del DTC. Il 5° principio riguarda la selezione dei pazienti candidati a terapia con 131I e stabilisce che devono essere valutati più fattori di rischio rispetto a quelli analizzati nelle LG ATA (12, 23).

 

Indicazioni da Linee Guida e Consensus Conferences
Al netto delle divergenze di opinione sopra riportate, le LG e linee di consenso emanate dalle diverse Società Scientifiche riportano indicazioni sostanzialmente analoghe, con differenze non molto significative. Ad esempio, le LG ATA ed ESMO (2,3) e le linee di consenso emanate da ETA (10) e da sei Società Scientifiche Italiane (11) concordano sul fatto che i pazienti a basso rischio senza malattia residua nota o probabile dopo chirurgia non dovrebbero essere trattati con 131I; invece, dovrebbero essere trattati tutti i pazienti a elevato rischio e il radioiodio dovrebbe essere usato in maniera selettiva nei pazienti a rischio intermedio (tab 1). Di seguito viene riportata una sintesi di tali indicazioni, rimandando alle pubblicazioni in originale per un maggiore approfondimento (1-11).

 

Tabella 1
Indicazione al trattamento ablativo/adiuvante da alcune LG e consensi sul DTC
  Raccomandato Uso selettivo Non raccomandato
ATA 2016 (2) Rischio ATA alto. Rischio ATA basso/intermedio (T1b-T3, con qualsiasi N).
Rischio ATA basso/intermedio (N1a o N1b, con qualsiasi T).
Rischio ATA basso.
Micro-carcinoma papillifero (≤ 1 cm) uni- o multi-focale.
ESMO 2019 (3) Rischio ATA alto. Altre forme di rischio ATA basso.
Rischio ATA intermedio.
Rischio ATA basso (pT1a, N0/Nx).
Consenso Italiano 2018 (11) Rischio ATA intermedio/alto.
Rischio ATA alto.
Rischio ATA intermedio.
Rischio ATA basso/intermedio (T1-2, N1a-N1b, M0-Mx).
Rischio ATA basso (T1a-b, N0-Nx, M0-Mx).
ETA 2022 (10) Rischio ATA alto. Rischio ATA basso con Tg > 2 ng/mL on L-T4 o TSH-Tg > 5-10 ng/mL.
Rischio ATA intermedio.
Rischio ATA basso con Tg indosabile on L-T4 o TSH-Tg < 1 ng/mL.
Micro-carcinoma papillifero (≤ 1 cm).

 

Pazienti con micro-carcinoma papillifero. Sebbene pochi studi abbiano evidenziato vantaggi in questo gruppo (12), il trattamento ablativo non viene raccomandato di routine dopo lobectomia o tiroidectomia totale per pazienti con PTC ≤1.0 cm uni- o multi-focale (micro-carcinomi papilliferi o “very-low risk” secondo la terminologia usata nelle LG ATA del 2015), in assenza di metastasi loco-regionali o di altri fattori prognostici sfavorevoli (1-11).

Pazienti a basso rischio. La maggior parte delle LG è concorde nel ritenere che il trattamento ablativo con radioiodio non sia giustificato di routine in questi pazienti (1-9), in cui la probabilità di recidiva/persistenza di malattia è molto bassa (3%), così come la mortalità tumore-specifica (2). Peraltro, non vi sono evidenze che una diagnosi precoce di recidiva abbia impatto sulla sopravvivenza. L’impiego di radioiodio rispetto alla semplice sorveglianza clinica non sembra migliorare né la sopravvivenza globale e libera da malattia né il rischio di recidiva, anche se per questo i dati sono più eterogenei (2). Comunque, EANM, ATA, Society of Nuclear Medicine and Molecular Imaging (SNMMI) ed ETA hanno recentemente pubblicato un documento congiunto, nel quale riconoscono che tali raccomandazioni non sono basate su studi di elevata qualità (23). Nel documento si conclude che la decisione a favore o contro l’ablazione con 131I nei pazienti a basso rischio deve essere presa in maniera individualizzata, in base alle particolari caratteristiche del tumore, ad aspetti relativi al singolo paziente (es. presenza di comorbilità, parere del paziente, aspetti emozionali), qualità e disponibilità della chirurgia, dell’ecografia, dell’imaging scintigrafico e del dosaggio della Tg, e infine in base alle preferenze del team multi-disciplinare che localmente si occupa della gestione del DTC (23). Infine, i benefici attesi dal trattamento ablativo dovrebbero essere pesati rispetto ai rischi e alla riduzione della qualità di vita (QoL) (23).

Pazienti a rischio intermedio. In questa categoria si osservano le maggiori differenze tra le varie LG. Il trattamento ablativo o adiuvante dovrebbe essere sempre preso in considerazione nei pazienti con istotipi aggressivi, tumori > 4 cm,  evidente estensione extra-capsulare, presenza di metastasi linfonodali al di fuori del compartimento centrale (malattia N1b), ed età > 45 anni (11). Una revisione della letteratura ha evidenziato un significativo beneficio (miglioramento della sopravvivenza generale, tumore-specifica e libera da malattia) in circa la metà degli studi non-randomizzati eseguiti in pazienti a rischio intermedio (25). Sono necessari, comunque, più studi per valutare l’efficacia del trattamento ablativo nei vari sottogruppi di questa ampia categoria e la decisione se effettuare o meno il trattamento con radioiodio deve essere sempre condivisa con il paziente, in particolare in questa classe in cui le evidenze sono meno forti.

Pazienti a rischio elevato. Tutte le LG e linee di consenso pubblicate raccomandano il trattamento post-chirurgico di routine con 131I nei pazienti ad alto rischio (1-11). Studi prospettici multicentrici dimostrano che in tali pazienti il trattamento è associato a migliore sopravvivenza e ridotta mortalità tumore-specifica. In questi pazienti il più delle volte è giustificato un trattamento adiuvante con attività di radioiodio più elevate rispetto a quelle impiegate nel trattamento ablativo.

 


ATTIVITÀ DI RADIOIODIO
La scelta dell’attività di radioiodio da somministrare nella terapia del DTC si basa su due diverse modalità: attività fisse stabilite su base empirica e attività calcolate su base dosimetrica. Nel trattamento ablativo o adiuvante vengono utilizzate quasi esclusivamente attività fisse, basse o elevate. Le attività calcolate su base dosimetrica vengono utilizzate, in alternativa alle attività fisse, per la terapia delle metastasi loco-regionali e a distanza e verranno quindi trattate nel capitolo relativo.

 

Trattamento ablativo
Due studi prospettici randomizzati di non-inferiorità (25,26) hanno confrontato i risultati ottenuti impiegando attività di radioiodio basse (1.1–1.85 GBq = 30–50 mCi) e alte (≥ 3.7 GBq = ≥ 100 mCi) nel trattamento ablativo di pazienti sottoposti a tiroidectomia totale o near-total dopo preparazione con sospensione della terapia ormonale o rhTSH. Non è stata riscontrata nessuna differenza di efficacia ablativa, anche se sono necessari più dati per valutare l’impatto delle basse attività di radioiodio sull’esito a lungo termine (27-30).
In base ai dati attualmente disponibili, mentre efficacia ablativa, tasso di recidiva e mortalità tumore-specifica non risultano inferiori nei pazienti trattati con basse attività, gli eventi avversi a breve termine risultano più elevati in quelli trattati con elevate attività. Per questi motivi, è generalmente preferita la somministrazione di basse attività di 131I per il trattamento ablativo dei DTC a rischio basso/intermedio, in pazienti giovani, con residui tiroidei di piccole dimensioni e senza caratteristiche sfavorevoli (2). Attività più elevate possono essere utilizzate per l’ablazione di pazienti ad alto rischio o con ampi residui tiroidei. Lo stato di malattia post-operatorio (valutato con Tg, ecografia, WBS se del caso) può essere utilizzato non solo per porre indicazione al trattamento ablativo, ma anche per la scelta dell’attività da somministrare (2).

 

Trattamento adiuvante
La somministrazione nel trattamento adiuvante di attività più elevate di quelle impiegate per la semplice ablazione (fino a 5.5 GBq = 150 mCi) trova una sua logica considerando che lo scopo è quello di eliminare non solo il residuo tiroideo, ma anche la malattia microscopica sospettata ma non provata in pazienti ad alto rischio di recidiva (2,31,32). Comunque, gli unici studi oggi disponibili (retrospettivi, non multicentrici, condotti su piccoli gruppi di pazienti e caratterizzati da breve follow-up) non dimostrano in maniera significativa che l’aumento dell’attività somministrata sia associato a miglioramento dell’esito clinico in pazienti a rischio intermedio/elevato e senza evidenza di malattia residua (29,30,33). Anche per le attività da somministrare in questo tipo di trattamento è necessario condurre adeguati RCT, in grado di valutare molteplici aspetti, come l’esito clinico, la QoL e il grado di tossicità.

 


BIBLIOGRAFIA

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Massimo Salvatori
Istituto di Medicina Nucleare, Università Cattolica del S. Cuore-Roma

(aggiornato al 12 giugno 2022)

 


METASTASI LINFONODALI LOCO-REGIONALI
Le metastasi linfonodali rappresentano la prima causa di recidiva loco-regionale insieme alle recidive nel letto tiroideo e a quelle nei tessuti molli (fig 1). Sono molto frequenti nei carcinomi papilliferi nei giovani e la neoplasia può interessare l’intero linfonodo, con superamento della capsula, o solo parte di esso. Quando viene coinvolto meno del 20% del linfonodo (tessuto neoplastico ≤ 2.0 mm) si parla di micro-metastasi linfonodali (1).
Le metastasi linfonodali possono essere localizzate a livello latero-cervicale (II, III, e IV livello) e/o a livello anteriore (VI livello e mediastino). L’ecografia, con FNA ed eventuale dosaggio della Tg nel liquido di lavaggio, rappresenta la metodica diagnostica d’elezione.
Le metastasi linfonodali mediastiniche vengono invece evidenziate attraverso indagini tomografiche morfo-strutturali (TC, RM) o di tipo metabolico-funzionale (131I SPECT/TC, FDG PET/TC) (1).

 

Figura 1
Metastasi linfonodali iodo-captanti in paziente con carcinoma papillifero della tiroide

 

Quando possibile, la dissezione chirurgica per compartimenti rappresenta la principale opzione terapeutica e l’intervento può contribuire al miglior controllo regionale della malattia per i DTC maggiormente invasivi (T3-T4) (1).
Per i DTC a basso rischio (T1b–T2, N0) non è indicata la dissezione profilattica di routine dei linfonodi del compartimento centrale del collo (pre-laringei, pre-tracheali e para-tracheali), il cui impiego varia da centro a centro (2). Controversa è la sua efficacia sulla sopravvivenza libera da malattia (DFS) e non esistono evidenze né a favore né contro. Un vantaggio può essere rappresentato dalla possibilità di identificare micro-metastasi non visibili all’ecografia pre-operatoria, informazione utile a fini prognostici e per il successivo trattamento e follow-up (3). I rischi sono rappresentati dal transitorio ipoparatiroidismo e dall’overdiagnosis e overtreatment di micro-metastasi subcliniche che il più delle volte hanno scarsa rilevanza clinica. La valutazione dei potenziali benefici della dissezione profilattica dei linfonodi centrali del collo è oggetto di un RCT attualmente in corso (ESTIMABL3-NCT03570021) (4).
La terapia con radioiodio di metastasi linfonodali iodo-captanti, in alternativa alla chirurgia, trova scarso impiego a causa del basso valore di dose assorbita raggiunto e della conseguente ridotta efficacia clinica. Risulterebbe, infatti, efficace solo in caso di raggiungimento di dosi assorbita dal tumore ≥ 8000 cGy e per foci neoplastici di piccole dimensioni intensamente captanti il radioiodio, condizioni quasi mai realizzate (1). Inoltre, è frequente, anche in presenza di linfonodi iodo-captanti, la coesistenza di piccole metastasi non-iodocaptanti. In casi selezionati, la terapia con 131I viene utilizzata a scopo adiuvante e come completamento della chirurgia linfonodale, anche se i risultati non sono soddisfacenti (5). La somministrazione di radioiodio a dosi terapeutiche può infine essere utilizzata per tecniche di chirurgia radio-guidata, allo scopo di facilitare l’identificazione e l’asportazione di lesioni localizzate nel tessuto cicatriziale pre-trattato e per la valutazione finale dell’efficacia del trattamento chirurgico (6).

 


METASTASI A DISTANZA
Sono presenti in meno del 10% dei pazienti con DTC, in circa la metà dei casi già al momento della diagnosi iniziale del tumore, mentre nel resto dei casi vengono diagnosticate anche decenni dopo il trattamento iniziale. Sono molto rare nei DTC a basso rischio, ma molto più frequenti nelle forme ad alto rischio con sottotipi istologici aggressivi (varianti tall-cell, hobnail, solide, diffuse, sclerosanti diffuse e colonnari), in caso di tumori di ampie dimensioni con invasione vascolare ed extra-tiroidea e in presenza di diffuso interessamento metastatico linfonodale.
Le sedi più frequenti sono rappresentate da polmoni (circa il 50% dei casi), scheletro (circa il 25% dei casi) e polmoni e scheletro contemporaneamente (circa il 15% dei casi) (7-9); sedi meno frequenti sono encefalo, fegato e cute. La presenza di metastasi a distanza incide in modo importante sulla sopravvivenza, con mortalità tumore-specifica del 55-65% a 5 anni e del 75% a 10 anni dalla diagnosi.
Le metastasi a distanza vengono in genere diagnosticate per la presenza di sintomatologia clinica o attraverso il TxWBS o altre tecniche di imaging (TC, FDG PET/TC, RM) eseguite per il rilievo di elevati livelli di Tg ematica circolante.
Le terapie disponibili, curative o palliative, sono rappresentate dall’escissione chirurgica (quando possibile e solo per malattia loco-regionale), dalla terapia con radioiodio (per malattia iodo-captante e iodo-responsiva), dalla radioterapia a fasci esterni (EBRT) o altre terapie dirette loco-regionali (radio-frequenza, crio-ablazione, ecc), dalla terapia ormonale TSH-soppressiva e dalla terapia con inibitori delle MAPK/ERK chinasi (MEK) per malattia refrattaria al radioiodio (1).
La possibilità di impiegare la terapia con 131I nella cura delle metastasi a distanza prevede la dimostrazione della loro capacità iodo-captante (espressione di NIS intatto) attraverso 131I-WBS planare o SPECT/TC. Nel caso in cui le metastasi iodo-captanti risultino anche FDG-positive alla PET/TC, esiste il fondato sospetto di scarsa risposta al trattamento con radioiodio (10).

 

Metastasi polmonari
I criteri chiave nella gestione del paziente con metastasi polmonari sono rappresentati in primo luogo dalle dimensioni delle metastasi, che possono essere già evidenti allo studio Rx del torace (lesioni macro-nodulari), evidenti solo alla TC del torace (lesioni micro-nodulari) o non evidenti nemmeno alla TC (fig 2). Oltre il criterio dimensionale, di fondamentale importanza risulta la capacità iodo-captante da parte delle lesioni e l’eventuale risposta a precedenti somministrazioni di radioiodio. Infine, nella scelta dell’opzione terapeutica è da considerare anche la stabilità o la progressione strutturale nel tempo delle metastasi (1).

Figura 2
Micro-metastasi polmonari da carcinoma papillifero della tiroide < 2 mm
A sinistra: 131I WBS con intenso e diffuso accumulo di radioiodio in entrambi i polmoni

A destra: Rx del torace negativa

 

Le micro-metastasi polmonari iodo-captanti (< 2 mm, Rx/TC negative) presentano elevati tassi di risposta completa alla terapia con 131I (11) (tab 1). Vanno trattate fino a quando risulta evidente una risposta biochimica (andamento della Tg) e/o scintigrafica, anche se non è definito l’intervallo di tempo che deve trascorrere tra un trattamento e l’altro, generalmente indicato tra sei mesi e un anno. La polmonite e la fibrosi sono complicanze molto rare associate a ripetuti trattamenti con alte dosi di radioiodio in pazienti con micro-metastasi polmonari di tipo diffuso intensamente captanti (1,11). La terapia con 131I eseguita con calcolo dosimetrico limita tale rischio, permettendo di non superare la soglia di 2.9 GBq (80 mCi) di ritenzione di radioiodio al corpo intero e di 2 Gy di dose assorbita al midollo osseo. Il sospetto di fibrosi polmonare impone una consulenza pneumologica, l’esecuzione di test di funzionalità respiratoria e limita il ricorso a ulteriori trattamenti con radioiodio (1).

 

Tabella 1
Metastasi polmonari da DTC: pattern scintigrafico/radiologico vs esito clinico
(modificata da Casara D et al, J Nucl Med 1993, 34: 1626)
N pazienti 131I WBS e Rx torace Sopravvivenza a 10 anni Remissione completa
42 (31%) 131I WBS+ Rx- 96% 78%
54 (40%) 131I WBS+ Rx+ 36% 3.7%
38 (29%) 131I WBS- Rx+ 11% 0%

 

Le macro-metastasi polmonari iodo-captanti, Rx/TC positive, possono essere trattate con 131I, ma la risposta al trattamento è molto variabile e inferiore a quella delle metastasi micro-nodulari (tab 1). L’intervallo di tempo che deve trascorrere tra un trattamento e l’altro e l’attività somministrata vanno individualizzati tenendo conto di vari fattori, come la risposta clinica, l’età del paziente e la presenza di eventuali altre metastasi a distanza. La comparsa di effetti collaterali, come depressione midollare e scialo-adenite, può limitare il ricorso a ripetuti trattamenti (1,11,12).
Una significativa risposta al trattamento con 131I è in genere associata a calo dei valori di Tg e/o a riduzione delle dimensioni o della progressione della malattia. Viceversa, una riduzione dei valori di Tg e dell’accumulo di radioiodio senza riduzione volumetrica delle lesioni o con loro progressiva crescita indica refrattarietà alla terapia con 131I. Pazienti in buone condizioni cliniche e con singole metastasi polmonari facilmente accessibili possono essere sottoposti a resezione chirurgica o ablazione con radio-frequenza (1).

 

Metastasi ossee
Le metastasi ossee sono più frequenti nei carcinomi follicolari (7–28%) rispetto ai papilliferi (1.4–7%) e coinvolgono soprattutto il rachide (35%) (fig 3), il bacino (25%) e la gabbia toracica (18%) (fig 4). A volte la diagnosi di metastasi ossee avviene prima o contemporaneamente a quella del tumore primitivo e tale situazione clinica presenta una prognosi più severa rispetto a metastasi ossee che compaiono più tardi durante il follow-up. Le metastasi ossee si possono presentare con sintomatologia dolorosa persistente, mostrano in genere scarso accumulo di radioiodio e se localizzate nel rachide possono determinare compressione midollare (13).

 

Figura 3
131I SPECT/TC: metastasi ossea del rachide lombare intensamente captante il radioiodio

 

 

Figura 4
131I SPECT/TC: metastasi ossea costale iodo-captante

 

Possono essere utilizzate varie modalità terapeutiche, scelte in base al singolo caso clinico. In presenza di lesioni singole ed in pazienti in buone condizioni cliniche il trattamento associato a migliori risultati clinici è quello chirurgico seguito da EBRT (14). Quando la chirurgia non è possibile, può essere utilizzata la EBRT e/o tecniche di radiologia interventistica, come la cemento-plastica e l’ablazione termica. In alternativa, vengono utilizzate la vertebro-plastica percutanea e tecniche conservative come l’ablazione con radio-frequenze e la crio-terapia. In caso di metastasi multiple deve sempre essere preso in considerazione l’impiego di inibitori del riassorbimento osseo (bisfosfonati o denosumab) che riduce il rischio di fratture patologiche.
La terapia con radioiodio di metastasi ossee iodo-captanti è associata ad aumento della sopravvivenza, anche se raramente permette di arrivare alla guarigione completa (15). Può controllare temporaneamente la malattia e ridurre la sintomatologia in caso di lesioni intensamente captanti. La risposta al trattamento dipende da vari fattori, come il numero delle lesioni, le loro dimensioni e la capacità di accumulo di radioiodio. I limiti della terapia con 131I nella cura delle metastasi ossee sono dovuti alle dimensioni spesso ampie delle lesioni, allo scarso accumulo di radioiodio e soprattutto alla disomogenea distribuzione della dose assorbita dovuta a cause macroscopiche (zone di necrosi, alterata vascolarizzazione, aree di osteolisi) e biomolecolari (ridotta espressione di NIS). La terapia con 131I viene spesso associata ad altre forme di trattamento diretto (chirurgia, EBRT, embolizzazione) o sistemico (bisfosfonati) e può essere eseguita dopo stabilizzazione chirurgica (16).

 


TERAPIA CON 131I IN PAZIENTI CON TG ELEVATA ED IMAGING NEGATIVO
In pazienti già sottoposti a tiroidectomia totale e trattamento ablativo, che presentano un significativo e progressivo incremento dei valori di Tg ematica circolante (Tg off LT4 > 10 ng/mL o rhTSH Tg > 5 ng/mL) e/o degli AbTg e con negatività dell'imaging strutturale (ecografia, TC, RM) e metabolico (DxWBS e FDG-PET/TC), può essere presa in considerazione la somministrazione di un trattamento empirico di radioiodio, allo scopo di localizzare possibili sedi di recidiva e come potenziale cura di piccole metastasi non suscettibili di terapia chirurgica in quanto non evidenti all’imaging strutturale (17). Sebbene non esistano evidenze che tali trattamenti empirici comportino aumento della sopravvivenza, in circa la metà dei casi viene evidenziata la sede di persistenza/recidiva di malattia con TxWBS e si osserva il calo dei valori di Tg (1).
Mentre il beneficio maggiore dei trattamenti empirici si osserva nei pazienti con micro-metastasi polmonari, il trattamento trova scarsa indicazione in caso di lesioni PET/TC positive, che generalmente non mostrano capacità iodo-captante. Inoltre, è da sottolineare che la FDG-PET/TC mostra una sensibilità diagnostica superiore al TxWBS per la diagnosi di lesioni secondarie in pazienti con Tg elevata e imaging strutturale negativo (fig 5) (10).

 

Figura 5
Paziente con Tg elevata (25 ng/mL on L-T4) in follow-up per DTC
A sinistra: 131I TxWBS (3.7 GBq = 100 mCi) negativa per metastasi

A destra: FDG PET/TC positiva per metastasi nel polmone di sinistra (freccia)

 


ATTIVITÀ DI RADIOIODIO
Nonostante la terapia con 131I risulti efficace in molti pazienti, resta incerta l’attività ottimale di radioiodio da utilizzare nella terapia delle metastasi. Esistono due diverse modalità di scelta dell’attività da somministrare: attività fisse stabilite su base empirica e attività calcolate su base dosimetrica (18). Sebbene esistano vantaggi teorici nell’uso di attività calcolate su base dosimetrica, le attuali linee guida non forniscono raccomandazioni sulla loro superiorità rispetto alla somministrazione di attività fisse o empiriche (1).

 

Attività fisse
L’impiego di attività fisse prevede in genere la somministrazione di 3.7–5.5 GBq (100–150 mCi) di radioiodio per recidive loco-regionali e 5.5-7.4 GBq (150–200 mCi) per metastasi a distanza (tab 2).

 

Tabella 2
Possibile schema di terapia del DTC con 131I
(modificata da Avram AM, et al. J Nucl Med 2022, 63: 189)
Strategia terapeutica Quadro clinico Attività somministrata di 131I
Terapia adattata al rischio e alla diagnostica post-operatoria Trattamento ablativo 1.11–1.85 GBq (30–50 mCi)
Trattamento adiuvante 1.85–3.7 GBq (50–100 mCi)
Malattia loco-regionale (non estesa) 3.7–5.6 GBq (100–150 mCi)
Malattia loco-regionale (estesa) o metastasi a distanza (ridotti volumi di malattia) 5.6–7.4 GBq (150–200 mCi)
Dosimetria al sangue/corpo intero Metastasi a distanza (ampi volumi di malattia) ≥ 7.4 GBq (≥ 200 mCi), massima attività tollerata

 

La terapia con attività fisse ha il vantaggio di essere una modalità di trattamento collaudata, semplice, pratica e a basso costo (1). Le complicanze sono rare e di grado accettabile.
I limiti sono rappresentati dal fatto che la dose erogata alle lesioni può essere inferiore a quella necessaria e quella agli organi critici superiore alla soglia di sicurezza. Inoltre, si rischia di non sfruttare l’effetto “dose rate” e di ridurre l’efficacia di attività successive erogando alle lesioni dosi sub-letali (1). Dovrebbero essere evitate attività stabilite su base empirica > 5.5 GBq (150 mCi) in pazienti > 70 anni, potenzialmente in grado di superare la dose tollerata dai tessuti sani e dal corpo intero (18). Nel caso in cui il DxWBS mostri diffuse metastasi polmonari intensamente iodo-captanti, si dovrebbe eseguire una valutazione dosimetrica, per evitare una ritenzione polmonare di radioiodio > 3 GBq (80 mCi) dopo 48 ore dalla somministrazione (18).

 

Attività dosimetriche
L’attività di 131I calcolata su base dosimetrica utilizza due metodi diversi, impiegati quando possibile anche in maniera congiunta:

  1. dose massima al midollo (metodo di Benua) permette di calcolare l’attività massima di 131I che si può somministrare senza avere significativa depressione midollare per superamento della dose di 2 Gy al midollo (19); è più semplice, alla portata di tutti i Centri e non è inficiato da possibili errori di calcolo come quello del volume delle lesioni, spesso difficile da eseguire (19,20);
  2. dose al tumore (metodo di Maxon) permette di calcolare l’attività da somministrare necessaria per ottenere un adeguato valore di dose assorbita da parte delle lesioni (≥ 80-100 Gy) (18).

I metodi dosimetrici sono spesso impiegati nel trattamento dei DTC in età pediatrica o in situazioni particolari, come insufficienza renale o estese metastasi polmonari. Non è possibile un confronto tra i due metodi, in quanto l’analisi della letteratura non fornisce dati significativi in termini di successivo esito clinico.
La diffusione della PET/TC con 124I, oggi riservata a pochi Centri, permetterà probabilmente in futuro di aumentare la qualità e l’attendibilità della dosimetria alle lesioni. Gli studi più importanti attualmente in corso con 124I PET/TC si stanno svolgendo in alcuni Centri statunitensi e tedeschi.

 


DTC REFRATTARI AL RADIOIODIO
Nonostante l’elevata efficacia della terapia con 131I delle metastasi da DTC, circa un terzo dei pazienti con malattia localmente avanzata o metastatica a distanza diviene refrattaria al radioiodio, con tasso di sopravvivenza a 5 anni che crolla al 10% (rispetto a circa il 60% dei pazienti con metastasi iodo-captanti).
Le seguenti quattro diverse situazioni cliniche definiscono una condizione di refrattarietà al radioiodio (1,21-24):

  1. malattia metastatica o significativo residuo loco-regionale che fin dall’inizio non accumula radioiodio alla scintigrafia corporea globale con attività terapeutica di 131I (txWBS);
  2. malattia metastatica o significativo residuo loco-regionale, inizialmente iodocaptante, che nel tempo perde la capacità di accumulare 131I;
  3. presenza di multiple metastasi a distanza, con alternanza di lesioni iodo-captanti e non iodo-captanti;
  4. metastasi a distanza che vanno incontro a progressione strutturale, nonostante significativo accumulo di 131

La condizione di refrattarietà al radioiodio è piuttosto rara (4-5 per milione di popolazione) e la prognosi dipende principalmente dal carico di malattia e dal tasso di crescita del tumore. Negli anni passati diversi studi hanno valutato la capacità di alcuni farmaci di ripristinare l’accumulo di radioiodio in pazienti refrattari alla 131I terapia: carbonato di litio, acido retinoico, e più recentemente inibitori delle MAPK/ERK chinasi (MEK). In particolare, risultati interessanti documentati con 124I PET/TC sono stati ottenuti con il selumetinib, inibitore delle MEK 1 e 2, che ha permesso il ripristino dell’accumulo di 131I in 8 pazienti su 20 refrattari al radioiodio (24).
Non esistono molte opzioni terapeutiche per il trattamento dei DTC refrattari al radioiodio. L’approccio più interessante vede l’impiego di inibitori molecolari delle tirosin-chinasi (MKI) che agiscono su angio-genesi, crescita e progressione tumorale (fig 6). A tale scopo, a seguito di studi clinici multi-centrici, prospettici e randomizzati di fase III, sono stati approvati da FDA e EMA il sorafenib e il lenvatinib (23). A causa dei diversi criteri di arruolamento, l’efficacia dei due farmaci non può essere confrontata in base ai risultati riportati nei due studi (24).

 Figura 6
Paziente con DTC refrattario al radioiodio e multiple metastasi a distanza in terapia con TKI
A sinistra: 131I TxWBS negativa per metastasi a distanza

A destra: la PET/TC mostra la presenza di numerosissime metastasi a distanza FDG-positive

 

È importante sottolineare che non tutti i pazienti con DTC refrattari al radioiodio necessitano di essere immediatamente sottoposti a terapia con MKI. La strategia di trattamento dovrebbe essere basata su molteplici fattori, come la sintomatologia, il carico tumorale, il performance status ECOG, le caratteristiche delle lesioni e lo stato di progressione della malattia valutato con criteri RECIST (21,22). Molto importante è anche l’opinione del paziente, con il quale vanno discussi vantaggi e limiti della terapia, inclusi gli importanti effetti collaterali (21-24).

 


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Massimo Torlontano1, Marco Attard2, Umberto Crocetti1, Michela Massa1
1Unità Operativa di Endocrinologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo
2Unità Operativa di Endocrinologia, Ospedali Riuniti Villa Sofia - Cervello, Palermo

(aggiornato al 15 luglio 2018)

 

INTRODUZIONE
Anche se la maggior parte dei carcinomi differenziati della tiroide (CDT) ha bassa aggressività, si possono sviluppare metastasi loco-regionali nel 5-20% e metastasi a distanza nel 10-15% dei casi. La sopravvivenza a 20 anni è del 98-99% per i carcinomi papillari e dell’80-90% per i follicolari.
In letteratura sono state descritte in passato recidive di malattia anche 20 anni dopo il trattamento iniziale (riferite a casistiche di pazienti operati dagli anni ’50 agli ’80-’90). I dati recenti, ottenuti da casistiche degli anni 2.000, in cui l’ecografia del collo è stata utilizzata come metodica d’elezione nel follow-up, dimostrano percentuali di persistenza/recidiva di malattia molto basse (< 5% nei pazienti a basso rischio, che costituiscono circa l’80% del totale). Per tali motivi, il primo scopo del follow-up dovrebbe essere quello di identificare e rassicurare la gran parte dei pazienti considerati liberi da malattia e con rischio di recidiva trascurabile (< 1%). Questi pazienti necessiteranno nel corso degli anni di controlli sempre meno impegnativi e con minore consumo di risorse.

 

PUNTI CARDINE DEL FOLLOW-UP
I principali obiettivi del follow-up sono:

  1. poiché il rischio di mortalità nei pazienti affetti da CDT è basso, il primo obiettivo è quello di calcolare il rischio di persistenza/recidiva. La classificazione dell'American Thyroid Association (ATA) distingue i pazienti in 3 classi di rischio (basso, intermedio ed alto), anche nell’ultima edizione del 2015 (tab 1) (1);
  2. identificare nel primo anno post-intervento i pochi pazienti con persistenza di malattia;
  3. individuare nel corso del follow-up a lungo termine possibili recidive tumorali;
  4. riclassificare i pazienti nel corso del follow-up (stratificazione dinamica): la maggior parte dei pazienti a rischio alto o intermedio, una volta riconosciuti liberi da malattia, vengono declassati come a basso rischio;
  5. modulare la terapia sostitutivo-soppressiva con levotiroxina: i pazienti liberi da malattia necessitano di un dosaggio solo sostitutivo, mentre quello soppressivo o semi-soppressivo (TSH indosabile oppure ai limiti inferiori del range) è riservato ai pazienti con persistenza/recidiva di malattia accertata o sospetta.

 

Tabella 1
Classificazione dei pazienti secondo il grado di rischio (linee guida ATA)
Basso
Intermedio
(una delle seguenti)
Alto
(una delle seguenti)
Non metastasi locali o a distanza.
Non invasione loco-regionale.
Chirurgia radicale.
Non istotipi aggressivi (a cellule alte o colonnari, insulare) nè angio-invasione.
Non captazioni patologiche di 131I alla WBS post-dose ablativa (se eseguita).
Carcinoma follicolare con minima angio-invasione (< 4 foci).
N1 con ≤ 5 micro-metastasi (< 2 mm).
Micro-carcinoma papillifero intra-tiroideo uni- o multi-focale con mutazione BRAFV600E (se conosciuta).
Metastasi locali.
Invasione microscopica dei tessuti molli.
Istotipi aggressivi o carcinoma papillifero con angio-invasione.
Captazioni patologiche di 131I al collo alla WBS post-dose.
N1 con > 5 metastasi linfonodali (< 3 cm).
Micro-carcinoma papillifero con estensione extra-tiroidea e mutazione BRAFV600E (se conosciuta).
Metastasi a distanza.
Invasione macroscopica.
Chirurgia incompleta.
Livelli post-operatori di Tg suggestivi per metastasi a distanza.
N1 con almeno 1 metastasi linfonodale > 3 cm.
Carcinoma follicolare con ≥ 4 foci di angio-invasione.

 

Le linee guida
Le linee guida di riferimento adottate sono quelle dell'ATA del 2015 (1) e il Consenso italiano del 2018, redatto a cura di 6 Società Scientifiche: Associazione Italiana di Medicina Nucleare, Associazione Italiana della Tiroide, Associazione Medici Endocrinologi, Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia, Società Italiana di Endocrinologia, Società Italiana di Endocrino-Chirurgia (2).

 

Evoluzione degli strumenti di screening e diagnostici
Fino agli anni 2000, il protocollo standard di follow-up dei pazienti affetti da CDT era basato sulla misurazione dei livelli sierici di tireoglobulina (Tg) e sull’esecuzione di una scintigrafia whole body (WBS) diagnostica con 131I in sospensione di levo-tiroxina. Successivamente, numerosi studi hanno dimostrato la scarsa utilità della scintigrafia, in particolare nei pazienti a basso rischio, e contemporaneamente l'alta sensibilità dell'ecografia del collo nell'individuare la presenza di malattia locale. Infine, l'introduzione nella pratica clinica del TSH ricombinante umano (rhTSH) e successivamente lo sviluppo di dosaggi “ultra-sensibili” della Tg hanno contribuito a modificare radicalmente i protocolli di monitoraggio clinico dei pazienti con CDT (3-6).

 

Ruolo della scintigrafia total body
Attualmente è consigliata solo nei pazienti appartenenti alla fascia dell'alto rischio o in quelli che presentano durante il follow-up livelli dosabili di Tg e normalità degli esami morfologici (in primis l'ecografia del collo). Le linee guida recenti scoraggiano l'utilizzo di routine di questa metodica nel follow-up dei pazienti a basso rischio, a causa della sua scarsa sensibilità (0-30% a seconda delle casistiche pubblicate).

 

Ruolo dell’ecografia del collo nel follow-up
L’esame ecografico eseguito con sonde ad alta frequenza (8-14 mHz) costituisce la metodica più sensibile nel valutare l’eventuale presenza di metastasi linfonodali o malattia locale residua in sede cervicale. Raggiunge una sensibilità prossima al 100% se eseguita in combinazione con il dosaggio della Tg stimolata o con l’esame citologico e/o il dosaggio della Tg nel liquido di aspirazione (7-10). Oltre all'alta sensibilità, la metodica permette un’individuazione delle metastasi più precoce rispetto al dosaggio della Tg e talvolta anche della citologia in caso di metastasi di piccole dimensioni. L’esame è, però, strettamente operatore-dipendente ed è quindi necessario che chi lo effettua (possibilmente lo stesso clinico che ha in carico il paziente) abbia una sufficiente esperienza nella valutazione dei linfonodi del collo e utilizzi strumenti di nuova generazione, che permettano una buona valutazione delle strutture superficiali. Rappresentano elementi di sospetto per linfoadenopatia metastatica:

  • alto: aspetto solido, margini irregolari, presenza di micro-calcificazioni o aree cistiche e ipervascolarizzazione;
  • basso: assenza di ilo e forma arrotondata.

 

Ruolo del TSH umano ricombinante
In alternativa alla sospensione della terapia con L-tiroxina, negli anni 2000 è stato introdotto per uso diagnostico il TSH umano ottenuto mediante metodica ricombinante (rhTSH). La stimolazione ottenuta con rhTSH permette al paziente di proseguire la terapia con L-tiroxina ed evitare quindi lo stato di ipotiroidismo, potenzialmente dannoso soprattutto in soggetti anziani o cardiopatici. I livelli di Tg ottenuti dopo stimolazione esogena con rhTSH sono mediamente più bassi rispetti a quelli ottenuti dopo stimolazione endogena del TSH (da ipotiroidismo), ma il cut-off di 1-2 ng/mL permette ugualmente un’adeguata valutazione dello stato clinico del paziente. Gli effetti collaterali del rhTSH sono rari e transitori e consistono soprattutto in cefalea, nausea e stanchezza di breve durata; molto rari i fenomeni allergici. Infine, l’elevato costo del farmaco è compensato soprattutto dalla migliore qualità di vita e dalla riduzione del periodo di sospensione dell’attività lavorativa rispetto ai soggetti sottoposti all’ipotiroidismo (24-48 ore rispetto a 15-20 giorni) (4,6,8).

 

Ruolo della tireoglobulina ultra-sensibile
Negli ultimi anni sono stati introdotti nuovi dosaggi immuno-chemi-luminometrici di tireoglobulina (Tg ultra-sensibile, di II generazione), con una sensibilità funzionale di 0.1-0.2 ng/mL (molto più bassa rispetto a 0.9-1.0 ng/mL dei metodi di I generazione). L'aumentata sensibilità del metodo di dosaggio permette una migliore accuratezza diagnostica durante il follow-up e, in presenza di valori < 0.1-0.2 ng/mL, si può evitare di ricorrere alla stimolazione con rhTSH (11-14).

 

Valore predittivo negativo e positivo della tireoglobulina nei pazienti a basso rischio
Il dosaggio della Tg stimolata (dopo sospensione della terapia o rhTSH) durante il follow-up ha un valore predittivo negativo (NPV) molto alto (> 98%). Questo significa che, se la Tg è < 1-2 ng/mL dopo stimolazione, la probabilità che quel dato paziente possa sviluppare una successiva recidiva di malattia durante il follow-up è molto bassa (< 2%): questo è il tipico paziente a basso rischio o ri-classificato come tale durante il follow-up (stratificazione dinamica), che necessiterà negli anni successivi di controlli più diluiti nel tempo (anche ogni 18-24 mesi), costituiti da esami ematochimici, comprendenti Tg e anticorpi anti-Tg (TgAb), ed ecografia del collo come unico esame strumentale. Al contrario, il valore predittivo positivo (PPV) della Tg è molto basso (non > 30% nelle varie casistiche), specialmente se il dosaggio viene eseguito troppo precocemente, pochi mesi dopo il trattamento iniziale (chirurgia + ablazione del residuo): ciò significa che in 7 pazienti su 10 gli iniziali valori dosabili di Tg rimarranno stabili nel tempo o si ridurranno fino a diventare indosabili, a dimostrazione che la produzione di Tg deriva in questi casi dalla persistenza di cellule tiroidee normali e non tumorali, destinate generalmente a morire nei mesi o anni successivi per l'effetto ritardato nel tempo del radioiodio. Pertanto, la presenza di livelli dosabili bassi di Tg stimolata (ad es. 2-5 ng/mL), in assenza di evidenza clinica di persistenza di malattia (negatività di ecografia del collo, più eventuale WBS diagnostica in casi selezionati dubbi), dovrebbe prevedere semplicemente la ripetizione del test di stimolazione dopo 2-3 anni (15).

 

Tireoglobulina ultra-sensibile e TSH ricombinante: l'una esclude l'altro?
Come accennato precedentemente, l'introduzione dei nuovi dosaggi ultra-sensibili della Tg è potenzialmente in grado di semplificare ulteriormente il follow-up: la maggior parte degli studi più recenti propone di eseguire un singolo dosaggio della Tg 6-12 mesi dopo il trattamento iniziale e riservare il test di stimolo ai soli pazienti che presentino livelli dosabili (> 0.1-0.2 ng/mL). Questo comporterebbe la riduzione dell'esecuzione del test a non più del 30% dei pazienti, con notevoli risparmi economici.

 

Tempo di raddoppiamento della tireoglobulina
Nel follow-up dei pazienti affetti da carcinoma midollare, il tempo di raddoppiamento della calcitonina nei soggetti con persistenza di livelli dosabili costituisce un importante fattore prognostico per la sopravvivenza. Analogamente, è stato recentemente evidenziato, sulla base di dati retrospettivi, che il tempo di raddoppiamento della Tg nei pazienti con sospetta persistenza di malattia è un predittore di sopravvivenza causa-specifica, di recidiva di malattia, di sviluppo di metastasi a distanza molto più potente rispetto alla classiche stime di rischio utilizzate sulla base dei normali fattori prognostici: la sopravvivenza a 10 anni nel gruppo di pazienti con tempo di raddoppiamento della Tg < 1 anno era del 50%, contro il 95% di quelli con raddoppiamento a 1-3 anni. L'utilizzo di questo criterio contribuisce alla riclassificazione dei pazienti dopo circa 2 anni dal trattamento iniziale nelle categorie "remissione di malattia" o "persistenza di malattia" (16).

 

È utile ripetere il test di stimolo nel corso del follow-up?
Nella pratica clinica non è raro incontrare pazienti che, in assenza di chiare indicazioni da parte delle linee guida, nel corso del follow-up sono stati sottoposti a ripetute stimolazioni diagnostiche con rhTSH. In realtà, negli ultimi anni alcuni studi hanno abbastanza chiaramente dimostrato la scarsa utilità della ripetizione del test nei pazienti che apparivano liberi da malattia dopo la prima stimolazione (NPV > 98%) (vedi sopra). La ripetizione del test dopo 2-3 anni andrebbe riservata a quella ridotta percentuale di pazienti (20-30%) che risultano positivi al primo, ma in assenza di malattia rilevabile. Come detto precedentemente, ai successivi controlli i 2/3 di questi pazienti presenteranno livelli in calo o indosabili di Tg, a conferma dell'assenza di malattia residua (17-18).

 

I pazienti con anticorpi positivi
Oltre il 20% dei pazienti presenta positività dei TgAb nel post-intervento. Nella maggior parte dei casi, soprattutto se è stata anche eseguita l'ablazione del residuo, i livelli decrescono progressivamente fino a diventare indosabili; nel frattempo, però, il dosaggio della Tg è inaffidabile per possibile interferenza (possibili valori falsamente negativi). In questi casi è consigliabile attendere il calo dei livelli di TgAb per eseguire l'eventuale test di stimolo e nel frattempo utilizzare gli stessi TgAb come marcatore tumorale surrogato, ancorchè grossolano: il riscontro di un progressivo innalzamento dei valori, se confermato nello stesso laboratorio, è da interpretare come sospetto per persistenza/recidiva di malattia.

 

I micro-carcinomi tiroidei
I micro-carcinomi (diametro massimo ≤ 1 cm), generalmente a istotipo papillifero, rappresentano attualmente la grande maggioranza dei tumori differenziati diagnosticati ogni anno. È molto raro che abbiano un'evidenza clinica, perchè difficilmente palpabili, date le ridotte dimensioni; più spesso la diagnosi è quindi incidentale nel corso di ecografie cervicali eseguite per vari motivi o ecocolor-Doppler dei vasi del collo, oppure evidenziati all’esame istologico definitivo dopo una tiroidectomia per gozzo.
Le attuali linee guida dell'ATA non danno chiare indicazioni riguardo al tipo di follow-up, cui sottoporre questa gran massa di pazienti. Questi tumori nella stragrande maggioranza dei casi hanno un comportamento clinicamente indolente e non hanno alcun impatto sullo stato generale di salute, ma coesistono anche rari casi di micro-carcinomi aggressivi, che possono dare metastasi loco-regionali e più raramente anche a distanza. Una recente meta-analisi riporta percentuali di recidive di malattia variabili da 0.3 a 37%.
In assenza di chiare indicazioni da parte delle attuali linee guida, è quindi importante stabilire se, in assenza di fattori di rischio, sia possibile utilizzare un follow-up più “leggero" in questo tipo di pazienti. Attualmente, i pazienti con micro-carcinomi trattati con radioiodio perché associati a fattori di rischio vengono inclusi nel normale follow-up dei CDT. La maggior parte dei micro-carcinomi (70-80%) rientra invece nella categoria del rischio molto basso, che presenta le seguenti caratteristiche: istotipi ben differenziati, unifocali, senza superamento della capsula tiroidea e senza metastasi linfonodali o a distanza, in assenza di storia di precedente irradiazione del collo o familiarità. Un recente studio retrospettivo multicentrico, riguardante il follow-up di questa categoria di pazienti a rischio molto basso (follow-up 5-23 anni, mediana 6.7), sottoposti o no ad ablazione del residuo e seguiti dall'inizio mediante ecografia cervicale, ha dato i seguenti risultati: assenza di persistenza o recidiva di malattia in tutti i pazienti; livelli di Tg in terapia < 1 ng/mL al termine del follow-up in tutti i pazienti che erano stati sottoposti all’ablazione del residuo e nel 93% di quelli non ablati; i livelli di Tg in tutti i 12 pazienti con Tg > 1 ng/mL apparivano comunque stabili o in decremento, compatibili con la semplice persistenza di piccoli residui di tessuto tiroideo normale e non neoplastico, e nessuno presentava evidenza clinica o strumentale di persistenza/recidiva di malattia. Tali risultati sembrano escludere la necessità di sottoporre questa grossa popolazione di pazienti a rischio molto basso a terapie o indagini diagnostiche impegnative per il paziente, costose e/o potenzialmente dannose, quali l’ablazione del residuo con radioiodio, la WBS diagnostica, il dosaggio della Tg dopo stimolazione con rhTSH (19).

 

QUALE FOLLOW-UP
Poiché si stanno progressivamente riducendo le indicazioni al trattamento radiometabolico e anche alla tiroidectomia totale, è in fase di crescita la popolazione di pazienti sottoposti a sola tiroidectomia o lobectomia ed è quindi necessario disegnare modelli diversi di follow-up, in relazione all’ablazione del residuo con radioiodio e alla chirurgia completa o parziale (20-22).

 

Follow-up dei pazienti sottoposti a tiroidectomia totale + ablazione del residuo
I pazienti apparentemente liberi da malattia dopo terapia radiometabolica non necessitano di ulteriori trattamenti (radiometabolici o chirurgici) e vengono posti inizialmente in terapia semi-soppressiva con levo-tiroxina (livelli di TSH intorno a 0.1-0.5 mU/L, da monitorare ogni 3 mesi circa). Il primo follow-up completo viene eseguito 6-12 mesi dopo il trattamento iniziale ed è costituito dal dosaggio di fT3, fT4, TSH, Tg e TgAb e dall'esecuzione di ecografia del collo.
La tabella 2 illustra le raccomandazioni in relazione alla risposta alla terapia iniziale.

 

Tabella 2
Tipo di follow-up secondo risposta alla terapia iniziale con tiroidectomia totale + ablazione
Tipo di risposta Parametri Follow-up successivo Livelli di TSH
Eccellente Assenza di segni biochimici ed ecografici o clinici di persistenza di malattia. Ogni 12-24 mesi: misurazione di Tg basale e TgAb ed ecografia del collo. Range normale-basso (0.5-2 mUI/L).
Biochimica incompleta Imaging negativo, livelli di Tg basali o stimolati misurabili o livelli di TgAb in aumento. Ogni 6-12 mesi: dosaggio di Tg e TgAb ed ecografia del collo.
In caso di incremento progressivo dei livelli di Tg e/o TgAb: indagini morfologiche di II livello (TC, RM, PET).
Individualizzati, dai limiti inferiori del range (0.1-0.5 mUI/L) fino alla soppressione totale (< 0.1 mUI/L).
Strutturale incompleta Imaging con evidenza di malattia, indipendentemente dai livelli di Tg e di TgAb. Programma individualizzato in base alla sede della malattia (locale o a distanza) e alle dimensioni delle metastasi.
In caso di positività dell’esame ecografico per linfadenopatie o malattia locale, confermata dall’esame citologico e/o dal dosaggio della Tg nel liquido di aspirazione, è consigliata, quando possibile, l’asportazione chirurgica (il radioiodio non è generalmente in grado di distruggere completamente il tessuto metastatico linfonodale o tumorale residuo).
Soppressione (o semi-soppressione in pazienti ad alto rischio cardio-vascolare o anziani).

 

Follow-up dei pazienti sottoposti a sola tiroidectomia totale o lobo-istmectomia
Nei pazienti trattati con sola tiroidectomia totale, senza successiva ablazione del residuo con radioiodio, è frequente il riscontro, dopo l'intervento chirurgico, di livelli dosabili di Tg, legati alla presenza del residuo di tessuto tiroideo (generalmente bassi se il residuo è piccolo): questi livelli di Tg sono destinati nella grande maggioranza dei casi a ridursi nel tempo per la progressiva morte delle cellule, probabilmente legata a inadeguata vascolarizzazione in seguito all'atto chirurgico.
Nei pazienti trattati con semplice lobo-istmectomia è previsto il riscontro di livelli dosabili di Tg, ma non esistono cut-off standardizzati. Alcuni autori suggeriscono che livelli stabili, non stimolati di Tg < 30 ng/mL sono un buon predittore di risposta eccellente al trattamento; al contrario, in presenza di un normale lobo tiroideo, la presenza/assenza e il trend dei TgAb non vanno considerati.
La tabella 3 illustra le raccomandazioni in relazione alla risposta alla terapia iniziale.

 

Tabella 3
Tipo di follow-up secondo risposta alla terapia iniziale con sola tiroidectomia totale o lobo-istmectomia
Tipo di risposta Parametri Follow-up successivo
Eccellente Ecografia negativa, livelli stabili di Tg (compatibili con la presenza di un lobo tiroideo) Ridurre livello di intensità del follow-up (controlli annuali e successivamente anche più dilatati nel tempo)
Biochimica incompleta Ecografia negativa, livelli di Tg elevati (sproporzionati rispetto alla sola presenza di un lobo tiroideo), oppure in aumento Indagini di II livello ed eventuali terapie aggiuntive
Strutturale incompleta Evidenza di malattia residua, indipendentemente dai livelli di Tg Consigliata chirurgia di completamento ed ulteriori indagini o terapie secondo necessità
Indeterminata Aspetti ecografici non specifici e/o trend della Tg non valutabile Controlli periodici ecografici e di Tg

 

CONCLUSIONI
I protocolli di follow-up dei pazienti con CDT hanno subito notevoli cambiamenti negli ultimi anni e sono ancora in fase di modifica col crescere delle nostre conoscenze in merito. La costante è che col crescere delle informazioni dalla letteratura si semplifica sempre più il modello di follow-up, e le metodiche più costose o impegnative o potenzialmente dannose (WBS, stimolazione con rhTSH, metodiche di immagine quali la PET/TC) vanno sempre più chiaramente limitate a piccoli gruppi di pazienti in cui sia sospettata o accertata la persistenza o recidiva di malattia.

 

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  20. Durante C, Montesano T, Lamartina L, et al. Long-term surveillance of papillary thyroid cancer patients who do not undergo postoperative radioiodine remnant ablation: is there a role for serum thyroglobulin measurement? J Clin Endocrinol Metab 2012, 97: 2748-53.
  21. Torlontano M, Crocetti U, Augello G, et al. Comparative evaluation of recombinant human thyrotropin-stimulated thyroglobulin levels, 131I whole-body scintigraphy, and neck ultrasonography in the follow-up of patients with papillary microcarcinoma who have not undergone radioiodine therapy. J Clin Endocrinol Metab 2006, 91: 60–3.
  22. Momesso DP, Vaisman F, Yang SP, et al. Dynamic risk stratification in patients with differentiated thyroid cancer treated without radioactive iodine. J Clin Endocrinol Metab 2016, 101: 2692–700.
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Annibale Versari
Servizio di Medicina Nucleare, Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia

 

Le tradizionali tecniche di imaging utilizzate nei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide (differentiated thyroid carcinoma, DTC) sono l'ecografia, perché esplora molto bene il collo, e la scintigrafia con radioiodio, perché la differenziazione del tumore permette di conservare in parte la funzione del tessuto da cui il tumore ha preso origine e cioè la captazione dello iodio, sia stabile che radioattivo. Questa capacità viene utilizzata sia ai fini diagnostici (scintigrafia) che terapeutici (terapia radiometabolica).
In circa l’80% dei casi il carcinoma tiroideo è ben differenziato e le neoplasie ben differenziate spesso hanno una ridotta captazione del 18F-fluordesossiglucosio (FDG), il radiofarmaco più impiegato nelle indagini PET/TC. Questo ha limitato l’impiego della PET/TC nel carcinoma tiroideo quasi esclusivamente ai casi di persistenza di malattia o sospetta recidiva con positività della tireoglobulinemia ma negatività della scintigrafia total-body con 131I. Attualmente comunque l’interesse della PET/TC in questo campo sta crescendo, sia per la frequenza non trascurabile di captazioni focali di FDG in ambito tiroideo in corso di PET eseguite per altri motivi, sia per la disponibilità di nuovi traccianti che studiano metabolismi diversi dal glucosio e  l’espressione recettoriale.

 

CAPTAZIONE TIROIDEA OCCASIONALE
La captazione incidentale di FDG in corso di PET/TC eseguita per altre indicazioni è un reperto non trascurabile, ormai ben documentato in letteratura [1-2-3] (tabella).

 

Captazione tiroidea incidentale in corso di FDG PET/TC
  Chen W et al, 2009 Bae JS et al, 2009
N 2594 3379
Captazione tiroidea 3.8% (focale 1.8%, diffusa 2%) 8.4%
Captazione focale 63% neoplasia 30.9% neoplasia
Captazione diffusa 100% tiroidite cronica 6.4% neoplasia

 

Le caratteristiche della captazione possono essere diverse come anche il loro significato. Una captazione diffusa, bilaterale e simmetrica è solitamente in relazione a morbo di Graves o tiroidite e ha un basso rischio di malignità (< 2%) [4]. Tale rischio aumenta nettamente in caso di captazione focale (> 30%) e il reperto merita sempre un approfondimento diagnostico. L’ecografia può stratificare ulteriormente questo rischio di malignità: se l’ecografia depone per benignità il rischio scende al 13%, mentre se depone per malignità la percentuale di rischio sale oltre il 75% [5]. In circa l’80% dei casi si tratta di carcinomi papillari, mentre nel restante 20% di carcinomi follicolari, linfomi, carcinomi midollari e metastasi. Secondo alcuni autori, tale captazione incidentale è da ritenersi indicativa di peggiore prognosi [6].

 

SOSPETTA PERSISTENZA DI MALATTIA O RECIDIVA
L’indicazione alla FDG-PET riguarda i casi con positività della tireoglobulinemia ma negatività della scintigrafia total-body con 131I [7-8]. In pazienti tiroidectomizzati e sottoposti a terapia ablativa con radioiodio, la produzione di tireoglobulina è legata alla presenza di cellule neoplastiche differenziate e valori > 10 ng/mL sono espressione di metastasi in più dell’85% dei casi. La presenza di anticorpi anti-tireoglobulina è un ostacolo al dosaggio della Tg; comunque valori anticorpali persistentemente elevati sono considerati sospetti per persistenza o recidiva di malattia anche in presenza di Tg indosabile [9]. La perdita della capacità di concentrare il radioiodio è indice di perdita di differenziazione, che in genere corrisponde a un aumento dell’attività glicolitica e quindi a una maggiore possibilità di captazione del FDG. Per questo motivo la FDG-PET/TC può essere molto utile in questi pazienti.
L’impiego del rhTSH come stimolo per migliorare la sensibilità della FDG-PET ha dato risultati controversi e, al momento, non esiste una chiara indicazione al suo impiego routinario [10-11].
Numerosi dati di letteratura dimostrano l’utilità clinica della FDG-PET nella diagnosi di localizzazioni neoplastiche non-iodocaptanti. Una metanalisi su 571 pazienti riporta una sensibilità dell’83% e una specificità dell’84% [12]. La sensibilità può essere ridotta nelle localizzazioni linfonodali di modesta entità e nelle metastatizzazioni polmonari miliariformi. Fra le cause di falsa positività figurano la sarcoidosi e i granulomi polmonari.

 

 

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Figura 1 - FDG-PET/TC: captazione incidentale di FDG a livello tiroideo destro in corso di follow-up per carcinoma esofageo. Istologia: carcinoma papillare.

 

 

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Figura 2 - FDG-PET/TC: captazione incidentale di FDG a livello tiroideo sinistro in corso di indagine per sospetta recidiva di carcinoma del colon. Istologia: carcinoma papillare.

 

 

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Figura 3 - FDG-PET/TC in paziente con sospetta recidiva di carcinoma tiroideo differenziato. La tireoglobulinemia era patologica e la scintigrafia total-body con 131I negativa. Reperto PET: localizzazioni secondarie linfonodali latero-cervicali sinistre.

 

 

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Figura 4 - FDG-PET/TC in paziente con sospetta recidiva di carcinoma tiroideo differenziato. La tireoglobulinemia era patologica e la scintigrafia total-body con 131I negativa. Reperto PET: aree di captazione del FDG multiple bilaterali polmonari riferibili a localizzazioni secondarie.

 

 

NUOVI RADIOFARMACI

124Iodio
Il radioiodio è il tracciante tradizionale per lo studio del carcinoma tiroideo:

  • 131I è economico, largamente disponibile ma con ridotta risoluzione;
  • 123I è costoso, meno disponibile ma con immagini di miglior qualità.

Questi vengono rilevati mediante gamma-camera e SPECT. La recente introduzione delle apparecchiature ibride SPECT/TC, che rilevano nella stessa seduta le immagini scintigrafiche metaboliche e le immagini morfologiche con successiva fusione, ha migliorato molto la specificità e la capacità di localizzazione delle lesioni, sia pure lasciando invariata la sensibilità.
L’ampia diffusione della PET/TC, con la sua ottima risoluzione spaziale, nettamente superiore a quella della SPECT, ha generato un crescente interesse per l’impiego del 124I, un isotopo emettitore di positroni con un’emivita di 4.2 giorni, che unisce il vantaggio dell’utilizzo PET con la specificità del tracciante “iodio” per il tessuto tiroideo. Dati di letteratura, sia pure ancora modesti, riportano una maggior sensibilità e capacità di localizzazione superiore alla scintigrafia con 131I, sia pre- che post-terapia ablativa [13]. Superiorità è riportata anche rispetto alla FDG-PET/TC (sensibilità 80% contro 70%) [14].

 

68Ga-Analoghi della somatostatina
La perdita della capacità iodo-captante da parte delle metastasi da carcinoma differenziato della tiroide rappresenta un problema sia diagnostico che terapeutico. Un’opportunità interessante per affrontare questo problema può essere offerta dall’espressione recettoriale di questi tumori, che spesso esprimono i recettori per la somatostatina [15]. La medicina nucleare è in grado di valutare i recettori della somatostatina nei tumori neuroendocrini con analoghi della somatostatina radiomarcati, sia in scintigrafia, SPECT e SPECT/TC (111In-Octreoscan), che in PET/TC (68Ga-DOTATOC/DOTATATE/DOTANOC) [16]. La positività di queste indagini offre interessanti prospettive terapeutiche per questi pazienti. Nella nostra esperienza, la PET/TC con 68Ga-DOTATOC è risultata positiva in circa il 50% dei pazienti con DTC non iodo-captante, con metastasi sospette o accertate in cui l'abbiamo utilizzata. La presenza di una positività allo studio PET/TC con 68Ga-DOTATOC è importante per la possibilità di candidare i pazienti a terapia radiorecettoriale con 90Y/177Lu-DOTATOC/DOTATATE.

 

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Figura 5 – 68Ga-DOTATOC PET/TC in paziente con metastasi polmonari multiple da carcinoma tiroideo differenziato, non-iodocaptanti. Reperto PET: aree multiple di captazione del tracciante recettoriale a livello polmonare, scheletrico e linfonodale. Il paziente è stato poi sottoposto a terapia radiorecettoriale.

 

CONCLUSIONI
Le indagini convenzionali come ecografia e scintigrafia con radioiodio conservano il loro significato nello studio del carcinoma differenziato della tiroide. La PET/TC vede comunque accrescere il proprio ruolo, che si avvale sia di traccianti tradizionali come FDG che di nuovi radiofarmaci (124I e 68Ga-DOTATOC/DOTATATE/DOTANOC).

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Shie P, Cardarelli R, Sprawls K, et al. Systematic review: prevalence of malignant incidental thyroid nodules identified on fluorine-18 fluorodeoxyglucose positron emission tomography. Nucl Med Commun 2009, 30: 742-8.
  2. Chen W, Parsons M, Torigian DA, et al. Evaluation of thyroid FDG uptake incidentally identified on FDG-PET/CT imaging. Nucl Med Commun 2009, 30: 240-4.
  3. Bae JS, Chae BJ, Park WC, et al. Incidental thyroid lesions detected by FDG-PET/CT: prevalence and risk of thyroid cancer. World J Surg Oncol 2009, 7: 63.
  4. Are C, Hsu JF, Schoder H, et al. FDG-PET detected thyroid incidentalomas: need for further investigation? Ann Surg Oncol 2007, 14: 239-47.
  5. Kwak JY, Kim EK, Yun M, et al. Thyroid incidentalomas identified by 18F-FDG PET: sonographic correlation. AJR Am J Roentgenol 2008, 191: 598-603.
  6. Are C, Hsu JF, Ghossein RA, et al. Histological aggressiveness of fluorodeoxyglucose positron-emission tomogram (FDG-PET)-detected incidental thyroid carcinomas. Ann Surg Oncol 2007, 14: 3210-5.
  7. Finkelstein SE, Grigsby PW, Siegel BA, et al. Combined [18F]Fluorodeoxyglucose positron emission tomography and computed tomography (FDG-PET/CT) for detection of recurrent, 131I-negative thyroid cancer. Ann Surg Oncol 2008, 15: 286-92.
  8. Kim SJ, Lee TH, Kim IJ, et al. Clinical implication of F-18 FDG PET/CT for differentiated thyroid cancer in patients with negative diagnostic iodine-123 scan and elevated thyroglobulin. Eur J Radiol 2009, 70: 17-24.
  9. Torréns JI, Burch HB. Serum thyroglobulin measurement. Utility in clinical practice. Endocrinol Metab Clin North Am 2001, 30: 429-67.
  10. Chin BB, Patel P, Cohade C, et al. Recombinant human thyrotropin stimulation of fluoro-D-glucose positron emission tomography uptake in well-differentiated thyroid carcinoma. J Clin Endocrinol Metab 2004, 89: 91-5.
  11. Petrich T, Börner AR, Otto D, et al. Influence of rhTSH on [(18)F]fluorodeoxyglucose uptake by differentiated thyroid carcinoma. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2002, 29: 641-7.
  12. Dong MJ, Liu ZF, Zhao K, et al. Value of 18F-FDG-PET/PET-CT in differentiated thyroid carcinoma with radioiodine-negative whole-body scan: a meta-analysis. Nucl Med Commun 2009, 30: 639-50.
  13. Phan HT, Jager PL, Paans AM, et al. The diagnostic value of 124I-PET in patients with differentiated thyroid cancer. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2008, 35: 958-65.
  14. Freudenberg LS, Antoch G, Frilling A, et al. Combined metabolic and morphologic imaging in thyroid carcinoma patients with elevated serum thyroglobulin and negative cervical ultrasonography: role of 124I-PET/CT and FDG-PET. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2008, 35: 950-7.
  15. Forssell-Aronsson EB, Nilsson O, Bejegård SA, et al. 111In-DTPA-D-Phe1-octreotide binding and somatostatin receptor subtypes in thyroid tumors. J Nucl Med 2000, 41: 636-42.
  16. Rodrigues M, Li S, Gabriel M, et al. 99mTc-depreotide scintigraphy versus 18F-FDG-PET in the diagnosis of radioiodine-negative thyroid cancer. J Clin Endocrinol Metab 2006, 91: 3997-4000.
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Marco Chianelli
UOC di Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

 

Nei paragrafi che seguono verranno presentati e discussi in modo sintetico alcuni concetti generali inerenti le possibili conseguenze socio-sanitarie del rilascio accidentale di materiale radioattivo in seguito a danni di centrali nucleari.

 

QUALI SONO LE POSSIBILI MALATTIE A LIVELLO ENDOCRINO CUI LA POPOLAZIONE E' MAGGIORMENTE ESPOSTA?

L’unica ghiandola endocrina che corre il rischio di ammalarsi in seguito alla contaminazione da sostanze radioattive è la tiroide. Tra le sostanze radioattive tipicamente disperse nell’ambiente in seguito al danno di un reattore di una centrale nucleare c’è lo iodio-131 (131I). Lo iodio si accumula nella tiroide e vi rimane per alcuni giorni. Pertanto, in presenza di elevate concentrazioni di 131I nell’aria, nei liquidi o nei cibi, questo si accumula nella tiroide e la irradia. L’irraggiamento della tiroide da parte dI 131I non necessariamente esita in un danno clinicamente rilevante. Lo 131I viene impiegato routinariamente per lo studio della funzione tiroidea e non provoca alcun danno alle bassi dosi somministrate. Il nostro organismo, infatti, è dotato da sempre di sistemi per la riparazione dei danni indotti da basse dosi di radiazioni, a cui siamo costantemente esposti per la presenza di elementi radioattivi nel terreno e attraverso l’atmosfera con le radiazioni cosmiche. Per esempio, i livelli di dose assorbita dal fondo naturale di radiazioni nella regione Lazio sono pari a circa 2.4 mSv/anno. Quando i danni prodotti dalle radiazioni eccedono la capacità riparatrice dell’organismo, possono tradursi in un danno clinicamente rilevante. La possibilità che questo avvenga, aumenta con l’aumentare della dose di radiazioni a cui è esposta la tiroide. Per livelli di radiazioni elevati (> 100 mSv nell’adulto) la probabilità di ammalare di tumore della tiroide aumenta significativamente. L’esperienza di Chernobyl ci ha insegnato che i tumori della tiroide indotti dalle radiazioni compaiono dopo circa 10-20 anni. È necessaria, pertanto, una sorveglianza medica per tutta la vita nei soggetti eventualmente contaminati.

 

QUALI SONO I RISCHI MAGGIORI PER QUANTI ENTRANO IN CONTATTO CON LE SOSTANZE RADIOATTIVE?

Dipende dall’intensità e dal tipo delle radiazioni assorbite.

  • Nelle persone che si trovano nelle immediate vicinanze di materiale radioattivo che emette radiazioni con elevata intensità i danni maggiori e più precoci sono al midollo osseo e all’intestino, con conseguente suscettibilità alle infezioni, possibili emorragie e malassorbimento del cibo. Questa sindrome acuta da radiazioni si verifica solo per livelli di radioattività molto elevati; non riguarda la popolazione generale ma solo il personale che si trova all’interno del reattore al momento dell’incidente.
  • Per la popolazione che vive nelle zone limitrofe, o che mangia alimenti contaminati provenienti dalle zone coinvolte, il rischio deriva dalla possibile ingestione con il cibo o inalazione dall’aria di sostanze disperse in seguito all’incidente. Caratteristico è stato il riscontro di latte radioattivo in seguito all’incidente di Chernobyl, come conseguenza dell’erba contaminata mangiata dalle mucche.

Le sostanze rilasciate in seguito all’incidente sono, oltre allo 131I:

  • lo Stronzio-90, assorbito dall’osso, che può causare tumori ossei e leucemia;
  • il Cesio-137 che si accumula con preferenza nei muscoli;
  • il Plutonio che è tossico soprattutto se viene inalato e può causare tumori del polmone.

 

QUALI SONO LE CATEGORIE MAGGIORMENTE A RISCHIO?

Bambini di età < 10 anni.
Le donne in stato di gravidanza non per sè stesse ma perchè il feto è particolarmente sensibile agli effetti nocivi delle radiazioni:

  • nel primo trimestre, durante la formazione degli organi, possono verificarsi malformazioni a vari organi e apparati;
  • a partire dal secondo trimestre, quando la tiroide è già formata e funzionante, lo iodio radioattivo eventualmente assorbito dalla madre, si accumula anche nella tiroide del feto. Questo può ridurre la capacità della tiroide di produrre ormoni e determinare un quadro di ipotiroidismo congenito.

Un’altra categoria a rischio aumentato sono i pazienti affetti da insufficienze renale in terapia con dialisi, a causa di una ridotta capacità di eliminare le sostanze radioattive contaminanti e per una maggiore sensibilità alle radiazioni.

 

COME ARGINARE UN'EVENTUALE ESPOSIZIONE A SOSTANZE RADIOATTIVE

Contaminazione della tiroide da 131I
La somministrazione di un eccesso di iodio non radioattivo, sotto forma di ioduro di potassio (KI), può ridurre, fino a bloccare, l’accumulo dello iodio radioattivo all’interno della tiroide. La somministrazione del farmaco non trova indicazione per soggetti di età > 40 anni e per valori di dose assorbita da parte della tiroide < 100 mSv.
L’efficacia della somministrazione di KI varia in relazione alla modalità di assunzione: è massima quando viene assunto in modo preventivo, iniziando due giorni prima della contaminazione, per diminuire gradualmente con il passare del tempo, fino ad annullarsi se somministrato dopo 96 ore dall’incidente. L’assunzione deve durare per cinque giorni dopo la contaminazione. Lo KI deve essere assunto solo se raccomandato dalle autorità sanitarie locali, in seguito a prescrizione medica secondo le modalità indicate e sotto controllo medico.
Non esiste in Italia un farmaco commercialmente disponibile a base di ioduro di potassio. Normalmente viene prescritta la soluzione di Lugol al 5%, che viene preparata in farmacia, previa presentazione di ricetta medica (non rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale). La dose giornaliera è di 7 gocce per tre volte al giorno, che possono essere assunte con gli alimenti. L’assunzione di KI può determinare sintomi influenzali, mal di testa, lacrimazione, congiuntivite, arrossamenti del volto, dolore alle ghiandole salivari, laringite, bronchite, ipo e ipertiroidismo.

 

Contaminazione di altri organi
Esistono, infine altri farmaci che possono essere utili per la contaminazione di altri organi in caso di contaminazione con altre sostanze radioattive (90Sr, 137Cs, Pu). La prescrizione di tali medicamenti (quali il Ca-DTPA) è solitamente riservata ai pazienti sotto sorveglianza in centri specializzati per la gestione di incidenti nucleari.

 

LETTURE CONSIGLIATE

  1. Christodouleas JP, Forrest RD, Ainsley CG, et al. Short-term and long-term health risks of nuclear-power-plant accidents. N Engl J Med 2011, 364: 2334-41.
  2. U.S. Department of Health and Human Services Food and U.S. Department of Health and Human Services Food and Drug Administration. Center for Drug Evaluation and Research (CDER). Guidance. Potassium Iodide as a Thyroid Blocking Agent in Radiation Emergencies. December 2001.
  3. Cardis E, Kesminiene A, Ivanov V, et al. Risk of thyroid cancer after exposure to 131I in childhood. J Natl Cancer Inst 2005, 97: 724–32.
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Nadia Cremonini
SC di Endocrinologia - Ospedale Maggiore e Bellaria - Azienda Usl di Bologna

 

Il carcinoma midollare della tiroide (MTC), descritto per la prima volta come entità clinico-patologica specifica nel 1959 da Hazard e al. (1), è un tumore maligno raro, che origina dalle cellule C parafollicolari della tiroide (2), derivanti dalla cresta neurale, ed ha la peculiarità di secernere calcitonina (CT), come le cellule C parafollicolari normali. Possono essere sintetizzati e secreti anche altri peptidi, quali il CEA (frequente) e in casi rari CRH, ACTH, peptidi PTH-relati, insulina, glucagone.

Il MTC rappresenta circa il 5% dei tumori maligni della tiroide e nel 75-80% dei casi si presenta in forma sporadica (MTCs), con lieve prevalenza nel sesso femminile (F:M = 1.5:1). Nella forma sporadica il picco di incidenza avviene tra 5° e 6° decade, quasi sempre come nodulo unico ai due terzi superiori di un lobo tiroideo (sede di prevalente localizzazione delle cellule C); le forme multifocali non eccedono il 15-20%; non è frequente la coesistenza di gozzo multinodulare.

Nel MTCs è descritta una mutazione somatica (presente solo nelle cellule tumorali, e valutabile su campione istologico) del gene RET (che codifica per un recettore transmembrana ad attività tirosino-kinasica) in percentuali molto variabili (23-66%) (3,4); la mutazione più frequente è a carico del codone 918, esone 16, ed è associata a una maggiore aggressività della neoplasia.
Recentissima è l’osservazione di una significativa minore prevalenza di tale mutazione somatica nei microMTCs rispetto ai tumori di maggiori dimensioni (11.3% vs 31.5% in MTC tra 1 e 2 cm). Questo dato fa ipotizzare il concorso di altri oncogeni nella tumorigenesi dei microMTC, o che la mutazione di RET nei tumori in cui è presente avvenga in una fase più tardiva della progressione tumorale (5). In pochi casi è stata rilevata una mutazione somatica dei codoni 618, 634, 768, 804 e 883. Di recente è stata descritta un'elevata prevalenza di mutazioni di H-RAS e K-RAS in MTCs che non presentano mutazione somatica di RET (6).

 

Bibliografia

  1. Hazard JB, Hawk WA, Crile G Jr. Medullary (solid) carcinoma of the thyroid; a clinicopathologic entity. J Clin Endocrinol Metab 1959, 19: 152-61.
  2. Williams ED. Histogenesis of medullary carcinoma of the thyroid. J Clin Pathol 1966, 19: 114-8.
  3. de Groot JW, Links TP, Plukker JT, et al. RET as a diagnostic and therapeutic target in sporadic and hereditary endocrine tumors. Endocr Rev 2006, 27: 535-60.
  4. Elisei R, Cosci B, Romei C, et al. Prognostic significance of somatic RET oncogene mutations in sporadic medullary thyroid cancer: a 10-year follow-up study. J Clin Endocrinol Metab 2008, 93: 682-7.
  5. Romei C, Ugolini C, Cosci B, et al. Low prevalence of the somatic M918T RET mutation in micro-medullary thyroid cancer. Thyroid 2012, 22: 476-81.
  6. Moura MM, Cavaco BM, Pinto AE, et al. High prevalence of RAS mutations in RET-negative sporadic medullary thyroid carcinomas. J Clin Endocrinol Metab 2011, 96: E863-8.
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Nadia Cremonini
SC di Endocrinologia - Ospedale Maggiore e Bellaria - Azienda Usl di Bologna

 

Il carcinoma midollare della tiroide (MTC) ereditario è determinato da una mutazione puntiforme (sostituzione di un singolo residuo aminoacidico) germinale (presente in tutte le cellule) attivante di un gene che codifica per un recettore transmembrana ad attività tirosino-kinasica (RET - REarranged during Transfection), identificato nel 1985 (1) e  localizzato sul braccio lungo del cromosoma 10 (10q11.2). L’attivazione fisiologica di RET avviene per interazione con uno dei suoi ligandi endogeni (fattore neurotrofico di derivazione dalle cellule gliali (GDFN), neurturina (NRTN), persepina (PSNP), artemina (ARTN)) e con un cofattore di membrana. La formazione del complesso ligando-recettore induce dimerizzazione del recettore e fosforilazone di specifici substrati intra-cellulari.
RET esercita una funzione di controllo fisiologico della differenziazione cellulare, essenziale per lo sviluppo dei neuroni simpatici, parasimpatici ed enterici, del rene, delle cellule C-parafollicolari della tiroide e per la spermatogenesi.

La forma familiare di MTC rappresenta il 20-25% di tutti gli MTC, ad elevata penetranza (> 90% all’età di 50 anni) ed è componente unica o manifestazione clinica prevalente di MEN-2 (Neoplasia Endocrina Multipla) (tabella 1):

  • MEN 2A : la manifestazione clinica di MTC avviene in genere tra la 3° e la 4° decade;
  • FMTC (solo carcinoma midollare familiare): insorgenza di MTC più tardiva rispetto a MEN 2A e MEN 2B, decorso clinico più favorevole; oggi considerato una variante di MEN 2A;
  • MEN 2B: forma più rara, con maggiore aggressività biologica di MTC, che si sviluppa in età infantile (2); spesso i pazienti non hanno familiarità per la sindrome: in oltre il 50% dei pazienti la sindrome è sostenuta da mutazione germinale de novo di RET.

 

Tabella 1
Manifestazioni cliniche delle sindromi MEN 2 e loro prevalenza
Sindrome Frequenza Caratteri clinici
MEN 2a ~55-60% Carcinoma midollare della tiroide (~100%)
Feocromocitoma (40-50%)
Iperparatiroidismo (20-30%)
Varianti:
  • con lichen cutaneo amiloidosico (lesione cutanea pruriginosa, spesso iperpigmentata, in sede interscapolare, segno precoce e patognomonico di MEN 2A);
  • con malattia di Hirschsprung  (anomalo rilassamento del colon determinato da assenza di specifici gangli del colon)
FMTC ~35-40% Carcinoma midollare della tiroide (100%)
Variante: con malattia di Hirschsprung
MEN 2b ~5-10% Carcinoma midollare della tiroide (100%)
Feocromocitoma (~50%)
Habitus marfanoide, neuromi mucosi, ganglioneuromatosi tratto gastro-enterico, ipertrofia dei nervi corneali

 

Tra il 1993 e il 1994 venne dimostrato che MEN 2A e FMTC (3,4) e MEN 2B (5,6) erano causate da mutazioni germinali di RET.
Circa il 98% dei pazienti affetti da MTC ereditario presenta una mutazione in uno dei seguenti esoni del gene RET: 5, 8, 10, 11, 13, 14, 15, 16; la maggioranza delle mutazioni RET nelle famiglie MEN 2A e FMTC avviene in uno dei 5 residui cisteinici della regione ricca in cisteina del dominio extra-cellulare di RET, negli esoni 10 (codoni 609, 611, 618, 620) e 11 (codoni 630, 634). Alcune mutazioni di RET sono specifiche per MEN 2A o per FMTC, mentre altre sono presenti in entrambe le sindromi. Nel 95% dei pazienti con MEN 2B la mutazione responsabile della sindrome è a livello dell’esone 16, codone 918, nel dominio intra-cellulare TK2 di RET.
Il MTC è la prima manifestazione clinica nella maggioranza delle famiglie MEN 2, e in alcune piccole famiglie MEN2A il MTC rimane l’unica patologia espressa per molti anni, con conseguente rischio di essere considerate erroneamente famiglie FMTC, e a rischio di non essere sottoposte a screening per feocromocitoma e iperparatiroidismo; le linee guida del 2001 per diagnosi e terapia di MEN tipo 1 e tipo 2 hanno stabilito criteri per considerare una famiglia FMTC (7):

  • > 10 soggetti portatori della mutazione RET
  • più soggetti di età > 50 anni portatori di mutazione RET o affetti da MTC
  • adeguata anamnesi clinica, in particolare nei membri anziani della famiglia.

Nelle MEN 2 il MTC è multicentrico, spesso interessante entrambi i lobi tiroidei, preceduto da iperplasia delle cellule C parafollicolari (HCC), considerata lesione pre-neoplastica (mentre ancora non è definito il suo significato nel MTC sporadico); il tempo necessario per la progressione da HCC a MTC non è noto, ma focolai di MTC sono stati rilevati in bambini affetti da MEN 2A di 1 anno, e nel primo mese di vita nella MEN 2B (8,9). Va ricordato che circa il 10% delle forme ereditarie di MTC si manifesta dopo i 50 anni.
Le MEN 2 sono sindromi rare (prevalenza stimata di 2.5 per 100.000 persone nella popolazione generale), trasmesse con carattere autosomico dominante.
Le singole mutazioni del gene RET (esone-codone specifiche) sono correlate all’espressione fenotipica del MTC ereditario (aggressività, età di presentazione, anticipazione di insorgenza nelle generazioni successive) e al tipo di MEN 2 (associazione o no di feocromocitoma e iperparatiroidismo primario) (10-12). Sulla base di tali conoscenze, la American Thyroid Association (ATA) ha sviluppato una stratificazione del rischio di MTC aggressivo basato sul genotipo (tabella 2), con il livello D che ha il rischio più elevato per MTC e il livello A con il rischio meno elevato (8).

 

Tabella 2
Correlazione genotipo-fenotipo per la stratificazione del rischio di MTC aggressivo
Codone Livello di rischio ATA MEN 2 Aggressività MTC Età esordio MTC
603,777,912, 

515, 531, 600

A FMTC Elevata Adulta

768, 790, 791,

533, 649, 666, 804, 891

A FMTC/MEN 2A Elevata Adulta
609, 611, 618, 620, 630, 631, 633 B MEN 2A Più elevata 5 anni
634 C MEN 2A Più elevata < 5 anni
883, 918,
804+778,
804+805,
804+806,
804+904
D MEN 2B Massima Primo anno

 

 

Bibliografia

  1. Takahashi M, Ritz J, Cooper GM. Activation of a novel human transforming gene, ret, by DNA rearrangement. Cell 1985, 42: 581-8.
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Nadia Cremonini
SC di Endocrinologia - Ospedale Maggiore e Bellaria - Azienda Usl di Bologna

 

Clinica
Il rischio di mortalità malattia-specifica del MTC è più elevato rispetto al carcinoma differenziato della tiroide: 10-15% a 5 anni e 20-25% a 10 anni. I fattori prognostici più importanti sono: stadio della malattia alla diagnosi, età del paziente alla diagnosi, estensione del trattamento chirurgico iniziale; in tabella viene riportata la classificazione prognostica secondo la 6° Edizione della stadiazione AJCC (1). Le metastasi a distanza rappresentano il principale fattore prognostico per la sopravvivenza.

 

Classificazione prognostica AJCC del carcinoma midollare della tiroide
Stadio TNM
I T1, N0, M0
II T2, N0, M0
III T3, N0, M0
T1, N1a, M0
T2, N1a, M0
T3, N1a, M0
IVa T4a, N0, M0
T4a, N1a, M0
T1, N1b, M0
T2, N1b, M0
T3, N1b, M0
T4a, N1b, M0
IVb T4b, ogni N, M0
IVc Ogni T, ogni N, M1

 

Il carcinoma midollare tiroideo sporadico al momento della diagnosi presenta metastasi linfonodali a livello delle stazioni linfonodali di collo e/o mediastino nel 50% circa dei pazienti, e metastasi a distanza nel 10-20% (localizzazioni prevalenti al livello di fegato, polmone, scheletro, e, con minore frequenza, encefalo e cute). Nelle forme familiari sono presenti metastasi linfonodali nel 20-30% dei pazienti con MTC tra 1 e 4 cm; se la lesione è palpabile, la metastatizzazione alla catena linfonodale latero-cervicale (LLC) controlaterale raggiunge il 40%.
Anche nelle MEN 2 la maggiore mortalità è legata alle forme con metastasi a distanza, pertanto è essenziale una diagnosi precoce e un trattamento chirurgico adeguato: nelle casistiche più vecchie relative a MEN 2A, nelle quali il MTC veniva diagnosticato già in fase clinica, la mortalità raggiungeva il 15-20%, mentre ora la possibilità di identificare i portatori di mutazione germinale RET, con conseguente terapia chirurgica profilattica, o comunque precoce, ha ridotto la mortalità MTC-correlata a un valore inferiore al 5%.
Nelle MEN 2 il carcinoma midollare della tiroide è solitamente la prima manifestazione clinica, quindi tutti i pazienti con MTC non solo devono essere valutati per la stadiazione pre-operatoria della neoplasia tiroidea (calcitonina, CEA, diagnostica per immagini), ma anche con determinazione di metanefrine frazionate plasmatiche e/o catecolamine e metanefrine su urine 24 ore, di calcio, fosforo e PTH. Se viene diagnosticato feocromocitoma, il trattamento chirurgico del feocromocitoma deve precedere quello del MTC.
Tutti i pazienti con diagnosi di MTC devono essere sottoposti a screening per mutazione di proto-oncogene RET, anche in assenza di dati clinici e/o anamnestici di MEN-2: ciò permette di individuare forme familiari nel 4-8% dei tumori apparentemente sporadici (2,3).
La sintomatologia dovuta a ipersecrezione ormonale è eminentemente rappresentata da:

  • diarrea (ipersecretoria e/o da aumentata motilità gastro-enterica), solitamente presente nei pazienti con livelli molto elevati di calcitonina, malattia avanzata, e/o con metastasi epatiche; può essere particolarmente debilitante sia per la qualità della vita, sia per le alterazioni nutrizionali;
  • flushing: si può manifestare in pazienti con malattia avanzata;
  • sindrome di Cushing (condizione che peggiora la prognosi); il MTC rappresenta il 2-6% dei casi di sindrome di Cushing ectopico (4); i pazienti con la sindrome in genere hanno metastasi epatiche massive.

 

Diagnostica biochimica
Calcitonina. La determinazione di calcitonina (CT) su siero ha una sensibilità del 98%, con valore predittivo per diagnosi di MTC prossimo al 100% per valori > 100 pg/mL, mentre per valori compresi tra 50 e 100 pg/mL tale valore scende al 25% e per valori tra 20 e 50 pg/mL all'8.3% (5).
Un importante problema in clinica è stabilire se valori di CT superiori alla norma (in genere > 10 pg/mL) e inferiori a 100 pg/mL corrispondono a iperplasia delle cellule C (HCC) o a MTC (in particolare i microMTC); in studi di screening prospettici, circa il 50% dei pazienti con CT basale (bCT) tra 20 e 100 pg/mL presentavano all’istologia HCC e non MTC (6, 7).
Al fine di migliorare l’accuratezza di bCT e di CT stimolata (sCT), va considerato un diverso cut-off per i due sessi, essendo i livelli di CT più elevati nel maschio (la quantità di cellule C-parafollicolari è circa doppia nel maschio rispetto alla femmina)(8, 9): le linee guida ATA (10) raccomandano, almeno nell’adulto, l’interpretazione di bCT nell’ambito di range di riferimento specifico per i due sessi (grado B); tale distinzione si rende ancora più necessaria per i livelli di sCT (11).
Non essendo più disponibile la pentagastrina, ora si utilizza il calcio gluconato per il test di stimolo (fiale di 10 mL, al 10%, contenenti 94 mg di calcio gluconato monoidrato per mL): 2,5 mg di calcio gluconato/kg di peso corporeo, ev, velocità di infusione 10 mL/minuto. I prelievi ematici vanno effettuati ai tempi 0 (pre-infusione), +2, +5, + 15 minuti dal termine dell’infusione. Valori stimolati di calcitonina > 90 pg/mL per le femmine e > 130 pg/mL per i maschi sono da considerarsi patologici (11).
Recentissimamente Colombo et al (12) hanno descritto che:

  • per bCT compresi tra 21 e 50 pg/mL, è stato riscontrato un microMTC nel 100% delle donne e in nessun uomo;
  • valori di bCT > 18.7 pg/mL per la donna e > 68 pg/mL per l’uomo sono i più sensibili per distinguere i soggetti normali o con HCC dai pazienti con MTC;
  • MTC è stato diagnosticato nel 75% delle donne con sCT tra 101 e 500 pg/mL e degli uomini con sCT > 1000 pg/mL;
  • l’accuratezza più elevata per differenziare i pazienti con HCC da quelli con MTC è stata rilevata per valori di sCT > 184 pg/mL nella donna e > 1620 pg/mL nell’uomo (12).

Data la recente introduzione del test al calcio gluconato nella pratica clinica è necessario che ogni Centro stabilisca i propri cut-off di sCT.
Si deve considerare che elevati valori di CT possono essere secondari ad altre condizioni patologiche: ipergastrinemia, ipercalcemia, insufficienza renale cronica, tiroidite cronica autoimmune, iperparatiroidismo, pseudoipoparatiroidismo tipo I, mastocitosi, tumori neuroendocrini (NET) di polmone, foregut, pancreas, prostata (da ricordare che la CT prodotta dai NET non aumenta dopo stimolo con calcio gluconato o pentagastrina); anche alcuni farmaci possono indurre incremento di CT (inibitori di pompa protonica, glucocorticoidi, beta-bloccanti, glucagone); la presenza di anticorpi eterofili può indurre sia iper- sia ipocalcitoninemia.
Nei bambini di età inferiore a 3 anni i valori di CT sono fisiologicamente superiori alla norma, e questo può costituire un problema di interpretazione e di gestione dei bambini portatori di mutazione RET (10).

Procalcitonina. Molto di recente è stato proposto il dosaggio di pro-calcitonina (PCT) (utilizzato in clinica per la valutazione del rischio dei pazienti con severe infezioni batteriche di progredire a sepsi e shock settico) come possibile sostituto della CT, ma ad oggi la CT mantiene una significativa maggiore accuratezza diagnostica (13); il rapporto PCT/CT pare assumere un significato come fattore diagnostico nei pazienti con valori elevati di calcitonina e non evidenza di patologia nodulare tiroidea, o in presenza di altre condizioni cliniche che inducono incremento di calcitonina, e come fattore di rischio di progressione di malattia nel follow-up dei pazienti con malattia residua, in particolare quando il tempo di raddoppio di CT è instabile. Ancora non vi è indicazione all’utilizzo di routine in clinica.

CEA. Il dosaggio di CEA (marcatore non specifico per MTC) non serve per fare diagnosi di MTC, ma per valutarne la produzione tumorale, e assume valore prognostico: valori molto elevati sono correlati a minore differenziazione di MTC.

 

Diagnostica strumentale e citologica
Ecografia. Alla valutazione ecografica il MTC si presenta come nodulo spesso marcatamente ipoecogeno, a margini irregolari, ma a volte anche definiti, con calcificazioni interne (sia micro, che macro), raramente come nodulo misto (14). Fondamentale è la valutazione attenta di tutte le stazioni linfonodali del collo.

Citologia. La diagnosi citologica di MTC, su materiale agoaspirato dalla lesione sotto ecoguida, può risultare difficile: le cellule tendono ad essere separate, a morfologia varia da fusata a poligonale, con nuclei eccentrici, a volte di dimensioni maggiori rispetto alle cellule follicolari, citoplasma lievemente granulare; talora è presente sostanza amiloide nello striscio.
Ll’accuratezza della citologia riportata in letteratura è molto variabile, 50-80%. Se la diagnosi è sospettata, dovrebbe essere effettuata l’immunocitochimica per la calcitonina: la combinazione delle due metodiche è diagnostica nel 75-80% dei casi.

In presenza di patologia nodulare e calcitonina plasmatica superiore al limite di norma, è possibile aggiungere il dosaggio di CT su liquido di lavaggio di FNA di nodulo sospetto (e/o adenopatia): al momento non disponiamo di linee guida in merito alla metodica e ai valori di riferimento fisiologici (15, 16), pertanto ogni Centro deve stabilire il proprio range di riferimento e quale soluzione di diluizione utilizzare.

Purtroppo ancora nel 10-15% dei casi la diagnosi di MTC avviene solo dopo tiroidectomia effettuata per altra patologia tiroidea: è fondamentale diagnosticare il MTC il più precocemente possibile, con localizzazione di malattia solo intra-tiroidea, unica condizione che ne permette la guarigione, al fine non solo di programmare l’intervento chirurgico più adeguato ma anche di effettuare screening per feocromocitoma e iperparatiroidismo prima del trattamento di MTC.

 

Stadiazione pre-operatoria
Nella stadiazione pre-operatoria, nei casi di malattia avanzata a livello locale, dobbiamo studiare i pazienti con TC multistrato di collo, mediastino e torace, tracheoscopia ed esofagogramma per una valutazione corretta dell’estensione locale della malattia e programmare l’intervento chirurgico più adeguato; la RMN presenta maggiore sensibilità per il rilievo di infiltrazione della cartilagine tracheale, del nervo laringeo ricorrente e dell’esofago.
E’ anche importante valutare eventuale metastatizzazione a livello epatico mediante TC trifasica con mezzo di contrasto, o RMN con mezzo di contrasto; nel sospetto di malattia con metastasi a distanza (CT > 400 pg/mL, e/o metastatizzazione linfonodale del collo, che, se interessa più comparti linfonodali, è pressochè sempre associata a metastasi a distanza), oltre a TC o RMN mediastino, TC torace, RMN addome (10), va considerata anche RMN rachide e bacino, che può rilevare secondarismi prima dell’evidenza alla scintigrafia dello scheletro e che presenta maggiore sensibilità e accuratezza (rispettivamente 100% vs 72.7% e 96.6% vs 76.7%) (17). 

 

Bibliografia

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  10. Kloos R, Eng C, Evans D, et al. Medullary thyroid cancer: management guidelines of the American Thyroid Association. Thyroid 2009, 19: 565-612.
  11. Doyle P, Düren C, Nerlich K, et al. Potency and tolerance of calcitonin stimulation with high-dose calcium versus pentagastrin in normal adults. J Clin Endocrinol Metab 2009, 94: 2970-4.
  12. Colombo C, Verga U, Mian C, et al. Comparison of calcium and pentagastrin test for the diagnosis and follow-up of medullary thyroid cancer. J Clin Endocrinol Metab 2012, 97: 905-13.
  13. Walter MA, Meier C, Radimerski T, et al. Procalcitonin levels predict clinical course and progression-free survival in patients with medullary thyroid cancer. Cancer 2010, 116: 31-40.
  14. Lee S, Shin JH, Han B-K, et al. Medullary thyroid carcinoma: comparison with papillary thyroid carcinoma and application of current sonographic criteria. Am J Radiol 2010, 194: 1090-4.
  15. Trimboli P, Rossi F, Baldelli R, et al. Measuring calcitonin in washout of the needle in patients undergoing fine needle aspiration with suspicious medullary thyroid cancer. Diagn Cytopathol 2012, 40: 394-8.
  16. Giovanella L, Ceriani L, Bongiovanni M. Calcitonin measurement on fine needle washouts: preanalytical issues and normal reference values. Diagn Cytopathol 2011, DOI 10.1002/dc.22804.
  17. Mirallié E, Vuillez JP, Bardet S, et al. High frequency of bone/bone marrow involvement in advanced medullary thyroid cancer. J Clin Endocrinol Metab 2005, 90: 779-88.
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Corrado Pedroni
Divisione ORL, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

Il carcinoma midollare della tiroide (MTC) è un tumore raro e la sua scarsa prevalenza ha compromesso sia l’acquisizione di un’ampia esperienza clinica sia la possibilità di realizzare studi clinici randomizzati adeguati e definitivi. Sappiamo, comunque, che è un tumore aggressivo che tende a metastatizzare frequentemente e precocemente ai linfonodi cervicali e mediastinici superiori (1-4) e che, in circa il 20% dei pazienti, può presentare metastasi a distanza al momento della diagnosi (5).

 


VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA

La valutazione pre-operatoria di un paziente con MTC sospetto o accertato, evidenziato dalla FNA o dallo screening routinario della calcitonina (CT) basale (valore > 20 pg/mL), può prevedere, oltre al dosaggio della CT sierica basale, il dosaggio della CT dopo stimolazione, quello del CEA. Inoltre, stante la possibilità che il MTC faccia parte di un quadro di neoplasia endocrina multipla di tipo 2 (MEN 2), è opportuno sia eseguita la misurazione della calcemia totale e ionizzata, per escludere l’iperparatiroidismo (IPT), e delle metanefrine e normetanefrine plasmatiche e urinarie, per escludere il feocromocitoma (PHEO). Naturalmente, per escludere, o viceversa confermare,  la possibilità di una forma familiare (MEN 2 o familial medullary thyroid carcinoma, FMTC) viene inoltre raccomandata già nella fase pre-operatoria l’analisi genetica delle mutazioni del protoncogene RET, anche se nella pratica clinica è difficile disporre dei risultati di tale analisi prima dell’intervento chirurgico (6-8).
Lo screening routinario della CT basale nei pazienti portatori di noduli tiroidei è risultato vantaggioso all’analisi dei costi e ha trovato ampia applicazione in Europa (5,9), ma non negli Stati Uniti (10).
In tutti i casi di MTC sospetto o accertato, l’imaging pre-operatorio deve comprendere l’ecografia del collo, con mappaggio linfonodale dei diversi livelli cervicali, e nei pazienti con metastasi linfonodali o con CT sierica > 400 pg/mL, per escludere la presenza di metastasi a distanza, anche un work-up metastatico articolato (6,11). Questo deve comprendere la TC del collo e del torace, che è risultata l’indagine più sensibile per evidenziare metastasi polmonari o ai linfonodi mediastinici, la RMN del fegato con m.d.c, che è l’indagine più sensibile per le metastasi epatiche, e la RM assiale o la scintigrafia ossea per evidenziare metastasi ossee (12). Nello screening metastatico iniziale non è raccomandato lo studio PET con FDG o con analoghi marcati della somatostatina (6).

 


CHIRURGIA

Obiettivi del trattamento
La chirurgia è il solo trattamento curativo di questo tumore e, pertanto, è importante cercare di perseguire la massima radicalità chirurgica possibile nel primo intervento, dal momento che, come risulta da studi clinici retrospettivi (1-4,13-24), i tassi di recidiva locale e di sopravvivenza dipendono dall’adeguatezza del trattamento chirurgico iniziale, mentre la radioterapia esterna e la chemioterapia sono risultate scarsamente efficaci.

 

Quale tiroidectomia?
C’è generale accordo che il trattamento chirurgico minimo del MTC clinicamente evidente, indipendentemente  dalla forma (sporadica o familiare) e dallo stadio (anche nei T1N0), debba essere rappresentato dalla tiroidectomia totale e dallo svuotamento linfatico del compartimento centrale del collo (25-32), mentre è ancora dibattuta e controversa l’indicazione allo svuotamento linfatico precauzionale del compartimento laterale del collo. L’indicazione sistematica alla tiroidectomia totale è giustificata dale seguenti considerazioni:

  1. il MTC è bilaterale nel 20-30% dei casi delle forme sporadiche ed è potenzialmente multifocale e bilaterale nella totalità delle forme ereditarie;
  2. il background ereditario è spesso sconosciuto al momento dell’intervento primario, con un 5% di casi indice;
  3. il trattamento con radio-iodio è inefficace per sterilizzare eventuali residui neoplastici (33,34).

 

Quale intervento per i linfonodi?
L’indicazione sistematica allo svuotamento linfatico del compartimento centrale del collo è giustificata da:

  1. alta incidenza di metastasi linfonodali che, nel compartimento centrale, non sono in molti casi evidenziabili dall’ecografia pre-operatoria, perché i linfonodi para-tracheali sono mascherati dalla presenza della tiroide, e sono inoltre non agevomente rilevabili all’esplorazione intra-operatoria;
  2. un reintervento nel compartimento centrale del collo è associato ad un più alto tasso di complicanze (in particolare di ipoparatiroidismo permanente) rispetto all’intervento primario;
  3. la progressione di una metastasi clinica in questa sede può comportare l’infiltrazione del nervo ricorrente e/o della trachea e richiedere un successivo trattamento chirurgico più demolitivo.

La dissezione  del compartimento centrale del collo deve essere  realizzata in modo meticoloso, asportando tutto il tessuto cellulo-adiposo e linfonodale compreso tra un asse carotideo e l’altro, dall’osso ioide, superiormente, sino ai vasi anonimi, inferiormente (figura 1). Nella dissezione saranno così compresi i linfonodi peri-tiroidei e pre-laringei e le catene linfatiche pre-tracheale e para-tracheali.

 

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Figura 1 a (in alto) e 1 b (in basso). Dissezione del compartimento centrale. Sono evidenti le strutture anatomiche che delimitano l'area: l'osso ioide (limite craniale), i vasi anonimi (limite caudale), gli assi carotidei (limiti laterali)

 

L’intervento tecnicamente corretto richiede la completa dissezione dei nervi laringei ricorrenti, iniziando dallo stretto toracico superiore, in modo da rimuovere l’intera catena linfatica para-tracheale in monoblocco con il lobo tiroideo corrispondente. L’apofisi cefalica del timo deve essere amputata sullo stretto toracico superiore, in modo da esporre interamente la superficie della trachea e dell’esofago nel loro tratto cervicale. L’estensione della dissezione al mediastino antero-superiore è condizionata dall’habitus costituzionale del paziente. Nella dissezione del compartimento centrale del collo bisogna cercare di preservare le paratiroidi superiori, con il loro ramo arterioso, mentre è spesso difficile identificare e preservare le paratiroidi inferiori, quasi sempre difficilmente dissociabili dai linfonodi para-tracheali. Se queste vengono identificate, dal momento che un’accurata dissezione linfonodale ne provoca generalmente la devascolarizzazione, dovranno essere espiantate e re-impiantate in piccoli frammenti nel ventre del muscolo sternocleidomastoideo (SCM), previa conferma istologica estemporanea per evitare l’innesto di un linfonodo metastatico (figura 2).

 

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Figura 2: La paratiroide inferiore, una volta escissa (pannello intermedio), viene suddivisa in 5 frammenti (pannello inferiore), confermati all'istologico intra-operatorio e destinati ad essere autotrapiantati nel muscolo sterno-cleido-mastoideo.


Peraltro, per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti delle paratiroidi durante la dissezione del compartimento centrale del collo, ritroviamo in letteratura tre diverse strategie:

  • fare ogni sforzo per conservare tutte quattro le paratiroidi in situ, in particolare nei pazienti pediatrici, eventualmente con una dissezione limitata del compartimento centrale (35);
  • espiantare sistematicamente le paratiroidi inferiori per re-impiantarle nel muscolo SCM, dal momento che non è possibile realizzare un’accurata dissezione del compartimento centrale e preservare le paratiroidi inferiori (36);
  • espiantare e re-impiantare routinariamente tutte e quattro le paratiroidi (paratiroidectomia totale), strategia adottata presso la Washington University di St Louis (37,38), perché, se il paziente dovesse richiedere un reintervento per recidiva nel compartimento centrale del collo, le paratiroidi non sarebbero compromesse se fossero state già autotrapiantate.

Se la dissezione del compartimento centrale rivelerà un macroscopico coinvolgimento linfonodale o se l’esame istologico estemporaneo dei linfonodi asportati (pre-laringei, pre-tracheali, para-tracheali) evidenzierà la presenza di metastasi, viene ritenuto opportuno associare lo svuotamento linfatico del compartimento laterale del collo, monolaterale, in caso di positività dei linfonodi di una sola catena para-tracheale, o bilaterale,  in caso di coinvolgimento dei linfonodi pre-tracheali o para-tracheali bilaterali (31). Peraltro, lo svuotamento linfatico del compartimento laterale del collo, anche precauzionale, deve essere sistematicamente associato alla tiroidectomia totale e allo svuotamento linfatico del compartimento centrale nel carcinoma midollare clinicamente evidente, secondo le indicazioni di molti autori (1-4) e delle linee guida di alcune società scientifiche (39). Le linee guida della American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) e dell’American Association of Endocrine Surgeons (AAES) del 2001 (39) e i protocolli del IGR (4) e del MD Anderson (1,36), indicano sempre lo svuotamento linfatico funzionale latero-cervicale, denominato dagli anglossassoni modified radical neck dissection (MRND), anche nei casi N0, omolaterale, per i MTC sporadici unilaterali, e bilaterale, per le forme sporadiche bilaterali e per le forme ereditarie con tumore macroscopicamente evidente. Alla Washington University di St Louis (3,21,34,37) e alla Università di Halle (2,14,40,41) tutti i casi di MTC, comprese le forme sporadiche con tumore unilaterale e senza adenopatie clinicamente metastatiche, vengono trattati con svuotamento linfatico laterocervicale bilaterale. Le ragioni a favore di uno svuotamento precauzionale sistematico del compartimento laterale del collo sono le seguenti:

  • l’alta incidenza di metastasi linfonodali nei compartimenti centrale e laterale del collo, al momento della diagnosi, che va dal 48% all’80% nel compartimento centrale, dal 43 al 78% in quello latero-cervicale omolaterale e dal 19 al 47% in quello latero-cervicale controlaterale (1-4) (tabella 1);

 

Tabella 1
Coinvolgimento linfonodale locoregionale nel MTC
Autore N Centrale Omolaterale Controlaterale Mediastinico
Fleming 1999 40 80% 78% 25% ND
Moley 1999 73 79% 75% 47% ND
Machens 2002 161 52% 43% 19% 17%
Scollo 2003 101 48% 49% 24% ND

 

  • gli alti tassi di recidiva nei linfonodi regionali dopo tiroidectomia totale anche associata con qualche forma di linfoadenectomia selettiva; in diverse casistiche vediamo che l’incidenza di recidive cervicali che comportano un reintervento va dal 21 al 65% dei casi (14,16,17,19,20,22-24); nella sola esperienza (1) del MD Anderson viene riportata un’incidenza più bassa, del 13%, perché viene in quella sede eseguita sistematicamente una MRND omolaterale (tabella 2);

 

Tabella 2
Recidiva cervicale di MTC con necessità di reintervento
Autore N FU mediano (aa) Recidiva
Simpson 1982 16 ND 8 (50%)
Saad 1984 143 6 39 (27%)
van Heerden 1990 40 12 26 (65%)
Gharib 1992 52 24 18 (35%)
Kallinowski 1992 40 6 26 (65%)
Dralle 1994 39 5 23 (59%)
Marzano 1995 25 5 10 (40%)
Fuchshuber 1998 28 19 6 (21%)
Fleming 1999 40 3 5 (13%)

 

  • il VI livello non è quello più frequentemente coinvolto da metastasi nel MTC, poichè la neoplasia si sviluppa dalle cellule parafollicolari C, situate nel 1/3 superiore del lobo tiroideo; infatti, in uno studio realizzato al Memorial Sloan Kettering sul trattamento chirurgico dell’area linfatica distrettuale nel MTC, i livelli linfonodali più frequentemente coinvolti sono, nell'ordine, il III (78%), il IV (75%), il II (56%), e poi il VI (50%), il VII (46%) e il V (34%)(43) (figura 3);

 

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Figura 3

 

  • è stato dimostrato dal gruppo dell’università di Halle che con l’adozione di una dissezione sistematica dell’intera area linfatica di drenaggio (compartimenti linfonodali cervicali e mediastinico), la cosiddetta four compartment-oriented lymphadenectomy, i tassi di recidiva loco-regionale si riducevano dal 59% al 10%, con conseguente miglioramento della sopravvivenza (14,18,40,41).
  • la presenza di metastasi in almeno 10 linfonodi o il coinvolgimento di più di due compartimenti linfonodali preclude di fatto la possibilità di normalizzare la CT sierica (4,43).

Secondo le linee guida della National Comprehensive Cancer Network (NCCN) del 2006 (44), lo svuotamento latero-cervicale omolaterale, nei casi N0, era da prendere in considerazione solo nei MTC sporadici di dimensioni > 1 cm, mentre nelle neoplasie di minori dimensioni, lo svuotamento del solo compartimento centrale del collo veniva ritenuta misura sufficiente. Nel 2011, però, le linee guida della NCCN (45) non indicano più lo svuotamento precauzionale del compartimento laterale del collo, neppure nei MTC sporadici di dimensioni > 1 cm di diametro, ma solo quello terapeutico, mono o bilaterale, in presenza di adenopatie metastatiche identificate clinicamente o radiologicamente nel compartimento laterale o centrale del collo. Peraltro, questo atteggiamento conservativo nei confronti del compartimento laterale del collo era già adottato da anni presso la Mayo Clinic (46) e il Memorial Sloan Kettering CC (32,42) e indicato dalle linee guida dell’American Head and Neck Society (47). Anche nelle più recenti linee guida dell’American Thyroid Association (6), basate su una vasta revisione della letteratura secondo criteri EBM e sull’esperienza di un autorevole panel di esperti, c’è ancora generale accordo sul fatto che nel MTC clinicamente evidente, in assenza di metastasi linfonodali all’esame clinico e all’ecografia del collo e di metastasi a distanza, alla tiroidectomia totale si debba associare lo svuotamento linfatico precauzionale del compartimento centrale del collo. C’è invece un diminuito entusiasmo per lo svuotamento linfatico precauzionale del compartimento laterale del collo, alla luce dell’alta percentuale di pazienti N0 sottoposti a chirurgia estensiva che non ottengono la normalizzazione post-operatoria della CT per la presenza di metastasi a distanza occulte. Anche in presenza di sospette metastasi cliniche nei linfonodi del compartimento centrale del collo (VI livello), senza evidenza ecografica di linfonodi sospetti nel compartimento laterale, senza o con limitate metastasi a distanza, l’indicazione delle linee guida dell’ATA è ancora quella della tiroidectomia totale con  svuotamento linfatico del solo compartimento centrale del collo. Solo una minoranza dei componenti della Task Force ATA è favorevole a uno svuotamento precauzionale del compartimento laterale del collo in presenza di metastasi linfatiche al VI livello. Come si è detto, tale atteggiamento conservativo è giustificato dal fatto che la maggior parte dei pazienti con metastasi linfatica regionale non risulterà guarita in modo definitivo da chirurgia aggressiva che includa lo svuotamento linfatico latero-cervicale bilaterale. In alcune analisi multivariate (7,48-51) risulta che lo stadio di malattia è un fattore predittivo indipendente di sopravvivenza, mentre il tipo di chirurgia non lo è. In ogni caso, lo svuotamento linfatico del  compartimento centrale del collo è sempre indicato, anche precauzionalmente, perché riduce il rischio di recidiva locale e può prevenire future complicanze come l’infiltrazione del nervo ricorrente o della trachea. Naturalmente, in presenza di linfonodi metastatici o ecograficamente sospetti nel compartimento laterale del collo, senza o con limitate metastasi a distanza, alla tiroidectomia totale si assocerà  lo svuotamento linfatico comprensivo dei compartimenti centrale e laterale del collo.

Per concludere, secondo le linee guida dell’ATA (6), l’indicazione chirurgica nel MTC clinicamente evidente deve prevedere, oltre alla tiroidectomia totale, lo svuotamento linfatico precauzionale del compartimento centrale del collo. La chirurgia del compartimento laterale viene riservata alla dimostrata evidenza di linfonodi metastatici, e costituisce quindi una misura esclusivamente terapeutica.

Recentemente Machens e Dralle (52) hanno proposto di utilizzare i livelli di CT sierica basale per predire l’estensione della malattia e programmare il relativo trattamento chirurgico. Questi autori, studiando retrospettivamente 300 pazienti consecutivi con MTC sottoposti a four compartment-oriented lymphadenectomy, concludono che la misurazione dei livelli pre-operatori di CT sierica basale è più indicativa dell’estensione della malattia linfonodale rispetto all’ecografia cervicale, caratterizzata da un quadro di  falsa negatività in più di 1/3 dei pazienti con MTC. Nel loro studio, livelli pre-operatori di CT basale:

  • pari a 20 pg/mL corrispondono alla presenza di metastasi linfonodali nei compartimenti centrale e/o laterale ipsilaterale;
  • pari a 50 pg/mL alla presenza di metastasi linfonodali nel compartimento centrale controlaterale;
  • pari a 200 pg/mL a metastasi linfonodali nel compartimento laterale controlaterale;
  • pari a 500 pg/mL a metastasi nel mediastino superiore.

Pertanto, sulla base di questi riscontri, ipotizzano che nei pazienti con livelli pre-operatori di CT  basale ≥ 200 pg/mL, per ridurre la probabilità di reintervento, alla tiroidectomia totale si debba sempre associare lo svuotamento linfatico compartimentale bilaterale.

Il trattamento chirurgico del compartimento laterale del collo nel MTC è generalmente rappresentato dallo svuotamento funzionale o radicale modificato (MRND), che comporta l’asportazione di tutto il tessuto cellulo-adiposo e linfonodale compreso tra il muscolo digastrico in alto, la clavicola in basso, l’asse carotideo medialmente e il muscolo trapezio lateralmente, con la conservazione della vena giugulare interna, del nervo spinale e del muscolo SCM. In questo modo vengono asportati tutti i linfonodi latero-cervicali, dal II al V livello (figura 4).

 

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Figura 4. Svuotamento funzionale (o radicale modiificato) del compartimento laterale del collo; i linfonodi localizzati nei livelli II-V vengono asportati, con preservazione delle strutture vascolari, nervose e del muscolo SCM.

 

Il I livello non viene comunemente interessato nella dissezione linfonodale, a meno che siano evidenti linfonodi sospetti in quella sede. D’altra parte, anche nello studio di Ellenhorn et al (43), sul trattamento chirurgico dei linfonodi regionali nel MTC, il I livello non risultava mai coinvolto da metastasi linfonodali.
La radical neck dissection (RND) classica non risulta migliorare la prognosi, anche in presenza di metastasi linfonodale clinicamente evidente. Può però essere necessaria, in presenza di una metastatizzazione linfonodale estesa con coinvolgimento massivo del muscolo SCM e della vena giugulare interna (31) (figura 5). Dovrebbe comunque essere fatto ogni tentativo per preservare il nervo spinale, se non è invaso dal tumore.

 

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Figura 5. In caso di coinvolgimento delle strutture vascolari o del muscolo SCM da parte della neoplasia può rendersi necessario lo svuotamento radicale del collo con sacrificio della vena giugulare interna e del muscolo SCM

 


Quasi tutti gli autori (1,3,19) sono d’accordo che la dissezione linfonodale del mediastino superiore debba essere realizzata solo se è coinvolto il compartimento centrale, generalmente attraverso la normale incisione cervicale, riservando la sternotomia mediana solo in caso di evidenza radiologica di metastasi mediastinica (figura 6).

 

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Figura 6. Dissezione linfonodale del compartimento centrale e  del mediastino superiore; l'accesso allo spazio mediastinico richiede la sternotomia

 

Quale intervento nelle forme ereditarie?
Nel MTC ereditario, identificato con l’analisi della mutazione del proto-oncogene RET, senza evidenza clinica di malattia, è senz’altro indicata la tiroidectomia totale profilattica. L’obiettivo della tiroidectomia profilattica precoce è intervenire prima che si sviluppino metastasi, perché, altrimenti, sarà difficile riuscire a guarire il paziente. Inoltre la tiroidectomia profilattica precoce, prima che si sviluppino metastasi, evita la necessità dello svuotamento del compartimento centrale del collo, che è associato ad una più alta incidenza di ipoparatiroidismo e di paralisi ricorrenziale. D’altra parte, l’obiettivo di ritardare la tiroidectomia  profilattica è quello di ottimizzare il rischio di complicanze, operando su un bimbo più grande in cui l’intervento è tecnicamente meno difficile e il trattamento dell’ipoparatiroidismo iatrogeno è meno complesso.
Per quanto riguarda il timing dell’intervento, questo si riferisce a limiti di età basati sui casi, riportati in letteratura, di più giovane età, per genotipo, con malattia metastatica. Vi è generale accordo che la tiroidectomia totale profilattica debba essere programmata:

  • nelle sindromi MEN 2A e nel carcinoma midollare familiare (FMTC) prima dei 5 o 10 anni di età;
  • nelle sindromi MEN 2B prima dei 6 mesi o al momento della diagnosi.

E’ comunque importante che l’intervento di tiroidectomia profilattica sia realizzato da chirurghi, e in centri, che abbiano un’esperienza specifica nel trattamento del MTC ereditario: in tali situazioni il beneficio a ritardare la tiroidectomia profilattica oltre i 5 anni è risultato modesto.
In tabella 3 sono riportate le indicazioni alla tiroidectomia totale profilattica e alla dissezione del compartimento centrale del collo, in base alla mutazione RET e all’età del paziente (codon-oriented prophylactic surgery), fissate dal consensus statement del 7° Workshop internazionale di Gubbio del 1999 sulle MEN (53) e riviste dall’EUROMEN Study Group e dalla più recente letteratura (54-58).

  • Nelle forme ad altissimo rischio, che corrispondono alla sindrome MEN 2B, rappresentate da mutazioni nei codoni 883, 918 (le più frequenti: 95% delle MEN 2B) e 922, dovrebbe essere considerata la tiroidectomia totale con svuotamento del compartimento centrale del collo nei primi 6 mesi di vita, o addirittura nel primo mese (11).
  • Nelle forme ad alto rischio, che corrispondono in gran parte al fenotipo MEN 2A, rappresentate da mutazioni nei codoni 630 e 634 (le più frequenti: 85% dei casi) dell’esone 11, e nei codoni 609, 611, 618 e 620 dell’esone 10, è indicata la tiroidectomia totale profilattica prima dei 5 anni di età con la dissezione del compartimento centrale nei pazienti:
    • > 10 anni, se portatori di mutazioni dei codoni 630 e 634
    • > 20 anni, se portatori di mutazioni nei codoni 609, 611, 618 e 620

perché prima di queste età  le  metastasi linfonodali sono estremamente rare.

  • Nelle forme a minor rischio, rappresentate da mutazioni nei codoni 768, 790, 791 dell’esone 13, e nei codoni 804 dell’esone 14 e 891 dell’esone 15, che corrispondono in gran parte al FMTC, la tiroidectomia totale potrebbe essere posticipata dopo i 5 anni ma non oltre i 10 anni e la dissezione del compartimento centrale dopo i 20 anni.

 

Tabella 3
Modalità della tiroidectomia profilattica in relazione al genotipo
(1999 consensus statement dal 7th International Workshop on MEN; in assenza di  consenso, le raccomandazioni si basano sulla letteratura recente: Machens for EUROMEN Study Group 2003, 2004; Dralle, 1998)
Livello di rischio Codone di RET mutato Tiroidectomia prima di Linfadenectomia centrale prima di
3 (massimo) 883, 918, 922 6 mesi 6 mesi
2 (alto) 630, 634 5 anni ≥10 anni
2 (alto) 609, 611, 618, 620 5 anni ≥ 20 anni
1 (meno alto) 768, 790, 791, 804, 891 5 o 10 anni ≥ 20 anni

 

Timing ed estensione della chirurgia possono però dipendere, oltre che dalla mutazione RET e dall’età del paziente, anche dai livelli di calcitonina dopo stimolazione, come risulta dall’algoritmo utilizzato all'Università di Halle (54, 57). Se i livelli di CT stimolata sono normali, il timing della tiroidectomia profilattica dipende dalla mutazione RET, mentre se i livelli di calcitonina stimolata sono aumentati vengono annullate le raccomandazioni basate solo sul genotipo RET e, indipendentemente dalla mutazione, viene eseguita subito la tiroidectomia totale associata allo svuotamento del compartimento centrale del collo, nei tumori 1 cm e/o N1 (55).
Le linee guida dell’ATA del 2009 (6) per il MTC ereditario, senza evidenza clinica di malattia, ricalcano sostanzialmente le indicazioni alla tiroidectomia totale profilattica emerse dal 7° Workshop internazionale di Gubbio sulle MEN del 1999 (53). L’unica differenza è la possibilità di ritardare la tiroidectomia totale profilattica dopo i 5 anni di età, oltre che nelle mutazioni che hanno un minimo rischio di MTC aggressivo (codoni 768, 790, 791, 804, 891) che corrispondono al fenotipo FMTC, anche in alcune mutazioni a più alto rischio (codoni 609, 611, 618, 620, 630), che corrispondono al fenotipo MEN 2A. In tutti i casi, per ritardare la tiroidectomia totale profilattica dopo i 5 anni di età sarà necessario che:

  • la calcitonina, basale o dopo stimolazione, controllata annualmente, sia normale;
  • l’ecografia del collo, controllata annualmente, sia normale;
  • ci troviamo in presenza di una storia familiare di MTC poco aggressivo;
  • la  famiglia sia d’accordo.

Se non sono presenti tutte queste condizioni, la tiroidectomia profilattica andrà eseguita prima dei 5 anni di età. Anche per le mutazioni nel codone 634, alle quali si riconosce un decorso più aggressivo, con una più giovane età di comparsa di MTC metastatico e una più alta incidenza di iperparatiroidismo e feocromocitoma, è sempre prevista la tiroidectomia profilattica prima dei 5 anni di età.
Per quanto riguarda lo svuotamento del compartimento centrale del collo, le linee guida dell’ATA (6) non lo indicano:

  • nei pazienti sottoposti a tiroidectomia totale profilattica entro il 1° anno di vita per le forme MEN 2B;
  • entro i primi 5 anni per le forme MEN 2A e FMTC.

Peraltro, nei pazienti con MEN 2A/FMTC > 5 anni, lo svuotamento del compartimento centrale è indicato solo  se vi è evidenza clinica o radiologica di metastasi linfonodali o di noduli tiroidei > 5 mm o in presenza di livelli di calcitonina sierica basale > 40 pg/mL. Nei pazienti MEN 2B > 1 anno, senza evidenza clinica o ecografica di metastasi linfonodali o di noduli tiroidei > 5 mm e con livelli di  calcitonina serica basale < 40 pg/mL, la Task Force dell’ATA indica lo svuotamento del compartimento centrale del collo basandosi sul parere degli esperti, anche se i dati  della letteratura disponibili non sono conclusivi.

Il trattamento delle paratiroidi nelle sindromi MEN 2A, che presentano iperparatiroidismo nel 20-30% dei casi, è controverso. Per alcuni autori (59)  è necessario identificare tutte e quattro le paratiroidi, ma è sufficiente asportare solo quelle che risultano ingrandite, per evitare il rischio di ipoparatiroidismo permanente. Per altri (60), è indicata la paratiroidectomia totale con immediato autotrapianto di una porzione di ghiandola nel muscolo dell’avambraccio non dominante. L’atteggiamento più diffuso è comunque la paratiroidectomia subtotale 3/4 o 7/8, con conservazione in situ di una ghiandola o di una porzione di ghiandola (60-80 mg) ben vascolarizzata (46). Sarà comunque sempre necessario criopreservare il tessuto paratiroideo asportato, che potrà essere reimpiantato in caso di ipoparatiroidismo permanente: infatti nei pazienti con MEN 2A, già sottoposti a tiroidectomia totale ed, eventualmente, a svuotamento del compartimento centrale del collo, è maggiore il rischio di ipoparatiroidismo che di iperparatiroidismo. Anche le linee guide dell’ATA (6) evidenziano il concetto del rischio di ipoparatiroidismo permanente, soprattutto per interventi cervicali ripetuti, e indicano l’autotrapianto sistematico di tessuto paratiroideo nell’avambraccio al momento del trattamento chirurgico iniziale per qualunque tipo di intervento, anche quelli più conservativi. Peraltro, la maggior parte degli esperti della Task Force dell’ATA non consiglia la paratiroidectomia totale sistematica.

 


VALUTAZIONE POST-OPERATORIA

L’adeguatezza della resezione chirurgica nel MTC è valutata dalla determinazione post-operatoria dei livelli di CT basale e dopo stimolazione con pentagastrina o calcio. La persistenza di livelli elevati di CT è indicativa di presenza di malattia persistente o ricorrente. Dopo il trattamento chirurgico primario, più del 50% dei pazienti avrà persistente elevazione dei livelli di CT, anche nei pazienti N0, quando il livello pre-operatorio di CT sierica basale era > 300 pg/mL o quando le dimensioni del tumore primitivo erano > 1 cm (5). Recenti studi hanno dimostrato che il tempo di raddoppiamento del CEA ha un valore predittivo di malattia persistente o ricorrente maggiore del tempo di raddoppiamento della CT, suggerendo che sia essenziale la misurazione di entrambi i marcatori tumorali per un’appropriata stratificazione del rischio (61).
Nei casi di elevati livelli di CT e/o CEA, sarà innanzi tutto necessario escludere la presenza di malattia loco-regionale con un’ecografia del collo e l’eventuale agoaspirazione di ogni massa sospetta. Quando l’esame ecografico del collo è negativo, sarà necessario ricercare eventuali metastasi a distanza, mediante TC, RMN e/o FDG-PET. Se anche la ricerca di metastasi a distanza risulterà negativa, è possibile che ci troviamo di fronte a metastasi occulte nel collo.
L’approccio terapeutico verso i pazienti con elevati valori di CT, basale o stimolata, dopo resezione chirurgica adeguata, senza evidenza  clinica e radiologica di residuo neoplastico, è oggetto di controversia. Attualmente non esistono terapie sistemiche sicuramente efficaci, per cui le opzioni possibili sono il reintervento chirurgico o un atteggiamento conservativo wait and see. Per alcuni Autori (14, 62-65), i migliori risultati sono quelli ottenuti con un approccio chirurgico aggressivo finalizzato a rimuovere tutto il tessuto cellulo-adiposo e linfonodale residuo, mediante un'appropriata ed estesa dissezione microscopica dei compartimenti centrale e laterale del collo e, in alcuni casi, anche del mediastino per via sternotomica. Essi hanno infatti dimostrato che, con questo trattamento, il livello di CT può essere ricondotto a valori normali nel 26-38% dei pazienti (tabella 4).

 

Tabella 4
Reintervento cervicale per MTC
Autore N Positività imaging MRND bilaterale Negatività CT stimolata dopo reintervento
Norton 1980 7 0 0 1 (14%)
Tisell 1986 11 1 10 4 (36%)
Van Heerden 1986 11 11 ND 0
Frank-Raue 1992 14 6 ND 3 (21%)
Dralle 1994 55 ND ND 8 (15%)
Abdelmoumene 1994 13 3 2 1 (8%)
Buhr 1995 53 0 24 8 (15%)
Gimm 1997 34 27 34 9 (26%)
Moley 1997 45 22 30 17 (38%)
Fleming 1999 29 16 25 4 (14%)

 

La microdissezione chirurgica del collo è tuttavia un intervento tecnicamente difficile, che richiede molto tempo ed è gravato da un’incidenza di complicanze molto più alta della dissezione convenzionale. Infatti, analizzando le complicanze dopo reinterventi chirurgici aggressivi, Gimm e Dralle (66) riportano una prevalenza di ipoparatiroidismo permanente del 25%, rispetto al 2-7% che si trova mediamente in letteratura per interventi chirurgici primari, e una prevalenza di paralisi ricorrenziale dell’8% rispetto all’1-2% della chirurgia primaria (tabella 5). Inoltre, durante questi reinterventi, Gimm and Dralle (66) hanno trovato, con biopsie random dei polmoni, che il 28% dei pazienti aveva micrometastasi polmonari e Moley (38) ha rilevato, con l’esplorazione laparoscopica del fegato, che il 25% dei pazienti aveva metastasi epatiche misconosciute alla TC e alla RM.

 

Tabella 5
Complicanze dopo reintervento per MTC recidivo
(Gimmand Dralle, 1997, N = 36)
Complicanza N %
Paralisi ricorrenziale permanente unilaterale 3 8.3
Ipoparatiroidismo permanente 9 25
S. di Horner transitoria 2 5.5
Paralisi transitoria del plesso brachiale 1 2.7

 

Il fatto che non esista la prova documentata che un approccio chirurgico aggressivo possa modificare la storia naturale di questa malattia, ha indotto altri Autori (24,67) a privilegiare, in questi casi, un approccio conservativo, dal momento che molti di questi pazienti possono sopravvivere a lungo con alti livelli di CT e senza evidenza macroscopica di malattia metastatica. Van Heerden (24) riporta una sopravvivenza globale dell’86% a 10 anni, senza evidenza clinica o radiologica di metastasi, in una casistica di pazienti con elevati livelli di CT dopo intervento primario apparentemente adeguato, rappresentato da tiroidectomia totale e neck dissection. Per questi Autori (24,67), anche se non vi sono alternative al trattamento chirurgico nel MTC, la prognosi comunque buona del carcinoma occulto e i frequenti insuccessi dei tentativi di normalizzare la CT, anche con reinterventi molto estesi, consigliano un atteggiamento prudente in questi casi: stretto follow-up e ricorso alla chirurgia solo in caso di recidiva clinicamente o radiologicamente evidente. Le recenti linee guida dell’ATA  (6) sono sostanzialmente sulle stesse posizioni.

  • Nei pazienti operati per MTC che nel post-operatorio presentano CT sierica dosabile a livelli < 150 pg/mL:
    • in assenza di malattia residua identificabile all’ecografia o alla TC, il reintervento viene preso in considerazione esclusivamente nei casi trattati con sola tiroidectomia totale per i quali può essere indicato un empirico svuotamento del compartimento centrale del collo;
    • in presenza di recidiva o persistenza loco-regionale, senza metastasi a distanza, il trattamento chirurgico dovrà prevedere la dissezione compartimentale dei compartimenti centrale e/o laterale in base all’evidenza ecografica o citologica di metastasi linfonodale.
  • Nei pazienti con CT sierica > 150 pg/mL nel post-operatorio, oltre all’ecografia cervicale si dovranno eseguire indagini di imaging per valutare eventuali metastasi a distanza.
    • In presenza di metastasi a distanza e di piccole metastasi linfonodali regionali, asintomatiche, < 1 cm, può non essere necessario un intervento immediato sul collo e questi linfonodi possono essere semplicemente osservati.
    • Viceversa, in presenza di metastasi linfonodali regionali, sintomatiche e progressive, > 1 cm, si dovrà considerare il trattamento chirurgico loco-regionale anche in presenza di metastasi a distanza.
  • Per le metastasi a distanza sintomatiche, le linee guida dell’ATA (6) non escludono il ricorso a terapie mirate (chirurgia, radioterapia esterna, embolizzazione epatica), mentre non viene ritenuto giustificato l’impiego routinario della chemioterapia, così come quello degli analoghi della somatostatina, inefficaci nel controllare la crescita tumorale. E' attualmente in fase di valutazione l'impiego di farmaci target per il trattamento delle forme avanzate di malattia.

 


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Nadia Cremonini
SC di Endocrinologia - Ospedale Maggiore e Bellaria - Azienda Usl di Bologna

 

Nell'impostazione del follow-up di un paziente con carcinoma midollare della tiroide (MTC) è in primo luogo necessario operare una distinzione:

  1. la diagnosi di MTC è stata posta all’istologia post-intervento di emitiroidectomia per patologia nodulare tiroidea;
  2. la diagnosi è stata posta pre-intervento e il paziente è stato sottoposto a intervento chirurgico adeguato.

Nella prima condizione, oltre al dosaggio di calcitonina (CT) e CEA, il paziente deve essere sottoposto a screening genetico per mutazione del proto-oncogene RET, ecografia del collo; inoltre, in presenza di neoplasia multifocale, iperplasia delle cellule C-parafollicolari, estensione extra-tiroidea della neoplasia, presenza di neoplasia nel margine di resezione chirurgica, il paziente deve essere studiato per escludere sia metastasi linfonodali al collo e/o mediastino, sia metastasi a distanza, prima della totalizzazione chirurgica.
Nella seconda condizione, il follow-up si basa sulla valutazione biochimica e su quella strumentale di immagine, in primis l’ecografia con integrazione color-power doppler, in seconda linea TC o RMN collo e mediastino, TC torace, RMN addome, RMN rachide e pelvi, eventualmente scintigrafia scheletro; anche la PET, con diversi traccianti, sta assumendo un ruolo importante.
Nel post-operatorio va iniziata la terapia con levo-tiroxina, che deve essere di tipo sostitutivo e non TSH– soppressivo, in quanto le cellule C-parafollicolari non sono controllate dal TSH.
La CT si riduce gradualmente e in modo variabile dopo l’intervento chirurgico e in alcuni pazienti il nadir di CT non viene raggiunto sino alla 8°-12° settimana, o oltre. Pertanto l’indicazione è di effettuare il controllo post-operatorio non prima di 2-3 mesi.

I pazienti con CT basale e stimolata indosabili presentano una probabilità di recidiva di circa il 3% (1). Non sono necessarie ulteriori indagini, eccetto un controllo di ecografia del collo, da effettuare non prima di 3 mesi dall’intervento. In seguito il paziente può entrare in un programma di follow-up a lungo termine: ogni sei mesi per i primi 2-3 anni, indi ogni 12 mesi, con determinazione di CT, CEA, TSH, ecografia collo con color-power doppler e valutazione clinica, per le forme sporadiche, mentre per i pazienti con MEN-2 si rende necessario anche lo screening biochimico per feocromocitoma e iperparatiroidismo (per il pazienti con MEN-2B solo per feocromocitoma). In presenza di CT basale indosabile e di ecografia del collo negativa, oggi si tende sempre più a non effettuare test di stimolo, non solo per la maggiore sensibilità dei metodi di dosaggio di CT a disposizione, ma anche perché in presenza di CT basale non dosabile, un rialzo dopo stimolo equivale a un volume molto piccolo di malattia residua, in pratica non individuabile con le varie metodiche di imaging, e quindi senza ricaduta utile ai fini terapeutici per il paziente (2).

Livelli dosabili di CT < 150 pg/mL, generalmente sono espressione di malattia residua locoregionale, raramente di presenza di metastasi a distanza (3), e in tal caso comunque di dimensioni e numero molto limitati, difficilmente rilevabili (4). In questa condizione l’indagine di imaging da effettuare è l’ecografia del collo, e in presenza di malattia residua e/o adenopatie sospette per metastasi, va eseguito FNA con dosaggio di CT su liquido di lavaggio di FNA. Se viene diagnosticata malattia residua e/o metastasi linfonodali, è necessario completare la valutazione del paziente con TC multistrato di collo, mediastino e torace con mezzo di contrasto, al fine di valutare l’estensione della malattia, e programmare con il chirurgo l’intervento più adeguato.
In assenza di evidenza di malattia loco-regionale e con valori di CT < 150 pg/mL, le Linee Guida ATA (2) indicano come opzionale l’effettuazione di altre indagini di imaging (TC multistrato collo, mediastino e torace con mezzo di contrasto, TC tri-fasica con mezzo di contrasto o RMN con mezzo di contrasto epatiche, ecografia epatica (maggiore sensibilità se effettuata con mezzo di contrasto), scintigrafia scheletro, RMN rachide lombare e bacino, 18F-DOPA-PET, 18F-FDG-PET), per avere una valutazione basale di confronto con successive valutazioni, o in alternativa procrastinare tali indagini in base all’incremento dei livelli di CT, considerato che per tali livelli di CT difficilmente si ha evidenza di malattia a distanza (raccomandazione grado C).

Tale valutazione diagnostica più approfondita va invece sicuramente effettuata in presenza di valori di CT post-operatoria > 150 pg/mL. TC, RMN, scintigrafia scheletro sono tecniche diagnostiche consolidate in clinica, mentre l’introduzione di PET nello studio di MTC non guarito è più recente.
Si ricorre alla PET o quando le metodiche di diagnostica per immagini non rilevano localizzazioni secondarie, o quando si sospetta un'estensione di malattia maggiore rispetto a quella evidenziata.
La 18F-DOPA-PET/TC ha una performance superiore a 18F-FDG-PET/TC nei pazienti con livelli di CT  12 mesi (è possibile un fenomeno flip-flop tra i due traccianti):

  • Luster et al. (5) hanno riportato una sensibilità della metodica del 100% per CT > 150 pg/mL, (5) in assenza di veri positivi per valori di CT < 60 pg/mL (5);
  • altri autori riportano una sensibilità inferiore per CT > 150 pg/mL, comunque superiore a quella di PET con altri traccianti: DOPA vs FDG: 58% vs 53% (6), DOPA vs FDG, vs 68Ga-analoghi della somatostatina: 72.2% vs 16.7% vs 33.3% (7). 

Si può pertanto ritenere che per valori di CT < 70-100 pg/mL,  l'indagine sia di limitata efficacia anche se occasionalmente può fornire indicazioni (recente è il rilievo di DOPA-PET positiva con CT 66.7 pg/mL). Occorre peraltro sottolineare che la 18F-DOPA-PET/TC è disponibile solo in un numero limitato di centri di Medicina Nucleare.
La 18F-FDG-PET/TC presenta migliore performance diagnostica per i pazienti con MTC più aggressivo: valori CT > 1000 pg/mL, Ki67 > 2%, tempo di raddoppio di calcitonina < 12 mesi, tempo di raddoppio di CEA instabile; la sensibilità complessiva riportata in letteratura (16.7-85.7%) è molto variabile e riflette i diversi criteri di selezione dei pazienti (7-9).
FDG-PET e DOPA-PET vanno considerate come complementari nel follow-up dei pazienti con MTC residuo.
La 68Ga-analoghi somatostatina (Dotatoc o Dotanoc)PET/TC, analogamente alla scintigrafia con 111In-pentetreotide, non sembra aggiungere informazioni diagnos tiche rispetto alla PET con gli altri due traccianti (7), ma trova una sua utilità clinica all’interno di trial clinici, al fine di valutare l’espressione di recettori della somatostatina, per eventuale trattamento radio-recettoriale con 90Y-DOTATOC o 177Lu-DOTATATE.

 

Tempo di raddoppio di CT e CEA
Quando seguiamo un paziente con MTC residuo, ad ogni controllo non dobbiamo considerare solo il valore assoluto di CT e CEA, bensì anche il tempo di raddoppio di tali marcatori, espressione della progressione della neoplasia; questo rappresenta un elemento fondamentale per stabilire la tempistica dei controlli, le indagini da effettuare e il trattamento. Dalla meta-analisi di Meijer et al (10) emerge che un tempo di raddoppio < 1 anno riflette il maggiore rischio di decesso dei pazienti (hazard ratio 21.52 per CT e infinito per CEA), e di recidiva di malattia (HR 5.3 per CT e 6.89 per CEA). Il tempo di raddoppio di entrambi i marcatori è un indicatore prognostico di recidiva e decesso MTC-correlato molto forte, con valore predittivo più elevato per il CEA.
I pazienti con CT dosabile ma senza evidenza di lesioni, devono effettuare dosaggio di CT e CEA ogni sei mesi per stabilire il tempo di raddoppio: i controlli successivi (biochimici, e clinici) dovrebbero essere effettuati a cadenza pari ad ¼ del tempo di raddoppio o con frequenza annuale (2).

 

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  10. Meijer JAA, Le Cessie S, van den Hout WB, et al. Calcitonin and carcinoembryonic antigen doubling time as prognostic factors in medullary thyroid carcinoma: a structured meta-analysis. Clin Endocrinol 2010, 72: 534-42.
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Clinica e diagnosi

Terapia

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Daniele Barbaro
Sezione Endocrinologia, ASL 6, Livorno

(aggiornato al 29 gennaio 2019)

 

Il carcinoma tiroideo anaplastico (CA) costituisce una delle più aggressive e letali neoplasie solide. Rappresenta attualmente circa l'1-2% dei carcinomi tiroidei e vi è un trend di diminuzione relativa, probabilmente legato all'incremento di incidenza delle forme differenziate (1). Nonostante questo, il carcinoma anaplastico è responsabile del 50% della mortalità annua per carcinoma tiroideo.
È un tumore tipico dell'età avanzata, con picco nella 7° decade, ma sono riportati, e anche l'esperienza del nostro centro lo conferma, casi in età < 50 anni. L'incidenza è lievemente maggiore nelle femmine, con un rapporto femmine:maschi che, a secondo delle casistiche, varia fra 3:1 a 1.2 :1.
La modalità di presentazione classica è un nodulo o una massa dura in rapida espansione, talora su un vecchio gozzo nodulare pre-esistente. Solitamente il paziente riferisce una crescita nell'arco di giorni/settimane, talora rapidamente associata ad altri sintomi infiltrativi, quali raucedine e disfagia. La neoplasia è metastatica alla diagnosi in circa il 50% dei casi, più frequentemente al polmone, seguita da ossa e cervello (1).
Costituiscono elementi prognostici sfavorevoli (2):

  1. presenza di sintomi acuti;
  2. dimensioni del tumore > 5 cm;
  3. metastasi a distanza;
  4. leucocitosi > 10.000/µL.

Nelle varie casistiche le mediana di sopravvivenza è 3-4 mesi, la sopravvivenza a un anno è < 10% e i casi riportati di lunghe sopravvivenze (> 10 anni) sono eccezionali, con il dubbio dell'attendibilità della diagnosi di partenza.

 

Fattori di rischio e aspetti patogenetici
Non sono noti fattori di rischio particolari. Come già detto, la maggioranza dei carcinomi anaplastici insorge su un gozzo pre-esistente e il tumore è più frequente nelle aree a basso apporto iodico. In uno studio recente è stato dimostrato che la supplementazione iodica ha diminuito l'incidenza di tale tumore (3). Almeno una parte dei carcinomi anaplastici insorge su precedenti carcinomi tiroidei differenziati (follicolare o papillare), anche se il motivo e la frequenza di questa conversione sono sconosciuti. Nei carcinomi tiroidei differenziati possono essere presenti varie mutazioni puntiformi di proto-oncogeni implicati nella cascata MAP-kinasi e P13K-AKT. Fra queste nei casi in cui il tumore insorge per sdifferenziazione di un carcinoma papillare e follicolare si può trovare una mutazione del proto-oncogene BRAF e RAS (in percentuali rispettivamente del 26% e 22%, dati medi della letteratura). La mutazione del gene TERT (recentemente individuata nelle forme differenziate più aggressive) è presente nel carcinoma anaplastico in percentuali fino al 70%. Mutazioni più specifiche sono quella del gene onco-soppressore p53 e di alcuni oncogeni coinvolti nel sistema di segnale Wnt e nell'adesione intercellulare (ß1-catenina) e nel gene dell'Axina 1. Non è noto quali di queste mutazioni (da sola o combinata) contribuisca all'eccezionale aggressività del tumore (4).

 

Clinica e diagnosi
Il reperto palpatorio è di un nodulo o di una massa dura e talora possono presentarsi quadri pseudo-infiammatori con dolore locale.
L'ecografia mette chiaramente in evidenza i caratteri tipici del nodulo maligno, quali soprattutto l'ipoecogenicità marcata con margini indistinti.
Seppur la diagnosi si basi ovviamente sul reperto del FNA (talora corroborata da una large needle biopsy con un tru-cut), l’anamnesi di crescita rapida (nell'arco di giorni/settimane) con un reperto ecografico del tipo sopra descritto deve far porre un fortissimo sospetto di carcinoma anaplastico e dunque andranno accelerate le procedure diagnostiche, quali appunto l'FNA e una TAC del collo che potrà essere di aiuto al chirurgo.
Anche se la TAC del torace e la diagnostica per immagini in generale potranno darci informazioni circa la diffusione della malattia e certo dovranno far parte della stadiazione, tali procedure diagnostiche non dovrebbero ritardare la pianificazione generale della strategia e in particolare l'intervento chirurgico, che, ove possibile, può rappresentare la prima tappa terapeutica.
In alcuni casi potrà essere pianificato un iniziale trattamento chemio-radioterapico e dunque la diagnosi dovrà essere citologica ed ovviamente certa. La conferma bioptica potrà essere fatta qualora si programmi l'esecuzione di stomia con l'inserimento di cannula tracheale, altrimenti potrà convenire iniziare subito il trattamento se vi è una ragionevole certezza.
I preparati citologici di un carcinoma anaplastico della tiroide sono, a piccolo ingrandimento, riccamente cellulati e necrotici. Le cellule sono organizzate in piccoli clusters o se non coese, presenti come elementi singoli. Ad alto ingrandimento le cellule sono grandi, con aspetto squamoide e fusato o possono presentarsi come cellule giganti multi-nucleate. Spesso si osserva una commistione di tali caratteristiche. I nuclei sono marcatamente pleomorfi, con cromatina addensata e macro-nucleoli. Talora si possono apprezzare inclusioni citoplasmatiche intra-nucleari e abbondanti mitosi atipiche. Occasionalmente, la necrosi e l’infiammazione possono nascondere gli elementi neoplastici; tuttavia, la presenza della necrosi deve sempre far nascere il dubbio che possa trattarsi di un carcinoma indifferenziato (5,6).

 

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Carcinoma anaplastico (ingrandimento 40 X, colorazione Papanicolau). Organizzazione prevalentemente a cellule singole giganti, di aspetto fusato e squamoide. Cortesia del Dr. Roberto Incesati U.O. Anatomia Patologica Livorno

 

In un numero rilevante di preparati citologici, si possono osservare elementi neoplastici con le caratteristiche del carcinoma papillare o follicolare, confermando la derivazione della neoplasia da pre-esistenti carcinomi ben differenziati. Vale la pena di considerare che qualunque carcinoma differenziato con aree di CA deve essere considerato CA.
La diagnosi differenziale per il carcinoma anaplastico comprende il carcinoma midollare, la patologia metastatica, i linfomi e i sarcomi.
Il carcinoma midollare può avere aspetti citologici comuni al carcinoma anaplastico, come l’ipercellularità, l’organizzazione a cellule singole e la morfologia fuso-cellulare. Nel dubbio il dosaggio della calcitonina plasmatica e sul lavaggio del FNA potrà dirimere facilmente il quesito.
Anche i tumori metastatici devono essere sempre considerati nella diagnosi. Le neoplasie che più frequentemente metastatizzano alla tiroide sono renali, coliche, polmonari, mammarie, melanoma, linfoma e carcinomi squamo-cellulari di testa-collo. Le metastasi tiroidee si possono presentare come grosse masse che sovvertono completamente la ghiandola, noduli multipli o singoli. Oltre agli aspetti morfologici che rimandano al tumore primitivo, la storia clinica e la presenza di elementi neoplastici tiroidei ben differenziati possono essere utili per considerare o escludere una metastasi. In questi casi, l’ausilio delle colorazioni immuno-citochimiche (citocheratine, TTF-1, tireoglobulina) può essere essenziale per formulare la corretta diagnosi, sebbene in alcuni carcinomi anaplastici l’espressione immunocitochimica di tali molecole possa essere persa. Tali colorazioni sono fondamentali anche nella diagnosi differenziale con il linfoma a grandi cellule, la cui morfologia simula, insieme alla presenza di ricca necrosi, il carcinoma tiroideo indifferenziato. Nelle cellule di derivazione linfoide saranno comunque presenti marcatori immuno-citochimici peculiari, quali CD20 e Bcl2.
In caso di concreto dubbio diagnostico, dopo l’FNA possono essere proposte tecniche con “large needle” ed in particolare con l’ago Tru-Cut. Peraltro, l’ampia eterogeneità cellulare del carcinoma anaplastico e l'ampia necrosi, fa sì che non necessariamente un singolo prelievo anche con Tru-Cut, campioni risultati che diano certezza assoluta. Considerata dunque anche la discreta invasività della metodica, si ritiene che essa debba essere riservata qualora multipli FNA non consentano un sufficiente orientamento diagnostico.
Qualunque carcinoma differenziato con aree anaplastiche deve essere considerato carcinoma anaplastico e tutti i carcinomi anaplastici sono considerati fin dall'inizio come stadio IV dall'American Joint Committee on Cancer TNM staging. In particolare nell’8° edizione del 2016 si distinguono stadi:

  • IVa per i casi apparentemente intra-tiroidei;
  • IVb per quelli con diffusione linfonodale;
  • IVc quelli con metastasi a distanza.

La stadiazione della malattia sarà fatta con i metodi classici di diagnostica per immagini e se possibile potrà essere eseguita una PET/TC, che nei casi a evoluzione più favorevole potrà essere anche di ausilio nel follow-up (7).

 

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