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Vincenzo Di Donna1, Erika Leone1, Enrico Papini2, Salvatore Maria Corsello1
1
Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS, Roma
2Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

(aggiornato all'11 gennaio 2020)

Questo capitolo è dedicato all’impiego clinico della ecografia nella patologia tiroidea. Per i presupposti teorici della ecografia, gli strumenti e le modalità di esecuzione vedi “Aspetti tecnici della ecografia tiroidea”; per la procedura dell’ecografia come guida all’ago-aspirato e come ausilio nelle terapie termo-ablative dei noduli tiroidei vedi “Ago-aspirato eco-guidato tiroideo” e “Overview sulle tecniche ablative percutanee"; per le immagini ecografiche illustranti i quadri clinici vedi “Atlante ecografico di patologia tiroidea”.

 

L’ecografia è la metodica di imaging gold standard per la valutazione diagnostica della patologia tiroidea, con particolare riferimento alla stima del rischio di malignità dei noduli e alla conseguente indicazione all’ago-aspirato.

 

INDICAZIONI ALL’ESECUZIONE DELL’ESAME ECOGRAFICO
L’ecografia tiroidea non deve essere usata per lo screening della popolazione generale, in considerazione dell'elevata prevalenza della patologia nodulare (50-60%), della frequenza relativamente bassa (~5%) delle neoplasie maligne e del comportamento generalmente scarsamente aggressivo dei carcinomi differenziati, che ne costituiscono la grande maggioranza (> 90%) (1-3).

Indicazioni all’esecuzione dell’esame ecografico:

  • anamnesi con fattori di rischio per malignità (pregressa irradiazione del distretto testa-collo, anamnesi familiare di carcinoma midollare e/o MEN 2 e/o carcinoma papillifero in parenti di 1° grado, disfonia, disfagia o dispnea persistenti);
  • gozzo o noduli tiroidei palpabili;
  • adenopatia cervicale con caratteri sospetti per malignità;
  • reperto incidentale di lesione focale tiroidea, evidenziata da altre tecniche di imaging (TAC, RM, 18F-FDG-PET, scintigrafia con 99mTc-sestaMIBI). Tale indicazione ha particolare rilievo nei casi di captazione focale in corso di 18F-FDG-PET o scintigrafia con 99mTc-sestaMIBI, a causa del più elevato rischio di malignità in tali circostanze;
  • sospetto clinico di tireopatia diffusa (gozzo, tiroidite di Hashimoto, morbo di Graves, tiroidite subacuta);
  • follow-up delle tireopatie accertate;
  • valutazione precedente alla tiroidectomia o al trattamento con radio-iodio.

 

PATOLOGIA TIROIDEA DIFFUSA
In linea generale si possono individuare i seguenti criteri di base (4,5).

Volume
Non c’è ad oggi un consenso unanime su quale sia il normale volume ghiandolare, che appare comunque correlato al sesso, al peso corporeo e, soprattutto in epoca pediatrica, all’età.
Il gozzo è, per definizione, caratterizzato da un aumento di volume della ghiandola in toto (secondo alcuni autori volume > 20 cc, secondo altri diametro antero-posteriore dei lobi > 2 cm).
La tiroidite di Hashimoto può evolvere sia verso una marcata ipertrofia, sia verso una progressiva ipotrofia della ghiandola.
Il morbo di Graves è associato a gozzo diffuso.
La tiroidite subacuta può associarsi a volume normale o aumentato.
Nelle fasi avanzate dei carcinomi indifferenziati o dei sarcomi (rari) e nel linfoma tiroideo, è generalmente presente un notevole e irregolare aumento volumetrico di un lobo o dell’intera ghiandola.

Ecogenicità ed eco-struttura
La tiroide normale appare tipicamente iperecogena rispetto alle strutture vicine, in relazione a un fisiologico rapporto tra cellule e colloide, con profili regolari ed eco-struttura omogenea legata alla fisiologica organizzazione follicolare del parenchima ghiandolare (fig. 1).

 

Figura 1. Tiroide normale

 

L’ipoecogenicità è espressione di flogosi ed è causata dall’aumento delle cellule infiammatorie rispetto alla colloide. La flogosi può essere acuta (molto rara dopo l’avvento degli antibiotici), subacuta (tiroidite di De Quervain) o cronica (tiroidite autoimmune). La marcata ipoecogenicità ha un elevato valore predittivo per tireopatia autoimmune (fino al 95% dei casi) e si associa a margini ghiandolari lobulati o irregolari (6).
Nella tiroidite subacuta generalmente si riscontrano aree intensamente ipoecogene, a distribuzione zonale o lobare, la cui scansione ecografica provoca caratteristicamente dolore (fig. 2). La ripetizione dell’indagine ecografica nel tempo o in corso di terapia anti-infiammatoria consente di evidenziare cambiamenti nella localizzazione ed estensione delle aree di flogosi (9,10).

 

Figura 2. Tiroidite subacuta: a sinistra istmo e regione para-istmica destra, a destra lobo destro.

 

Nelle tireopatie autoimmuni le aree ipoecogene sono generalmente diffuse e possono evolvere sotto forma di aree lobulate delimitate da setti ecogeni, espressione di fibrosi reattiva, assumendo un carattere pseudo-nodulare, che è necessario distinguere dalle vere lesioni tiroidee (fig. 3). Rispetto a queste ultime, le aree pseudo-nodulari sono nella maggior parte dei casi mal delimitabili e meno riproducibili nel passaggio tra le scansioni trasversale e longitudinale. La disomogeneità dell’eco-struttura ghiandolare può essere fine o grossolana, diffusa o, in alcuni casi, circoscritta solo ad alcune porzioni della ghiandola (forme localizzate).

Figura 3. Quadro ecografico di tiroidite cronica autoimmune: diffusa ipoecogenicità ed ecostruttura disomogenea con aree pseudo-nodulari ipoecogene e strie fibrose iperecogene

 

Il linfoma della tiroide, primitivo o espressione di una malattia sistemica, si presenta generalmente come un gozzo teso e dolorabile, spesso con caratteristiche ecografiche simili alla tiroidite di Hashimoto. Il pattern ecografico tipico del linfoma tiroideo è costituito da una massa solida nell’ambito di una ghiandola fortemente aumentata di volume, ipoecogena (rispetto al tessuto tiroideo circostante) o, più spesso, molto ipoecogena (rispetto ai muscoli pre-tiroidei), con caratteristiche variabili dei margini (7,8) (fig. 4). L’ipoecogenicità è in questo caso dovuta sia all’aumento delle cellule infiammatorie che neoplastiche.

 

 

Figura 4. Linfoma tiroideo

 

Nelle fasi avanzate dei carcinomi indifferenziati o in alcune rare forme di neoplasia (e.g. carcinoma sclerosante diffuso, sarcoma tiroideo), può essere coinvolto un intero lobo, che assume un'ecostruttura disomogenea e rimaneggiata, con ipoecogenicità, anche in questo caso determinata dall’aumento delle cellule sia infiammatorie che neoplastiche, invasione delle parti molli peri-ghiandolari, linfoadenopatie secondarie spesso inglobate. La presenza di zone di necrosi e grossolane calcificazioni è utile per la diagnosi differenziale con il linfoma tiroideo.

 

Vascolarizzazione
L’esame Doppler può evidenziare ipervascolarizzazione delle aree sede di flogosi, generalmente moderata nella tiroidite di Hashimoto e assente nelle aree di tiroidite subacuta.
La malattia di Basedow è caratterizzata da aumento diffuso della vascolarizzazione, che, quando particolarmente elevata e caotica, assume l’aspetto del cosiddetto “inferno tiroideo” (11) (fig. 5).

 

Figura 5. A sinistra tiroidite cronica autoimmune, a destra morbo di Basedow, con quadro di "inferno tiroideo".

 

 

PATOLOGIA NODULARE
Il rischio di malignità è simile nei pazienti con nodulo tiroideo singolo o con lesioni multiple nel contesto di un gozzo. In caso di tireopatie multi-nodulari, oltre alla descrizione sintetica del volume e della struttura ghiandolari, bisogna descrivere numero, sede e dimensioni dei noduli. Maggiore attenzione e dettaglio nella descrizione devono essere specificamente focalizzati sui noduli che presentino caratteristiche ecografiche associate a maggior rischio di malignità e sulla presenza/assenza di adenopatie sospette o segni di crescita extra-capsulare.
Numerosi studi, sia retrospettivi che prospettici, hanno cercato di identificare le caratteristiche ecografiche maggiormente predittive del rischio di malignità dei noduli tiroidei. Le valutazioni di specificità e sensibilità riportate in letteratura per i diversi parametri sono molto variabili e a volte gravate da bias metodologici ed elevata eterogeneità degli studi. Inoltre, l'accuratezza diagnostica dei segni ecografici di malignità consente solo in una minoranza dei casi la certezza della diagnosi di natura delle lesioni e la loro corretta interpretazione varia in rapporto all’esperienza dell’operatore e al livello di attrezzatura utilizzata (12,13). Sono riportati di seguito i singoli parametri ecografici sul cui significato diagnostico c’è il maggior consenso in letteratura. La grande maggioranza dei dati disponibili si riferisce alla popolazione adulta e al carcinoma papillifero della tiroide.

 

Forma
L’aspetto “taller than wide” (nodulo “più alto che largo”, con diametro antero-posteriore maggiore del diametro trasverso nella scansione trasversale) è associato a maggior rischio di malignità, con elevata specificità (fig. 6). Lo sviluppo prevalentemente verticale del nodulo è, infatti, fortemente predittivo di malignità, perché espressione di una crescita centrifuga della lesione attraverso i piani tissutali. Le lesioni benigne, al contrario, tendono ad accrescersi orizzontalmente, lungo una direzione parallela ai piani ghiandolari (fig. 7). La sensibilità diagnostica di questo parametro tuttavia è bassa, perché i carcinomi differenziati (e in particolare i micro-carcinomi) tendono ad apparire come lesioni rotondeggianti e ben delimitate.

 

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Figura 6. Nodulo tiroideo in scansione longitudinale, fortemente ipoecogeno a sviluppo prevalentemente verticale, a margini irregolari e con presenza di alcuni spot iperecogeni intra-lesionali. I rapporti del nodulo con i piani posteriori sono sospetti per invasione della capsula tiroidea.

 

 

Figura 7. Nodulo con accrescimento orizzontale lungo una direzione parallela ai piani ghiandolari.

 

 

Margini
Il reperto di margini spiculati o micro-lobulati è fortemente predittivo di malignità, perché espressione di accrescimento infiltrativo e non espansivo (fig. 8). Al contrario, margini indistinti e mal definiti possono essere presenti sia in lesioni maligne che benigne. Alcuni noduli benigni, infatti, sono incompletamente incapsulati e i loro margini possono confondersi con il tessuto tiroideo circostante.

 

 

Figura 8. Margini spiculati, con micro-calcificazioni. Carcinoma papillifero.

 

Margini lisci e ben definiti, così come la presenza di un alone ipoecogeno periferico uniformemente sottile (“halo sign”), sono caratteri fortemente predittivi di benignità (fig. 9); si pensa che l’alone periferico possa essere dovuto alla capsula del nodulo, ai vasi circostanti o alla compressione del parenchima adiacente. Si ricordi tuttavia che i micro-carcinomi papilliferi di piccole dimensioni appaiono spesso come lesioni tondeggianti a margini ben definiti.

 

Figura 9. Halo sign.

 

Ecogenicità
L’ipoecogenicità è dovuta all’aumento della quota cellulare rispetto alla colloide. Una marcata ipoecogenicità (simile a quella dei muscoli pre-tiroidei) è associata ad aumento del rischio di malignità con elevata specificità (fig. 10); talvolta può essere difficile distinguerla dall’ecogenicità di una raccolta liquida densa, ma l'uso del Doppler e i cambiamenti di posizione sono dirimenti nei casi dubbi. È importante differenziarla dalla debole ipoecogenicità (valutata rispetto al parenchima tiroideo circostante), perché questa è comune tanto alla patologia maligna che benigna e ha una minore accuratezza diagnostica (fig. 11).

 

Figura 10. Nodulo tiroideo marcatamente ipoecogeno a margini regolari in sede para-carotidea. In caso di marcata ipoecogenicità può essere difficile distinguere un nodulo solido da una raccolta liquida densa. L'uso dell'ecodoppler e i cambiamenti di posizione sono dirimenti nei casi dubbi.

 

 

 

Figura 11. Nodulo debolmente ipoecogeno: a sinistra scansione trasversale, a destra scansione longitudinale.

 

L’isoecogenicità, legata al mantenimento del normale rapporto colloide/cellule, soprattutto nel contesto di noduli multipli, omogenei e parzialmente confluenti nell’ambito di una ghiandola aumentata di volume, è fortemente suggestiva di gozzo nodulare benigno (fig. 12).

 

Figura 12. Scansione longitudinale della tiroide. È presente nodulo con ecogenicità e tessitura del tutto simile al tessuto tiroideo circostante (isoecogeno). I margini sono ben definiti da un sottile alone ipoecogeno incompletamente visualizzato.

 

Sia l’aspetto spongiforme, definito da una isoecogenicità con multiple e fini cribrature colloidi (> 50% del nodulo) (fig. 13), che l’anecogenicità, indicativa di una lesione fluida, sono altamente suggestivi di benignità. In particolare, le lesioni cistiche con assenza di aggetti endo-luminali o pareti ispessite sono pressoché invariabilmente benigne (fig. 14). Cautela deve essere rivolta, al contrario, alle lesioni complesse, caratterizzate da ampia ma non esclusiva componente liquida, soprattutto se in presenza di micro-calcificazioni o intensa vascolarizzazione.

 

Figura 13. Nodulo «spongiforme»

 

 

Figura 14. Nodulo cistico con setto periferico

 

Le neoplasie follicolari (sia adenomi che carcinomi) generalmente appaiono come noduli isoecogeni o debolmente ipoecogeni, omogenei, con vascolarizzazione intra-nodulare e alone periferico ben definito.

 

Micro-calcificazioni
Sono fortemente sospette per un carcinoma papillifero, perché espressione della presenza di corpi psammomatosi (depositi calcifici laminari all’interno delle papille tumorali). Sfortunatamente, l’elevata specificità di questo reperto si associa a una sensibilità piuttosto bassa. Il cono d’ombra posteriore è normalmente assente in caso di micro-calcificazioni singole (fig. 8), mentre può essere presente per quelle raggruppate (fig. 15). È necessaria un’attenta diagnosi differenziale rispetto a spot iperecogeni di altra natura, principalmente le “comet tails” provocate dall’interfaccia fra le componenti solide e colloidi dei noduli misti (fig. 16).

 

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Figura 15. Nodulo ipoecogeno lobo destro, di aspetto rotondeggiante, con numerose micro-calcificazioni intra-lesionali. il raggrupparsi delle micro-calcificazioni causa un cono d'ombra posteriore normalmente assente in caso di singole micro-calcificazioni.

 

 

Figura 16. Artefatto «comet tail»

 

Alcuni carcinomi papilliferi, in particolare la variante sclerosante, possono apparire anche come micro-calcificazioni intra-parenchimali diffuse (“a cielo stellato” o a “tempesta di neve”), in assenza di noduli associati (14-16).

 

Macro-calcificazioni
Possono essere intra-nodulari o a guscio d’uovo (figg. 17-18), continue, frammentate o grossolane ("coarse calcifications"), nel contesto di gozzi di vecchia data (come evoluzione di aree distrofiche o emorragiche), ma anche in un'elevata percentuale di carcinomi midollari e anaplastici. Il loro significato deve quindi essere valutato nel contesto degli altri caratteri ecografici della lesione: sono caratteri di sospetto marcata ipoecogenicità, disomogeneità strutturale, irregolarità o mancata delimitazione dei margini (fig. 19). In particolare, è suggestiva di malignità la presenza di una rima calcifica interrotta, con estensione del tessuto nodulare oltre il margine calcifico stesso.

 

Figura 17. Calcificazione «a guscio d'uovo»

 

 

Figura 18. Macro-calcificazione intra-nodulare con cono d'ombra posteriore.

 

 

Figura 19. Macro-calcificazioni grossolane e micro-calcificazioni (carcinoma papillifero)

 

Estensione extra-capsulare
L’estensione della lesione oltre la capsula tiroidea e l’invasione dei muscoli pre-tiroidei o dei tessuti e organi vicini, sono altamente indicativi di malignità, con specificità molto alta (prossima al 100%), ma sensibilità molto bassa. L’estensione extra-capsulare va sospettata in caso di rigonfiamento, interruzione e abutment (deformazione a forma di spalla; controversa dal punto di vista del significato clinico) della linea iperecogena che rappresenta la capsula tiroidea (fig. 20).

 

Figura 20. A sinistra, nodulo affiorante a livello della capsula tiroidea, che appare come una linea iperecogena interrotta. A destra, nodulo che deforma la capsula tiroidea senza chiara evidenza di estensione extra-ghiandolare (abutment).

 

Linfoadenopatie
La presenza di linfoadenopatie con caratteri sospetti per malignità (aumento di volume con assenza di ilo vascolare, degenerazione cistica, micro-calcificazioni) ha specificità molto alta (prossima al 100%), soprattutto in caso di associazione di più segni, ma sensibilità relativamente bassa. Costituiscono caratteri di sospetto meno specifici, soprattutto se isolati, l’aspetto rotondeggiante (diametro antero-posteriore ≥ diametro longitudinale), l’ipoecogenicità e la presenza di vascolarizzazione vivace e con arborizzazione anomala (17) (fig. 21).

 

 

Figura 21. Metastasi linfonodale da carcinoma papillifero: a sinistra scansione trasversa, a destra scansione longitudinale.

 

Vascolarizzazione
L'ipervascolarizzazione intra-lesionale è frequente nei carcinomi tiroidei, ma il reperto è di comune osservazione anche nei noduli benigni, soprattutto se funzionalmente autonomi. Inoltre, alcuni micro-carcinomi papilliferi possono apparire avascolari al segnale color- o power-Doppler. La vascolarizzazione intra-lesionale caotica presenta maggiore specificità (fig. 22).

 

Figura 22. Da sinistra a destra: vascolarizzazione esclusivamente periferica in due noduli contigui citologicamente benigni; vascolarizzazione periferica con segnali intra-nodulari accennanti in adenoma follicolare; intensa vascolarizzazione intra-lesionale a carattere caotico in carcinoma follicolare tiroideo.

 

 

Dimensioni e accrescimento
Il volume del nodulo e la sua velocità di accrescimento non consentono di distinguere, nella maggioranza dei casi, le lesioni benigne da quelle maligne. Molti noduli benigni presentano una crescita lenta nel tempo, ma solo una minoranza di tumori a comportamento aggressivo (carcinomi scarsamente differenziati o anaplastici, linfomi e sarcomi della tiroide) si distinguono da essi per il rapido incremento dimensionale (nel corso di settimane o mesi).
In considerazione della variabilità inter ed intra-osservatore dell'esame ecografico, vi è ampio consenso nel ritenere significativa una crescita del nodulo se maggiore di 2 mm e del 20% in almeno due diametri oppure se maggiore del 50% del suo volume.

 

Secondo una revisione sistematica e metanalisi di 41 studi dal 1989 al 2012, su circa 30.000 noduli non selezionati in più di 10.000 pazienti con diagnosi di malignità confermata istologicamente, il rischio di malignità delle singole caratteristiche ecografiche, espresso in termini di Odds Ratio, varia come riportato in tabella 1 (18).

 

Tabella 1
Odds ratio (OR) delle singole caratteristiche ecografiche associate con aumentato rischio di malignità (modificata da 18)
Caratteristica ecografica OR Intervallo di confidenza (95%) P
Forma “taller than wide 10.15 6.72-15.33 < 0.001
Assenza di “halo sign 7.14 3.71–13.71 0.004
Micro-calcificazioni 6.76 4.72–9.69 < 0.001
Margini irregolari 6.12 3.12–12.02 < 0.001
Ipoecogenicità 5.07 3.47–7.43 < 0.001
Ecostruttura solida 4.69 2.63–8.36 < 0.001
Vascolarizzazione intra-nodulare 3.31 1.81–0.06 < 0.001
Nodulo ≥ 4 cm 1.63 1.04–2.55 0.03
Nodulo singolo 1.43 1.09–1.88 0.01

 

 

INDICAZIONI ALL’AGO-ASPIRATO (FNA)
Nessun carattere ecografico da solo è in grado di predire con sufficiente accuratezza il rischio di malignità e dovrebbe essere usato un approccio basato sulla combinazione di più caratteristiche (“classic pattern” approach). Negli ultimi dieci anni sono stati proposti vari sistemi di classificazione dei reperti ecografici del nodulo tiroideo, al fine di: uniformare il linguaggio di refertazione, stratificare il rischio di malignità, guidare l’indicazione all’agoaspirato tiroideo, diagnosticare le neoplasie maligne clinicamente significative ed evitare il rischio di overdiagnosis e overtreatment. Sono inoltre allo studio sia un sistema unico di classificazione, che raccolga e sintetizzi gli elementi principali degli altri, sia sistemi di intelligenza artificiale in grado di migliorare la performance diagnostica dell’ecografia tiroidea.
Sono riportati di seguito i sistemi sui quali si ha maggior consenso a livello internazionale (1,2,19-23), tutti basati principalmente sul carcinoma papillifero e ancora in fase di validazione in studi prospettici su larga scala. La valutazione dei fattori di rischio clinici per carcinoma della tiroide deve comunque sempre costituire parte integrante della valutazione diagnostica del nodulo tiroideo.

 

 

EU-TIRADS (European Thyroid Imaging and Reporting Data System)
Comprende 5 categorie: normale, benigno, rischio basso, rischio intermedio, rischio alto (tabella 2).

 

Tabella 2a
Definizioni EU-TIRADS
Composizione Solido: componente liquida < 10%.
Misto prevalentemente solido: componente liquida 10-50%.
Misto prevalentemente cistico: componente liquida 50-90%.
Cistico: totalmente o quasi totalmente liquido.
Forma Ovale: diametro antero-posteriore (AP) < diametro trasverso (T) nelle scansioni trasversa e longitudinale.
Arrotondata: diametro AP = T nelle scansioni trasversa e longitudinale.
“Taller than wide”: diametro AP/T >1.
“Taller than long”: diametro AP/longitudinale (L) >1.
Ecogenicità Nella tiroidite autoimmune l'ecogenicità può essere definita rispetto alle ghiandole salivari sotto-mandibolari considerata come normale.
Debole ipoecogenicità: rispetto al tessuto tiroideo normale.
Marcata ipoecogenicità: rispetto ai muscoli pre-tiroidei.
Ecostruttura Disomogenea: porzione solida del nodulo mista iso ed ipoecogena.
Omogenea: porzione solida del nodulo di aspetto uniforme.
Margini Irregolari: spiculati (irregolari con angoli acuti) o micro-lobulati (ondulati) se presenti almeno una lobulazione o spiculazione.
Mal definiti: mancanza di una chiara delimitazione rispetto al tessuto tiroideo circostante.
Regolari.
Macro-calcificazioni Foci ecogeni > 1 mm con ombra posteriore.
Spot iperecogeni Foci ecogeni peri-millimetrici, che possono corrispondere a:
  • cristalli di colloide o detriti di fibrina: generano artefatti comet tails di riverberazione e sono quasi sempre suggestivi di benignità;
  • rinforzi acustici posteriori di aree micro-cistiche, suggestivi di benignità;
  • micro-calcificazioni vere, corrispondenti a corpi psammomatosi, senza ombra acustica, localizzati nella componente solida del nodulo, altamente suggestive di malignità, soprattutto se associate a macro-calcificazioni;
  • spot iperecogeni di incerto significato, che non possono essere attribuiti con certezza alle tre categorie precedenti, di forma sia lineare che arrotondata.
Estensione extra-tiroidea Va sospettata in caso di rigonfiamento, interruzione e abutment della capsula tiroidea.
Vascolarizzazione Tipo I: assenza di flusso.
Tipo II: flusso peri-nodulare e/o intra-nodulare lieve.
Tipo III: flusso intra-nodulare marcato e peri-nodulare lieve.

 

 

Tabella 2b
Classificazione EU-TIRADS
Categoria Caratteristiche noduli Rischio di malignità (%) Indicazione a FNA
EU-TIRADS 1 Assenti / /
EU-TIRADS 2 (benigno) Totalmente cistici (anche settati).
Interamente spongiformi.
~ 0 Sintomi compressivi
EU-TIRADS 3 (rischio basso) Con forma ovale, margini lisci, iso o iperecogeni, senza caratteristiche di rischio alto. 2-4 > 20 mm*
EU-TIRADS 4 (rischio intermedio)

Con forma ovale, margini lisci, debole ipoecogenicità**, senza caratteristiche di rischio alto.
Il rischio di malignità è:

  • abbassato da: presenza di sottile alone periferico, componente cistica, artefatti comet tails, vascolarizzazione periferica e bassa rigidità;
  • aumentato da: presenza di macro-calcificazioni periferiche discontinue, alone periferico ispessito, vascolarizzazione prevalentemente centrale ed elevata rigidità.
6-17 > 15 mm
EU-TIRADS 5 (rischio alto) Con almeno uno tra:
  • forma non ovale
  • margini irregolari
  • micro-calcificazioni
  • marcata ipoecogenicità.
26-87 > 10 mm°
< 10 mm in caso di linfonodi sospetti o crescita del nodulo, preferenza del paziente
In caso di linfonodi sospetti e/o estensione extra-tiroidea: eseguire sempre FNA.
*In caso di noduli isoecogeni raggruppati o confluenti: eseguire FNA in caso di uno o più noduli > 20 mm.
**In caso di ecogenicità eterogenea della componente solida, la presenza di tessuto ipoecogeno classifica il nodulo nel rischio intermedio.
°In caso di un primo esame citologico benigno, l’FNA dovrebbe essere ripetuto entro 3 mesi per ridurre il tasso di falsi negativi.

 

 

 

ACR TI-RADS (American College of Radiology Thyroid Imaging and Reporting Data System)
Comprende 5 categorie definite da un punteggio numerico da attribuire alle singole caratteristiche ecografiche: benigno, non sospetto, lievemente sospetto, moderatamente sospetto, altamente sospetto (tabella 3).

 

Tabella 3a
Definizioni e punteggi ACR TI-RADS
Composizione (i punteggi vanno assegnati in base alla componente predominante) Cistica o quasi completamente cistica: 0 punti.
Spongiforme (piccole aree cistiche in almeno il 50%): 0 punti.
Mista cistica e solida: 1 punto.
Solida o quasi completamente solida: 2 punti.
Nel caso la composizione non possa essere determinata a causa delle calcificazioni, assegnare 2 punti.
Forma (nella scansione trasversa, con misurazione dell’altezza parallela al fascio US e della larghezza perpendicolare al fascio US, anche se generalmente è un aspetto evidente alla semplice ispezione visiva) Wider than tall: 0 punti:
Taller than wide: 3 punti.
Ecogenicità Anecogenicità (noduli cistici o quasi completamente cistici): 0 punti.
Iso o iperecogenicità: 1 punto.
Ipoecogenicità: 2 punti.
Marcata ipoecogenicità (rispetto ai muscoli pre-tiroidei): 3 punti.
Nel caso l’ecogenicità non possa essere determinata, assegnare 1 punto.
Margini Lisci: 0 punti.
Mal definiti: 0 punti.
Lobulati (protrusioni nel tessuto adiacente) o irregolari (frastagliati, spiculati o ad angolo acuto): 2 punti.
Nel caso i margini non possano essere determinati, assegnare 0 punti.
Foci ecogeni Nessuno o artefatti comet tails (V-shaped, > 1 mm, nelle porzioni cistiche del nodulo): 0 punti.
Macro-calcificazioni (presenza di ombra posteriore): 1 punto.
Rima calcifica periferica (completa o incompleta): 2 punti.
Foci ecogeni puntati (più piccoli delle macro-calcificazioni, senza ombra acustica, possono corrispondere a corpi psammomatosi associati con il carcinoma papillifero, quando presenti nella porzione solida del nodulo, piccoli artefatti comet tails o rinforzi acustici posteriori, quando presenti  nelle porzioni cistiche del nodulo): 3 punti.
Estensione extra-tiroidea Estesa (franca invasione dei tessuti molli adiacenti e/o delle strutture vascolari, altamente indicativa di malignità) o minima (da sospettare in caso di rigonfiamento, interruzione o abutment della capsula tiroidea): 3 punti.

 

 

 

Tabella 3b
Classificazione ACR TI-RADS
Punteggio Categoria Rischio di malignità (%) Indicazione all’ FNA
0 punti TR1 (benigno) 2 No
2 punti TR2 (non sospetto) 2 No
3 punti TR3 (lievemente sospetto) 5 ≥ 25 mm*
4-6 punti TR4 (moderatamente sospetto) 5-20 ≥ 15 mm
≥ 7 punti TR5 (altamente sospetto) > 20 ≥ 10 mm
< 10 mm in caso di linfonodi sospetti, sede peri-tracheale o peri-ricorrenziale, preferenza del paziente
In caso di linfonodi sospetti e/o estensione extra-tiroidea: eseguire sempre FNA.
Si raccomanda di misurare i noduli nei tre assi: dimensione massima su un’immagine assiale, dimensione massima perpendicolare alla precedente misurazione sulla stessa immagine e dimensione longitudinale massima su un’immagine sagittale. Per i noduli con orientamento obliquo, queste misure potrebbero essere differenti da quelle usate per definire un nodulo “taller than wide”, ma questa discrepanza raramente ha rilevanza clinica. Le misurazioni dovrebbero includere anche l’alone del nodulo se presente.
*Il cut-off di 20 mm che i principali sistemi di classificazione utilizzano per porre indicazione all’esecuzione dell’FNA nei noduli a basso rischio, deriva dall’osservazione che il rischio cumulativo di metastasi a distanza da DTC aumenta oltre tale soglia. Il sistema ACR TI-RADS innalza il limite a 25 mm sulla base del rilievo di una tendenza dell’ecografia a sovra-stimare le dimensioni dei noduli rispetto ai campioni istologici.

 

 

 

AACE/ACE/AME (American Association of Clinical Endocrinologists, American College of Endocrinology, Associazione Medici Endocrinologi)
Comprende 3 categorie (rischio basso, intermedio, alto) e un atlante di immagini di riferimento (tabella 4).

 

Tabella 4a
Definizioni AACE/ACE/AME
Composizione Spongiforme se spazi micro-cistici > 50%.
Prevalentemente cistico: componente liquida > 50%.
Forma "Taller than wide” se diametro AP/T ≥ 1 nella scansione trasversa o longitudinale.
Ecogenicità Debole ipoecogenicità: rispetto al tessuto tiroideo normale.
Marcata ipoecogenicità: rispetto ai muscoli pre-tiroidei.
Margini Mal definiti: mancanza di chiara delimitazione rispetto al tessuto tiroideo circostante per più del 50% del perimetro nodulare.
Regolari: lisci.
Irregolari: spiculati o lobulati.
Calcificazioni Macro-calcificazioni “coarse”.
Micro-calcificazioni: foci ecogeni puntati < 1 mm, senza ombra acustica posteriore, possibile in caso di raggruppamento.
Calcificazioni periferiche: rima calcifica o “a guscio d’uovo”; se discontinue e associate ad alone esterno spesso e marcatamente ipoecogeno, sono predittive di malignità.
In caso di incertezza, descrivere “spot iperecogeni di incerto significato”.
Vascolarizzazione Assenza di flusso sanguigno: assenza di rilevante color-fow mapping sia in periferia che nella porzione centrale del nodulo.
Pattern periferico: vascolarizzazione prevalentemente lungo il bordo del nodulo.
Pattern intra-nodulare: marcata vascolarizzazione nella parte centrale del nodulo, chiaramente aumentata rispetto al tessuto peri-nodulare.

 

 

Tabella 4b
Classificazione AACE/ACE/AME
Categoria Caratteristiche Rischio di malignità (%) Indicazione all’FNA
Classe 1 (rischio basso) Noduli in gran parte cistici (> 50%), con artefatti di riverberazione non associati a segni ecografici di sospetto.
Noduli isoecogeni spongiformi confluenti o con alone regolare.
~ 1 > 20 mm e incremento volumetrico
Anamnesi indicativa di elevato rischio neoplastico
Prima della chirurgia o di terapia ablativa minimamente invasiva
Classe 2 (rischio intermedio) Noduli debolmente ipoecogeni e isoecogeni, di forma ovoidale-arrotondata, con margini regolari o indefiniti.
Possono essere presenti:
  • vascolarizzazione intra-nodulare;
  • durezza elevata all’elastografia;
  • macro-calcificazioni;
  • calcificazioni marginali continue;
  • spot iperecogeni di incerto significato.
5-15 > 20 mm
Classe 3 (rischio alto) Noduli con almeno 1 tra:
  • marcata ipoecogenicità;
  • margini spiculati o micro-lobulati;
  • micro-calcificazioni;
  • forma “taller than wide”;
  • evidenza di crescita extra-tiroidea o di adenopatia patologica.
50-90 ≥ 10 mm.
Tra 5 e 10 mm:
  • lesioni sub-capsulari o para-tracheali;
  • storia personale o familiare di cancro tiroideo;
  • coesistenti caratteristiche cliniche di sospetto (p.e. irradiazione testa-collo, disfonia);
  • preferenza del paziente.
In caso di linfonodi sospetti o estensione extra-tiroidea: eseguire sempre FNA.
Per la valutazione delle dimensioni e della crescita dei noduli, si raccomanda di utilizzare il volume calcolato con la formula dell’ellissoide, più accurato rispetto al diametro maggiore sull’asse longitudinale, gravato da maggiore variabilità inter-osservatore.

 

 

 

ATA (American Thyroid Association)
Comprende 5 categorie (benigno, sospetto molto basso, sospetto basso, sospetto intermedio, sospetto alto) e un atlante di immagini di riferimento (tabella 5).

 

Tabella 5
Classificazione ATA
Categoria Caratteristiche Rischio di malignità (%) Indicazione all’FNA
Benigno Noduli totalmente cistici. < 1 No*
Sospetto molto basso Noduli spongiformi o parzialmente cistici, senza caratteristiche di sospetto delle successive categorie. < 3 ≥ 20 mm**
Sospetto basso Noduli iso o iperecogeni.
Noduli parzialmente cistici con aree solide eccentriche, senza caratteristiche di sospetto elevato.
5–10 ≥ 15 mm
Sospetto intermedio Noduli ipoecogeni con margini lisci, senza caratteristiche di sospetto elevato. 10–20 ≥ 10 mm
Sospetto alto Noduli ipoecogeni solidi o parzialmente cistici con almeno uno tra:
  • forma “taller than wide”;
  • margini irregolari;
  • micro-calcificazioni;
  • rima calcifica con piccola estrusione di tessuto solido;
  • evidenza di invasione extra-tiroidea.
> 70-90 ≥ 10 mm
< 10 mm in caso di linfonodi sospetti, estensione extra-tiroidea, preferenza del paziente
In caso di linfonodi sospetti e/o estensione extra-tiroidea: eseguire sempre FNA.
*L’aspirazione delle cisti può essere considerata per il drenaggio a scopo decompressivo o estetico.
**Opzionale, anche l’osservazione è una scelta ragionevole.

 

 

BIBLIOGRAFIA

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ALTERAZIONI DIFFUSE

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Lieve ipoecogenicità diffusa (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Lieve ipoecogenicità diffusa (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Ecostruttura disomogenea (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Aree ipoecogene focali multiple (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Marcata ipoecogenicità e strie fibrose intense (tiroidite di Hashimoto)

 

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Ingrandimento tiroide ed ecostruttura disomogenea (malattia di Graves)

 

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Ipoecogenicità e strie fibrose (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Margini posteriori lobulati e aspetti pseudo-nodulari (malattia di Graves)

 

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Margini posteriori lobulati (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Forma ipo-atrofica di tiroidite autoimmune cronica

 

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Ingrandimento tiroideo asimmetrico in tiroidite autoimmune cronica

 

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Ingrandimento tiroideo asimmetrico in tiroidite autoimmune cronica

 

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Linfonodi reattivi nel compartimento centrale del collo (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Pseudo-nodulo da alterazioni fibrotiche (tiroidite autoimmune cronica)

 

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Vascolarizzazione marcatamente aumentata (malattia di Hashimoto)

 

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Vascolarizzazione marcatamente aumentata (malattia di Graves)

 

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“Inferno” tireotossico (malattia di Graves)

 

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“Inferno” tireotossico (malattia di Graves)

 

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Area ipoecogena irregolare in tiroidite attinica

 

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Aree ipoecogene diffuse, mal definite, di estensione variabile (tiroidite subacuta di De Quervain)

 

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Tiroidite subacuta (di De Quervain)

 

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Tiroidite subacuta (di De Quervain) in trattamento steroideo

 

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Tiroidite subacuta (di De Quervain) in trattamento steroideo

 

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Tiroidite di Riedel

 

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Tiroidite di Riedel

 

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Tiroidite acuta suppurativa

 

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Tiroidite acuta suppurativa

 

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Linfoma tiroideo

 

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Linfoma tiroideo


 

ALTERAZIONI FOCALI


 

 

Aspetto ipoecogeno

 

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Margini irregolari

 

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Microcalcificazioni

 

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Flusso intra-lesionale (a sinistra) e pri-lesionale (a destra): il flusso intra-lesionale è rilevato fino al 70% delle lesioni maligne e fino al 50% delle benigne

 

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Aspetto “più alto che largo”

 

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Ghiandola ingrandita, micronoduli multipli confluenti, isoecogeno, non capsula: iperplasia (TI-RADS2)

 

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’il cavaliere bianco' (TI-RADS2)

 

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Lesione anecogena, margini sottili e regolari, non  segnale vascolare, non segni sospetti: cisti semplice (TI-RADS2)

 

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Segno della “coda di cometa”: spot iperecogeni intra-colloidei, diametro 0.5-2 mm, associato con aspetto a coda di cometa, mobile con la postura

 

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Area ipoecogena, disomogenea, a margini sfumati; frequentemente multiple e bilaterali, con scarsa vascolarizzazione: tiroidite subacuta (contesto clinico) (TI-RADS2)

 

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Macrocalcificazioni (cono d'ombra posteriore, isolate, senza componente tissutale, non segnali vascolari): TI-RADS2

 

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Piccole aree liquide in > 50% del nodulo, aree isoecogene di spessore variabile, non segni sospetti: nodulo spongiforme (TI-RADS2)

 

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Multiple aree liquide in > 50% del nodulo, setti isoecogeni di spessore variabile, non segni sospetti: nodulo spongiforme (TI-RADS2)

 

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Lesioni cistiche sospette

 

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Forma regolare “più largo che alto” (TI-RADS 3)

 

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Spot iperecogeni (accumuli di colloide densa) (TI-RADS 3)

 

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Alone sottile e regolare (TI-RADS 3)

 

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Nodulo isoecogeno + macrocalcificazioni (TI-RADS3)

 

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Moderata ipoecogenicità (TI-RADS 4A)

 

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Moderata ipoecogenicità (attenzione al gain)

 

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Margini sfumati

 

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Nodulo fortemente ipoecogeno (più ipoecogeno dei muscoli superficiali) (TI-RADS 4B)

 

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Margini spiculati (irregolari con angoli acuti) (TI-RADS 4B)

 

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Margini lobulati (ondulati, con almeno 3 piccole sporgenze) (TI-RADS 4B)

 

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Margini lobulati (ondulati, con almeno 3 piccole sporgenze) (TI-RADS 4B)

 

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Microcalcificazioni (spot iperecogeni, tondi o lineari, diametro < 1mm, senza cono d’ombra posteriore a meno che vi sia aggregazione) (TI-RADS 4B)

 

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Microcalcificazioni

 

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Rima di calcificazione irregolare

 

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Forma irregolare (più alto che largo) (TI-RADS 4B)

 

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Score elastografico 4 (TI-RADS 4B)

 

 

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Segni sospetti multipli (marcata ipoecogenicità, margini microlobulati e forma più alta che larga) (TI-RADS 5)

 

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Segni sospetti multipli (marcata ipoecogenicità, margini irregolari, forma più alta che larga e crescita extra-capsulare) (TI-RADS-5)

 

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Segni sospetti multipli (marcata ipoecogenicità, margini microlobulati, microcalcificazioni, forma più alta che larga e linfonodo patologico) (TI-RADS-5)

 

 


LINFONODI

Criteri di benignità linfonodale: presenza di ilo, aspetto piatto e allungato, L/S > 2, non segni sospetti, ilo ben vascolarizzato

 

 

 

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Modificazioni vascolari: dal linfonodo benigno al maligno
Linfonodo normale (sopra): vascolarizzazione centrale
Linfonodo maligno (sotto): vascolarizzazione periferica

 

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Criteri per malignità linfonodale: aspetto cistico

 

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Criteri per malignità linfonodale: aspetto simile al tessuto tiroideo normale

 

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Criteri per malignità linfonodale: vascolarizzazione sparsa, mista o periferica

 

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Criteri per malignità linfonodale: assenza di ilo
Linfonodi con ilo normalmente ecogeno sono benigni
L’ilo non è visibile nel 30% dei linfonodi istologicamente normali

 

 

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Criteri per malignità linfonodale: dimensioni e forma
La dimensione non è un buon predittore di malignità (la maggior parte dei linfonodi normali ha un asse corto 8 mm: buon indicatore di malignità)
La localizzazione linfonodale è utile per le decisioni
Forma: arrotondata
Indice di Steinkamp: asse maggiore/asse minore < 2

 

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Criteri per malignità linfonodale: microcalcificazioni

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Francesca Ianni1 & Vincenzo Di Donna2
1Ambulatorio di Endocrinologia e Diabetologia, ASL Rieti e Latina
2Fondazione Policlinico “Agostino Gemelli” IRCCS, Roma

(aggiornato al 12 settembre 2021)

 

INTRODUZIONE
L’elastosonografia (o elastografia) è una tecnica di diagnostica ecografica che ha lo scopo di fornire un’informazione sul grado di elasticità o rigidità (“stiffness”) del tessuto in esame. Il principio su cui si basa è lo stesso della palpazione nell’ambito della semeiotica medica, partendo dal presupposto che diversi processi patologici (neoplastici, infiammatori) inducono alterazioni delle caratteristiche fisiche dei tessuti. Si è visto infatti che i noduli tiroidei maligni, in particolare il carcinoma papillare, appaiono più frequentemente rigidi, perché oltre ad una proliferazione di cellule maligne, si verifica una modifica dello stroma di sostegno, con prevalenza di collagene e fibromioblasti, che conferisce minore deformabilità al tessuto neoformato.
Il riscontro di consistenza dura alla palpazione di un nodulo tiroideo è associato ad aumentato rischio di malignità. Tuttavia, l’attendibilità della palpazione è limitata dalla capacità dell’operatore, dalla scarsa precisione nella discriminazione spaziale e dall’impossibilità di raggiungere le strutture profonde. Noduli piccoli, profondi e localizzati nel contesto di tireopatie multi-nodulari non possono essere palpati con accuratezza. L’elastografia, quindi, è stata proposta come “palpazione elettronica” (1), introdotta per la prima volta in letteratura nel 1991 (2) e descritta come applicazione clinica per la tiroide nel 2005 (3).
L’elastografia fornisce una valutazione della deformabilità di una struttura in risposta a una forza meccanica applicata; si basa sul principio di elasticità dei materiali. Nonostante la non uniformità elastica delle strutture corporee, è comunque stata verificata l’efficacia nell’utilizzo diagnostico dell’applicazione delle leggi fisiche sull’elasticità. Secondo tale principio, un corpo elastico, sottoposto a una forza (sforzo o stress) misurabile in relazione a una unità di superficie, reagisce con una deformazione, sia in direzione assiale (parallela alla direzione di tale forza) che trasversale (perpendicolare a tale direzione). Il rapporto tra sforzo applicato e deformazione che ne deriva costituisce il modulo di elasticità di un materiale.
Una trattazione specifica esula dallo scopo di questo capitolo, tuttavia si rammentano in figura 1 le equazioni su cui si basano i software elastosonografici:

  • per la direzione assiale il modulo di elasticità (E) di Young: può essere ottenuto tramite la legge di Hooke: E = σ/ε (dove σ = sforzo applicato per unità di superficie, ε = strain, espansione per unità di lunghezza) (fig 1a);
  • per la direzione trasversale le onde meccaniche trasversali (shear waves), determinate dallo spostamento dei tessuti e rappresentate dal modulo di rigidità G: ν = rapporto di Poisson’s che esprime la resistenza offerta da un materiale al cambiamento della forma, stimato nel corpo umano intorno a 0.5, quindi si approssima che E = 3G; ρ = densità del mezzo; Cs = velocità di propagazione delle onde (fig.1b).

 

 

Figura 1. a: modulo di elasticità di Young (E); b: modulo di rigidità (G).

 

 

METODICHE DI ELASTOSONOGRAFIA
Le metodiche elastografiche attualmente disponibili nelle varie apparecchiature ecografiche, si possono comprendere in due categorie (fig 2).

 

Figura 2. Metodiche elastosonografiche per la tiroide.
Strain elastography: a sinistra, misura dello spostamento longitudinale, parallelo alla sorgente dell’impulso; ne fanno parte la strain imaging, con compressioni esterne o intrinseche fisiologiche, e ARFI strain imaging, che utilizza un fascio di ultrasuoni focalizzati come forza applicata.
Shear waves elastography, SWE: a destra, propagazione della velocità delle onde trasverse, shear waves; ne fanno parte la point SWE, che utilizza un singolo fascio di ultrasuoni, e la 2D-SWE, che utilizza multiple zone focali dal fascio di ultrasuoni focalizzati.

 

Strain elastography
È stata la prima tecnica elastografica e, in base al tipo di forza esterna applicata, si distingue in “strain imaging” (compressione manuale o da movimento fisiologico interno cardio-vascolare o respiratorio) e “acoustic radiation force impulse (ARFI) strain imaging” (fascio di ultrasuoni focalizzati ad alta intensità). Nella pratica l’ARFI strain imaging è meno utilizzata per la ghiandola tiroidea.
La strain elastography misura la variazione di profondità del segnale all’interno del tessuto (parallela alla forza applicata) nelle fasi di compressione/decompressione. Viene visualizzata in real-time come mappa di colore codificata (convenzionalmente dal rosso, massima elasticità, al blu, massima rigidità), chiamata “elastogramma”, che appare come box sovrapposto all’immagine B-mode (fig 3). L’elastogramma fornisce una valutazione qualitativa e operatore-dipendente, tuttavia si può ottenere una misurazione semi-quantitativa detta strain ratio”, rappresentata dal rapporto tra la deformazione tissutale misurata nella lesione in esame (region of interest, ROI) e la deformazione tissutale di una porzione di tessuto normale di riferimento. Uno strain ratio > 1 indica che il tessuto in esame è più rigido del tessuto normale di riferimento.

 

 

Figura 3. Nodulo tiroideo solido ipoecogeno eterogeneo e a margini irregolari, risultato prevalentemente “hard”, con strain ratio di 3.98. Esame istologico: carcinoma papillare tiroideo (4).

 

Shear wave elastography
Utilizza ARFI di breve durata per creare onde trasversali (“shear waves”) all’interno della struttura in esame, misurando la velocità di propagazione di tali onde a partire dall’epicentro verso la periferia. A differenza della precedente tecnica, fornisce una misurazione quantitativa della rigidità tissutale (espressa in velocità di propagazione delle shear waves o in kPa dal modulo di Young) di un campione di tessuto. Ci sono due tecniche:

  • point shear wave elastography (pSWE), che utilizza un unico fascio di ultrasuoni focalizzati come nell’ARFI strain imaging, ma fornisce una valutazione quantitativa, misurando la velocità di propagazione delle shear waves perpendicolari al piano di eccitazione;
  • two-dimensional shear wave elastography (2D-SWE) è una tecnica innovativa che, anziché basarsi su un singolo punto focale, scansiona in rapida successione multiple zone focali, più velocemente della velocità di propagazione delle shear waves indotte, creando un cono quasi cilindrico di shear wave (5).

I vantaggi di tale tecnica includono la visualizzazione in tempo reale di un elastogramma quantitativo sovrapposto all’immagine B-mode, che fornisce informazioni sia anatomiche che di rigidità del tessuto in esame.

 

 

ELASTOGRAFIA DEI NODULI TIROIDEI
L’elastografia fornisce un’informazione complementare all’ecografia convenzionale, riguardo la rigidità del tessuto in esame, che va ad aggiungersi agli altri parametri ecografici (ecostruttura, ecogenicità, margini, presenza di calcificazioni, vascolarizzazione). Come gli altri, è un parametro operatore-dipendente, riproducibile ma con un’accuratezza diagnostica nel discriminare i noduli tiroidei maligni risultata variabile tra gli studi finora pubblicati. Questo è dovuto ai limiti intrinseci della tecnica elastografica impiegata e all’esperienza dell’operatore (tab 1).

 

Tabella 1
Condizioni che possono indurre artefatti o inficiare l’affidabilità diagnostica dell’elastografia nei noduli tiroidei
Noduli con calcificazioni (aumento rigidità).
Noduli con aree liquide:
  • se > 20 mm appaiono come assenza di segnale (“black hole”);
  • se nel range di 10-20 mm appaiono come tri-stratificazione cromatica blu-verde-rossa.
Vicinanza alla carotide (le pulsazioni interferiscono sulla valutazione).
Posizione istmica o para-istmica (rigidità della trachea).
Posizione ai poli inferiori dei lobi tiroidei (eccessiva profondità, specie in caso di gozzo immerso).
Noduli > 3 cm (compressione inefficace).
Esperienza dell’operatore (qualità delle compressioni manuali nel caso della strain elastography e interferenza da compressione nel caso della shear waves elastography).
Istotipo del tumore (il carcinoma follicolare e il midollare appaiono più frequentemente soffici).

 

L’impiego clinico dell’elastografia può essere di aiuto soprattutto in determinate circostanze, quali noduli con rischio ecografico intermedio e/o classe citologica indeterminata (TIR3A, TIR3B) o ripetutamente non diagnostica per noduli solidi (TIR1).
Nell’ambito dei noduli tiroidei maligni, il carcinoma papillare è maggiormente associato ad aumentata rigidità, mentre i carcinomi follicolari, e ancor di più i carcinomi midollari, presentano più frequentemente elasticità della lesione.
Di seguito un excursus delle diverse metodiche elastosonografiche attualmente disponibili, in riferimento alla diagnostica della patologia nodulare della tiroide.

 

Strain imaging
L’interpretazione qualitativa dell’elastogramma è stata codificata in punteggi di rigidità, derivati per analogia da quello proposto per la patologia mammaria (6). Vengono principalmente impiegati il punteggio di Asteria a 4 punti (7) e quello di Rago a 5 punti (8) riportati in tabella 2.

 

Tabella 2
Punteggi di elasticità del nodulo tiroideo
  Punteggio e descrizione Immagine
Punteggi di Asteria 1: completamente elastico (verde, soft)
2: prevalentemente elastico
3: prevalentemente rigido
4: completamente rigido
Punteggi di Rago 1: completamente elastico (soft)
2: prevalentemente elastico
3: elasticità solo alla periferia della lesione
4: assenza completa di elasticità
5: assenza completa di elasticità sulla lesione e sul cono d’ombra posteriore

 

 

Il cut-off di 2 e 3 per la scala di Asteria e di 3 e 4 per quella di Rago è largamente accettato per discriminare benignità/malignità dei noduli tiroidei sulla base della rigidità rispetto al parenchima circostante. In una meta-analisi della strain elastography è stata riportata, con i criteri di Asteria, una sensibilità del 92% e una specificità del 90% per la diagnosi di noduli tiroidei maligni (9). Nello sforzo di raggiungere una standardizzazione del suo impiego, è stato riportato in letteratura un buon livello di concordanza fra gli operatori per la valutazione qualitativa della strain elastography (10). Nel corso degli anni sono tuttavia stati riportati risultati variabili in termini di accuratezza diagnostica per discriminare la malignità di un nodulo tiroideo. Per superare i limiti della valutazione qualitativa mediante elastogramma, è possibile in apparecchiature di seconda generazione effettuare una valutazione semi-quantitativa mediante la “strain-ratio”. Si tratta di un’analisi “off-line”, cioè eseguita sull’immagine statica, dei valori di deformazione (“strain”) del nodulo, attraverso l’analisi delle variazioni in radio-frequenza prima e dopo lo stress applicato; il calcolo viene eseguito selezionando una regione di interesse all’interno della formazione nodulare in esame e una regione di riferimento in corrispondenza di un’area di normale elasticità parenchimale. Si ottiene così un indice di deformazione (“strain index”), che può essere messo in relazione a valori di riferimento propri dell’organo in esame: esso sarà più elevato tanto più alta sarà la rigidità della struttura sottoposta a esame.

 

Shear waves elastography (pSWE E 2D-SWE)
Nella pSWE una sola zona focale (posizionata sulla lesione target) fornisce l’elasticità espressa in metri al secondo e non c’è una mappa colore. È stato proposto il valore di 2.5-2.8 m/s come cut-off di velocità al di sopra del quale sospettare la natura maligna del nodulo tiroideo, con sensibilità e specificità intorno al 96% (11) (fig 4). È monodimensionale, ha una sola ROI che calcola esclusivamente il valore medio e non fornisce misurazioni real-time.

 

 

Figura 4. Nodulo tiroideo sinistro marcatamente ipoecogeno, “taller than wide” e a margini lievemente irregolari. Alla pSWE, elevata rigidità, con velocità di 7.3 m/s. Esame istologico: carcinoma papillare tiroideo variante follicolare (10).

 

Con la 2D-SWE si crea una mappa colore bidimensionale come l’elastogramma, in cui la valutazione è quantitativa (ogni bit di colore codifica la velocità delle shear waves in m/s oppure l’elasticità espressa in KPa). È possibile tracciare ROI all’interno del box, in cui sono istantaneamente calcolati i valori di rigidità minima, massima e media e la deviazione standard, che aumenta all’aumentare dell’eterogeneità del tessuto. Se si analizzano due ROI, se ne ricava il rapporto di elasticità tra le due. Sono stati proposti vari cut-off di rigidità sospetti per lesione maligna per indice medio di elasticità (da 34.5 a 65 kPa), con buoni valori di sensibilità e specificità. Tuttavia, nonostante le speranze iniziali, in letteratura non sono state riportate finora percentuali di accuratezza diagnostica significativamente maggiori della strain elastography. In una recente revisione (12) è stato messo in luce come l’eterogeneità del processo di acquisizione della SWE (livello di compressione manuale esercitata, tipo di scansione, timing dell’ottenimento dell’immagine statica, posizionamento della ROI ottimale) e l’eterogeneità dei noduli tiroidei, che talvolta presentano aree interne con diversa elasticità, danno ragione della variabilità dei cut-off proposti per l’indice di elasticità. Ad ogni modo, in una meta-analisi di 13 studi, comprendente 1854 noduli tiroidei, è stata riportata una sensibilità dell’81% e una specificità dell’84%, sottolineando il ruolo complementare di questa tecnica per coadiuvare l’ecografia tradizionale nella stratificazione del rischio neoplastico del nodulo tiroideo (13) (fig 5).

 

Figura 5. Nodulo tiroideo solido ipoecogeno “taller than wide” e a margini irregolari. Alla 2D-SWE nella ROI velocità di 3.7 m/s ed elasticità di 40.9 kPa. Esame istologico: carcinoma papillare tiroideo (14).

 

Elastografia nelle tireopatie diffuse
Nella valutazione elastografica delle tireopatie diffuse si è tentato di distinguere la tiroidite di Hashimoto dalla malattia di Graves o la prima dalla tiroidite di De Quervain. La sovrapposizione dei dati di rigidità tra questi gruppi, che appare solitamente aumentata, non ha ad oggi portato ad alcun risultato di utilità clinica. Secondo alcuni autori, l’elastografia potrebbe aiutare nella diagnosi differenziale fra pseudo-noduli (isoelastici al parenchima) e veri noduli (aumentata rigidità) (15).

 

Elastografia dei linfonodi del collo
L’elastosonografia potrebbe aiutare a distinguere i linfonodi maligni dai benigni. Alcune meta-analisi, infatti, riportano una maggiore rigidità dei linfonodi maligni, con sensibilità dell’81% e specificità dell’85% per la SWE. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per definirne un utilizzo clinico nella pratica quotidiana (16).

 

BIBLIOGRAFIA

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  2. Ophir J, Cespedes I, Ponnekanti H, et al. Elastography: a quantitative method for imaging the elasticity of biological tissues. Ultrason Imaging 1991, 13: 111–34.
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  11. Zhang FJI, Han RL. The value of acoustic radiation force impulse (ARFI) in the differential diagnosis of thyroid nodules. Eur J Radiol 2013, 82: e686-90.
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  15. Yildirim D, Gurses B, Gurpinar B, et al. Nodule or pseudonodule? Differentiation in Hashimoto’s thyroiditis with sonoelastography. J Int Med Res 2011, 39: 2360-9.
  16. Suh CH, Choi YJ, Baek JH, Lee JH. The diagnostic performance of shear wave elastography for malignant cervical lymph nodes: A systematic review and meta-analysis. Eur Radiol 2017, 27: 222-30.
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Scintigrafia e captazione

Atlante di immagini

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Alberto Baroli & Luca Giovanni Pedrazzini
UOSC Medicina Nucleare, AO Ospedale di Circolo di Busto Arsizio (VA)

 

Metodologia
La scintigrafia tiroidea è un esame morfo-funzionale per la valutazione del parenchima ghiandolare e dei noduli.
Può essere eseguita dopo somministrazione di Tecnezio metastabile ev (99-m-Tc) o di radioiodio per os (131-I o 123-I). Il tecnezio non è un tracciante fisiologico, poiché viene solo intrappolato dalle cellula follicolare della tiroide e dismesso dopo circa 20 minuti. Il radioiodio è un tracciante fisiologico perché, dopo essere stato intrappolato, viene organificato dalla cellula tiroidea, con lo stesso meccanismo seguito dallo iodio organico. Per ragioni radio-protezionistiche (esposizione del paziente e della popolazione generale molto più bassa con 99-m-Tc; ridotto tempo di dimezzamento fisico del 99-m-Tc che è 6 ore vs 8 giorni di 131-I), di disponibilità (il 99-m-Tc si può conservare mentre lo 131-I deve essere ordinato alla demande) e di costi, oggi viene eseguita in prima battuta la scintigrafia tiroidea con Tecnezio, riservando lo iodio radioattivo a particolari situazioni (adenoma autonomo o struma multinodulare iperfunzionante che deve essere sottoposto a terapia con radioiodio per cura dell’iperfunzione nodulare).
Dopo 20-30 minuti dall'infusione ev di tecnezio, il paziente viene posto con il collo esteso davanti ad un apparato rivelatore di radiazioni (gamma camera) per l’ acquisizione dell’immagine scintigrafica.

 

Ruolo e risultati
In periodo pre-ecografico, la scintigrafia tiroidea ha avuto un ruolo di primo piano nell’identificazione del numero e della funzione dei noduli (“freddi “ o “caldi”) in accordo con il rilievo palpatorio, e per la scelta dell’esecuzione dell’ago-aspirato. Con l’avvento dell’ecografia ad alta risoluzione, il ruolo della scintigrafia tiroidea è stato ridimensionato, ma continua a mantenere precise indicazioni nell’iter clinico-diagnostico (1-3).
Circa il 10% dei noduli appare "caldo" all'esame scintigrafico, mentre un altro 10% circa risulta "tiepido" ovvero isocaptante rispetto al restante parenchima tiroideo (cosiddetti "warm" in inglese). Di conseguenza l'80% dei noduli tiroidei risultano "freddi" all'esame scintigrafico. Queste percentuali possono essere applicate sia all'esame eseguito con tecnezio, sia a quello eseguito con iodio radioattivo (4-7).
Da ricordare che alla scintigrafia posso essere visibili SOLO noduli di diametro > 1.5 cm (più raramente piccoli noduli superficiali di 1 cm). L’esame ha utilità limitata se non assente in presenza di struma uni- o pluri-nodulare in eutiroidismo, in cui l'ecografia identifica con precisione il numero, la disposizione e le caratteristiche dei noduli, indicando quelli sui quali appare indicato l’accertamento citologico mediante agoaspirazione ecoguidata (3-8).
Le indicazioni principali sono (5-6):

Adenoma autonomo. Il quadro scintigrafico si presenta con un nodulo singolo, intensamente captante il radiotracciante, con esclusione funzionale del restante parenchima tiroideo. L’esclusione funzionale può essere parziale o totale. In presenza di esclusione funzionale del parenchima tiroideo e di TSH inibito, il nodulo “caldo” può non essere sottoposto ad agoaspirazione, poichè numerose evidenze indicano questi noduli come benigni (9).

Struma multinodulare iperfunzionante. Il quadro scintigrafico presenta una ghiandola di dimensioni aumentate, con uno o più noduli “caldi” e la possibile presenza di noduli “freddi”. In questo caso l’esclusione funzionale del restante parenchima tiroideo è parziale. I noduli “freddi” vanno esaminati citologicamente, mentre quelli “caldi” vanno agoaspirati solo se esiste un sospetto ecografico, altrimenti possono essere considerati benigni.

Tiroidite subacuta di DeQuervain. Quando la malattia coinvolge tutta la ghiandola, il quadro scintigrafico non evidenzia la tiroide. Nei casi di coinvolgimento parziale può essere debolmente visibile una parte di un lobo o parti di parenchima. Tali quadri, in accordo con il quadro clinico di tiroide dura, dolente e pseudo-nodulare alla palpazione, di TSH inibito e modica elevazione delle frazioni libere tiroidee, di febbricola perdurante da alcuni giorni o settimane, permettono di fare diagnosi. Dopo un adeguato ciclo di terapia cortisonica, la scintigrafia può essere ripetuta per verificare la completa risoluzione di malattia (tiroide captante, in sede sovra-giugulare mediana, di contorni regolari se non sono presenti noduli).

Morbo di Basedow. La ghiandola è rappresentata con elevata attività di captazione, di solito di volume aumentato ma di morfologia regolare (assenza di noduli di dimensioni superiori al centimetro di diametro, che sono al di sotto della risoluzione spaziale della metodica), con scarsa captazione da parte dei tessuti peri-ghiandolari (ridotta attività radioattiva di “fondo”). Il quadro scintigrafico, in accordo con una ghiandola ipertrofica in toto, TSH inibito, FT3 e FT4 molto elevati, permette di fare diagnosi ed impostare una adeguata terapia tireostatica. La diagnosi è ulteriormente suffragata dalla positività dei TRAb (anticorpi anti-recettore del TSH).

Ipertiroidismo da amiodarone. In presenza di noduli e con captazione intra-ghiandolare presente ma bassa, si definisce di tipo I. In assenza di noduli e con captazione intra-ghiandolare assente si definisce di tipo II. La distinzione dei 2 tipi di ipertiroidismo porta a scelte terapeutiche differenti: nel tipo I perclorato e/o tireostatico, nel tipo II cortisonico.

Ipotiroidismo congenito. Nell’agenesia completa, ovviamente, non si evidenzia la tiroide. E' possibile la presenza di tessuto tiroideo in sede linguale o retro-linguale, ben evidenziato dalla captazione del radiotracciante, che comunque non produce sufficienti quantità di ormone tiroideo. Nei difetti di organificazione la ghiandola può essere in sede, di piccole dimensioni, con scarsa captazione ed elevata attività di fondo.

Struma a sviluppo retro-sternale. La difficoltà tecnica dell'ecografia, legata alla riflessione degli echi da parte del tessuto tiroideo lontano dalla sonda e posto non in posizione trasversale, non permette di valutare gli strumi retro-sternali. Sebbene ora esistono tecniche di imaging più precise per l’identificazione del numero e delle dimensioni dei noduli retro-sternali (TC), la semplicità ed il basso costo della scintigrafia può iniziare a dare indicazioni sulla presenza di uno struma indovato nel mediastino, in assenza di sintomatologia compressiva o di riscontro palpatorio di noduli tiroidei.

 

Bibliografia

  1. Gharib H, et al. AACE, AME, ETA medical guidelines for clinical practice for the diagnosis and management of thyroid nodules. J Endocrinol Invest 2010, 33: 287.
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  3. Meller J, Becker W. The continuing importance of thyroid scintigrapthy in the era of high-resolution ultrasound. Eur J Nucl Med 2002, 29: 425-38.
  4. Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare (AIMN). Linee guida procedurali a cura dei Gruppi di Studio. 2005 (consultabile su www.aimn.it/pubblicazioni/LG/LG.php).
  5. Milas Z, et al. New guidelines for the management of thyroid nodules and differentiated thyroid cancer. Minerva Endocrinol 2011, 36: 53-70.
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  9. Hamburger J. Evolution of toxicity in solitary nontoxic autonomously functioning thyroid nodules. J Clin Endocrinol Metab 1980, 50: 1089-93.
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Alberto Baroli & Luca Giovanni Pedrazzini
UOSC Medicina Nucleare, AO Ospedale di Circolo di Busto Arsizio (VA)

 

Morbo di Basedow

 

 

Adenoma Autonomo Lobo tiroideo sinistro

 

 

Scintigrafia con 131-I: tiroidite subacuta di De Quervain all' esordio e dopo trattamento cortisonico

 

 

Noduli freddi bilobari

 

 

18FDG-PET-TC: metastasi polmonare da Carcinoma anaplastico della tiroide

 

 

 

18FDG-PET-TC: Carcinoma anaplastico della tiroide, recidiva locale con invasione tracheale dopo debulking chirurgico

 

 

18FDG-PET-TC: Carcinoma papillare della tiroide scarsamente differenziato, asportazione di metastasi linfonodale al collo ed al mediastino mediante chirurgia radioguidata

 

 

18FDG-PET-TC: Carcinoma papillare della tiroide scarsamente differenziato, asportazione di metastasi linfonodali mediastiniche mediante chirurgia radioguidata

 

 

8FDG-PET-TC: Carcinoma papillare della tiroide scarsamente differenziato, asportazione di metastasi linfonodale retrosternale mediante chirurgia radioguidata

 

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Giancarlo Bizzarri
UOC di diagnostica per immagini, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

 

All’esame radiologico “diretto” della regione cervicale la tiroide normale è indistinguibile dai tessuti molli contigui, presentandosi come una tenue opacità in sede cervicale bassa. La radiografia standard del torace può tuttavia evidenziare l’incremento di volume della ghiandola sotto forma di aumento della sua naturale opacità o per la presenza di noduli calcifici. Calcificazioni grossolane sono riconducibili ad aree involutive in gozzi inveterati o possono essere espressione di macrocalcificazioni (“coarse calcifications”) in carcinomi midollari. Dato il potere di risoluzione della metodica, le microcalcificazioni dei carcinomi papillari non sono in genere evidenziabili.
L’esame stratigrafico può dimostrare deviazione tracheale (per l’effetto compressivo esercitato dalla tiroide), sotto forma di spostamento o scoliosi dell’area di ipertrasparenza della via aerea superiore. A tale reperto si associa, in caso di gozzo esteso verso il giugulo, la visualizzazione dell’allargamento del profilo del mediastino antero-superiore. Il gozzo intra-toracico è, infatti, una causa relativamente comune di masse mediastiniche retro-sternali, para-tracheali e retro-tracheali individuate nella routine radiografica del torace. L’opacità si presenta omogenea, radiopaca e a margini lisci-sagomati. Nella maggior parte dei gozzi a sviluppo anteriore si può osservare uno spostamento controlaterale dell’osso ioide, della trachea e della laringe, associata a deviazione posteriore dell’esofago.

 

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La presenza di ripetizioni metastatiche polmonari da carcinoma tiroideo può essere rilevata alla radiografia del torace solo in caso di dimensioni superiori a 5-10 mm, a causa dello scarso potere di risoluzione della metodica.

 

Esofagogramma
In presenza di gozzo cervico-mediastinico, allo scopo di programmare un corretto approccio chirurgico in assenza di tecniche pesanti di diagnostica per immagini, la radiologia tradizionale può risultare utile nella valutazione dei rapporti con l’esofago di un gozzo o di una sospetta neoplasia a livello del passaggio cervico-toracico. Lo studio dell’esofago cervico-toracico viene eseguito con mezzo di contrasto (solitamente bario in sospensione o in compresse). Nell’esofagogramma normale l’esofago assume un aspetto a forma di nastro, con profilo continuo e privo di deficit di riempimento. L’esofagogramma mantiene un valido ruolo nella diagnosi differenziale di pazienti con gozzo voluminoso che accusino disfagia, poiché consente di dimostrare compressioni esofagee indotte da un aumento di volume della tiroide che impronta e devia il viscere. Suggestivo è il cosiddetto “segno del forcone”: l’esame diretto del torace in proiezione laterale con l’esofago opacizzato evidenzierà un’opacità toracica, corrispondente al gozzo, che impegna lo spazio tra la trachea anteriormente (visibile per l’aria al suo interno) e l’esofago posteriormente (visibile per il mezzo di contrasto).
In caso di neoplasia tiroidea localmente avanzata, l’esofagogramma può rivelare la presenza di rigidità ed irregolarità della parete nel corso del transito del bario, indizio di infiltrazione neoplastica per contiguità dell’organo.

 

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Sia l’esame radiologico diretto che l’esofagogramma sono stati utilizzati per la loro semplicità di esecuzione ed i bassi costi. Tuttavia, poiché possono dare solo informazioni indirette su dimensioni e morfologia della ghiandola, nella stadiazione pre-operatoria devono essere sostituite da tecniche più accurate, quali ecografia, TC o RM e PET/TC.

 

Bibliografia

  1. De Groot LJ. Endocrinology. Adult and Pediatric. 6th Edition. Saunders Elsevier, Philadelphia 2010.
  2. Ross DS. Diagnostic approach to and treatment of thyroid nodule. www.uptodate.com (ultimo accesso 06-4-2011).
  3. Mazzaferri EL. Endocrine Tumors. Blackwell Scientific Publications, Oxford 1993.
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Giancarlo Bizzarri
UOC di Diagnostica per Immagini, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)

 

Aspetti generali
Tomografia computerizzata (TC) e risonanza magnetica (RM) devono essere utilizzate solo come tecniche di secondo livello nello studio di immagini della tiroide. Hanno tuttavia precise indicazioni diagnostiche: 

  • nei gozzi voluminosi, per la valutazione dell’estensione retro-sternale e dell’entità della possibile compressione o dislocazione tracheale;
  • nell’identificazione di tiroidi accessorie e nella definizione di lesioni mediastiniche di incerta origine;
  • nelle forme neoplastiche, per una corretta definizione dell’estensione di malattia e dei rapporti con le strutture vascolari, ai fini della pianificazione dell’intervento chirurgico.

TC e RM sono generalmente comparabili per determinare l’anatomia della ghiandola, l’estensione della tiroide nel torace e lo spostamento delle strutture adiacenti. La decisione su quale tecnica utilizzare si basa su diversi fattori. È importante ricordare che l’assenza di mdc contenente iodio rende necessaria la RM nei pazienti con tireotossicosi o allergia a mdc.

 

Elementi per la scelta tra TC e RM
  Vantaggi Svantaggi
TC

Maggiore disponibilità
Maggiore semplicità e velocità di esecuzione (TC spirale eseguita in circa 5 minuti)
Minima collaborazione da parte del paziente
Immagini anatomiche familiari alla maggior parte dei medici
Costo sensibilmente inferiore

Esposizione a radiazioni ionizzanti
Possibile necessità di mdc iodato con rischio di allergie e problemi di funzione tiroidea

RM

Esatta definizione dell’invasione vascolare o dell’interessamento delle vie aeree
Assenza di radiazioni ionizzanti, vantaggiosa nei pazienti pediatrici e in caso di esami ripetuti
Utilizzabile in caso di tireotossicosi, allergia a mdc iodati o di trattamento ablativo con radioiodio programmato nei tre mesi successivi

Minore disponibilità
Minore velocità di esecuzione (30-45 minuti)
Necessità di collaborazione del paziente, che deve rimanere fermo e respirare superficialmente per ottenere un imaging ottimale
Non eseguibile in presenza di agenti ferromagnetici all’interno del paziente (pacemaker, impianti uditivi, protesi fisse o clip chirurgiche)
Non eseguibile in pazienti con claustrofobia (5-10%)
Maggiore costo

 

 

Per questi motivi la TC dovrebbe essere in genere preferita in prima battuta, specialmente nei pazienti poco collaboranti, ma la RM è preferibile nella stadiazione del carcinoma della tiroide o di problemi nell’uso del mdc.

 

Tomografia computerizzata
In condizioni di base il tessuto tiroideo è discretamente visualizzato alla TC per il suo alto contenuto di iodio, che ne aumenta la densità (50-80 HU) rispetto alle altre strutture del collo. Dopo somministrazione endovenosa di mdc, tuttavia, la valutazione dei dettagli della ghiandola è più nitida e consente una migliore identificazione dei rapporti con le strutture cervicali.
Con le apparecchiature multidetettore di nuova generazione (MDCT) sono acquisite scansioni volumetriche con sezioni dello spessore di 0.5-0.6 mm e possibilità di successive ricostruzioni multiplanari (MPR). In particolare, possono ottenersi ricostruzioni standard su piani assiali (perpendicolari all’asse maggiore del corpo), coronali (perpendicolari all’asse antero-posteriore) e sagittali (perpendicolari all’asse latero-laterale).
In corso di esami TC del collo e del torace eseguiti per altri motivi possono essere identificati occasionalmente aumenti di volume della tiroide per patologia diffusa o focale, mono o multinodulare. Le formazioni nodulari presentano densità variabile a seconda del contenuto: bassa in caso di contenuto colloidale o cistico; medio-alta in caso di contenuto siero-emorragico, e alta in presenza di noduli calcifici. La TC, tuttavia, non consente di discriminare alcuni parametri fondamentali per definire il rischio di malignità dei noduli, come ipoecogenicità e caratteri dei margini. Anche se la maggior parte delle informazioni necessarie per la valutazione di un gozzo retro-sternale può essere ottenuta senza iniezione di mdc, questo è necessario per la definizione precisa del rapporto con le strutture aeree, muscolari e vascolari del collo e del torace.
La dimostrazione della continuità anatomica di una massa del mediastino superiore con la tiroide in sede cervicale dimostra che una lesione mediastinica è di origine tiroidea. La densità alla TC di un gozzo retro-sternale è variabile, ma il riscontro di una densità maggiore rispetto al tessuto muscolare suggerisce l’origine tiroidea della lesione. Infatti, timo, linfonodi, incluso il linfoma, e tumori polmonari raramente hanno densità superiore a quella del muscolo. Calcificazioni sono presenti nel 50-80% dei gozzi retro-sternali e possono essere puntiformi, lineari, a guscio d’uovo o amorfe. Calcificazioni grossolane possono essere presenti sia in lesioni benigne che maligne (dal 11% al 17% dei casi).

 

Risonanza magnetica
La RM evidenzia i tessuti sulla base delle loro proprietà magnetiche, e l’iniezione di mdc fornisce un’eccellente definizione delle strutture anatomiche del collo e del mediastino.
Il gozzo retro-sternale si presenta come un’area di bassa, normale o aumentata intensità di segnale nelle immagini T1-pesate, mentre le cisti emorragiche hanno intensità di segnale più elevata per la presenza di prodotti di degradazione del sangue (metaemoglobina). Le aree di eterogeneità strutturale all’interno del gozzo possono essere meglio individuate utilizzando immagini pesate in T2. Le calcificazioni all’interno dei gozzi appaiono come aree di bassa intensità di segnale.

 

Cancro della tiroide
Il ruolo primario di TC e RM nella valutazione del cancro della tiroide è costituito dalla stadiazione pre-operatoria e dal follow-up delle recidive di malattia.
Nella stadiazione pre-operatoria TC e/o RM non sono necessarie di routine. Queste metodiche sono tuttavia indispensabili, insieme a tracheoscopia ed esofagogramma, nel pianificare l’intervento chirurgico nei casi di carcinoma localmente avanzato. TC e RM forniscono, infatti, informazioni sull’invasione della cartilagine tiroidea, dell’esofago e dei grossi vasi del collo e mediastino, orientando il tipo di intervento chirurgico o evidenziando l’impossibilità di resezione chirurgica radicale. La RM è lo studio più sensibile nell’individuare l’invasione della cartilagine tracheale, del nervo laringeo ricorrente o dell’esofago.
L’utilizzo ottimale di queste metodiche di immagine nel periodo post-operatorio richiede un tempo di attesa di 4-6 settimane, necessario al riassorbimento dell’edema post-chirurgico. L’impiego in fase precoce della RMN o della TC è di fatto limitata più ad un confronto con il quadro pre-operatorio che alla ricerca di recidive precoci, in quanto il sovvertimento delle fasce muscolari e del grasso cervicale rende poco attendibile l’imaging precoce.
Il follow-up delle neoplasie differenziate è basato sull’uso dell’ultrasonografia e sul dosaggio ematico della Tg. Non è raro, tuttavia, che in alcuni pazienti si osservi un incremento della Tg in assenza di imaging positivo all’ultrasonografia e alla WBS. In questi casi trova indicazione l’utilizzo di TC e RMN. Nessuno studio prospettico controllato ha confrontato l’accuratezza diagnostica della TC vs la RM nella ricerca delle metastasi del cancro della tiroide. Comunque, la RM viene utilizzata in modo preferenziale nel follow-up del cancro tiroideo, per evitare l’assunzione di mdc iodato.
Alla RM tutti i linfonodi appaiono simili al muscolo nelle sequenze T1-pesate e brillanti nelle sequenze T2-pesate. Le adenopatie maligne appaiono di dimensioni aumentate (> 1 cm) e rotondeggianti, ma le caratteristiche dimensionali non rappresentano un fattore discriminante (le metastasi linfonodali possono svilupparsi in linfonodi di 4-5 mm, non riconoscibili a TC e RMN). Le microcalcificazioni delle metastasi linfonodali del PTC sono visualizzate alla TC ma non alla RM. Se la WBS è negativa in associazione a Tg elevata, è necessario ottenere un imaging polmonare nella ricerca di una disseminazione ematogena del carcinoma tiroideo. La TC è la metodica più usata, perché dotata di una maggiore risoluzione spaziale ed in grado di evidenziare piccole nodulazioni polmonari (comunque > 5 mm). Nello studio TC del polmone può essere ottenuto un livello di risoluzione soddisfacente anche senza l’uso di mdc.
L’impiego di un inquadramento multidisciplinare rende più sensibile e specifica la ricerca delle recidive del cancro della tiroide, e l’applicazione di metodiche di fusione (PET/TC) permette di riconoscere anche lesioni più piccole.

 

Bibliografia

  1. Gharib H, Papini E, Paschke R, et al; AACE/AME/ETA Task Force on Thyroid Nodules. American Association of Clinical Endocrinologists, Associazione Medici Endocrinologi, and European Thyroid Association medical guidelines for clinical practice for the diagnosis and management of thyroid nodules. J Endocrinol Invest 2010, 33: 1-50.
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Antonio Bianchini1 e Irene Misischi2
1UOC di Diagnostica per Immagini e 2UOC di Endocrinologia e Malattie Metaboliche
Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale, Roma

 

Paziente di 78 anni con linfoma primitivo della tiroide
TC del collo (sezione assiale senza mdc): grossolana iperplasia di entrambi i lobi tiroidei e della regione istmica, con fenomeni compressivi sulla trachea che, al di sotto della laringe, presenta calibro nettamente ridotto con diametro trasverso minimo pari a circa 4 mm. Tale espanso occupa lo spazio retro-faringeo, retro-laringeo e retro-tracheale, estendendosi caudalmente al di sotto della carena. Filiforme il lume dell'esofago adiacente.

 

 

Paziente di 74 anni con carcinoma midollare della tiroide
TC del collo (sezione assiale senza mdc): estesa massa tumorale con aree calcifiche, infiltrazione e dislocazione della trachea, con gettone neoplastico endo-luminale (freccia)

 

 

Paziente di 68 anni con carcinoma follicolare della tiroide
TC del collo (sezione assiale con mdc) prima (a destra) e dopo (a sinistra) termo-ablazione laser (LTA).
Nell'immagine a destra: tessuto a densità solida parenchimatosa ad enhancement patologico, paratracheale sinistra da recidiva di carcinoma follicolare.
Nell'immagine a sinistra: il controllo post-LTA documenta completa ablazione dell’area patologica (scomparsa dell’enhancement contrastografico) 

 
 

Paziente di 82 anni con angio-sarcoma primitivo della tiroide
TC del collo (sezione assiale con mdc): voluminoso espanso solido del lobo sinistro con enhancement disomogeneo (freccia), dislocazione laterale dell’asse vascolare e controlaterale dell’asse tracheale, con fenomeni infiltrativi dell’esofago. 

 
 

Paziente di 72 anni con carcinoma midollare della tiroide inoperabile
TC del collo (ricostruzione sagittale senza mdc): processo espansivo tiroideo destro, che disloca posteriormente e infiltra la trachea con gettoni neoplastici

 

 

Paziente di 72 anni con carcinoma midollare della tiroide inoperabile
RMN del collo (sezione coronale T1 pesata senza mdc): voluminosa formazione espansiva del lobo destro della tiroide, con estensione intra-toracica in contiguità con l’emergenza dei vasi epi-aortici. La formazione comprime e disloca controlateralmente il lume della trachea, che risulta stenosato (freccia).

 
 
 
 

Paziente di 83 anni
Acquisizione TC volumetrica dopo somministrazione di mdc con ricostruzioni VR (3D) del parenchima tiroideo: la ricostruzione 3D consente un’accurata definizione del volume ghiandolare e dei rapporti con le strutture ossee e vascolari

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Enrico Papini e Irene Misischi
Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale

(12 Febbraio 2012)

 

La biopsia della tiroide è la procedura di scelta per l’inquadramento della patologia nodulare tiroidea e la selezione delle lesioni da sottoporre ad intervento chirurgico (Patologia Nodulare della Tiroide: Approccio Diagnostico) (1). La biopsia dovrebbe essere effettuata sotto guida ecografica anche nei noduli palpabili per la maggiore accuratezza del prelievo, la documentazione della sua sede, la migliore qualità del materiale e la riduzione del rischio di complicanze (2-3, 5-6).

L’aspirazione con ago sottile (“fine needle aspiration biopsy”: FNA) è la tecnica più appropriata nella pratica clinica, mentre la biopsia con ago tranciante per prelievo microistologico (“core-needle biopsy”: CNB) deve essere ristretta a circostanze selezionate (vedi: Biopsia della Tiroide) (2-4) .

Le indicazioni cliniche ed ecografiche alla FNA dei noduli tiroidei sono descritti nei capitoli Patologia Nodulare della Tiroide: Approccio Diagnostico, e Utilità della Ecografia Tiroidea.

 

1. Preparazione alla procedura

La procedura deve essere chiaramente descritta al paziente prima dell’esecuzione, perché la sua cooperazione è indispensabile per la buona riuscita dell’esame. In particolare, il paziente deve essere rassicurato circa il basso rischio di complicanze e la breve durata del dolore locale e deve essere istruito a non ritrarsi o contrarre i muscoli del collo, a non parlare o deglutire e a non compiere respiri profondi durante la procedura (2).

È necessaria la conferma della mancata assunzione di aspirina, anti-aggreganti, anti-coagulanti e dell’assenza di condizioni emorragipare. I pazienti in trattamento con aspirina devono sospenderla cinque giorni prima della procedura. Il trattamento anti-coagulante con dicumarolici può essere sostituito nello stesso periodo con eparina sottocutanea, da sospendere la sera precedente l'esame. In assenza di complicanze, il trattamento anti-aggregante può essere ripreso 12 ore dopo la FNA (2).

Prima di iniziare la FNA, il paziente deve leggere e firmare un consenso informato scritto (2). Esso deve descrivere con parole ben comprensibili:

  • i possibili rischi (dolore locale persistente per 12–72 ore, ematoma profondo, ecchimosi cutanea)
  • i limiti della FNA (possibilità di falsi positivi o falsi negativi citologici, frequenza presso il Centro di prelievi inadeguati che rendono necessaria la ripetizione dell’ago-aspirato) (7-8)
  • la necessità comunque di un follow-up successivo (2-3).

Dopo aver eseguito un’attenta palpazione della ghiandola, il paziente deve togliere gli indumenti che limitano l’esposizione del collo e deve essere posto in posizione supina, con un sottile cuscino sotto le spalle e con il collo iperesteso e ben esposto (figura 1).alt

La cute deve essere disinfettata con un preparato non irritante, che possa svolgere funzione accoppiante per la sonda ecografica (per esempio, una soluzione di benzalconio cloruro e alcool al 95%). Utile posizionare un telino di carta sterile sul torace ed intorno al collo.

 

2. Materiali necessari

L’ambiente deve essere tranquillo, con una illuminazione del collo che lasci in penombra lo schermo dell’ecografo e uno spazio adeguato per l’apparecchio ecografico, per l’operatore che esegue la manovra e per un’infermiera. Quest’ultima dovrà preparare in anticipo i vetrini, con annotati i dati anagrafici del paziente, la data e la sede del prelievo.

Necessari un tavolino per l’allestimento dei preparati e il materiale d’uso, un lettino da visita, contenitori separati per materiali comuni, materiali contaminati da sangue ed aghi o oggetti taglienti. L’ecografo real-time deve essere dotato di una risoluzione adeguata, di color-doppler e di una sonda lineare ad alta frequenza (7.5 – 15 MHz).

 Devono essere a disposizione (1, 12) (figura 2alt:

  • aghi monouso da prelievo sanguigno 23 – 19 gauge (G)
  • aghi da insulina 27 – 25 gauge
  • aghi spinali con mandrino
  • siringhe monouso da 10 e 20 cc
  • impugnatura per siringhe tipo Cameco
  • vetrini con una estremità smerigliata
  • porta vetrini
  • provette con 1 mL di soluzione fisiologica per determinazioni sul liquido di lavaggio dell’ago (Tireoglobulina, Calcitonina o Paratormone, secondo necessità clinica)
  • etichette adesive con il nome del paziente
  • garze sterili
  • cerotti
  • disinfettante per cute
  • bustine di gel accoppiante sterile
  • copri-sonda in plastica (per evitare la contaminazione della sonda con materiale ematico)
  • telini sterili
  • guanti monouso
  • farmaci e carrello per le emergenze.

 

3. Modalità di esecuzione della procedura

Quando la procedura è eseguita da due operatori, chi esegue la biopsia si colloca sul lato sinistro e al di dietro del paziente mentre l’operatore che impugna la sonda ed esegue la scansione ecografica è collocato alla sua destra (2).

E’ necessaria una accurata valutazione ecografica iniziale della tiroide e dei linfonodi cervicali, selezionando la lesione di maggior interesse clinico ed individuando il percorso dell’ago che meglio consente di evitare vasi e strutture vitali del collo.

E’ stata proposta l’esecuzione di anestesia locale con xylocaina o l’applicazione di compresse gelate nel punto da sottoporre a biopsia (11). Tali provvedimenti non forniscono, nel caso della FNA, sostanziali vantaggi e rendono la procedura più lunga. Ove sia ritenuta opportuna la anestesia, questa deve giungere in profondità fino ai muscoli del collo e alla capsula tiroidea (12).

Dopo una accurata disinfezione e preavvisato il paziente, l’ago viene insealtrito attraverso la cute per circa 1 - 2 cm con un movimento gentile ma deciso. Per il prelievo iniziale è consigliabile l’impiego di aghi di calibro 23–25 G connessi a una siringa di plastica monouso da 10 o 20 mL. L’impiego di un’impugnatura (tipo Cameco) in cui alloggiare la siringa è di aiuto nella esecuzione della manovra (figura 3), ma deve essere evitata una suzione eccessiva, causa di contaminazione ematica.

  • In caso di noduli vascolarizzati al color-doppler, con componente fluida all’esame ecografico o dopo un prelievo iniziale caratterizzato da contaminazione ematica, è opportuno eseguire il prelievo con ago da 27 G.
  • In caso di pseudo-cisti tiroidee a contenuto fortemente vischioso, per ottenere il drenaggio del fluido possono essere utilizzati aghi di maggior diametro, fino a un calibro di 19 G. L’impiego di aghi non sottili richiede tuttavia cautela ed esperienza.

 La procedura è eseguita con l’ausilio dell’ecografo secondo due modalità (12):

  • procedura eco-guidata: un dispositivo di guida viene connesso alla saltonda ecografica e la traiettoria dell’ago all’interno del collo può essere prestabilita sullo schermo ecografico. E’ necessario l’uso di un ago spinale 21-23 G di 75–90 mm di lunghezza (figura 4). Questa procedura consente di seguire costantemente il progresso dell’ago e di raggiungere con sicurezza sedi a rischio o molto profonde (ad esempio, sospette paratiroidi iperplastiche). Ha lo svantaggio, tuttavia, di richiedere un punto di ingresso dell’ago non sempre ottimale e di non consentire movimenti della sonda indipendenti dall’ago.
  • procedura eco-assistita: l’ago (indifferentemente da prelievo o dotato di mandrino) è inserito nel collo in modo indipendente dalla sonda ecografica e la sua progressione è seguita e corretta in itinere sulla base della scansione ecografica. L’inserimento dell’ago può essere effettuato:
    • con approccio parallelo (figura 5):alt il nodulo è visualizzato nel campo di scansione in modo leggermente decentrato e l’ago è inserito in corrispondenza del margine breve della sonda più prossimo al bersaglio con una inclinazione di circa 45°. Il tragitto è seguito sullo schermo in tutto il suo percorso, dal punto di ingresso cutaneo fino alla penetrazione nella lesione bersaglio, in modo analogo a quanto accade per la procedura ecoguidata. Lo svantaggio è rappresentato dal fatto che la deviazione dell’ago di alcuni gradi rispetto al piano azimutale di scansione ne determina la scomparsa dallo schermo. La tecnica è utile per raggiungere lesioni piccole in sedi difficoltose (ad esempio, sospette recidive neoplastiche dopo intervento chirurgico), ma richiede una specifica esperienza.
    • con approccio perpendicolare (figura 6): altil nodulo è visualizzato nel punto centrale del piano di scansione, in modo che sia il nodulo da raggiungere sia il punto di ingresso dell’ago siano allineati verticalmente con il punto centrale del lato maggiore della sonda ecografica. L’ago viene inserito pressoché verticalmente pochi millimetri cranialmente alla sonda. Il suo tragitto iniziale non può essere seguito e la sua punta appare come un punto eco-riflettente soltanto nel momento in cui essa intercetta il piano azimutale di scansione. E’ necessario quindi prevedere, sulla base dell’immagine ecografica e della inclinazione della sonda, l’inclinazione e la direzione più opportuna da fornire all’ago. La manovra ha il vantaggio di consentire un movimento autonomo della sonda con piena libertà di scansione, ma richiede, soprattutto se eseguita da due operatori, buona esperienza ed affiatamento.

 

4. Modalità di prelievo

Il prelievo può essere eseguito (13-14):alt

  • per capillarità: l’operatore impugna l’ago per il suo cono come una matita o, in alternativa, impugna la siringa cui viene collegato senza esercitare alcuna suzione (figura 7). Vengono effettuati una serie di rapidi e netti movimenti di va e vieni e di rotazione della punta dell’ago all’interno della lesione per alcuni secondi. Questo metodo deve essere preferito in caso di lesioni molto vascolarizzate o cribrate per la presenza di componente colloidea.
  • mediante suzione: dopo che la punta dell’ago è stata inserita all’interno della lesione viene esercitata una decompressione all’interno della siringa.

Questo metodo deve essere preferito in caso di lesioni solide o con componente fibrosa.

Esecuzione del prelievo per aspirazione (filmato 1)

  1. Accertare il posizionamento della punta dell’ago nella lesione bersaglio.
  2. Eseguire rapidi movimenti di va e vieni all’interno del nodulo, mentre si esercita una aspirazione retraendo parzialmente il pistone della siringa (il monitoraggio ecografico deve verificare che i movimenti non facciano fuoriuscire la punta dell’ago dal bersaglio).
  3. Alla comparsa, dopo alcuni secondi, del materiale aspirato all’interno del cono dell’ago, cessare immediatamente la suzione e retrarre l’ago.
  4. Rimuovere l’ago dalla siringa.
  5. Riempire parzialmente la siringa di aria.
  6. Ricollegare l’ago alla siringa.
  7. Spingere gentilmente il pistone in maniera che una piccola goccia dell’ago-aspirato venga appoggiata su 2 - 3 vetrini.

In genere vengono eseguiti da 2 a 4 prelievi su aree diverse di ciascun nodulo, in rapporto alla qualità e quantità del materiale prelevato (8 – 10).

 Nell’ambito della lesione bersaglio il campionamento deve essere eseguito:

  • nei noduli voluminosi: sulla parte periferica della lesione piuttosto che su quella centrale, a causa delle modificazioni degenerative e delle raccolte liquide frequentemente presenti in quest’ultima;
  • nelle lesioni interamente cistiche: nella parte centrale della cavità, con aggiustamento progressivo della punta dell’ago durante il drenaggio, al fine di ottenere uno svuotamento completo (filmato 2)

                         

  • nei noduli misti con notevole componente fluida: sulle porzioni solide (parete spessa e aggetti vascolarizzati) per un accurato campionamento prima del drenaggio del liquido (filmato 3).

                         

 

5. Allestimento dei preparati  (vedi: Citologia tiroidea) (2, 9, 12)

altI campioni vengono allestiti strisciando la goccia di materiale fra due vetrini porta-oggetti con un movimento orizzontale continuo (figura 8 a, b,c).

Lo striscio deve essere uniforme e non troppo spesso, senza che il materiale raggiunga la periferia del vetrino per evitare la dispersione delle cellule lungo i bordi fFigura 9).

alt

Subito dopo lo striscio, parte dei vetrini viene fissata in alcool (per immersione o con preparato alcoolico spray spruzzato da circa 10 cm di distanza) per la colorazione di Papanicolaou (figura 8), mentre parte viene lasciata essiccare all’aria per la colorazione di Giemsa.

In alternativa, è possibile spruzzare direttamente con la siringa il materiale prelevato in un recipiente contenente una soluzione per sistemi automatizzati di esame citologico (Thin Prep). Questi campioni sono successivamente allestiti dal laboratorio in preparati monostrato su un unico vetrino, dopo l’eliminazione degli elementi di contaminazione ematica (figura 10a,b,c).alt

Questa procedura minimizza le imperfezioni nella tecnica di prelievo e nell’allestimento del campione, ma non consente la valutazione della colloide e delle aggregazioni cellulari.

Nelle cisti o lesioni complesse la componente fluida deve essere inviata al laboratorio analisi, all’interno della siringa con cui è stata aspirata, per citocentrifugazione e successivo allestimento dei preparati citologici (figura 11).

alt

 

6. Gestione post-procedura

Al termine di ciascun prelievo, applicare per alcuni secondi una gentile pressione con una garza sterile sulla sede della puntura, in modo da evitare il formarsi di ecchimosi o di ematoma intra-capsulare. Previa copertura con cerotto del punto di iniezione, il paziente viene dapprima posto lentamente a sedere e quindi aiutato ad assumere la stazione eretta.

In assenza di dolore o di ematomi di rilievo ecografico, è possibile l’immediato ritorno a casa o al lavoro, con l’istruzione ad assumere un blando analgesico (paracetamolo o ketoprofene per bocca) in caso di persistenza del fastidio cervicale. Nei rari casi in cui venga documentato un ematoma intra-capsulare, il paziente dovrà essere rassicurato, istruito ad esercitare una ferma compressione locale per 15-30 minuti e quindi riesaminato ecograficamente per documentare l’iniziale riassorbimento dello spandimento emorragico.

 

7. Richiesta di esame citologico

Il modulo per la richiesta di esame citologico da allegare al campione deve specificare (vedi: Citologia tiroidea) (2, 15):

  • sede e dimensioni del nodulo;
  • elementi anamnestici, clinici o ecografici di sospetto per malignità;
  • presenza, entità e caratteri di eventuale componente fluida;
  • stato funzionale e autoimmunitario della tiroide;
  • eventuale trattamento farmacologico o radiante, in atto o pregresso.

 

8. Determinazioni ormonali su liquido di lavaggio dell’ago

La FNA sotto guida ecografica è una manovra dotata di buona accuratezza diagnostica per le recidive locali o le secondarietà linfonodali da carcinoma tiroideo e, in minor misura, per la diagnosi di adenoma paratiroideo in lesioni di dubbia interpretazione. La combinazione dell’esame citologico sull’ago-aspirato con la determinazione di Tireoglobulina, Calcitonina (vedi: Gestione dei Tumori tiroidei avanzati e delle recidive locali) o Paratormone (vedi: Diagnosi dell’Iperparatiroidismo primitivo), in rapporto al quesito diagnostico, sul liquido di lavaggio dell’ago consente tuttavia di accrescere sensibilità e specificità della procedura (2-3).

altSubito dopo l’espulsione del materiale sui vetrini per l’esame citologico, si aspira attraverso l’ago con cui è stata effettuata la biopsia 1 mL di soluzione fisiologica 0.9%. Quest’ultimo è espulso e riaspirato una seconda volta in maniera da rimuovere il materiale presente nel lume dell’ago (figura 12).

Su tale campione verrà effettuata, con le usuali procedure di laboratorio, la determinazione dell’analita di interesse clinico.

 Nelle adenopatie secondarie da Carcinoma Differenziato tiroideo (vedi: Gestione dei Tumori tiroidei avanzati e delle recidive locali.) i livelli di Tg sono marcatamente elevati e comunque nettamente superiori rispetto ai valori circolanti (in genere nell’ambito di 100–10.000 ng/mL). Il riscontro di valori elevati di Tg sul liquido di lavaggio dell’ago è fortemente predittivo di secondarietà, anche in presenza di un preparato citologico inadeguato ai fini diagnostici. Nei pazienti trattati con dosi ablative di radioiodio i valori possono essere meno elevati a causa della parziale atrofia linfonodale, ma sono comunque nettamente superiori rispetto ai livelli ematici di Tg. La coesistenza di anticorpi anti-Tireoglobulina nel siero non appare invalidare l’esame (16).

Nel sospetto clinico o ecografico di Carcinoma Midollare, la determinazione della Calcitonina sul liquido di lavaggio dell’ago deve essere eseguita non solo sui linfonodi sospetti, ma anche sulla lesione tiroidea primitiva. Infatti, in caso di diagnosi citologica dubbia, il riscontro di livelli elevati di Calcitonina (usualmente > 100 pg/mL) è fortemente suggestivo di Carcinoma Midollare (vedi: Carcinoma Midollare: Clinica e Diagnosi).

 

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Andrea Frasoldati*, Bernardo Olivares*, Simonetta Piana°, Roberto Valcavi*
*UO Endocrinologia, e °Anatomia Patologica, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

Premesse
La biopsia tiroidea, anche indicata nella letteratura anglosassone più recente come core needle biopsy (CNB), corrisponde al campionamento di un microfrustolo di tessuto tiroideo mediante impiego di aghi di 18-21 G, solitamente muniti di dispositivo a molla del tipo tru-cut. La procedura è oggi condotta pressoché esclusivamente sotto guida ecografica (1-4).
La grande diffusione della citologia tiroidea da agoaspirazione (fine needle aspiration = FNA) e la sua affermazione come gold standard nella diagnostica del nodulo tiroideo (5-9) hanno determinato nel corso degli ultimi decenni una progressiva riduzione dell’impiego dell’agobiopsia tiroidea, il cui potenziale ruolo ha finito con l’essere disconosciuto o comunque sottovalutato. Non sorprende pertanto che  le casistiche disponibili in letteratura siano nel complesso limitate per numero e per consistenza, e che lo spazio dedicato alla CNB dalle principali linee guida sul nodulo tiroideo sia piuttosto limitato (7-9). Ciò a dispetto del fatto che tale metodica, negli studi pubblicati così come nella pratica clinica quotidiana, si sia dimostrata sicura, efficace e ben tollerata (1-4, 10-20). Viene infatti riportata una morbilità trascurabile, per lo più caratterizzata da un aumentato rischio di ematomi rispetto all’agoaspirazione; la manovra non viene solitamente percepita come maggiormente invasiva rispetto alla FNA da parte dei pazienti e non è sempre necessario l’impiego dell'anestesia locale. Inoltre, la disponibilità di dispositivi con escursioni dell'ago più limitate (es. 11 mm) consente di estendere la CNB a lesioni di piccole dimensioni. Per tali ragioni, negli ultimi anni si sta assistendo ad un incremento di interesse nei confronti della CNB, testimoniata da numerosi lavori (15-19), ed è lecito attendersi che nel medio termine indicazioni, vantaggi e limiti di questa metodica possano conoscere una adeguata sistematizzazione.
Nei paragrafi seguenti verrà discussa l’applicazione della CNB nelle seguenti situazioni cliniche:

  • noduli con citologia non diagnostica (Thy-1)
  • noduli con citologia indeterminata (Thy-3)
  • neoplasie di incerta caratterizzazione del distretto cervicale

 

Noduli con citologia non diagnostica (Thy-1)
L’agoaspirazione tiroidea fornisce risultati non diagnostici in una quota compresa nelle varie casistiche tra il 5 e il 20% (20-21); in tali casi viene solitamente raccomandata la ripetizione dell’esame citologico e nei casi più incerti sul piano clinico-ecografico, l’exeresi chirurgica (8,9,22). Nei noduli con citologia non diagnostica, la CNB offre la possibilità di ottenere un campione più ampio di materiale, solitamente caratterizzato dalla conservazione dell’architettura follicolare (19). Nondimeno, le principali linee guida tendono a limitare l’impiego della CNB nei noduli con citologia non diagnostica: in particolare, le linee guida ATA non prendono neppure in considerazione la CNB (8), mentre le raccomandazioni AACE/AME/ETA riconoscono un possibile ruolo della metodica solo in casi selezionati (9).
Uno studio retrospettivo recentemente pubblicato dal gruppo di Harvard su 90 casi, caratterizzati da uno o più esami citologici non diagnostici, dimostra che la CNB ottiene un risultato diagnostico nel 77%  e che l’associazione di CNB e FNA raggiunge un esito diagnostico nell’87% dei casi. Nello stesso studio, la sempice ripetizione dell’agoaspirazione ottiene un risultato diagnostico in appena il 47% dei casi (23).
Risultati simili provengono da un ampio studio coreano focalizzato sul ruolo della CNB nei noduli Thy-1 (n = 64)  o Thy-3 (n = 161): solo l’1.6% delle CNB fornisce un risultato non diagnostico contro il 28.1% della ripetizione citologica (24).
Nella serie di 225 noduli tiroidei valutati con FNA e CNB pubblicata dal gruppo del Northwestern University di Chicago, la percentuale di esiti non diagnostici corrisponde al 3.4%, inferiore all'8.7% osservato con il solo FNA (25). Secondo gli autori di questo studio, esempi di lesioni che possono beneficiare della valutazione mediante CNB sono i noduli molto vascolarizzati e quindi a rischio di esito citologico ematico, i noduli iperplastici con fibrosi pericapsulare, le aree fibrotiche nel contesto di tiroiditi linfocitarie e i carcinomi papillari con sclerosi estesa.

 

Noduli con citologia indeterminata (Thy-3)
Il contributo della CNB nella valutazione di questo tipo di noduli costituisce un capitolo controverso.
Nel già citato recente studio coreano, la performance della CNB in un gruppo di lesioni (n = 161) con citologia Thy-3 corrispondenti alla categoria AUS/FLUS (atipie e lesioni follicolari di significato indefinito) della classificazione Bethesda risulta superiore a quella della ripetizione della citologia (24). In questo studio, la CNB consente di riclassificare correttamente il 24.8% delle  lesioni come iperplastiche  e il 43.4% delle lesioni come presumibilmente o certamente maligne. Dopo la CNB, solo un quarto dei casi  (23.6%)  resta nella categoria AUS/FLUS, una quota significativamente inferiore al 39.8% osservato dopo ripetizione della citologia mediante FNA. Risultati ancor più promettenti provengono da uno studio retrospettivo su un gruppo complessivo di 258 noduli con citologia indeterminata corrispondente alla categoria AUS/FLUS del Bethesda (anche in questo studio le neoformazioni follicolari erano escluse) (26). La CNB eseguita in 54 di queste lesioni consentie di caratterizzarne il 77.8% come benigne, il  20.3% come carcinomi papillari, mantenendo la diagnosi indeterminata in un unico caso (1.8%), corrispondente a una lesione a cellule di Hürtle.
Per quanto riguarda l'ambito delle neoformazioni follicolari, il punto di vista prevalente è che l’impiego della CNB possa fornire una rassicurante interpretazione in chiave iperplastica di una quota di lesioni follicolari non sufficientemente caratterizzate dalla citologia, ma non fornisca elementi utili aggiuntivi a definire la malignità o benignità delle neoformazioni follicolari propriamente dette (24-26). In tali casi, infatti il campione istologico ottenuto mediante CNB è comunque inadeguato per fornire una rappresentazione accurata dei possibili aspetti di  infiltrazione capsulare e/o vascolare tipici del carcinoma follicolare.

 

Neoplasie del distretto cervicale
Una riconosciuta area di impiego della CNB è rappresentata dalla caratterizzazione di lesioni di certa o sospetta natura neoplastica del distretto cervicale, e quindi anche della tiroide, non sufficientemente caratterizzate sotto il profilo citologico (3,18,26,27). Rientrano in tale ambito il carcinoma anaplastico della tiroide e le altre neoplasie primitive della tiroide scarsamente differenziate, come i sarcomi, i linfomi a localizzazione tiroidea, le metastasi a sede tiroidea di altre neoplasie (carcinoma mammario, carcinoma renale, melanoma, ecc.). In particolare, è riportata un'accuratezza diagnostica del 92.3% nella caratterizzazione del tipo istologico dei linfomi a localizzazione cervicale (28); l’importanza di tale dato risiede nella capacità della CNB di evitare un numero rilevante di biopsie chirurgiche dei linfonodi.

 

Conclusioni
In sintesi, dati di letteratura ed esperienza clinica consentono di affermare che  l'impiego della CNB è di potenziale utilità in queste condizioni:

  1. diagnostica differenziale di lesioni di sospetta natura eteroplastica, son sufficientemente caratterizzate sul piano citologico (es. carcinomi primitivi scarsamente differenziati, linfomi, sarcomi, metastasi tiroidee di altri tumori primitivi etc.)
  2. caratterizzazioni di noduli con citologia ripetutamente non diagnostica (Thy-1), candidati all'exeresi chirurgica

Non possono dirsi ancora sufficientemente definite le indicazioni della CNB nelle lesioni indeterminate (Thy-3), anche per l'eterogeneità dei quadri clinici che rientrano in tale categoria. E' possibile che la CNB possa fornire elementi diagnostici nel caso di lesioni Thy-3 con atipia di incerto significato, come suggeriscono alcune serie della letteratura, o che possa contribuire alla stratificazione del rischio di malignità associato alle lesioni follicolari. Allo stato attuale, tali aspetti necessitano di ulteriori approfondimenti.

 

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Enrico Papini1 (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), Andrea Frasoldati2, Anna Crescenzi3 & Francesco Nardi4
1
Endocrinologia & 3Patologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM); 2Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova IRCCS, Reggio Emilia; 4Università di Roma Sapienza, Roma

 

L’agoaspirato con ago sottile (FNA) è lo strumento diagnostico più efficace per la valutazione della natura della patologia nodulare tiroidea e consente di selezionare i pazienti da seguire preferibilmente in modo conservativo rispetto a quelli da avviare alla exeresi chirurgica. L’impiego di una terminologia condivisa per l’inquadramento del nodulo in categorie diagnostiche a rischio crescente di malignità consente, considerati anche tutti gli altri criteri clinici e strumentali, di orientare nel modo più appropriato la gestione del paziente (1).
La nuova classificazione italiana della citologia tiroidea è stata ufficialmente pubblicata nel maggio 2014 sul Journal of Endocrinological Investigation (1). Il documento, messo a punto da un gruppo di esperti su mandato delle Società Italiane di Endocrinologia (AIT, AME e SIE) e di Anatomia Patologica e Citologia (SIAPEC-IAP), aggiorna la precedente classificazione del 2007 in base ai dati della letteratura, rendendola confrontabile con le altre classificazioni più utilizzate, quella americana, nota come “Bethesda” (2,3), e quella inglese, del Royal College of Pathologists of United Kingdom (UKRCP) (4), e fornisce a endocrinologi e citopatologi uno strumento di immediata utilità per la pratica clinica.
La tabella 1 riporta il confronto tra la classificazione italiana del 2014 e la precedente del 2007: è mantenuto lo schema con cinque categorie, associate al relativo atteso rischio di malignità e al suggerimento di un’azione clinica, ma sono presenti importanti modificazioni nelle categorie TIR 1 e TIR 3. 

 

CONFRONTO FRA VECCHIA E NUOVA CLASSIFICAZIONE

Nella TIR 1 (“non diagnostico”) sono introdotte tre modifiche:

  • in presenza di atipie citologiche significative, il campione viene incluso in una categoria di sospetto, indipendentemente dal numero delle cellule che lo compongono, come nelle classificazioni americana e inglese (2-4);
  • i campioni ottenuti da lesioni cistiche nei quali non si raggiungono i limiti minimi di adeguatezza cellulare sono classificati come TIR 1C (cistico). Sono escluse le cisti colloidee, che sono incluse nella categoria TIR2;
  • in caso di agoaspirati (FNA) ripetutamente non diagnostici, può essere eseguita una biopsia eco-guidata (‘core needle biopsy) con ago 20-22 G per esame micro-istologico. La procedura si è dimostrata efficace nel ridurre il numero di casi “inadeguati” (5).

La TIR 3 (“indeterminato/proliferazione follicolare”) prevedeva nella classificazione 2007 l'intervento chirurgico come suggerimento terapeutico. È stata ora suddivisa in due sottoclassi:

  • TIR 3A, che prevede follow-up con ripetizione di FNA;
  • TIR 3B, che ha come opzione prioritaria l'exeresi chirurgica.

Questa suddivisione (presente, con terminologia diversa, anche nelle classificazioni americana e inglese) ha lo scopo di ridurre il numero di pazienti inclusi nella categoria TIR 3 sottoposti a intervento chirurgico per patologia benigna.
Sono considerati “neoplasia follicolare” (TIR 3B) solo i campioni con elevata cellularità, scarsa o assente colloide e assoluta prevalenza di strutture microfollicolari/trabecolari.
Nei casi in cui, pur in presenza di elevata cellularità e scarsa colloide, non vi è un'assoluta prevalenza di strutture microfollicolari/trabecolari, la lesione è inclusa nella sottocategoria TIR 3A, con rischio atteso di malignità < 10% e suggerimento clinico conservativo.
Sono inclusi nella sottocategoria TIR 3B anche i campioni con alterazioni nucleari suggestive di carcinoma papillifero, troppo lievi o focali per includerli nella categoria TIR 4. Nelle classificazioni Bethesda (2,3) e UKRCP (4) queste lesioni sono incluse in categorie a rischio più basso che prevedono il follow-up con ripetizione della FNA. Casistiche recenti, tuttavia, riportano in queste lesioni un rischio di malignità > 25% (6), per cui questo gruppo è stato da noi incluso nella sottocategoria TIR 3B.
Non vi sono differenze sostanziali nelle altre categorie rispetto alla classificazione del 2007. 

 

Tabella 1
Confronto tra classificazione del 2007 e del 2014
SIAPEC 2007 SIAPEC-AIT-AME-SIE 2014          
Tir 1: non diagnostico

TIR1: non diagnostico

  • TIR 1C: non diagnostico cistico
Tir 2: negatico per cellule maligne

TIR 2: non maligno/benigno

Tir 3: indeterminato (proliferazione follicolare

TIR 3: indeterminato

  • TIR 3A: lesione inderteminata a basso rischio
  • TIR 3B: lesione indeterminata ad alto rischio

Tir 4: sospetto di malignità

TIR 4:sospetto di malignità
Tir 5: positivo per cellule maligne

TIR 5: maligno

 

 

CATEGORIE DI REFERTAZIONE CITOLOGICA 2014

Sono raccomandate cinque categorie diagnostiche principali. La tabella 2 sintetizza le categorie diagnostiche, il rischio di malignità atteso e le azioni cliniche suggerite.

TIR 1 (non diagnostica)
Comprende prelievi “inadeguati” (per contaminazione ematica o per artefatti) e “non rappresentativi” (assenza di almeno 6 gruppi di 10 tireociti ciascuno). In presenza di atipie citologiche significative, il campione viene incluso in una categoria di sospetto indipendentemente dal numero di cellule.
Se nei prelievi da lesioni cistiche sono presenti solo eritrociti, detriti e macrofagi con emosiderina, in assenza di colloide, la lesione è sottoclassificata come TIR 1C (cistica).

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Figura 1: TIR 1c-prelievo insufficiente; Cisti semplice sono presenti soli macrofagi senza elementi epiteliali
 

Azioni cliniche:

  • TIR 1: non consente una diagnosi ed è quindi raccomandata la ripetizione di FNA eco-guidata, di regola dopo almeno un mese dalla precedente. In caso di FNA ripetutamente non diagnostiche, può essere eseguita una core-needle biopsy per esame micro-istologico;
  • TIR 1C: in assenza di reperti clinici ed ecografici di sospetto, queste lesioni sono in genere benigne. In caso di sospetto clinico, ripetere la FNA per escludere un carcinoma papillifero cistico.

 

 

TIR 2 (non maligna/benigna)
Comprende la citologia da noduli colloidi o iperplastici, da tiroiditi autoimmuni o granulomatose e da altre, meno frequenti, condizioni non neoplastiche.

 

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Figura 2: TIR 2-quadro caratterizzato da abbondante colloide e lembi di tireociti regolari, ben distanziati e privi di atipie
 

Azioni cliniche: follow-up clinico ed ecografico. Ripetere la FNA solo in caso di crescita o modificazioni ecografiche del nodulo e nei pazienti avviati a trattamenti ablativi non chirurgici.

 

 

TIR 3 (citologia indeterminata)
La maggioranza di questi casi è rappresentata da quadri microfollicolari, che corrispondono, sul piano istologico, a noduli adenomatosi iperplastici, adenomi o carcinomi follicolari o varianti follicolari del carcinoma papillifero. Sono distinte due sottoclassi a diverso rischio di malignità, caratterizzate in modo leggermente diverso rispetto al Bethesda System, per una prevista migliore definizione della probabilità di malignità (3):

  • TIR 3A (lesione indeterminata a basso rischio di malignità): caratterizzata da accentuata cellularità, colloide scarsa e strutture microfollicolari numerose ma non sufficienti a far porre diagnosi di “neoplasia follicolare”. Sono inclusi in questa categoria anche strisci con alterazioni citologiche o architetturali, ma gravati da artefatti che ne limitano l’interpretazione;

 

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Figura 3: TIR 3A- lesione follicolare; strisci riccamente cellulati ed architettura microfollicolare, su uno sfondo povero di colloide
 
 
  • TIR 3B (lesione indeterminata a elevato rischio di malignità): elevata cellularità a disposizione monotona in strutture microfollicolari/trabecolari, con colloide scarsa/assente (quadro suggestivo di “neoplasia follicolare”). Questa categoria include anche campioni con alterazioni nucleari lievemente sospette per carcinoma papillifero.
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Figura 4: TIR 3b; proliferazione di cellule di Hürthle, elementi di dimensioni medio-grandi, con piccolo nucleo ed abbondante citoplasma granuloso che sono scarsamente coese su un background povero di colloide
 

Azioni cliniche:

  • TIR 3A: stretto follow-up clinico ed ecografico. È raccomandata la ripetizione di FNA nel corso dei controlli successivi;
  • TIR 3B: l’opzione prioritaria è l’exeresi chirurgica.

 

 

TIR 4 (sospetta per malignità)
Comprende campioni in cui la malignità è fortemente sospetta ma non certa. La maggioranza di questi casi corrisponde a un carcinoma papillifero, ma altre neoplasie sono occasionalmente incluse in questa categoria.

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Figura 5: TIR 4-sospetto; strisci riccamente cellulati, poveri di colloide, con incisure nucleari, associati a pseudo-inclusi abortivi o completamenti assenti (carcinoma papillifero)
 

Azioni cliniche: exeresi chirurgica con eventuale esame intra-operatorio. Ripetizione di FNA nei soli casi pauci-cellulari o che richiedano una caratterizzazione pre-operatoria addizionale.

 

 

TIR 5 (maligna)
Comprende campioni con diagnosi citologica conclusiva di neoplasia maligna (papillifera, midollare, scarsamente differenziata, anaplastica, linfoma, tumore non epiteliale o metastatico). Ove possibile, deve essere formulata la diagnosi del tipo di tumore.

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Figura 6: TIR 5- lesione maligna; aggregati papillari di cellule neoplastiche con le caratteristiche nucleari tipiche dei carcinomi papillari, cioè nuclei ovalari con incisure longitudinali e pseudoinclusi ben definiti
 
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Figura 7: TIR 5-lesione maligna; aggregati solidi di cellule neoplastiche di piccole dimensioni con nucleo ipercromico, citoplasma granulare, che risultano immunoreattive con calcitonina (figura destra-carcinoma midollare)
 

Azioni cliniche: resezione chirurgica con estensione basata su reperto citologico e quadro clinico. In caso di carcinoma anaplastico, linfoma o tumore metastatico, sono necessarie ulteriori procedure diagnostiche per definire la condotta terapeutica più appropriata.

 

 

Tabella 2
Consenso Italiano 2014
Codice Categoria diagnostica

Rischio atteso di malignità (%)

Azioni suggerite
TIR 1

Non diagnostico

Non definito Ripeti FNA eco-guidata dopo almeno 1 mese
TIR 1C Non diagnostico-cistico

Basso (variabile in base al quadro clinico)

Valutare nel contesto clinico, eventualmente ripetere l'FNA
TIR 2 Non maligno/benigno < 3

Follow-up

TIR 3A

Lesione indeterminata a basso rischio

< 10 Ripeti FNA/follow-up
TIR 3B

Lesione indeterminata ad alto rischio

15-30 Exeresi chirurgica
TIR 4 Sospetto per malignità 60-80

Exeresi chirurgica con eventuale esame intraoperatorio

TIR 5 Maligno > 95

Exeresi chirurgica
Approfondimento diagnostico in casi selezionati

 
 

BIBLIOGRAFIA Essenziale

  1. Nardi F, Basolo F, Crescenzi A, et al. Italian Consensus for the classification and reporting of thyroid cytology. J Endocrinol Invest 2014, 37: 593-9.
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  3. Ali SZ, Cibas ES. The Bethesda system for reporting thyroid cytopathology: definitions, criteria and explanatory notes. Springer, New York 2010.
  4. Cross PA, Chandra A, Giles T, et al. Guidance on the reporting of thyroid cytology specimens. 2009.
  5. Samir AE, Vij A, Seale MK, et al. Ultrasound-guided percutaneous thyroid nodule core biopsy: clinical utility in patients with prior non diagnostic fine-needle aspirate. Thyroid 2012, 22: 461-7.
  6. Renshaw AA. Should ”atypical follicular cells” in thyroid fine-needle aspirates be subclassified? Cancer Cytopathol 2010, 118: 186-9.
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Anna Crescenzi1 & Simonetta Piana2
1UO Anatomia Patologica, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)
2
UO Anatomia Patologica, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

 

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Figura 1: Prelievo inadeguato TIR 1; striscio ematico con scarsi elementi non valutabili per artefatti da ritarda fissazione

 

 

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Figura 2: TIR 2 - prelievo insufficiente; Cisti semplice sono presenti soli macrofagi senza elementi epiteliali

 

 

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Figura 3: TIR 2 - quadro caratterizzato da abbondante colloide e lembi di tireociti regolari, ben distanziati e privi di atipie
 
 
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Figura 4: TIR 3 - lesione follicolare; strisci riccamente cellulati ed architettura microfollicolare, su uno sfondo povero di colloide 
 
 
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Figura 5: TIR 3 - proliferazione di cellule di Hürthle, elementi di dimensioni medio-grandi, con piccolo nucleo ed abbondante citoplasma granuloso che sono scarsamente coese su un background povero di colloide
 
 
alt
 
Figura 6: TIR 4 - sospetto; strisci riccamente cellulati, poveri di colloide, con incisure nucleari, associati a pseudo-inclusi abortivi o completamenti assenti
 
 
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Figura 7: TIR 5 - lesione maligna; aggregati papillari di cellule neoplastiche con le caratteristiche nucleari tipiche dei carcinomi papillari, cioè nuclei ovalari con incisure longitudinali e pseudoinclusi ben definiti 
 
 
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Figura 8: TIR 5 - lesione maligna; aggregati solidi di cellule neoplastiche di piccole dimensioni con nucleo ipercromico, citoplasma granulare, che risultano immunoreattive con calcitonina (figura destra)
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Anna Crescenzi1 & Simonetta Piana2
1UOC Anatomia Patologica, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma
2UO Anatomia Patologica, Arcispedale S. Maria Nuova, Azienda USL-IRCC di Reggio Emilia, Reggio Emilia

(aggiornato al 20 gennaio 2021)

 

Con il termine di marcatori immuno-citochimici si intende un gruppo di anticorpi utilizzabili su preparati citologici per evidenziare in modo specifico alcune proteine. Questi anticorpi riconoscono come epitopo specifiche proteine cellulari e, laddove tali proteine siano presenti, permettono di localizzarle e visualizzarle mediante un cromogeno che produce una reazione colorata. Il meccanismo di colorazione della immunocitochimica è analogo a quello utilizzato sulle sezioni di tessuto dei campioni istologici, che in questo caso prende il nome di immunoistochimica.
Gli anticorpi, essendo specifici per singole proteine, sono scelti in base a ciò che si vuole cercare. Possono essere marcatori:

  • di caratterizzazione se cerchiamo proteine tipiche di una linea cellulare (es. calcitonina per riconoscere le cellule C della tiroide);
  • predittivi di malignità se cerchiamo proteine generalmente non presenti in condizioni di benignità e che vengono espresse nella trasformazione neoplastica (es. galectina 3 nel carcinoma papillifero e follicolare) o in alternativa proteine normalmente presenti e che vengono perse nella trasformazione tumorale (es. CD56 nei carcinomi papillifero e follicolare);
  • predittivi di progressione neoplastica se cerchiamo proteine espresse prevalentemente in neoplasie di alto grado (es p53 nel carcinoma anaplastico);
  • di stato mutazionale se andiamo a identificare proteine che vengono espresse nelle cellule neoplastiche a seguito di una mutazione genica (es. BRAF V600E).

Un problema pratico nell’applicazione dei marcatori immuno-citochimici è rappresentato dalla disponibilità del materiale da esaminare: poiché lo striscio convenzionale è la metodica citologica più diffusa, il metodo utilizzato è la decolorazione dei preparati, che però fornisce reazioni immuno-citochimiche non sempre ottimali (1). Un buon risultato richiede talora che venga ripetuto il prelievo per agoaspirato e che il materiale sia incluso in cell block (le cellule vengono inglobate in un blocchetto di paraffina), per ottenerne sezioni da trattare per l’immuno-istochimica. È stato inoltre proposto di effettuare il prelievo dedicato alla tipizzazione immuno-istochimica mediante agobiopsie, oggi praticabili anche con ago sottile (thin core biopsy, con aghi 21-22 G), che hanno il vantaggio di fornire un piccolo frustolo di tessuto sul quale si può valutare contestualmente l’espressione dei marcatori e l’organizzazione del tessuto. L'utilità dell'impiego su larga scala della core biopsy tradizionale e con ago sottile è ancora oggetto di discussione (2-5) e trova impiego soprattutto nel sospetto di una metastasi alla tiroide (vedi oltre). In tempi più recenti sono state commercializzate matrici polimeriche che catturano le cellule al momento dell’agoaspirato e le trattengono durante il processo di fissazione in formalina e inclusione in paraffina. In questo modo è possibile ottenere un cito-incluso direttamente dal prelievo, senza passaggi intermedi di laboratorio che potrebbero causare perdita di materiale diagnostico (Cytofoam, Biooptica, Milano; Cytomatrix, UCS Diagnostic, Roma).

 

Marcatori di caratterizzazione
Vengono utilizzati principalmente per il riconoscimento del tipo istologico neoplastico da cui lo striscio proviene, sia esso primitivo tiroideo o metastatico.
Fra i marcatori di caratterizzazione più importanti, vi sono:

  • TTF1, PAX8 e tireoglobulina per il riconoscimento delle cellule follicolari e la diagnosi dei carcinomi da queste derivati (carcinoma papillare - PTC - e carcinoma follicolare - FTC). I primi due, marcatori nucleari, hanno ormai soppiantato la tireoglobulina, storicamente importante ma meno precisa nella marcatura;
  • calcitonina, CEA e cromogranina per il riconoscimento delle cellule C e quindi la diagnosi di carcinoma midollare (MTC);
  • pancitocheratina per la dimostrazione di una neoplasia epiteliale, anche poco differenziata, ad esempio nell’eventualità di una carcinoma anaplastico;
  • CD31, ERG per confermare la diagnosi di angio-sarcoma:
  • marcatori linfoidi (CD20, CD3, bcl2, bcl6, ecc) per la dimostrazione di un linfoma;
  • anticorpi specifici per la dimostrazione di una localizzazione metastatica da altro sito di origine (es. CD10 in caso di carcinoma renale a cellule chiare, HMB-45 in caso di melanoma, CDX2 in caso di adenocarcinoma di origine gastro-enterica, GATA3 e recettori per estrogeni e progesterone per origine mammaria, ecc).

L’applicazione di questi anticorpi è possibile direttamente su citologico, ma, soprattutto in caso di linfomi e metastasi, è preferibile verificarli su frammenti agobioptici ottenuti con ago sottile (si veda sopra).
La tecnica immunocitochimica impiegata deve essere con elevati standard qualitativi e i risultati devono essere interpretati nel contesto clinico e citologico adeguato.

 

Marcatori predittivi di malignità
Sono utilizzati in citologia nell’ambito delle proliferazioni follicolari (TIR 3) (6), con l’intento di riconoscere le lesioni da indirizzare alla chirurgia rispetto a quelle da sottoporre a follow-up. Il razionale si basa sul fatto che tali marcatori riconoscono alcune proteine normalmente non espresse dai tireociti, la cui espressione è un evento legato alla trasformazione neoplastica.
Le proteine più note correlate all’oncogenesi tiroidea sono la galectina 3 (Gal3), l’HBME1 e la citocheratina 19 (CK19) (7). Pur essendo vera questa premessa, la letteratura scientifica ha riportato l’espressione di questi marcatori in alcune condizioni non neoplastiche o non maligne, dimostrando pertanto che la specificità dei singoli marcatori non è elevata come si riteneva nei primi studi (8-13). Le linee guida della American Thyroid Association (ATA), tenuto conto della necessità di lavorare con pannelli di anticorpi la cui combinazione risulta più accurata rispetto al singolo marcatore, indicano che l’immunocitochimica venga eseguita su cito-incluso, in modo da avere a disposizione multiple sezioni seriate dello stesso campione (14).
Le raccomandazioni delle attuali linee guida sono che i marcatori predittivi di malignità vengano utilizzati in casi selezionati e utilizzando protocolli di lavoro rigorosi per evitare artefatti tecnici (15).

 

Marcatori predittivi di progressione neoplastica
Si tratta di proteine normalmente non espresse né in patologie benigne né in neoplasie differenziate, ma la cui comparsa nelle cellule si verifica in fase di progressione verso neoplasie scarsamente differenziate o indifferenziate. Non si tratta di espressioni esclusive, ma di aumento della quota di cellule positive, il che comporta una certa discrezionalità di giudizio. Ne consegue che i reperti citologici sono prioritari ai fine della diagnosi, rispetto ai risultati immuno-istochimici, da considerarsi quindi più che altro una conferma. Infatti, i due principali marcatori sono la proteina p53 e la ciclina D1, la cui espressione è nettamente aumentata nelle neoplasie di alto grado (15-17). L’utilizzo in citologia è ristretto a casi positivi (TIR 5) in cui si vuole in sede pre-operatoria avere la prova di una malattia aggressiva già ipotizzata morfologicamente, per pianificare un approccio chirurgico/terapeutico adeguato (16-18). Dal punto di vista pratico valgono le stesse limitazioni degli altri marcatori immuno-citochimici, ossia la disponibilità del materiale, la scelta di casi selezionati e l’uso di rigidi protocolli di lavoro.

 

Marcatori di stato mutazionale
Di più recente introduzione è la disponibilità commerciale di anticorpi per visualizzare, ove presenti, proteine che risultano espresse nelle cellule in seguito a mutazioni geniche. Per la patologia tiroidea sono di interesse: l’anticorpo VE1, la cui positività è espressione della mutazione V600E del gene BRAF (sensibilità 100%, specificità 94%) (19) e l’anticorpo anti-NRAS Q61R (clone SP174), la cui positività è rappresentativa della mutazione Q61R del gene NRAS (sensibilità 100%, specificità 92%) (20).

 

Neoplasie tiroidee con reattività immuno-istochimica inusuale
Nell’ambito dei tumori tiroidei ad origine dall’epitelio follicolare o dalle cellule para-follicolari, sono stati identificati alcuni carcinomi che mostrano una reattività immuno-istochimica inusuale, diversa dal profilo caratteristico del carcinoma differenziato della tiroide e che può indurre confusione e possibili errori di interpretazione, specialmente nella diagnosi differenziale tra carcinoma primitivo della tiroide e tumore maligno di altri organi, metastatico nel parenchima tiroideo (21,22).

Carcinoma papillifero negativo per tireoglobulina. È noto che in alcuni PTC la tireoglobulina possa essere espressa solo focalmente: ad esempio nella variante solida e nella variante sclerosante diffusa. Questa situazione deve essere tenuta presente quando si usa questa immuno-istochimica su preparati citologici che possono non contenere la parte di tumore positiva. Esistono tuttavia alcuni PTC in cui l’espressione della tireoglobulina è completamente assente a causa di mutazioni somatiche del gene della tireoglobulina o di geni che codificano proteine coinvolte nella sua produzione. Questi tumori mantengono la positività immuno-istochimica per TTF1, vimentina e PAX8 e sono negativi per calcitonina. L’immuno-fenotipo ne permette quindi la corretta assegnazione diagnostica e il reperto di negatività per tireoglobulina deve essere descritto nella refertazione. L’informazione, infatti, è di grande rilevanza clinica, in quanto la misurazione sierica della tireoglobulina, assente in questi tumori e nelle eventuali recidive, è largamente utilizzata nel follow-up dei pazienti con PTC. Inoltre, risulterà negativa anche la misurazione della tireoglobulina nel liquido di lavaggio da agoaspirato. Trattandosi di una mutazione somatica della neoplasia, il restante parenchima tiroideo mantiene la normale reattività immuno-istochimica e fa da controllo per la colorazione sui preparati istologici, a dimostrazione che la negatività immuno-istochimica per la tireoglobulina non è dovuta a ritardo di fissazione del tessuto o ad altri fattori pre-analitici (21).

Carcinomi papilliferi con espressione aberrante di CDX2. Alcune rare varianti di PTC, come il morulare cribriforme e la variante a cellule colonnari, possono mostrare espressione nucleare di CDX2, una proteina specifica dell’epitelio intestinale. In alcuni di questi rari tumori l’espressione di CDX2 si associa a quella del CA19.9, aumentando la possibilità che vengano confusi con metastasi da carcinomi ad origine intestinale. Questi tumori, tuttavia, mantengono la positività per TTF1 e PAX8, che ne permette la diagnosi corretta. È pertanto importante che il pannello immuno-istochimico sia ampio e completo (23).

Carcinoma morulare cribriforme con espressione dei recettori per estrogeni. La variante morulare cribriforme del PTC si caratterizza spesso per l’espressione nucleare immuno-istochimica del recettore per gli estrogeni, talvolta associata ad espressione del recettore per progesterone. Questo fenomeno, associato alla morfologia cribriforme, si presta facilmente a confusione con una metastasi alla tiroide da carcinoma della mammella. Le cellule neoplastiche, specialmente nella parte cribriforme del tumore, mantengono tuttavia l’espressione di TTF1 e sono costantemente negative per calcitonina, supportando la corretta diagnosi differenziale. Anche qui vale il concetto di utilizzare pannelli immuno-istochimici completi ove sia necessaria la diagnosi differenziale tra carcinoma primitivo e metastatico (24).

Carcinoma a cellule di Hürthle negativo per TTF1 e tireoglobulina. In questi tumori, che possono presentarsi sia ad architettura follicolare che papillare senza le caratteristiche nucleari del PTC, le reazioni immuno-istochimiche per TTF1 e tireoglobulina risultano negative, mentre le cellule si colorano intensamente per marcatori mitocondriali come la sub-unità A della succinico-deidrogenasi. La calcitonina è costantemente negativa. L’attribuzione ad una primitività tiroidea è una diagnosi clinica di esclusione e si basa su una estesa diagnostica per immagini negativa per altre sedi. Di solito si tratta di carcinomi estesamente invasivi, ma il fenomeno è stato riscontrato raramente anche in adenomi a cellule di Hürthle. La negatività per tireoglobulina inoltre condiziona il follow-up, come per i PTC prima descritti (25).

Carcinomi midollari negativi per calcitonina. Sono riportati rari tumori neuroendocrini della tiroide, derivanti dalle cellule C ma negativi all’espressione immuno-istochimica della calcitonina. Questi tumori mostrano positività immuno-istochimica per TTF1 e PAX8, per cromogranina e sinaptofisina e per il peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP), ma sono negativi per calcitonina, CEA e tireoglobulina. La positività per CGRP + TTF1 + PAX8 è altamente suggestiva di origine dalle cellule C anche in assenza di calcitonina. In questi tumori non è presente mRNA della calcitonina, pertanto la misurazione sierica della calcitonina non ha valore nel follow-up di questi pazienti, come non è indicativa la misurazione della calcitonina nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato (26).

Tumore trabecolare jalinizzante. In questa rara lesione di origine follicolare, che quindi esprime i marcatori di linea follicolare TTF1 e PAX8, si osserva un’insolita positività del Ki-67, una proteina associata alla proliferazione cellulare. Il Ki-67 è normalmente espresso nel nucleo, mentre nel tumore trabecolare ialinizzante è presente sulla membrana cellulare, se il campione viene trattato a una specifica temperatura (27).

 

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°Marco Attard, *Massimo Torlontano, °Carolina Adele Maniglia e °Girolamo D’Azzò
°U.O. di Endocrinologia, A.O. Villa Sofia Cervello – Palermo
*U.O. Endocrinologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza – San Giovanni Rotondo

 

Il gozzo è il risultato di complesse interazioni tra fattori di rischio ambientali e predisposizione genetica; la patologia si manifesta come il risultato di alterazioni dei meccanismi deputati al controllo della crescita cellulare (1-4). Gli eventi patogenetici che conducono a queste alterazioni sono ancora oggetto di studio e nel complesso restano ampiamente sconosciuti (5-7).

Negli ultimi decenni nei paesi occidentali la patomorfosi clinica del gozzo è stata comunque eclatante: la patologia, pur restando molto frequente, è certamente cambiata. I voluminosi gozzi che hanno caratterizzato l’aspetto della popolazione di alcune aree geografiche del mondo sono praticamente scomparsi. Questi eclatanti cambiamenti dimostrano di fatto il ruolo predominante della carenza iodica nella patogenesi del gozzo; la profilassi iodica più o meno consapevole (per anni un ruolo profilattico e persino terapeutico ha avuto la c.d. profilassi silente, dovuta all’introduzione involontaria di iodio addizionato agli alimenti come conservante, colorante, …), più o meno controllata - regolata - monitorata, è attiva oramai da oltre un ventennio.

Nella patogenesi del gozzo il principale fattore causale è certamente la carenza dell’apporto iodico con l’alimentazione (8-12); lo iodio è il costituente più importante degli ormoni tiroidei e il suo giusto apporto con l’alimentazione è essenziale per l’ormonogenesi sin dall’età fetale (tabella, da Manuale AME per la valutazione e l'inquadramento delle patologie della Tiroide, cap 4, pag 39).

 

Fabbisogno giornaliero di iodio (µg/die)
Età Raccomandato Massimo
0-7 anni 90 200
8 - 12 anni 120 600
Adulti 150 600
Gravidanza - Allattamento 250 600

 

Il meccanismo preciso tramite il quale la ridotta disponibilità di iodio determina l’iperplasia della ghiandola non è completamente noto; secondo le ipotesi più accreditate, il deficit di apporto iodico promuove l’incremento volumetrico della tiroide attraverso meccanismi di compenso, che includono sia l’aumento dei livelli sierici di TSH, dovuto alla ridotta sintesi degli ormoni, sia l’intervento di meccanismi auto-regolatori intra-tiroidei. Il gozzo endemico (legato alla carenza iodica) è quindi una malattia da adattamento (adaptative disease): può essere considerato il risultato del tentativo di adeguamento dell’organismo all’insufficiente apporto iodico (13).

Alla ridotta disponibilità di iodio l’organismo risponde riducendo l’escrezione renale dell’elemento e aumentando l’uptake dello stesso da parte della tiroide; fra i due parametri esiste una correlazione inversa molto netta, dimostrata nelle aree di endemia gozzigena.

La tiroide, sotto l’effetto del TSH, per mantenere una produzione ormonale sufficiente non solo aumenta la capacità di iodo-captazione dal torrente circolatorio, ma indirizza la produzione ormonale verso la T3, ormone metabolicamente attivo che contiene una quantità inferiore dell’oligoelemento.

Questi meccanismi, che realizzano una maggiore utilizzazione dello iodio disponibile e un suo maggiore risparmio, sono spesso sufficienti per mantenere l’omeostasi ormonale, senza comportare modificazioni morfologiche della ghiandola. Quando la richiesta di adattamento supera i limiti funzionali del sistema, per evitare una riduzione della produzione ormonale, si avvia un processo di iperplasia dell’epitelio ghiandolare, che sfocia nel quadro clinico del gozzo. Il TSH rappresenta infatti uno stimolo trofico per la tiroide, favorendo la replicazione e la crescita delle cellule follicolari tiroidee; la crescita ghiandolare richiede anche l’incremento della vascolarizzazione. I vasi neoformati sono spesso incapaci di irrorare adeguatamente il tessuto neoformato; venendo meno il supporto trofico, si possono formare zone di necrosi emorragica, che poi possono evolvere in pseudocisti emorragiche, cisti colloidee, zone di fibrosi e aree calcificate.

Nella quasi totalità dei pazienti con gozzo i valori di TSH sono comunque normali; questo dato rende più complessi e meno facilmente interpretabili i meccanismi patogenetici della malattia da carenza iodica (14). Le spiegazioni più accettate del problema ipotizzano:

  1. che l’aumento dei valori di TSH possa verificarsi soltanto nelle fasi iniziali della malattia e non sia poi necessario per il mantenimento della spinta iperplastica;
  2. che valori di TSH ai limiti massimi del range, ma pur sempre normali, siano in grado di favorire l’insorgenza e il mantenimento del gozzo;
  3. una maggiore sensibilità dell’epitelio follicolare a concentrazioni normali di TSH.

L’incremento della massa ghiandolare tiroidea è in larga parte correlabile a un’aumentata capacità di replicazione dei tireociti; oltre al TSH, che come detto riveste un ruolo cruciale nella patogenesi del gozzo da carenza iodica, altri fattori stimolanti sono coinvolti nella genesi in specie del gozzo sporadico. Alcuni studi hanno dimostrato, sia in vitro che in vivo, che l’IGF-1 (insulin-like growth factor-1), l’EGF (epidermal growth factor) e il FGF (fibroblast growth factor) hanno un ruolo nella crescita del gozzo nodulare (15,16); verosimilmente anche il VEGF (vascular endothelial growth factor) è coinvolto nella comparsa del gozzo sporadico, mentre il TGF (transforming growth factor) sembra avere un’azione opposta, ostacolando la crescita del gozzo (17). Anche alterazioni dei meccanismi intracellulari coinvolti nella proliferazione (aumentata espressione del proto-oncogene ras) sono stati chiamati in causa nella patogenesi del gozzo.

La ricerca dei fattori eziopatogenetici del gozzo sporadico e di quelli responsabili della selezione dei soggetti d’area endemica nei quali il fenomeno si manifesta, continua; di volta in volta sono stati chiamati in causa fattori genetici e di genere (il gozzo è certamente più frequente nelle donne), sostanze gozzigene (tioglucosidi, tiocianati, …) contenute negli alimenti, in alcuni farmaci e nel fumo di sigaretta, il peso corporeo e il BMI.

Nell’eterogeneità funzionale dei tireociti che costituiscono i follicoli ghiandolari è la spiegazione dell’evoluzione e della diversità funzionale dei noduli che compaiono nei voluminosi gozzi di vecchia data (18). E’ ben noto che i tireociti che costituiscono i follicoli hanno capacità funzionali diverse: l’espressione di NIS (Na+/I symporter) e la iodocaptazione, la sintesi della tireoglobulina, la produzione ormonale sono diverse nelle cellule che compongono i singoli follicoli della ghiandola. L’agente iniziale della malattia (carenza iodica o altro fattore gozzigeno) agirebbe sui diversi tireociti; la conseguente formazione di nuovi follicoli (neogenesi follicolare) sarebbe diversificata e caratterizzata dal grado di funzione della cellula progenitrice. In tal modo si formerebbero follicoli (e successivamente noduli per proliferazione di cellule con singole mutazioni) a diverso grado di funzionalità (non funzionanti, funzionanti, iperfunzionanti). L’aumentato tasso replicativo (forse per l’aumento dell’H2O2 e dei radicali liberi) comporterebbe un danneggiamento del DNA genomico e quindi vere e proprie mutazioni somatiche, che poi sarebbero alla base del mantenimento del gozzo e della sua evoluzione verso forme iperfunzionanti, “autonome” (figura).

 

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Figura 1. Patogenesi dei noduli tiroidei (modificata da Krohn K, Führer D, Bayer Y, et al. Molecular pathogenesis of euthyroid and toxic multinodular goiter. Endocr Rev 2005, 26: 504-24).

 

In conclusione, pur essendo lontani dalla comprensione completa dell’etiopatogenesi della patologia, è possibile affermare che il gozzo è una malattia:

  • della nutrizione, perché riconosce nel deficiente apporto alimentare di iodio la causa più rilevante
  • dell’ambiente, perché ritrova in alcune condizioni ambientali l’elemento fondamentale per la sua insorgenza e per la sua diffusione endemica
  • genetica, visto che il fenomeno è certamente più presente in alcuni gruppi familiari, sia nelle aree iodocarenti che in quelle a sufficiente apporto iodico.

 

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°Marco Attard, *Massimo Torlontano, °Carolina Adele Maniglia e °Girolamo D’Azzò
°U.O. di Endocrinologia, A.O. Villa Sofia Cervello – Palermo
*U.O. Endocrinologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza – San Giovanni Rotondo (FG)

 

Con il termine di gozzo si indica l’aumento volumetrico della tiroide, indipendentemente dalle cause che lo provocano; vengono esclusi gli incrementi volumetrici della ghiandola dovuti a patologia infiammatoria o neoplastica.
Il gozzo è una delle patologie più diffuse al mondo: circa il 5% della popolazione mondiale ne è affetta.
Il gozzo è per definizione normofunzionante: l’assetto ormonale è infatti entro il range di norma e non c’è evidenza di sintomi e/o segni da alterata funzione della ghiandola.

La diagnosi di gozzo è clinica (1): l’ispezione e la palpazione del collo consentono una valutazione abbastanza precisa delle dimensioni della ghiandola, della consistenza del parenchima e dell’eventuale presenza di formazioni nodulari. L’esame clinico è quindi abbastanza semplice e, in mani esperte, fornisce in tempo reale elementi diagnostici; è ovvio che in alcune condizione (colli tozzi, pannicolo adiposo molto rappresentato, masse muscolari ipertrofiche, …) l’esame clinico può essere ostacolato e quindi risultare non dirimente. In ogni caso, la valutazione dell’entità del gozzo con metodo palpatorio fornisce un'indicazione grossolana, non sempre corrispondente al reale grado di iperplasia ed eccessivamente dipendente dalla manualità e dall’esperienza del singolo operatore.
Nei pazienti portatori di gozzo è importante raccogliere i dati anamnestici (provenienza del soggetto da aree iodocarenti, familiarità per la malattia, pregressa esposizione a radiazioni, assunzione di farmaci, …) e informazioni circa la presenza di sintomi locali e/o generali; questi ultimi sono sempre assenti nel gozzo normofunzionante. Anche i disturbi locoregionali sono rari, perchè la crescita del gozzo è molto lenta ed insidiosa; la sintomatologia da occupazione di spazio e da compressione (disfagia, disfonia, turgore delle vene del collo, …) è poco frequente ed è appannaggio delle forme più voluminose ed inveterate. I sintomi associati a compressione e/o deviazione tracheale sono caratterizzati da tosse stizzosa, senso di soffocamento, stridore inspiratorio (tirage) e sensazione di costrizione cervicale; sono più frequenti nei gozzi ad estrinsecazione intra-toracica. In questi casi può essere anche presente una dilatazione delle vene del collo e del torace superiore, fino alla comparsa di pletora facciale. La sintomatologia disfagica, correlata a compressione – dislocazione dell’esofago, è ancora più rara; del tutto eccezionale è la sintomatologia dipendente da stiramento o compressione di nervi (enoftalmo, miosi e ptosi palpebrale - sindrome di Claude Bernard Horner - per interessamento del simpatico cervicale, singhiozzo per coinvolgimento del frenico).

Secondo le indicazioni dell’O.M.S. il gozzo viene classificato in tre stadi:

  • grado 0 = tiroide non palpabile
  • grado 1 = tiroide palpabile e visibile solo durante la deglutizione o con il collo iperesteso oppure quando siano presenti noduli
  • grado 2 = tiroide visibile anche nella normale posizione del collo

La diffusione dell'ecografia, utilizzata adesso anche nelle inchieste epidemiologiche, ha dimostrato i limiti clinici di questa classificazione. Essa appare poco accurata; l'apprezzamento delle dimensioni della ghiandola, oltre ad essere operatore-dipendente, è infatti strettamente correlata alla conformazione anatomica del collo del soggetto esaminato: nei pazienti con masse muscolari ipertrofiche ed in quelli con gozzo ad estrinsecazione retro-sternale è facile avere falsi negativi.

Sempre secondo le indicazioni dell’O.M.S., il gozzo si definisce endemico quando la frequenza della malattia nei bambini di età compresa fra 6 e 12 anni di una popolazione è maggiore del 5%; nelle altre condizioni il gozzo si classifica come sporadico.

La storia naturale del gozzo è caratterizzata dal graduale e lento accrescimento volumetrico della ghiandola, dalla successiva formazione di noduli e infine dallo sviluppo di aree nodulari autonomamente funzionanti con un corrispettivo clinico modesto (tireotossicosi subclinica) o, più raramente, manifesto (tireotossicosi che sono comunque spesso paucisintomatiche e a prevalente espressività cardiovascolare) (2). Al gozzo semplice e a quello nodulare può anche sovrapporsi una flogosi autoimmune, che a sua volta può essere causa e premessa di un'alterazione funzionale tiroidea (ipo ed ipertiroidismo); nella stessa maniera le formazioni nodulari possono presentare una evoluzione neoplastica. Il gozzo non può comunque essere considerato una condizione predisponente al tumore tiroideo (3); circa il 5% dei noduli tiroidei sono neoplastici anche se l'incidenza dei microcarcinomi è nettamente più elevata (si tratta però, nella maggioranza dei casi, di piccoli carcinomi privi di "ricadute cliniche" significative).

L’approccio clinico e, successivamente, di diagnostica strumentale e di laboratorio al paziente con gozzo deve quindi essere principalmente indirizzato alla diagnosi differenziale tra gozzo semplice e gozzo nodulare; deve però essere esclusa la presenza di patologia autoimmune ed ancor di più di “degenerazione” neoplastica (1,4-7).

Infine, va ricordato che il riconoscimento diagnostico della malattia è cambiato in maniera significativa negli ultimi decenni; prima era sempre tardivo, a tal punto che molti pazienti d’area iodocarente consideravano la tumefazione del collo una “variante normale”, oggi il riconoscimento di una modesta iperplasia tiroidea semplice o associata al rilevamento di nodularità di minime dimensioni è spesso occasionale, quasi sempre a seguito di esami strumentali (ecocolor-Doppler) effettuati per altre ragioni.

 

DIAGNOSI

L’ecografia è lo strumento diagnostico che meglio completa l’esame clinico del paziente con tireopatia nota o presunta; per tale ragione nell’approccio diagnostico delle tireopatie deve precedere ogni altra valutazione strumentale e di laboratorio (1,4).
Gli ultimi due decenni sono stati caratterizzati da notevoli miglioramenti qualitativi degli strumenti ecografici; l’evoluzione delle caratteristiche tecniche di queste macchine ha magnificato le possibilità diagnostiche. Oggi l’ecografia del collo, effettuata con strumenti di ultima generazione dotati di trasduttori adatti ed affidata a Operatori esperti, fornisce in tempo reale informazioni volumetriche, strutturali e anche funzionali in grado di “orientare” il Clinico e suggerire il successivo iter diagnostico.
L’ecografia fornisce indicazioni precise e ripetibili per la valutazione del volume della ghiandola e dei singoli noduli; questo strumento ha di fatto sostituito l’esame clinico negli studi epidemiologici.
Il calcolo del volume dell’organo è abbastanza semplice e si ottiene applicando la formula dell’ellissoide a ciascuno dei due lobi (e cioè moltiplicando, per ogni lobo, diametro antero-posteriore x diametro longitudinale x diametro trasverso x 0.52). Con lo stesso sistema è possibile calcolare il volume di ogni nodulo; gli ecografi di ultima generazione permettono peraltro il calcolo dei volumi in modo automatico. La diagnosi accurata del gozzo è quindi ecografica: lo strumento permette di indicare con precisione le dimensioni e il volume della ghiandola. Tale possibilità deve essere anche utilizzata nel follow-up del paziente e per verificare l’efficacia delle terapie messe in atto.
Lo studio ecografico della tiroide sarà ovviamente esteso all’identificazione di eventuali noduli; le caratteristiche ecostrutturali delle singole lesioni focali daranno indicazioni sulla natura delle stesse. L’individuazione di noduli sospetti (tabella) suggerirà la necessità di effettuare l’agoaspirato per esame citologico (FNAC); questa procedura dovrebbe essere effettuata sempre con la guida ecografica (il controllo della posizione dell’ago durante l’aspirazione garantisce migliori risultati in termini di adeguatezza del materiale ottenuto). Lo studio ecografico va esteso a tutto il collo e quindi completato dalla valutazione delle stazioni linfonodali; l’eventuale identificazione di linfoadenomegalie con caratteristiche metastatiche comporta una rivalutazione di noduli tiroidei anche di dimensioni minime ed il completamento dello studio con l’agoaspirazione del linfonodo sia per esame citomorfologico che per dosare la tireoglobulina nel liquido di lavaggio della siringa.

 

Identikit ecografico del nodulo sospetto
Aspetto ipoecogeno
Margini irregolari, indistinti, sfumati
Presenza di microcalcificazioni
Forma "taller than wide"
Vascolarizzazione ricca e caotica
Crescita extra-capsulare
Adenomegalie cervicali sospette

 

La scintigrafia della tiroide aveva nei decenni passati il ruolo che adesso appartiene a pieno diritto all’ecografia; non è corretto utilizzare questo strumento per avere indicazioni sulla morfologia ed il volume della ghiandola.
Le indicazioni all’effettuazione dell’esame (che dovrebbe essere effettuato utilizzando il Tecnezio -99mTc- oppure lo 123I o lo 131I) sono in realtà estremamente ridotte: in pratica il ricorso alla scintigrafia dovrebbe essere limitato all’individuazione dei pazienti con noduli “caldi”, autonomamente funzionanti (1,4,8). Come già detto, nella storia naturale del gozzo da carenza iodica è appunto prevista l’evoluzione da iperplasia semplice a gozzo nodulare ed infine a quello multi-etero-nodulare caratterizzato appunto dalla contemporanea presenza di aree di autonomia funzionale e di noduli “freddi”, non funzionanti. L’individuazione tempestiva di questa evoluzione del gozzo endemico è abbastanza importante, perché questo quadro patologico può restare misconosciuto pur essendo fonte di rilevanti problemi (in particolar modo di tachiaritmie) nel soggetto anziano. Il ricorso alla scintigrafia è obbligatorio nei pazienti con gozzo nodulare e quadro bioumorale di ipertiroidismo (spesso di T3-tossicosi), ma secondo alcuni Autori è opportuno in tutti i pazienti con gozzo multinodulare, anche se normofunzionante, allo scopo di individuare tempestivamente i noduli autonomamente funzionanti in fase preclinica (c.d. noduli “tiepidi”), che andranno monitorati con maggiore attenzione e mai trattati con iodio e/o ormoni tiroidei (1,4).

Soltanto in casi selezionati vi è necessità di completare lo studio del paziente con altri esami strumentali; nei gozzi molto voluminosi e in quelli ad estrinsecazione retro-sternale l’ecografia non può fornire indicazioni complete circa dimensioni della ghiandola e rapporti con le altre strutture del collo, in particolar modo con le prime vie aeree (laringe e trachea), con l’esofago e con i grossi vasi del collo e del mediastino. In queste circostanze si può far ricorso alla TC (meno utile la RM), che consente di definire in maniera più accurata, per l’approccio multiplanare consentito dall’esame, i rapporti tra gli organi e fornisce informazioni precise sul calibro delle vie aeree e su eventuali dislocazioni e compressioni.

La valutazione del paziente affetto da gozzo può essere completata da una valutazione fibroscopica delle prime vie aeree: in tal modo si avranno indicazioni precise sullo stato dell’asse laringo-tracheale e sulla motilità delle corde vocali. Tale completamento diagnostico è necessario nei pazienti con gozzo voluminoso.

Lo studio della funzione ghiandolare è importante nella valutazione complessiva del paziente con gozzo; anche se per definizione il gozzo è normofunzionante, si è già detto in precedenza che può essere premessa di evoluzione verso forme disfunzionali, infiammatorie ed anche neoplastiche.

Nessuna rilevanza ha il dosaggio della ioduria nel singolo soggetto; l’appellativo endemico fa riferimento alla provenienza del paziente e non alla dimostrata carenza iodica nel singolo soggetto. I valori di ioduria variano giornalmente in maniera significativa e quindi questa determinazione non ha alcun significato pratico.

Nel paziente portatore di gozzo la valutazione dell’assetto ormonale è di ausilio (dosaggio di FT3, FT4 e TSH). Nelle raccomandazioni delle Linee Guida più recenti (1,4), in un’ottica di risparmio, si tende comunque a limitare il numero delle determinazioni di laboratorio; una scelta condivisibile prevede una valutazione in due tempi: dosaggio del TSH come esame di I livello e successivo ricorso al dosaggio di FT3 ed FT4 nei casi di TSH “soppresso”, con l’obiettivo di individuare tempestivamente gli ipertiroidismi subclinici (e le T3-tossicosi delle aree di iodocarenza).

Nella valutazione complessiva del paziente con gozzo trova spazio anche la determinazione degli autoanticorpi (anti-Tg ed anti-TPO); questa dovrebbe essere effettuata al momento della diagnosi e poi successivamente ripetuta solo se le caratteristiche ecografiche del gozzo lascino ipotizzare una sovrapposizione flogistica autoimmune.

E’ opportuno peraltro soffermarsi sull’inutilità del dosaggio della tireoglobulina nel paziente con gozzo; non solo non è di alcuna utilità, ma spesso il risultato patologico (valori elevati si ritrovano nella maggioranza dei soggetti gozzuti e particolarmente elevati nei pazienti con pseudocisti emorragiche) può essere causa d’allarme per il Paziente e per il Medico poco esperto. Una considerazione a parte riguarda invece l’utilità di dosare la calcitonina nei pazienti con gozzo nodulare (1,4); a tal riguardo non c’è un accordo condiviso: se da una parte si sottolinea l’elevato PPV (100%) di valori particolarmente elevati di calcitonina (>100 pg/mL), d’all'altra si pone l’accento sui costi e sulla numerosità di esami da effettuare per individuare i pochi casi patologici. Il suggerimento più saggio prevede la necessità di ricorrere a questa determinazione in tutti i soggetti con sospetto ecografico e/o citologico di neoplasia.

 

TERAPIA

L’unico rimedio terapeutico radicale del gozzo è l’intervento di tiroidectomia totale; è ovvio che il ricorso a questa soluzione va riservato ai gozzi particolarmente voluminosi complicati da disturbi compressivi locali ed a quelli evoluti in alterazioni funzionali e/o in trasformazione neoplastica.

Per numerosi anni la terapia farmacologica del gozzo si è avvalsa della somministrazione prolungata di L-tiroxina; nell’ultimo decennio il rapporto costo/beneficio di queste cure è stata messa in dubbio a tal punto che adesso è del tutto sconsigliata in talune condizioni (donne in menopausa, pazienti anziani, gozzi voluminosi, …). La somministrazione di L-tiroxina a posologia semi-soppressiva sembra più efficace nei gozzi da carenza iodica, di piccoli dimensioni e di recente insorgenza. In tutte le altre condizioni (e quindi nella maggioranza dei casi) la migliore scelta è quella di astenersi da ogni trattamento farmacologico limitandosi al monitoraggio: un attento follow-up, basato sull’effettuazione di periodiche ecografie e valutazioni dell’assetto ormonale consentirà di individuare tempestivamente variazioni del volume, della struttura e dell’atteggiamento funzionale del gozzo (1,4).

Le altre opzioni terapeutiche "di nicchia" saranno comunque più ampiamente discusse nei capitoli dedicati (terapia radiometabolica con 131I, laser-termo ablazioni).

 

BIBLIOGRAFIA

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  8. Clerc J. Quantitated thyroid scan (123I) of the thyroid nodule: a new molecular imaging. J Radiol 2009, 90: 371-91.
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Piernicola Garofalo
UOC Endocrinologia, AOR Villa Sofia - V. Cervello, Palermo

 

Il gozzo è un disturbo caratterizzato da un aumento di volume della tiroide, che può interessare l'intera ghiandola o essere limitato a lesioni focali (formazione di uno o più noduli).
La prevalenza del gozzo varia in rapporto a diversi fattori, quali l'area geografica, l'età e il periodo di tempo preso in considerazione.

 

Classificazione del gozzo
In base alla diffusione diffuso
uninodulare
plurinodulare
In base alla funzione eutiroideo
ipotiroideo
ipertiroideo
In base alle modalità di comparsa endemico > 5% della popolazione adulta di una determinata area geografica
> 10% della popolazione in età scolare
sporadico occasionale riscontro
familiare presente in più membri della stessa famiglia
In base all'eziologia diffuso sporadico

tiroidite di Hashimoto
tiroidite subacuta
tiroidite acuta suppurativa
gozzo "puberale"
da agenti anti-tiroidei
disormonogenetico
compensatorio (dovuto a aumento del TSH)
resistenza agli ormoni tiroidei

endemico deficit di iodio
sostanze gozzigene
esposizione a radiazioni
nodulare multinodulare
uninodulare

 

 

GOZZO NEONATALE

L'evidenza di gozzo neonatale è una condizione poco frequente. Gozzi di elevate dimensioni possono essere responsabili di comparsa di distress respiratorio neonatale per problemi di tipo compressivo. Le cause possono essere rappresentate da:

  • patologia tiroidea autoimmune materna (morbo di Basedow o molto raramente tiroidite)
  • assunzione materna di farmaci anti-tiroidei
  • difetti dell'ormonogenesi
  • eccessiva assunzione di iodio (farmaci materni)
  • deficit di iodio

 

Gozzo neonatale da patologia autoimmune materna
La patologia tiroidea in gravidanza, pur rappresentando un tema strettamente specialistico e settoriale, rappresenta un importante problema clinico per la sua discreta diffusione nel sesso femminile, il suo frequente mancato riconoscimento, i potenziali effetti sul feto e sul neonato e una certa tendenza all’over- o under-treatment.
Si calcola che la prevalenza delle disfunzioni tiroidee in gravidanza possa variare dallo 0.2% dell’ipertiroidismo (con complicazioni feto-neonatali anche gravi e frequenti), al 2.5% dell’ipotiroidismo, al 4-5% per i noduli tiroidei.
La premessa fondamentale è che tutti i farmaci anti-tiroidei attraversano la placenta e possono interferire con la funzione tiroidea del feto e del neonato e a dosi elevate possono bloccare per lungo tempo il funzionamento della tiroide del feto e del neonato con conseguente gozzo e ipotiroidismo fetale-neonatale.

 

Gozzo neonatale da deficit di iodio
La carenza alimentare di iodio durante la gravidanza compromette la funzione tiroidea del bambino e si traduce in quadri morbosi che variano a seconda del periodo della vita interessato da questo deficit. La quantità di iodio nel neonato raccomandata dalla World Health Organization (WHO) e dall’United Nations Children’s fund (UNICEF) è di 40 µg/die. La particolare sensibilità del neonato alla carenza nutrizionale di iodio è dovuta al basso contenuto tiroideo di questo micronutriente, a fronte di un elevato turn-over intra-tiroideo.
Il deficit funzionale tiroideo si traduce in un aumento del TSH neonatale, rilevabile allo screening, e nella presenza di gozzo neonatale.

 

Disormonogenesi
La disormonogenesi tiroidea è una forma di ipotiroidismo primitivo congenito, presente dunque alla nascita, dovuto a difetti genetici della sintesi dell'ormone tiroideo. La disormonogenesi è dovuta ai difetti ereditari nelle tappe della sintesi e della secrezione dell'ormone tiroideo, la maggior parte dei quali è trasmessa con modalità autosomica recessiva.
La disormonogenesi tiroidea rappresenta il 10-15% dei casi di ipotiroidismo permanente congenito. Oltre ai segni dell'ipotiroidismo, i pazienti con disormonogenesi possono presentare il gozzo.

 

 

GOZZO IN ETÁ PEDIATRICA

Le tiroiditi rappresentano al momento attuale, nel nostro paese, la causa più frequente di gozzo in età pediatrica, mentre il deficit di iodio mantiene la sua importanza in aree limitate del nostro paese.
La diagnosi differenziale di un gozzo deve essere inizialmente fatta tra forme diffuse e forme nodulari. In generale, un aumento diffuso della ghiandola è espressione di uno stimolo “in toto” della tiroide a opera del TSH o di immunoglobuline specifiche, più raramente di un infiltrato diffuso; talvolta un aumento diffuso della ghiandola è dovuto alla presenza di numerose strutture nodulari stipate (gozzo multinodulare). Le forme nodulari possono coesistere con ectopia tiroidea, agenesia unilaterale, presenza del dotto tireoglosso, igroma cistico, cisti dermoide. La diagnosi differenziale, nelle forme nodulari, va effettuata con le neoplasie benigne (adenoma) o maligne (carcinoma midollare, carcinoma follicolare, carcinoma anaplastico)(vedi nodulo in età pediatrica).

 

Forme diffuse
La tiroidite cronica autoimmune è una patologia che colpisce fino al 10% della popolazione giovanile, con una predilezione per il sesso femminile e picco in periodo puberale. E’ una malattia autoimmune della tiroide, caratterizzata cioè da una reazione immunitaria dell’organismo contro un proprio costituente, che si manifesta con l’infiltrazione linfocitaria della tiroide e con la comparsa di autoanticorpi diretti contro antigeni tiroidei (anticorpi anti-tireoperossidasi, ab-TPO, anticorpi anti-tireoglobulina, ab-Tg). La tiroidite cronica autoimmune può presentarsi con gozzo, tiroide di volume normale o più raramente atrofica.
Tra le cause più frequenti di gozzo diffuso ricordiamo la  ridotta sintesi di ormoni tiroidei dovuta alla carenza di iodio, che determina iperstimolazione della ghiandola da parte del TSH, con conseguente aumento di volume del tessuto ghiandolare.
La malattia di Graves è una malattia autoimmune responsabile di circa il 95% dei casi di ipertiroidismo in età pediatrica, e può essere causa di gozzo. E’ per fortuna rara in età pediatrica, con prevalenza di  0.8 casi per 1.000.000 di abitanti tra 0 e 15 anni. Le forme che compaiono in età prepubere sono in genere più aggressive e più difficili da trattare rispetto a quelle che si manifestano nell’adolescenza. L’ipertiroidismo nella malattia di Graves è dovuto alla presenza in circolo di anticorpi particolari, detti anticorpi anti-recettore per il TSH (TRAb)(vedi overview sull’ipertiroidismo).

 

 

DIAGNOSI DI GOZZO

L'inquadramento clinico del gozzo è il passo più importante: nelle zone iodo-carenti, si penserà in prima istanza al deficit di iodio; in una zona non iodo-carente, in un soggetto di sesso femminile, in età adolescenziale si penserà ad una forma autoimmune.

 

Valutazione strumentale
In epoca pre-ecografica, la diagnosi di gozzo  si basava unicamente sull'ispezione e sulla palpazione. In base a questi criteri, la Pan American Health Organization  suggeriva di parlare di gozzo quando il volume dei lobi tiroidei fosse superiore a quello della falange distale del pollice del soggetto in esame e di classificarlo in 5 gradi.

 

Classificazione della gravità del gozzo
Grado Caratteristiche
0 assente
1A palpabile, ma non visibile
1B visibile solo con il capo in posizione estesa
2 visibile con il capo in posizione normale
3 visibile a distanza

 

Questa classificazione, riportata esclusivamente per il valore storico, non è ormai utilizzata, sostituita dalla valutazione ecografica che permette una diagnosi esatta del volume e della morfologia della ghiandola.
Particolare attenzione, in età pediatrica, va posta alle dimensioni di riferimento da considerare: studi su popolazione normale hanno mostrato come i limiti di normalità non siano sempre sovrapponibili. Tale disomogeneità dipende non solo dall'età del paziente, ma anche dal differente apporto di iodio con la dieta che si riflette sul volume ghiandolare. È opportuno che l'ecografia, in età pediatrica venga effettuata solo da personale esperto, che ogni paese elabori ed utilizzi i propri valori di normalità in ragione delle varie fasi di sviluppo puberale e uniformando i limiti massimi di volume della ghiandola da considerare.

 

Valutazione ecografica (volume della tiroide in mL per età e sesso: 50° e 97° centile)
  Maschi Femmine
Età P50 P97 P50 P97
6 1.6 2.91 1.57 2.84
7 1.8 3.29 1.81 3.26
8 2.03 3.71 2.08 3.76
9 2.3 4.19 2.4 4.32
10 2.59 4.73 2.76 4.98
11 2.92 5.34 3.17 5.73
12 3.3 6.03 3.65 6.59

 

 

TERAPIA

L'atteggiamento terapeutico dipende da una serie di variabili che comprendono la valutazione clinica, ormonale, funzionale e dall'apporto iodico ambientale. L'approccio medico farmacologico dipende dalla patogenesi dell'iperplasia ghiandolare.

  • In caso di deficit iodico severo, supplementazione iodica secondo i parametri stabilita dall'OMS.
  • In caso di voluminoso gozzi da disormonogenesi non responsiva alla terapia medica è indicata la terapia chirurgica.
  • Per quanto concerne il gozzo tossico diffuso e la tiroidite cronica autoimmune si rimanda ai relativi capitoli.

 

 

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