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Michele Zini
Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

La tiroidite "silente" o “indolore” è una forma di tireopatia acuta, che esordisce di solito con tireotossicosi da rilascio in circolo di ormoni tiroidei preformati. E' più frequente nei pazienti con pre-esistente tireopatia autoimmune. La ricorrenza familiare è rara.
Il decorso clinico è caratterizzato di solito da una breve fase di tireotossicosi della durata di 2-4 settimane, seguita dalla comparsa di ipotiroidismo per 4-12 settimane, e quindi da risoluzione. Ha quindi un andamento autolimitante. Non raramente manca una delle due fasi disfunzionali.
La condizione riconosce una base autoimmune, è associata alla presenza di anticorpi anti-TPO, ed è tre volte più comune nelle donne con diabete mellito di tipo 1.
Analogamente alla tiroidite subacuta, la iodocaptazione è ridotta o assente. Oltre che per la assenza di dolore, la tiroidite silente può essere distinta dalla tiroidite subacuta per la normalità della VES e della PCR, e per la positività degli anticorpi anti-TPO.

Il reperto anatomo-patologico dimostra una diffusa infiltrazione di linfociti, ma sono assenti i centri germinali tipici della tiroidite di Hashimoto.

Il trattamento con glucocorticoidi non è generalmente indicato, ma è possibile in caso di sintomatologia clinica rilevante, allo scopo di indurne una più rapida remissione. Peraltro, se è presente sintomatologia ipertiroidea, questa può essere controllata dai beta-bloccanti. La terapia con tiroxina può essere necessaria nella fase di ipotiroidismo, che però spesso è transitoria rendendo possibile la sospensione della tiroxina. I pazienti devono essere seguiti anche dopo la fase attiva della malattia, in quanto è possibile lo sviluppo di ipotiroidismo permanente.

La sintomatologia e i dati clinici della tiroidite silente sono simili a quelli dalla “disfunzione tiroidea del post-partum” o “tiroidite post-partum”. Le due entità patologiche condividono variabilità dell'espressione clinica (ipo- o ipertiroidismo), andamento clinico (tendenza alla remissione spontanea), comportamento rispetto alla gravidanza (recidiva nelle gravidanze successive), e secondo alcuni si tratta in realtà della stessa malattia di fondo.

Al di fuori del periodo post-partum, la recidiva è possibile ma infrequente.

 

Bibliografia

  1. Slatosky J, Shipton B, Wahba H. Thyroiditis: differential diagnosis and management. Am Fam Physician 2000, 61: 1047–54.
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  3. Bindra A, Braunstein GD. Thyroiditis. Am Fam Physician 2006, 73: 1769–76.
  4. Mittra ES, McDougall IR. Recurrent Silent Thyroiditis: A Report of Four Patients and Review of the Literature. Thyroid 2007, 17: 671-5.
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Corrado Betterle1 & Fabio Presotto2
1Dipartimento di Medicina, Unità Operativa Complessa di Endocrinologia, Università degli Studi di Padova
2Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Ospedale dell’Angelo, Mestre (VE)



Funzione tiroidea e stato immunologico in gravidanza
Nel corso della gravidanza vi è una maggior richiesta di ormoni tiroidei, perché questi risultano necessari sia per lo sviluppo del feto che della placenta. L’iperestrogenismo induce un aumento della proteina di trasporto degli ormoni tiroidei (thyroxin-binding globulin, TBG) e quindi le concentrazioni totali di T3 e T4 risultano più elevate. Le frazioni libere rimangono comunque nei limiti di norma. La tiroide cresce di volume e la sintesi degli ormoni tiroidei aumenta del 50% rispetto ai livelli preconcezionali. L’iperplasia ghiandolare è sostenuta dall’azione della gonadotropina corionica placentare (hCG), che stimola direttamente i recettori del TSH, essendo un TSH-agonista, per quanto debole. L’aumentata secrezione di hCG avviene soprattutto nel primo trimestre della gravidanza. Come effetto della stimolazione hCG-indotta si assiste ad una consensuale riduzione dei livelli di TSH.
Affinché la gravidanza giunga a buon termine, è inoltre necessario che il sistema immunitario materno tolleri in maniera selettiva il feto che contiene antigeni paterni e che quindi costituisce una sorta di trapianto semiallogenico spontaneo.
Le cellule del trofoblasto placentare costituiscono una sorta di barriera anatomica, per quanto non del tutto impermeabile. Esse sono prive delle classiche molecole HLA (HLA-A, -B, -D), ma esprimono gli antigeni classici HLA-C e non classici HLA-E. Questo profilo di espressione HLA previene l’attivazione delle cellule NK e la citotossicità CD8-mediata. Le cellule del sincizio-trofoblasto esprimono inoltre il Fas-ligando (CD95L), una molecola che blocca l’attivazione dei linfociti e della cascata complementare, e producono un varietà di sostanze con attività immuno-modulante. Queste interverrebbero anche sulla funzione delle cellule T-regolatorie (Treg), una linea linfocitaria capace di sopprimere l’attivazione e la proliferazione di altre cellule T, che svolgono un ruolo importante nella genesi di molte malattie autoimmuni. Le cellule Treg, che si accumulano nella decidua, aumentano precocemente dopo il concepimento, mostrano un picco durante il secondo trimestre, mentre diminuiscono dopo il parto. Il risultato è quello di un generale miglioramento dei fenomeni autoimmuni nel corso della gravidanza, ma anche di una loro esacerbazione nel periodo post-partum (1, 2).



Definizione
La tiroidite post-partum (TPP) è una forma di tiroidite autoimmune senza dolore (painless thyroiditis), caratterizzata da una disfunzione tiroidea che compare entro 12 mesi dal parto. Essa può insorgere dopo un’interruzione spontanea o volontaria della gravidanza (3).



Prevalenza
La prevalenza della TPP varia, in base ai criteri diagnostici utilizzati ed alle aree geografiche, tra l’1.1 e il 16.7% delle donne nel periodo post-partum, con una media dell’8.1%. La prevalenza di TPP è maggiore nelle pazienti con altre malattie autoimmuni, soprattutto nelle pazienti con diabete di tipo 1 (25%), con lupus eritematoso sistemico (14%), con una precedente malattia di Basedow-Graves (44%) o con una precedente TPP (42%). È anche più frequente nelle pazienti con storia familiare per tireopatie autoimmuni. Fino al 50% delle donne con anticorpi anti-tiroide documentati nel primo trimestre di gravidanza sviluppa una TPP.

 

Eziologia
La TPP rappresenta un’esacerbazione di una sottostante tiroidite autoimmune, favorita da un meccanismo di rebound immunologico che fa seguito al parziale stato di immuno-soppressione presente durante la gravidanza. Le donne che sviluppano una TPP hanno un rapporto linfociti CD4/CD8 aumentato in periferia e a livello tiroideo, ma anche un maggior numero di cellule T attivate. Pertanto, un’attività immunologica amplificata potrebbe innescare la comparsa della TPP. È stato anche ipotizzato che cellule fetali immunocompetenti possano attraversare la placenta, stabilendosi successivamente nella tiroide materna (microchimerismo). In tale sede, queste cellule verrebbero stimolate dagli antigeni tiroidei materni che innescherebbero una reazione contro l’ospite (graft-versus host reaction), a cui farebbe seguito un’attivazione dei linfociti autoreattivi materni. È stata anche descritta una ridotta attività delle cellule T-regolatorie (4).
È infine nota la suscettibilità genetica nelle pazienti con TPP. Infatti, le donne che esprimono gli aplotipi di istocompatibilità HLA-DR3, -DR4 e -DR5 hanno un rischio aumentato di sviluppare sia una tiroidite cronica che una tiroidite post-partum. Dal punto di vista cito-istologico, l’agoaspirato tiroideo mostra un infiltrato linfocitario con diffusa distruzione, alterazioni del tutto simili a quelle osservate nei pazienti con tiroidite cronica e con tiroidite sporadica silente (painless sporadic thyroiditis). In pratica, lo stato di riattivazione (auto)immunitaria che segue il termine della gravidanza consente l’espressione clinica di una tiroidite cronica che sarebbe rimasta latente prima della gravidanza (3, 5). Il 33-50% delle donne che nel primo trimestre di gravidanza possiede anticorpi anti-tiroide sviluppa una TPP, con un rischio da 10 a 59 volte superiore rispetto alle donne senza autoanticorpi, per cui questi rappresentano un forte fattore predittivo.



Manifestazioni cliniche
La clinica della TPP è piuttosto variabile, potendo presentarsi come tireotossicosi isolata (32% dei casi), ipotiroidismo isolato (40% dei casi), oppure passare attraverso entrambe queste fasi, per poi ritornare all’eutiroidismo al termine del periodo post-partum (forma trifasica o classica, 22% dei casi) (3).
Nella forma classica, la prima fase - caratterizzata dalla tireotossicosi - compare dopo 2-6 mesi dal parto e dura circa 1-3 mesi. Questa è sostenuta dal processo tiroiditico che induce il rilascio in circolo degli ormoni tiroidei. La seconda fase - caratterizzata da un ipotiroidismo - insorge dopo 4-8 mesi dal parto e può durare fino a 9 mesi, anche se è generalmente più breve. Circa l’80% delle pazienti ritorna in eutiroidismo entro 12 mesi dal parto. Tuttavia, in uno studio condotto nel Sud dell’Italia, il 54% delle pazienti con TPP presentava un ipotiroidismo permanente a un anno dal parto (6). L’ipotiroidismo permanente si osserva soprattutto nelle multipare o nelle pazienti con una storia di aborto spontaneo ricorrente. Dopo un primo episodio di TPP vi è una probabilità di recidiva nelle gravidanze successive che è pari al 70% (7).
La sintomatologia può comparire durante ciascuna fase della TPP. I sintomi dell’ipertiroidismo sono comunque sfumati e spesso diagnosticati retrospettivamente. Anche l’ipotiroidismo può rimanere a lungo misconosciuto ed i sintomi vengono in genere attribuiti al maggior impegno fisico riservato all’accudimento del neonato. Per tale motivo, una quota imprecisata di TPP rimane non diagnosticata. I sintomi più frequentemente accusati nella fase di ipertiroidismo sono l’astenia, le palpitazioni, l’irritabilità ed il nervosismo, mentre nella fase di ipotiroidismo sono la facile affaticabilità, la deflessione del tono dell’umore, l’intolleranza al freddo e la scarsa attenzione.

 

Diagnosi di TPP e diagnosi differenziale
La fase di ipertiroidismo è documentata dal riscontro di bassi livelli sierici di TSH in presenza di anticorpi anti-TPO. I livelli di fT4 sono tipicamente aumentati, ma possono anche essere normali.
L’ipertiroidismo della TPP va differenziato dall’ipertiroidismo di una malattia di Basedow-Graves, la cui insorgenza non è inusuale nel periodo post-partum. Tuttavia, la prevalenza della TPP è 20 volte superiore, il gozzo è meno pronunciato o molto modesto, l’esoftalmo è assente e gli anticorpi anti-recettore del TSH sono negativi. Se necessario, può essere effettuata una ecografia o una scintigrafia tiroidea per chiarire la diagnosi: nella fase ipertiroidea di una TPP la ecografia non presenta un’accentuata vascolarizzazione come nel caso di una malattia di Basedow-Graves ed alla scintigrafia nella fase ipertiroidea di una TPP la captazione del radiofarmaco è minima o assente, mentre è aumentata nella malattia di Basedow-Graves.?
Rispetto a una tiroidite subacuta di De Quervain (painful subacute thyroiditis), la ghiandola non è dolente e gli indici di flogosi sono normali.
La fase ipotiroidea della TPP viene più comunemente diagnosticata 4-8 mesi dopo il parto. L’ipotiroidismo che compare oltre 1 anno dal parto non è generalmente considerato secondario ad una TPP. Il riscontro di valori elevati di TSH in presenza di anticorpi anti-TPO è ritenuto patognomonico di TPP. Alcuni studi hanno riportato un’associazione tra ipotiroidismo, positività per anticorpi anti-tiroide e depressione post-partum, suggerendo pertanto una possibile associazione con la TPP (8). Non sono state invece documentate relazioni tra TPP e psicosi post-partum.



Terapia
Il trattamento della tireotossicosi, quando necessario, si basa sulla severità dei sintomi quali il cardiopalmo, l’irritabilità ed il nervosismo. Vengono abitualmente utilizzati i beta-bloccanti. L’uso delle tionamidi non è indicato, poiché la tireotossicosi è sostenuta da una tiroidite distruttiva che porta al rilascio dell’ormone preformato e non da un’iperfunzione ghiandolare. Il propranololo rappresenta il farmaco di prima scelta, poiché consente una facile titolazione. Il trattamento dura solitamente meno di 3 mesi e la posologia viene aggiustata in base ai livelli di ormoni tiroidei e ai sintomi (20-40 mg per 2-3 volte al giorno). L’uso del propranololo durante l’allattamento è generalmente accettato.
La fase ipotiroidea può non richiedere alcuna terapia, mentre viene trattata con L-T4 se l’ipotiroidismo è sintomatico e/o se le concentrazioni di TSH superano le 10 mUI/L. Il potenziale beneficio del trattamento dell’ipotiroidismo subclinico (TSH tra 4.0 e 10.0 mUI/L) include il miglioramento degli eventuali sintomi. La dose iniziale di L-T4 dipende dai livelli di TSH, ma di solito è di 50 µg/die. I successivi aggiustamenti posologici vengono effettuati in base ai sintomi e ai livelli di TSH. Il trattamento va mantenuto se vi è il progetto di avere una nuova gravidanza, altrimenti può essere sospeso con gradualità entro l'anno dal parto. Nelle pazienti in cui la sospensione ha avuto successo, il TSH va comunque dosato una volta all’anno per monitorare l’eventuale ricomparsa di ipotiroidismo.
È stato inoltre osservato che la somministrazione di selenio alla posologia di 200 µg/die in donne con anticorpi anti-tiroide durante la gravidanza e nel post-partum ha indotto una significativa riduzione della prevalenza della TPP rispetto ai controlli (28.6% versus 48.6%) (9). Sono tuttavia necessari ulteriori studi per definire l’efficacia del selenio nella prevenzione delle tiroiditi autoimmuni.



Screening per la TPP
L’esecuzione di uno screening universale per malattie tiroidee durante il primo trimestre di gravidanza o già nelle donne che abbiano intenzione di affrontare una gravidanza rimane un argomento ancora molto dibattuto. Alcuni autori non considerano utile uno screening funzionale con dosaggio di TSH e di fT4 in tutte le donne. Altri consigliano di eseguire uno screening selettivo nelle donne ad alto rischio di disfunzione tiroidea e quindi con:

  • precedenti tireopatie
  • storia familiare di tireopatie
  • gozzo
  • anticorpi anti-tiroide
  • sintomi suggestivi di ipotiroidismo
  • diabete mellito di tipo 1
  • storia di abortività
  • altre malattie autoimmuni
  • precedenti irradiazioni al capo o al collo
  • obesità grave
  • età superiore ai 30 anni
  • trattamento con amiodarone o litio o a cui sono stati recentemente somministrati dei mezzi di contrasto iodati.

Alla luce dell’elevata frequenza delle tireopatie autoimmuni nelle donne in età fertile, oltre al dosaggio del TSH all’esordio della gravidanza, si dovrebbero ricercare anche gli anticorpi anti-TPO. Qualora questi risultassero positivi in presenza di un TSH nel range ottimale, sarebbe necessario controllare il TSH nei trimestri successivi e nel periodo post-partum (10).



Bibliografia

  1. Galofre JC, Davies TF. Autoimmune thyroid disease in pregnancy: a review. J Women’s Health 2009, 11: 1847-56.
  2. Landek-Salgado MA, Gutenberg A, Lupic I, et al. Pregnancy, postpartum autoimmune thyroiditis, and autoimmune hypophysitis: intimate relationships. Autoimmun Rev 2010, 9: 153-7.
  3. Stagnaro-Green A. Postpartum thyroiditis. J Clin Endocrinol Metab 2002, 87: 4042-7.
  4. Shi X, Li C, Li Y, et al. Circulating lymphocyte subsets and regulatory T cells in patients with postpartum thyroiditis during the first postpartum year. Clin Exp Med 2009, 9: 263–7.
  5. Muller AF, Drexhage HA, Berghout A. Postpartum thyroiditis and autoimmune thyroiditis in women of childbearing age: recent insights and consequences for antenatal and postnatal care. Endocr Rev 2001, 22: 605-30.
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  8. Harris B, Othman S, Davies JA, et al. Association between postpartum thyroid dysfunction and thyroid antibodies and depression. Br Med J 1992, 305: 152-6.
  9. Negro R, Greco G, Mangieri T, et al. The influence of selenium supplementation on postpartum thyroid status in pregnant women with thyroid peroxidase. J Clin Endocrinol Metab 2007, 92: 1263-8.
  10. Stagnaro-Green A. Approach to the patient with postpartum thyroiditis. J Clin Endocrinol Metab 2012, 97: 334-42.
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Corrado Betterle1 & Fabio Presotto2
1Dipartimento di Medicina, Unità Operativa Complessa di Endocrinologia, Università degli Studi di Padova
2Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Ospedale dell’Angelo, Mestre (VE)

 


INTRODUZIONE
Nel 1912, il medico giapponese descrisse una malattia della tiroide caratterizzata da un gozzo con un infiltrato linfocitario massivo: “lo studio istologico dimostra un gozzo linfomatoso caratterizzato dalla crescita massiva di elementi linfatici, soprattutto follicoli linfoidi, e da alterazioni parenchimali ed interstiziali" (1). Pertanto quest’anno si celebra il centesimo anniversario della descrizione di tale malattia, che dal nome del suo scopritore fu chiamata tiroidite di Hashimoto. Nel 1956 fu poi dimostrato che tale malattia era di natura autoimmune, in quanto i pazienti affetti hanno autoanticorpi circolanti diretti contro la tireoglobulina e/o i microsomi tiroidei. Una tiroidite simile a quella descritta da Hashimoto era inoltre inducibile nell’animale mediante immunizzazione con omogenati di tiroide autologa. Da allora la tiroidite di Hashimoto, definita anche tiroidite cronica (TC) o tiroidite linfocitaria, venne considerata la prima malattia umana a patogenesi autoimmune.



CLASSIFICAZIONE
Non esiste una classificazione universalmente accettata della TC. La TC si può presentare con una tiroide di volume aumentato (gozzo), normale o anche ridotto. Per quanto riguarda la funzione può presentarsi con un ipotiroidismo clinico (e quindi con i sintomi e segni tipici del mixedema), con un ipotiroidismo subclinico o anche con una normale funzione e talora anche con un ipertiroidismo transitorio (2). Combinando queste variabili, la TC si può presentare nelle modalità riassunte nella tabella 1, cioè con un gozzo ed un ipotiroidismo clinico (definita anche tiroidite di Hashimoto classica), con un ipotiroidismo clinico senza un gozzo (definita anche mixedema idiopatico), con un gozzo senza disfunzione clinica (definita anche gozzo autoimmune), con una situazione di normale volume e funzione tiroidea (TC asintomatica), con ipertiroidismo transitorio (tiroidite post-partum o tiroidite silente).

 

Tabella 1
Volume tiroideo Funzione tiroidea
Aumentato (gozzo) Ipotiroidismo clinico
Ipotiroidismo subclinico
Normale funzione
Ipertiroidismo transitorio
Normale Ipofunzione clinica
Ipofunzione subclinica
Normale funzione
Ipertiroidismo transitorio
Ridotto Ipofunzione clinica
Ipofunzione subclinica
Normale funzione
Ipertiroidismo transitorio

 


EPIDEMIOLOGIA E FREQUENZA
La TC può manifestarsi a tutte le età ed in entrambi i sessi, anche se predilige il sesso femminile e cresce di frequenza con l’aumentare dell’età. La TC è abbastanza rara nel bambino e nell’adolescente (2, 3).
Gli studi epidemiologici hanno dimostrato che la TC è quattro volte più frequente nei soggetti di razza bianca rispetto a quelli di razza nera, che la frequenza della TC è andata aumentando negli ultimi 50 anni, probabilmente in seguito alla profilassi iodica introdotta nelle aree carenti per combattere il gozzo. La reale frequenza della TC è comunque difficile da stabilire, perché essa varia in base ai criteri diagnostici applicati (2, 4). Studi autoptici condotti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti hanno documentato l’esistenza di una TC nel 40-45% delle donne e nel 20% degli uomini, se si considerava una tiroidite focale (tra 1-10 foci di linfociti per cm2).
Se invece veniva considerata solo la presenza di una tiroidite severa (> 40 foci per cm2), la TC era presente nel 5-15% delle donne e nell’1-5% degli uomini (2).
Nelle regioni a sufficiente apporto iodico, come quella della popolazione americana del Colorado, l’ipotiroidismo spontaneo clinico o subclinico secondario a TC si riscontra nel 9.5% dei casi, aumenta con l'avanzare dell’età e varia nel sesso femminile tra il 4% nelle prime decadi di vita fino al 21% sopra i 60 anni, mentre nei maschi si riscontra dal 3% dei casi nelle prime decadi di vita fino al 16% oltre i 60 anni (5).
Se si applica il criterio immunologico, cioè la presenza di autoanticorpi anti-tiroidei nella popolazione, si ottengono risultati non sovrapponibili. Uno studio condotto su un’ampia popolazione negli Stati Uniti ha documentato che l’11.3% dei casi possedeva tali anticorpi in assenza di patologie tiroidee cliniche. Tuttavia la frequenza era del 14.3% nei bianchi, del 10.9% negli americani di origine messicana e solo del 5.3% nella popolazione di colore (6). Studi condotti su popolazioni di diversa etnia (inglese, giapponese, norvegese, americana e tedesca) hanno dimostrato che tali anticorpi erano positivi tra il 12% e il 26% delle femmine, e tra 2.8% e 14.4% dei maschi. Nei vari studi è stato documentato un rapporto femmine/maschi tra 1.8 e 5.1 e che la prevalenza degli autoanticorpi cresceva con l’aumentare dell’età (7). In uno studio personale condotto su 800 soggetti della popolazione abruzzese la frequenza degli anticorpi anti-tiroide è risultata essere del 6.1%. In particolare questi erano rilevabili nel 9.2% nelle femmine e nel 2.7% nei maschi (8).
È opportuno ricordare che uno studio condotto su materiale autoptico ha dimostrato una stretta correlazione tra presenza di autoanticorpi anti-tiroidei ed infiltrati linfocitari nella tiroide nella popolazione generale (9). Inoltre, studi più recenti hanno confermato uno stretto rapporto tra la presenza di autoanticorpi anti-tiroide e quadro ecografico compatibile con una TC (10). Considerando che ciascuno dei criteri sopra riferiti potrebbe sottostimare la presenza di una TC, riteniamo che per porre una corretta diagnosi, e quindi stabilire anche una corretta frequenza della TC nella popolazione, si debbano applicare i tre criteri combinati (funzionale, immunologico, ecografico) e che per definire con certezza la diagnosi di una TC occorra la presenza di almeno due dei tre criteri.

 


DIAGNOSI DI TC
I criteri per la diagnosi corretta di una TC si basano sulla valutazione combinata di FT4 e TSH, degli autoanticorpi anti-tiroide cioè gli anti-tireoperossidasi (anti-TPO) ed gli anti-tireoglobulina (anti-TG) e sull’esecuzione di un’ecografia tiroidea. La diagnosi può essere sostenuta in base alla presenza di almeno 2 criteri come dalle possibili combinazioni illustrate nella tabella seguente:

 

Tabella 2
Possibili combinazioni per la diagnosi di tiroidite cronica
TSH Autoanticorpi (anti-TPO e/o anti-Tg) Quadro ecografico compatibile
Aumentato + +
Aumentato + -
Aumentato - +
Nei limiti + +

 

 

ANATOMIA PATOLOGICA
Dal punto di vista anatomo-patologico, la tiroide nella TC presenta un quadro infiammatorio caratterizzato da un infiltrato di linfociti T, B e plasmacellule, da focale a diffuso, con gradi variabili di fibrosi e di distruzione dell’epitelio follicolare. Se l’infiltrato è di tipo focale, la tiroide può essere di volume normale, mentre se l’infiltrato è cospicuo ci può essere un gozzo.
Dal punto di vista anatomo-patologico, esistono due forme principali: a) ipercellulare e b) fibrosa.
La forma ipercellulare comprende a sua volta le forme ossifile e non-ossifile.

  • La forma ossifila, è caratterizzata da un’intensa e diffusa infiltrazione di linfociti, plasmacellule, macrofagi, con presenza di follicoli linfatici e centri germinativi. Si caratterizza per il riscontro di cellule epiteliali chiare metaplasiche, ricche di mitocondri, che si colorano intensamente con l’eosina (cellule di Askanazy, dette anche cellule di Hürtle o oncocitarie) e per i fenomeni fibrotici. Tale forma è prevalente nell’adulto ed è spesso associata a gozzo.
  • La forma non-ossifila differisce dalla precedente per la rarità delle cellule oncocitarie e per la minor intensità dei fenomeni infiltrativi. Questa forma compare prevalentemente nel bambino o nell’adolescente.

In entrambe le forme ipercellulari vi è una tendenza alla rigenerazione delle cellule del follicolo tiroideo.
La forma fibrosa è caratterizzata soprattutto da fibrosi, con sovvertimento completo dell’architettura ghiandolare, e da scarsi infiltrati costituiti prevalentemente da plasmacellule. In questa forma vi è una scarsa tendenza alla rigenerazione delle cellule tiroidee. Tale variante è prevalente nell’adulto, mentre è rara nel bambino ed è associata spesso a riduzione del volume ghiandolare.
Nella tiroidite post-partum o nella tiroidite silente vi è un quadro simile a quello della TC, spesso con fenomeni di distruzione dei follicoli tiroidei ed infiltrazioni linfocitarie, mentre i fenomeni fibrotici e la metaplasia ossifila sono rari.
 


EZIOPATOGENESI
Dal punto di vista eziopatogenetico, le TC, come tutte le malattie autoimmuni, sono plurifattoriali, in quanto si manifestano in soggetti geneticamente suscettibili sotto l’influenza di fattori ambientali.

1. Fattori genetici
La dimostrazione iniziale dell’esistenza di fattori genetici nelle TC è derivata dall’osservazione di un’elevata frequenza di TC e/o di autoanticorpi anti-tiroidei nell’ambito familiare. Tale frequenza può raggiungere il 30-50% nei gemelli identici, mentre nei fratelli è attorno al 10-20%. L’aumentata frequenza della malattia nelle famiglie è correlata ad alcuni assetti genetici particolari, quali lo human leukocyte antigen (HLA) e il cytotoxic T-lymphocyte-associated protein-4 (CTLA-4). Il sistema HLA è una regione genetica altamente polimorfica che comprende molti geni e che è localizzata sul braccio corto del cromosoma 6. È stata dimostrata una correlazione, anche se lieve, tra TC ed HLA-DR3, DR4, DR5 (11). Data la scarsa correlazione tra alleli HLA e TC, studi recenti si sono concentrati sull’esame della struttura molecolare dei peptidi che costituiscono la tasca molecolare dell’HLA e l’associazione con la malattia. Con questo approccio, che aveva fornito degli importanti risultati per quanto riguarda il diabete mellito di tipo 1, si è scoperto che la presenza di un’arginina in posizione 74 della catena beta del DQ (DQ beta-Arg74) induceva una forte suscettibilità genetica sia alla TC che al morbo di Graves (11). L’analisi strutturale di tale tasca molecolare si è inoltre dimostrata in grado di influenzare la presentazione alle cellule T.
Per quanto riguarda invece il gene CTLA-4, che è il maggior gene regolatore negativo dell’attivazione delle cellule T, è stato postulato che il polimorfismo di tale gene possa ridurre la sua espressione e/o funzione e quindi predisporre all’autoimmunità mediante un’iperattivazione delle cellule T. È stato dimostrato che il gene CTLA-4 da solo è correlato alla produzione di autoanticorpi anti-tiroidei, ma che per indurre la produzione di alti titoli di anticorpi anti-tiroidei e le manifestazioni cliniche della TC deve agire in associazione con altri loci genici (11).
Sono stati valutati molti altri geni, come quelli del CD40, FOXP3, CD25, PTPN22, della tireoglobulina e del recettore del TSH, ma la loro correlazione con le TC è ancora da definire (11).
Le TC sono frequenti anche nei soggetti con disordini cromosomici (sindrome di Turner, sindrome di Down) (12) o con altri disordini tipo la policistosi ovarica (13) e ciò ha indotto a supporre che altri geni, oltre a quelli dell’HLA, possano essere implicati nel determinismo di tali malattie.
L’osservazione, infine, che le TC sono prevalenti nelle donne, ha indotto a pensare che anche i cromosomi sessuali potessero influenzare in qualche modo il loro sviluppo. Tuttavia, oggi si è più propensi a pensare che sia l’assetto ormonale estrogenico, più che i cromosomi, a favorire la comparsa della TC.



2. Fattori esogeni
La difficoltà nel correlare l’azione di fattori ambientali nella patogenesi delle TC sta nel fatto che molti fattori ambientali a cui siamo esposti sono per lo più lievi, si distribuiscono in un lungo periodo di tempo e l’entità dell’esposizione è difficile da valutare in un individuo. Inoltre spesso l’esposizione avviene a fattori ambientali multipli, per cui è difficile distinguere quanto ed in che modo i singoli fattori siano importanti nella patogenesi della TC. I fattori ambientali più strettamente associati con la TC includono le infezioni, le radiazioni, l’introito di iodio e farmaci e l’esposizione a tossici ambientali (14).
Per quanto riguarda la infezioni, le TC sono più frequenti nei soggetti con rosolia congenita. Alcuni autori hanno anche trovato un’associazione tra disfunzioni tiroidee autoimmuni ed epatite cronica da HCV, ma altri autori non hanno dimostrato nessuna associazione tra questi due eventi.
Un recente studio prospettico ha seguito familiari di pazienti con TC ma negativi per anticorpi anti-tiroidei ed ha valutato vari eventi quali stress, gravidanze, esposizione a farmaci, assunzione di iodio ed vari altri fattori. Tutti questi eventi però non sono stati trovati essere presenti in maniera significativamente differente tra il gruppo che ha sviluppato autoimmunità rispetto al gruppo che non l’ha sviluppata, l’unica differenza significativa essendo il fumo. Infatti, coloro che smettevano di fumare sviluppavano più autoimmunità rispetto a coloro che continuavano a fumare (15).
Sicuramente lo iodio è in grado di modificare la storia naturale delle malattie autoimmuni tiroidee, ma è difficile da definire se possa essere considerato un fattore eziopatogenetico in grado di far sviluppare autoimmunità o se debba essere considerato più un fattore slatentizzante. Per quanto riguarda altri farmaci quali interferone e litio si veda oltre.
Per quanto concerne le radiazioni, possiamo dire che le alterazioni della tiroide in seguito ad una loro esposizione variano grandemente in base alla suscettibilità genetica dell’individuo, all’apporto iodico, all’entità e al tipo di radiazione ricevute. Alcuni pazienti, infatti, dopo esposizione a radiazioni possono andare incontro a distruzione della tiroide, altri possono sviluppare noduli e tumori, altri ancora sviluppare autoanticorpi anti-tiroide ed eventualmente progredire verso una malattia autoimmune tiroidea (14).



3. Fattori immunitari
La patogenesi della malattia autoimmune della tiroide è legata alla sensibilizzazione dei linfociti agli autoantigeni tiroidei. Le cellule tiroidee, se stimolate da citochine come l’interferone gamma, possono esprimere molecole HLA di classe II sulla loro superficie e presentare i propri autoantigeni ai T linfociti. Secondo alcuni autori, i linfociti T-helper (Th) autoreattivi potrebbero essere stimolati direttamente dal tireocita, attraverso un’aberrante espressione di molecole HLA di classe II, o dai macrofagi in seguito ad infezioni con agenti cross-reagenti con autoantigeni tiroidei. Una volta attivato, il linfocita Th produrrebbe varie linfochine, tra cui IL-2, IL-5, IL-6, gamma-IFN. Il gamma-IFN è un potente induttore di molecole HLA di classe II sulla superficie del tireocita. Tale fenomeno tende ad amplificare e a perpetuare l’attivazione dei Th autoreattivi. L’IL-2, invece, agisce attivando i linfociti T-citotossici (Tc), che proliferano e riconoscono gli autoantigeni tiroidei nell’ambito delle molecole HLA di classe I. L’iperespressione di tali molecole sul tireocita e la conseguente attivazione dei Tc può indurre un danno diretto. Le IL-2, IL-5 e IL-6 inducono anche la proliferazione, la differenziazione e la maturazione dei linfociti B autoreattivi, con conseguente produzione di autoanticorpi anti-microsomiali, anti-tireoglobulina ed anti-recettore del TSH. Questi ultimi, se di tipo bloccante, possono contribuire alla disfunzione della tiroide.
Ancora oggi si sta indagando se il processo autoimmune sia iniziato o promosso da antigeni esterni che inducono risposte autoimmunitarie cellulari ed umorali attraverso la cross-reattività con antigeni della ghiandola tiroidea, se esso sia secondario ad alterazioni dell’equilibrio immunologico o se invece dipenda da entrambi questi meccanismi.
I meccanismi attraverso i quali avviene il danno del tessuto tiroideo nelle TC sono comunque complessi e dovuti più a linfociti Tc che ad autoanticorpi. È stato dimostrato anche che nelle tireopatie autoimmuni i tireociti sono in grado di esprimere sulla membrana un recettore che predispone all’apoptosi, rivelando così un'altra possibile modalità di distruzione cellulare in queste patologie (16). A favore dei meccanismi cellulo-mediati sta l’analisi fenotipica delle cellule infiltranti la ghiandola, che rileva la presenza di linfociti B e T (prevalentemente CD8+). Questi, dopo espansione clonale, si dimostrano dotati di attività citotossica e di attività natural killer e sono inoltre in grado di produrre numerose linfochine.
Per quanto riguarda i meccanismi mediati da autoanticorpi, anche se gli anti-TPO sono in grado di produrre in vitro un danno con un meccanismo di tipo ADCC (antibody-dependent cellular cytotoxycity), l’attivazione del complemento o inibendo la perossidasi tiroidea (enzima riconosciuto come autoantigene), tali effetti non sono stati rilevati in vivo. Infatti, il trasporto passivo degli autoanticorpi anti-TPO o anti-Tg dalla madre al feto non ha dimostrato alterazioni nella tiroide fetale. La mancata azione lesiva degli anticorpi anti-TPO è verosimilmente legata al fatto che la TPO è un enzima intra-cellulare situato nel bordo apicale della cellula tiroidea, per cui risulta difficilmente accessibile agli autoanticorpi circolanti.
In merito agli anticorpi anti-TSH-recettore di tipo bloccante, presenti in una percentuale di pazienti con TC e grave ipotiroidismo, questi risultano invece patogenetici, in quanto bloccano il recettore del TSH sia in vivo che in vitro. A conferma di ciò, se presenti nella madre durante la gravidanza vengono trasferiti passivamente al feto e sono in grado di bloccare transitoriamente anche la funzione della tiroide del nascituro.
Recentemente nei pazienti con TC sono stati identificati autoanticorpi contro il trasportatore tiroideo dello iodio, un antigene proteico di membrana della cellula tiroidea il cui ruolo in vivo è in fase di definizione.
I meccanismi di danno tessutale sopra esposti possono essere presenti sia singolarmente che in maniera combinata, e questo spiega la sfaccettata presentazione clinica delle TC.
 


CLINICA DELLE TC
La clinica delle TC è molto variabile e può manifestarsi con: 1) gozzo, anche se frequentemente la ghiandola può essere di volume normale o ridotto, e 2) una delle seguenti situazioni funzionali: a) ipotiroidismo clinico, b) ipotiroidismo subclinico, c) normale funzione tiroidea, d) ipertiroidismo transitorio.
Le manifestazioni del punto 1 e 2 possono essere variamente combinate, così che alcune forme di TC possono decorrere con segni clinici evidenti (gozzo e ipotiroidismo clinico, gozzo e normale funzione tiroidea, tiroide di volume normale ma con ipotiroidismo clinico). Altre volte però le TC decorrono in forma latente (con normale volume tiroideo e con ipotiroidismo subclinico) o anche in forma completamente asintomatica (cioè con tiroide di volume e funzione normale). Di seguito prendiamo in esame la clinica delle varie forme di TC.
Nella TC il gozzo cresce lentamente ed in maniera asintomatica, cioè senza segni o sintomi di flogosi, talora può esserci solo una modesta sensazione di fastidio al collo. Pertanto il gozzo viene identificato dal paziente stesso per caso o dal medico curante durante una visita medica di routine. Il volume del gozzo può essere di poco aumentato o raggiungere dimensioni due o tre volte la norma, soprattutto nelle varianti ipercellulari. Nella sua crescita la tiroide non dà segni di infiltrazione degli organi circostanti (esofago, trachea, nervi laringei). Qualora dovessero comparire tali segni o sintomi, bisogna sempre sospettare la presenza di un linfoma o di un carcinoma della tiroide. Anche nel giovane la TC può presentarsi con un gozzo e a tal riguardo è da ricordare che la TC è responsabile del 30-60% di tutti i gozzi non tossici che compaiono nel bambino o nell’adolescente in fase puberale. La forma della ghiandola nella TC inizialmente è regolare (a ferro di cavallo), molto spesso si palpa anche il lobo piramidale, ma col passare del tempo tende a diventare irregolare o nodulare. La consistenza è sempre aumentata, anche se non raggiunge mai quella tipica delle neoplasie. Alla palpazione la ghiandola è raramente dolorosa. Talora vi può essere un aumento dei linfonodi loco-regionali profondi (valutabili solo all’ecografia) ed anche un’iperplasia del timo.
Per quanto riguarda la funzione, vi può essere un ipotiroidismo clinico (10% circa dei casi), che compare quasi sempre in maniera lenta ed insidiosa o una normale funzione; in ogni caso il dosaggio della FT4 e TSH permette di identificare correttamente lo stato funzionale della ghiandola.
Nella tiroidite post-partum vi è un quadro clinico caratterizzato di solito da tre fasi ben distinte, anche se non sempre documentabili nei pazienti.
Nella tiroidite silente il quadro è simile a quello precedente, tuttavia non vi è nell’anamnesi del paziente una gravidanza recente.
In riferimento alla sintomatomatologia dell'ipotiroidismo clinico si rimanda al capitolo specifico.
Occasionalmente nelle TC può essere presente anche una oculopatia endocrina con caratteristiche del tutto simili a quella ritrovabile nel morbo di Graves (2).
 


DIAGNOSI DI LABORATORIO
Determinazione degli ormoni tiroidei

La determinazione di FT4 e TSH (con il metodo ultrasensibile) permette di documentare nelle TC le seguenti 4 condizioni:

  • ipotiroidismo clinico (T4 ridotto, TSH > 10 mUI/L);
  • ipotiroidismo subclinico (T4 normale, TSH 4.5-10 mUI/L);
  • eutiroidismo (normalità di T4 e TSH): in questo caso il paziente va monitorizzato nella funzione ogni 6-12 mesi;
  • ipertiroidismo transitorio (T4 aumentato, TSH < 0.2 mUI/L) causato dall’immissione in circolo di ormoni tiroidei da parte delle cellule follicolari in preda a fenomeni di distruzione cellulare; ciò accade soprattutto nel paziente con TC nel periodo del post-partum, o per assunzione di fattori esogeni.

 

Autoanticorpi anti-tiroidei
Attualmente vengono dosati gli autoanticorpi antiTPO gli anti-Tg con metodi di ELISA o RIA ed antigeni ottenuti da DNA ricombinante (2).
Tali anticorpi sono presenti in percentuali oscillanti tra il 90 e il 95% dei casi di TC. In particolare gli anti-TPO sono presenti nel 90% e gli anti-Tg nel 60% circa dei casi (2). La maggior parte dei pazienti è positiva per gli anti-TPO da soli o associati agli anti-Tg. Una piccola percentuale dei pazienti può essere positiva per i soli anti-Tg, per cui in presenza degli anti-TPO è inutile eseguire la ricerca anche degli anti-Tg, mentre in assenza degli anti-TPO è utile procedere alla determinazione degli anti-Tg (2).
I titoli degli anticorpi anti-tiroide risultano elevati nel 30-40% dei casi, mentre titoli medi o bassi sono presenti nei restanti pazienti con TC. In circa il 7% dei casi di TC gli anticorpi anti-tiroide risultano negativi mentre la ghiandola presenta un'ecostruttura ipoecogena (17) Pertanto la loro negatività non contrasta con la diagnosi di TC.  In tal caso la diagnosi deve basarsi sul quadro ecografico e funzionale.
Negli studi di comunità il 50-75% dei soggetti con test positivi per gli anticorpi anti-tiroidei è eutiroideo, mentre il 25-30% dei soggetti può avere un ipotiroidismo subclinico e il 5-10% un ipotiroidismo clinico (2). Va ricordato, infine, che gli anticorpi anti-tiroide possono essere presenti anche in soggetti con patologie non autoimmuni della tiroide e quindi la loro presenza non sempre può essere considerata segno specifico per una TC (2).
Gli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb o TBII), misurati con un metodo di competizione con TSH radiomarcato o con il metodo ELISA, possono essere presenti nei pazienti con TC e contribuire all’ipotiroidismo mediante un’azione di blocco sul recettore del TSH. Essi sono presenti tra il 10 ed il 20% dei pazienti con ipotiroidismo di una certa entità (18). Gli anticorpi anti-recettore del TSH debbono essere ricercati in coloro che presentano un ipotiroidismo franco (con TSH > 10 mUI/L), soprattutto nelle femmine in età fertile. Infatti, essendo della classe IgG, passano la placenta e possono provocare un ipotiroidismo transitorio neonatale. L’incidenza di tale disordine in America del Nord è di 1 caso ogni 180.000 nati e rappresenta circa il 2% dei bambini con ipotiroidismo congenito (19).
Nelle TC, ma anche in patologie non autoimmuni della tiroide e nei soggetti normali, possono essere presenti anche anticorpi anti-ormoni tiroidei. Questi devono essere sospettati solo nei casi in cui si trovino alti o bassi valori della FT3 o di FT4 con normale TSH in assenza di sintomi clinici, poiché la loro presenza può interferire con i dosaggi degli ormoni tiroidei (20).

 

Altre malattie autoimmuni
In letteratura viene riportato che il 17-25% circa dei soggetti con TC risulta affetto da altre malattie autoimmuni cliniche. Tali malattie includono: gastrite atrofica, vitiligine, sindrome di Sjögren, diabete mellito di tipo 1, alopecia areata, miastenia gravis, ipogonadismo ipergonadotropo, epatite cronica, cirrosi biliare, malattia celiaca, malattia di Addison, anemia perniciosa, ipoparatiroidismo, polimiositi, artrite reumatoide, LES, sclerodermia, connettivite mista, lobulite fibrosante della mammella, sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi, morbo di Werlhof. In tutti questi casi possono essere presenti i markers autoanticorpali tipici della malattia autoimmune presente. Quando ciò si verifica, si configura una Sindrome Pluriendocrina Autoimmune (SPA). Tuttavia, se si esegue uno screening autoanticorpale organo- e non-organo-specifico nei pazienti con TC che apparentemente non hanno altre malattie autoimmuni, possono essere presenti vari altri autoanticorpi che indicano la presenza di altre malattie autoimmuni nella forma subclinica o potenziale (tabella 3) (21).

 

Tabella 3
Altri autoanticorpi nelle tiroiditi croniche
Anticorpi Percentuale
Anti-cellule parietali 30%
Anti-insula pancreatica 5-10%
Anti-transglutaminasi 5%
Anti-surrene 1-2%
Anti-fattore intrinseco 1%
Anti-nucleo (ANA) 10-20%
Anti-antigeni nuceloestraibili (ENA) 1-2%
Fattori reumatoidi 1-5%
Anti-mitocondrio 1-2%
Anti-fosfolipidi 0-10%

 

Dal punto di vista pratico riteniamo che, in assenza di sospetti clinici specifici, possano essere ricercati almeno i primi tre anticorpi elencati nella Tabella 3, vista la loro frequenza elevata nelle TC. La ricerca di altri autoanticorpi potrà essere considerata anche in base all'esistenza di specifiche malattie autoimmuni nell'ambito della famiglia, come ad esempio gli anticorpi anti-nucleo (ANA) in caso di malattie del connettivo.

 

Altre alterazioni bioumorali
Nella TC vi può essere una ipergammaglobulinemia policlonale. In caso di ipotiroidismo franco, possono risultare aumentati la colesterolemia, le CPK, le transaminasi e la prolattina.

 


DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
L’ecotomografia deve essere sempre eseguita in tutti i soggetti con sospetta TC o nei portatori asintomatici di autoanticorpi anti-tiroidei: in caso di TC l’ecografia può svelare una tiroide di volume variabile, con una ipoecogenicità diffusa o multifocale (corrispondente ad aree di infiltrazione) e con vari gradi di fibrosi. ?Talora, in presenza di autoanticorpi anti-tiroidei e/o di un quadro ecografico compatibile con TC, può essere presente un nodulo ecograficamente sospetto. In tal caso è necessario eseguire un’agobiopsia con ago sottile per definire la natura del nodulo, in quanto la presenza di un quadro ecografico e/o sierologico di TC non esclude la concomitante presenza di una patologia nodulare benigna o maligna della tiroide (2).

 


STORIA NATURALE DELLE TC
La storia naturale delle TC, come risulta dallo studio prospettico dei soggetti asintomatici portatori degli autoanticorpi anti-tiroidei, è caratterizzata nella maggior parte dei casi da una graduale e lenta progressione verso l’ipotiroidismo clinico, che avviene con un variabile periodo di latenza (talora anche di anni). Tale progressione è maggiore nei maschi che nelle femmine e aumenta nelle donne sopra i 45 anni di età.
Per quanto riguarda il valore predittivo degli anticorpi anti-tiroide, il noto studio Whickham ha dimostrato che l’incidenza annuale di progressione verso l’ipotiroidismo nelle donne era del 4.3% se vi erano un TSH elevato e anticorpi anti-tiroide, del 3% se vi era solo un TSH elevato e del 2% se vi erano solo gli autoanticorpi (22). Questo studio, condotto negli anni ’90, ha molti meriti, ma presenta anche molti limiti legati soprattutto alle metodiche usate, che attualmente non sono più in uso. Infatti il TSH era misurato con metodo RIA di prima generazione (i cui valori normali arrivavano fino a 6.0 mU/L), gli autoanticorpi anti-tiroide venivano dosati con metodi semiquantitativi, quali l’emoagglutinazione passiva o l’immunofluorescenza indiretta. Un recente studio prospettico di coorte durato 13 anni ed effettuato in Australia con metodiche attualmente ancora in uso ha reclutato oltre 1000 soggetti dosando gli anti-TPO, gli anti-Tg e il TSH con immunoassay automatizzato in chemiluminescenza. Questo studio ha dimostrato che nelle donne con positività agli autoanticorpi anti-tiroide la prevalenza di ipotiroidismo al termine del follow-up risultava del 12% (range 3-21%) se il TSH iniziale era ≤ 2.5 mUI/L, del 55% (range 37.1-73.3%) se il TSH era tra 2.5-4.0 mUI/L, e dell’86% (range 74.1-97.3) se il TSH era > 4.0 mUI/L (23).



SOGGETTI A RISCHIO DI TC
Molti sono i soggetti a rischio di TC o a rischio di possedere autoanticorpi anti-tiroide: familiari sani di pazienti con tireopatie autoimmuni, pazienti con altre malattie autoimmuni, pazienti con alterazioni cromosomiche, pazienti con depressione, orticaria, poli-abortività, anemia, dislipidemia, neoplasie mammarie ed anche i soggetti normali della popolazione, soprattutto se di sesso femminile.

 

Tabella 4
Frequenza degli anticorpi anti-tiroide nei soggetti a rischio di TC
Popolazione Anticorpi anti-tiroide
Familiari di soggetti con malattie autoimmuni tiroidee 50%
Pazienti con malattie autoimmuni organo-specifiche 20-40%
Pazienti con malattie autoimmuni intermedie 10-40%
Pazienti con malattie autoimmuni non-organo specifiche 10-20%
Pazienti con anomalie cromosomiche (s. di Turner, s. di Down) 16-50%
Pazienti con orticaria cronica o angioedema 10-15%
Pazienti con depressione endogena 20-30%
Pazienti con HCV che intraprendono terapia con IFN o granulochine 2-48%
Pazienti con policistosi ovarica 20%
Soggetti apparentemente sani della popolazione F 12% e M 2%


Nei soggetti con autoanticorpi anti-tiroide dovrebbe essere eseguita una serie di indagini tra cui un’ecografia tiroidea e un dosaggio del TSH ed eventualmente un FT4. In caso di valori normali, il dosaggio del TSH andrebbe ripetuto circa ogni 12 mesi circa.



FARMACI CHE INTERFERISCONO SULLA STORIA NATURALE DELLE TC
Alcuni farmaci o sostanze chimiche possono interferire con la storia naturale della TC. Principalmente questi sono lo ioduro (a dosi farmacologiche), i mezzi di contrasto iodati, l’amiodarone, il litio, l’aminoglutetimide, gli interferoni e l’IL-2.

Amiodarone
Nei pazienti che assumono amiodarone può comparire un ipotiroidismo o un ipertiroidismo. L’ipotiroidismo compare nel 20% dei pazienti nelle aree iodio-sufficienti, mentre l’ipertiroidismo è più frequente nelle zone a carenza iodica. La patogenesi dell’ipotiroidismo da amiodarone è legata all’inibizione della biosintesi degli ormoni tiroidei prodotta dallo iodio (effetto Wolff-Chaikoff). La presenza di anticorpi anti-tiroide prima del trattamento rappresenta un importante fattore di rischio per la comparsa di ipotiroidismo definitivo (24).

Litio
Nei pazienti con autoimmunità pre-esistente il litio può indurre sia ipotiroidismo che ipertiroidismo (24).

Interferone e altre linfochine
I pazienti trattati con interferone per un’epatite cronica virale o per neoplasie o con interleuchine possono talora sviluppare ipotiroidismo o ipertiroidismo clinico. Lo studio sistematico di tali pazienti ha permesso di stabilire che:

  1. gli autoanticorpi anti-tiroide sono già presenti prima del trattamento nel 2-48% di questi pazienti;
  2. il 2-40% dei pazienti inizialmente negativi possono diventare positivi durante il trattamento;
  3. i casi positivi tendono a sviluppare una disfunzione tiroidea;
  4. in alcuni casi la disfunzione tiroidea può regredire alla sospensione del trattamento, anche se nella maggior parte dei casi rimane persistente;
  5. le donne hanno un rischio doppio di sviluppare una disfunzione tiroidea;
  6. talora la disfunzione tiroidea può manifestarsi anche in pazienti che non hanno positività per gli anticorpi anti-tiroide, suggerendo un effetto tossico diretto dell’IFN sui tireociti (tiroidite distruttiva) (25, 26).

In conclusione, i pazienti in terapia con interferone possono sviluppare sia malattie autoimmuni della tiroide (TC o morbo di Graves), ma anche una tiroidite distruttiva non autoimmune. Alla luce di questi dati, è opportuno che i pazienti prima del trattamento con con interferone effettuino la ricerca degli anticorpi anti-tiroide e che tale ricerca vada ripetuta anche durante il ciclo di terapia. Indipendentemente dalla presenza degli anticorpi, i pazienti dovranno essere comunque sottoposti a controllo della funzione tiroidea per cogliere la comparsa di una disfunzione ghiandolare immunologicamente o non-immunologicamente mediata (27).

 

MALATTIE NON AUTOIMMUNI ASSOCIATE CON LE TC
Malattie del SNC
Recentemente è stata segnalata un’encefalopatia che colpisce soggetti con titolo elevato di autoanticorpi anti-tiroide, ma senza importanti alterazioni della funzione ghiandolare. L’encefalopatia è caratterizzata da un esordio subacuto o improvviso con confusione, alterazione dello stato di coscienza e da frequenti convulsioni focali o generalizzate. L’andamento recidivante della neuropatia, l’associazione con mioclonie e tremori, con frequenti episodi di deterioramento mentale che simulano un ictus, costituiscono degli elementi clinici rilevanti di questa situazione.
Dal punto di vista eziopatogenetico sono state avanzate varie ipotesi per spiegare il disturbo cerebrale: a) una vasculite cerebrale autoimmune da deposito di immunocomplessi; b) la presenza di un antigene comune a tiroide e cervello.
Sotto il profilo laboratoristico, questi soggetti presentano alti titoli di autoanticorpi anti-tiroide ed elevati livelli di proteine nel liquor senza pleiocitosi.
Dal punto di vista strumentale, vi sono alterazioni diffuse all’EEG.
L’encefalopatia di solito risponde molto bene al trattamento corticosteroideo, anche se talora devono essere aggiunti farmaci immunosoppressori. La prognosi a lungo termine è favorevole.
Talora alle tireopatie autoimmuni possono essere associate la sindrome autoimmune dello stiff-man, la sindrome atassica con presenza di autoanticorpi anti-GAD e la sclerosi multipla.

 

Linfomi tiroidei
In generale, vi è la tendenza a considerare la TC come uno stato precanceroso. Infatti il carcinoma della tiroide ed il linfoma si presentano con maggior frequenza nei pazienti con TC rispetto alla popolazione normale. Tuttavia, bisogna ricordare che una parte dei pazienti con carcinoma tiroideo può avere una tiroidite focale, che viene considerata come una risposta autoimmunitaria contro la neoplasia. In questi casi vi è una positività per gli autoanticorpi anti-tiroide che possono aver contribuito a porre una precedente diagnosi non corretta di TC (24). Per quanto riguarda il linfoma tiroideo, questo rappresenta una grave, seppur rara, complicanza di una TC che si riscontra nello 0.1% dei pazienti giapponesi, frequenza che risulta 80 volte maggiore rispetto a quella attesa. L’80-100% dei pazienti con linfoma tiroideo ha evidenza di tiroidite cronica nel tessuto circostante e il 67-80% dei pazienti con linfoma tiroideo risulta positivo per gli anticorpi anti-tiroide (2). Il linfoma tiroideo è prevalentemente non-Hodgkin di tipo B cellulare, si presenta soprattutto nelle persone anziane tra i 50 e gli 80 anni ed è usualmente confinato nel tessuto tiroideo. Pertanto, è buona norma nei pazienti con TC sospettare sempre la comparsa di un tumore della tiroide qualora il gozzo dia segni di compressione o mostri un rapido aumento di volume. La radioterapia da sola, o in combinazione con la chemioterapia, garantisce una sopravvivenza a 5 anni nel 13-92% dei casi (2).
 


TERAPIA SOSTITUTIVA
La terapia ormonale sostitutiva è obbligatoria nei pazienti con TC:

  1. in presenza di ipotiroidismo franco;
  2. in presenza di ipotiroidismo con TSH >10 mUI/L;
  3. nelle donne con TSH > 2.5 mUI/L che abbiano il progetto di iniziare una gravidanza.

La terapia è consigliabile nei soggetti con TSH tra 4 e 10 mUI/L, se hanno un gozzo o disturbi clinici che possano essere in qualche modo riferibili all’ipotiroidismo.
La terapia non è necessaria negli altri casi, cioè in quelli senza gozzo, con TSH normale o con un TSH appena al di sopra della norma.
La terapia ideale è con la L-tiroxina (T4). Tale farmaco ha un’emivita lunga e quindi può essere assunta in singola dose giornaliera.
La parte relativa alla terapia è stata trattata nel capitolo specifico.

 

ALTRE TERAPIE
Per trattare le TC non devono essere usati farmaci corticosteroidi e/o immunosoppressori, perché non si sono rivelati utili nel modificare la storia naturale della malattia e sono gravati da effetti collaterali. Il trattamento anti-infiammatorio (eventualmente con farmaci non-steroidei) può essere invece utile nelle TC per brevi periodi di tempo in caso di segni di compressione o di flogosi locale (forme che simulano una tiroidite subacuta).
L’intervento chirurgico è indicato solo nei casi in cui vi siano importanti segni di compressione che non regrediscono con gli anti-infiammatori o nel sospetto di una neoplasia associata.
 


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Stampa

Roberto Negro
UO Endocrinologia, PO “V. Fazzi”, Lecce

(aggiornato al 25 marzo 2021)

 

La prevalenza di tireopatie in donne di età 20-45 anni è elevata e la diagnosi di subfertilità sta progressivamente aumentando, anche grazie ad una maggiore consapevolezza del problema e alle migliorate capacità diagnostiche. Globalmente si stima che la subfertilità riguardi circa il 10% delle coppie. Il partner maschile è unico responsabile del 20-30% dei casi di infertilità, ma contribuisce al 50% dei casi totali (1). Poiché la prevalenza di tireopatia è relativamente elevata nel sesso femminile in età giovane-adulta, la partner femminile in una coppia subfertile è di conseguenza caratterizzata da un rischio consistente di essere anche contemporaneamente portatore di una tireopatia. La prevalenza di tireopatia in questo gruppo di donne è stimata attorno al 5% per l'ipotiroidismo subclinico, al 2.5% per l'ipotiroidismo franco, allo 0.5-1.0% per l'ipertiroidismo, e al 5-10% per l'autoimmunità tiroidea (2).
Considerati i rapporti fra ormoni tiroidei e loro recettori presenti negli organi riproduttivi, la disfunzione tiroidea può essere causa diretta di irregolarità mestruali e subfertilità. Inoltre, la disfunzione tiroidea può agire indirettamente, attraverso l'alterazione della secrezione del GnRH e di altri ormoni quali la prolattina (3,4). Nel caso in cui l'iper- o ipotiroidismo, soprattutto se conclamati, siano responsabili di irregolarità mestruali (e quindi di subfertilità), il ripristino di cicli mestruali regolari a seguito della normalizzazione della funzione tiroidea non è ovviamente garanzia di successiva gravidanza. In altre parole, l'eutiroidismo è condizione necessaria ma non sufficiente a garantire una condizione di fertilità, potendo coesistere altre cause di infertilità, quali infertilità di origine maschile, endometriosi o ostruzione tubarica, esiti chirurgici, o infertilità idiopatica. In tutti questi casi, si può quindi considerare una procedura di fecondazione assistita. Riguardo ai rapporti fra autoimmunità tiroidea e subfertilità, è interessante sottolineare alcuni ulteriori elementi: l'autoimmunità tiroidea è più prevalente in donne con  subfertilità idiopatica e sindrome dell'ovaio policistico, rispetto ai controlli; la prevalenza di autoimmunità tiroidea è maggiore in donne con ridotta riserva ovarica e insufficienza ovarica precoce; il valore di TSH risulta inversamente correlato all'ormone anti-Mulleriano, un marcatore accurato di riserva ovarica (5-8).
È necessario poi che la paziente che deve sottoporsi a fecondazione assistita sia caratterizzata da una condizione di eutiroidismo. La stimolazione ovarica, necessaria per ottenere un consistente numero di ovociti, è caratterizzata da un aumento significativo dei livelli di estradiolo e conseguentemente di thyroxine-binding globulin; l'aumentata richiesta funzionale della tiroide può, dunque, portare a una condizione di ipotiroidismo nelle pazienti con autoimmunità tiroidea, oppure può rendere insufficiente il dosaggio pre-stimolazione di L-T4 nella pazienti con ipotiroidismo già diagnosticato. Per questo motivo le pazienti:

  • ipotiroidee già in trattamento dovrebbero adattare il dosaggio di L-T4 almeno 4 settimane prima della stimolazione ovarica;
  • con valore di TSH > 4.0 mIU/L dovrebbero iniziare la terapia con L-T4 allo scopo di mantenere il valore di TSH < 2.5 mIU/L (9).

Complessivamente i dati, derivanti sia da studi di intervento che da meta-analisi, indicano che l'ipotiroidismo esercita un impatto negativo parallelamente all'aumentare del TSH, in maniera dose-dipendente.
Due studi di intervento hanno dimostrato che in pazienti con autoimmunità tiroidea ma eutiroidee, in gravidanza spontanea o sottoposte a fecondazione assistita, la terapia con L-T4 non è risultata di beneficio per aumentare il tasso di gravidanza, ridurre il tasso di aborto spontaneo e il numero di nati vivi (10,11). É stato peraltro osservato che il numero di ovociti prelevati non è influenzato dall'autoimmunità tiroidea o dalla disfunzione della tiroide. Pertanto, la terapia con L-T4 non è di alcun beneficio per questo specifico esito. È importante a questo proposito notare che il maggior fattore determinante un basso numero di ovociti prelevati è l'età e non l’eventuale disfunzione tiroidea (12,13).
Globalmente i dati della letteratura suggeriscono che in pazienti con TSH > 4.0 mIU/L, sottoposte a fecondazione assistita, possono risultare ridotti il tasso di fecondazione, la qualità degli embrioni e il numero di nati vivi, mentre è aumentato il numero degli aborti; pertanto la terapia con L-T4 può essere di beneficio (14,15).
Per le ragioni sopra esposte, le linee guida pubblicate nel 2021 dalla European Thyroid Association (16) indicano che le donne di coppie subfertili dovrebbero sistematicamente controllare TSH e AbTPO prima di iniziare la procedura di fecondazione assistita:

  • le pazienti con TSH > 4.0 mIU/L dovrebbero comunque essere trattate con L-T4;
  • le pazienti con autoimmunità tiroidea e TSH 2.5-4.0 mIU/L non dovrebbero essere trattate sempre e comunque, ma soprattutto nei casi di ridotta riserva ovarica e insufficienza ovarica, età > 35 anni, elevato titolo di AbTPO e anamnesi positiva per abortività ripetuta o precedenti procedure fallite.

 

Bibliografia

  1. Vander Borght M, Wyns C. Fertility and infertility: definition and epidemiology. Clin Biochem 2018, 62: 2–10.
  2. Valdes S, Maldonado-Araque C, Lago-Sampedro A, et al. Population-based national prevalence of thyroid dysfunction in Spain and associated factors: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. study. Thyroid 2017, 27: 156–66.
  3. Krassas GE, Poppe K, Glinoer D. Thyroid function and human reproductive health. Endocr Rev 2010, 31: 702–55.
  4. Colicchia M, Campagnolo L, Baldini E, et al. Molecular basis of thyrotropin and thyroid hormone action during implantation and early development. Hum Reprod Update 2014, 20: 884–904.
  5. van den Boogaard E, Vissenberg R, Land JA, et al. Significance of (sub)clinical thyroid dysfunction and thyroid autoimmunity before conception and in early pregnancy: a systematic review. Hum Reprod Update 2016, 22: 532–3.
  6. Romitti M, Fabris VC, Ziegelmann PK, et al. Association between PCOS and autoimmune thyroid disease: a systematic review and meta-analysis. Endocr Connect 2018, 7: 1158–67.
  7. Weghofer A, Barad DH, Darmon S, et al. What affects functional ovarian reserve, thyroid function or thyroid autoimmunity? Reprod Biol Endocrinol 2016, 14: 26.
  8. Grossmann B, Saur S, Rall K, et al. Prevalence of autoimmune disease in women with premature ovarian failure. Eur J Contracept Reprod Health Care 2020, 25: 72–5.
  9. Busnelli A, Vannucchi G, Paffoni A, et al. Levothyroxine dose adjustment in hypothyroid women achieving pregnancy through IVF. Eur J Endocrinol 2015, 173: 417–24.
  10. Wang H, Gao H, Chi H, et al. Effect of levothyroxine on miscarriage among women with normal thyroid function and thyroid autoimmunity undergoing in vitro fertilization and embryo transfer: a randomized clinical trial. JAMA 2017, 318: 2190–8.
  11. Dhillon-Smith RK, Middleton LJ, Sunner KK, et al. Levothyroxine in women with thyroid peroxidase antibodies before conception. N Engl J Med 2019, 380: 1316–25.
  12. Velkeniers B, Van Meerhaeghe A, Poppe K, et al. Levothyroxine treatment and pregnancy outcome in women with subclinical hypothyroidism undergoing assisted reproduction technologies: systematic review and meta-analysis of RCTs. Hum Reprod Update 2013, 19: 251–8.
  13. Poppe K, Autin C, Veltri F, et al. Thyroid disorders and in vitro outcomes of assisted reproductive technology: an unfortunate combination? Thyroid 2020, 30: 1177–85.
  14. Kim CH, Ahn JW, Kang SP, et al. Effect of levothyroxine treatment on in vitro fertilization and pregnancy outcome in infertile women with subclinical hypothyroidism undergoing in vitro fertilization/ intracytoplasmic sperm injection. Fertil Steril 2011, 95: 1650–4.
  15. Zhao T, Chen BM, Zhao XM, Shan ZY. Meta-analysis of ART outcomes in women with different preconception TSH levels. Reprod Biol Endocrinol 2018, 16: 111.
  16. Poppe K, Bisschop P, Fugazzola L, et al. 2021 European Thyroid Association Guideline on Thyroid Disorders prior to and during Assisted Reproduction. Eur Thyroid J 2021, 9: 281-95.
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Alfonso Coppola
Libero Professionista in Endocrinologia (ex UOS Endocrinologia OO.RR. Area Stabiese, Castellammare di Stabia-Gragnano)

 

Le tiroiditi atrofiche rappresentano l'espressione di un evento flogistico responsabile di una riduzione volumetrica della ghiandola e di un sovvertimento della sua struttura. 
La condizione più frequente è rappresentata dalla variante atrofica della tiroidite cronica linfocitaria. Quest'ultima viene anche chiamata tiroidite di Hashimoto (TH) poiché descritta per la prima volta da tale Autore nel 1912. L' incidenza è è drasticamente aumentata negli ultimi 50 anni, anche in conseguenza delle migliorate capacità diagnostiche; spesso è comunque misconosciuta. Come nella maggior parte delle reazioni immuni organo-specifiche, l’eziologia è a tutt’oggi in larga misura ignota, nonostante si sappia essere legata a fattori genetici e ambientali ed essere influenzata da sesso ed età. Si riconoscono una variante con gozzo (TH classica) e una variante atrofica. La malattia è di gran lunga più frequente tra i soggetti di sesso femminile (rapporto F:M sino a 30:1 per la variante classica ipercellulare e pari a 4:1 per la variante atrofica). Nella prima, la tiroide, aumentata di volume e spesso irregolarmente bozzoluta, all’esame microscopico presenta un abbondante infiltrato di linfociti, plasmacellule e macrofagi con non infrequente formazione di follicoli linfoidi a centro germinativo chiaro; possono essere presenti cellule follicolari ossifile. È pertanto costante l’iperplasia del parenchima. Nella seconda, argomento di questo capitolo, più rara e con predilezione per l’età adulta o anziana, il quadro è dominato da un’intensa proliferazione del connettivo che si sostituisce quasi completamente al tessuto nobile. Sono pertanto presenti progressiva fibrosi, che altera completamente la struttura ghiandolare, distruzione o atrofia delle cellule epiteliali, diminuzione della quantità di colloide, scarsi infiltrati linfo-plasmacellulari e progressiva riduzione del volume ghiandolare; scarsa o assente è la rigenerazione delle cellule; la tiroide non è palpabile. I pazienti presentano spesso un ipotiroidismo franco o subclinico già alla diagnosi. Spesso le 2 varianti non presentano caratteristiche distintive e la forma atrofica rappresenta l’ultimo stadio evolutivo della variante con gozzo, allorquando il tessuto tiroideo iperplastico va incontro a lento e progressivo processo di estinzione fino all’atrofia della ghiandola.
Dopo una prima fase della malattia, insidiosa e spesso con manifestazioni da ipertiroidismo per lo più di modesta entità, e una seconda, di durata anche notevole, che può definirsi di compenso non riscontrandosi segni clinici evidenti di alterata funzionalità della tiroide, possono rendersi progressivamente manifesti i segni classici dell’ipotiroidismo, a mano a mano che la funzione ghiandolare diminuisce. Un ipotiroidismo manifesto può essere pertanto preceduto da un periodo più o meno lungo in cui l’aumento dei valori del TSH (ipotiroidismo subclinico) rappresenta l’unica anomalia riscontrabile. In assoluto la tiroidite cronica linfocitaria rappresenta la causa più frequente di ipotiroidismo (50-80% dei casi).
Immagini ecografiche di ipoecogenicità diffusa, a zolle o a macchia di leopardo, con disomogeneità del parenchima ghiandolare, sono suggestive lungo il decorso della malattia. L’aspetto ipoecogeno è in funzione dell’infiltrazione linfocitaria che scompagina la normale struttura istologica, riducendo la quantità di interfaccia cellula/colloide e quindi di echi riflessi. Il grado di ipoecogenicità correla con i livelli di autoanticorpi circolanti anti-tiroide e con la presenza di ipotiroidismo nella fase avanzata della malattia. Nella sua evoluzione in forma atrofica può prevalere l’aspetto di reticolazione diffusa, con tipici setti spessi ed affastellati.
Il passaggio graduale dall’eutiroidismo all’ipotiroidismo è in rapporto alla distruzione della ghiandola divenuta atrofica ed è un processo irreversibile. Per la lentezza dell’evoluzione della malattia, la transizione dallo stato di eutiroidismo all’ipotiroidismo manifesto può passare inosservata e i sintomi iniziali sono spesso attribuiti all’avanzare dell’età, alla menopausa o ad altre malattie concomitanti. Può quindi accadere che l’ipotiroidismo venga diagnosticato quando le manifestazioni siano diventate gravi, configurando il quadro clinico tipico del mixedema primitivo, una forma oggi rara di severo ipotiroidismo che si presenta in soggetti, spesso donne anziane, in cui la tiroidite non è stata diagnosticata per lungo tempo.
Gli autoanticorpi circolanti anti-tiroide (anti-tireoglobulina ed anti-tireoperossidasi) sono frequenti (90-95%), e ad alto titolo nella forma atrofica, con una prevalenza degli Ab-TPO, e sono responsabili di attività citotossica anticorpo-mediata. La presenza degli autoanticorpi è l'espressione dell'infiltrato linfocitario a livello dell'organo bersaglio e il loro titolo è quindi in stretta correlazione con il danno istologico. In alcuni pazienti con ipotiroidismo autoimmune sono presenti anticorpi che bloccano il recettore del TSH, con azione inibente la funzione e il trofismo tiroideo stimolati dal TSH stesso (TSH-blocking antibody). Essi sarebbero più frequenti proprio nella forma atrofica della tiroidite autoimmune, contribuendo allo sviluppo dell’atrofia e dell’ipofunzione ghiandolare; in particolare si riscontrano nel siero del 20-30% dei pazienti affetti da tiroidite atrofica. Appartengono alla famiglia funzionalmente eterogenea di autoanticorpi diretti contro il recettore del TSH, dotati di attività stimolante o, più raramente, inibente la funzione della tiroide (TRAb). Relativamente a questi ultimi con azione inibente, il loro passaggio transplacentare dalla madre, con tiroidite atrofica, al feto può essere causa di ipotiroidismo congenito transitorio, e poiché anche lo stimolo sulla crescita tiroidea risulta bloccato, questi neonati non presenteranno il gozzo. L’evenienza, peraltro rara, ha carattere transitorio, in quanto la funzione tiroidea del neonato riprende al venir meno dell’azione bloccante degli anticorpi materni.
Sul piano immunitario cellulo-mediato, importante è pure l’azione delle citochine (IL-1, IL-2, IL-6, IFN-γ) rilasciate dai linfociti direttamente nella tiroide, che possono attivare le cellule NK e i linfociti T citotossici. Recentemente è stato ipotizzato che nella forma atrofica le cellule tiroidee muoiano per apoptosi attivata dal meccanismo FAS/FAS-L indotto dal rilascio di IL-1.
Possono coesistere molte malattie autoimmuni organo- e non organo specifiche (sindrome di Sjogren, anemia perniciosa, lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, morbo di Addison, ipoparatiroidismo primario, diabete mellito, ecc), e quando ciò si verifica viene a configurarsi una sindrome pluriendocrina autoimmune (SPA).
Sul piano terapeutico non esiste una terapia specifica per frenare i processi infiammatori e fibrotici. La terapia steroidea non si è rivelata efficace, se non nel diminuire temporaneamente i livelli degli autoanticorpi, senza peraltro modificare il quadro clinico ed il decorso della malattia. Il selenio sembrerebbe esercitare un'azione protettiva, limitando l'estensione del processo infiammatorio e ridardando l'epoca di comparsa dell'ipotiroidismo. Si ricorrerà ovviamente alla somministrazione di L-tiroxina a dosi sostitutive nei casi di ipotiroidismo clinico o subclinico.

Accanto a quadri caratterizzati da cospicue alterazioni diffuse e da un deficit funzionale più o meno sensibile, esistono delle forme di flogosi cronica “parcellare”, con focolai disseminati più o meno ricchi di infiltrazione linfocitaria e con autoanticorpi anti-tiroide presenti nel siero, ma, almeno inizialmente, senza manifestazioni cliniche di alterata funzione della tiroide (ipotiroidismo, se presente, solo in forma subclinica). Anche in questi casi la tiroide può mostrare segni evidenti di atrofia, tanto che si parla di tiroidite atrofica asintomatica. Questa sarebbe quindi caratterizzara da una sua fisionomia. Essa sembra infatti ripetere “in miniatura” alcune delle anomalie riscontrabili nella forma prima esposta della tiroidite cronica linfocitaria: lesioni tiroidee analoghe ma più modeste; costante presenza in circolo di autoanticorpi anti-tiroide, ma a titoli meno elevati; livelli sierici medi del colesterolo compresi tra quelli normali e quelli dei soggetti con mixedema primitivo, ecc. Si differenzia tuttavia dalla stessa per alcuni aspetti, in particolare per l’assenza di una storia clinica di TH classica, per la meno spiccata predilezione per il sesso femminile e per la maggiore incidenza nei soggetti di età superiore ai 50 anni.
E' un'affezione flogistica di frequente riscontro; l'incidenza appare particolarmente elevata in pazienti con altre patologie autoimmuni. I soggetti sono per lo più clinicamente eutiroidei, con assenza nell'anamnesi di malattie tiroidee manifeste, ma c’e presenza di autoanticorpi anti-tiroide circolanti e i livelli plasmatici del TSH possono essere superiori alla norma. Tali dati concordano con l’esistenza di una stretta correlazione tra presenza in circolo di autoanticorpi anti-tiroide in soggetti eutiroidei e presenza di lesioni flogistiche ghiandolari caratterizzate da un’infiltrazione linfo-plasmacellulare a focolai disseminati. E’ stato dimostrato che i pazienti con tiroidite atrofica hanno un'elevata incidenza di HLA-B8 e HLA-DR3. Da un punto di vista classificativo, si distinguono una forma di tiroidite atrofica lieve, clinicamente muta, o solo sub-clinica o con segni molto sfumati di ipotiroidismo, e una forma di tiroidite atrofica grave (25% dei casi), che può evolvere e raggiungere la sua massima espressione clinica nel mixedema. I due tipi, anche se in forma variabile, mostrano i medesimi quadri macroscopici ed istologici.
Macroscopicamente la tiroide, di volume ridotto, non è palpabile. Istologicamente si osservano infiltrati linfocitari molto spesso multifocali, talora riuniti a formare follicoli linfatici o dispersi in aree di fibrosi. Le cellule epiteliali follicolari possono mostrare processi degenerativi. Le alterazioni della forma atrofica grave possono quindi essere responsabili di una quota parte dei casi di mixedema primitivo dell’adulto, ove manca una storia di tiroidite pregressa classicamente intesa.
Nel mixedema al quadro clinico di ipotiroidismo grave si associerà pertanto una marcata atrofia della tiroide. E’ stata anche prospettata la possibilità, peraltro non da tutti ammessa, che la patologia rappresenti un fattore di rischio per l’insorgenza della malattia coronarica.

Il mixedema primitivo rappresenta la forma più frequente di ipotiroidismo a comparsa nell'età adulta, come conseguenza di una tiroidite a tendenza atrofica. Obiettivamente in questi pazienti la tiroide, non palpabile, può pure ridursi ad una sottile banda di tessuto fibroso alla base del collo. Auto-anticorpi anti-tiroide sono presenti in circa il 90% dei soggetti con mixedema primitivo dell’adulto insorto da tempo relativamente breve; nei casi in cui la malattia perdura da più anni la frequenza appare ridotta e i titoli di positività tendono a decrescere, verosimilmente in relazione all'atrofia ghiandolare, che porta a una progressiva deplezione degli autoantigeni tiroidei. L'esame istologico può mostrare estremi processi fibrotici, focolai di infiltrazione linfocitaria e atrofia marcata delle cellule follicolari. Per lo più i fenomeni fibrotici sono prevalenti rispetto a quelli infiltrativi.

Per la presenza di un volume ridotto della tiroide, la tiroidite atrofica si differenzia dalla tiroidite asintomatica (TA), non atrofica, ove la ghiandola è di volume normale, c’è assenza di alterazione funzionale (per lo più eutiroidismo con non frequente ipotiroidismo sub-clinico), e l’infiltrato linfocitario, modesto, è per lo più multifocale.

La tiroidite da radiazioni può verificarsi frequentemente sia durante un trattamento radiante esterno sia durante un trattamento radiometabolico. Le radiazioni ionizzanti hanno infatti un’azione infiammatoria sul parenchima tiroideo. Nei pazienti sottoposti a radiazioni esterne al capo o al collo o a irradiazione totale corporea, per problematiche oncologiche o ematologiche, può svilupparsi, oltre a un quadro di flogosi, un transitorio ipertiroidismo e, dopo anni dal trattamento, un ipotiroidismo che può essere nel 6-15% dei casi permanente. Sul piano anatomo-patologico c’è infiltrazione linfocitaria, fibrosi, atrofia dei follicoli con danno parenchimale, metaplasia ossifila. Il volume della tiroide può presentare una progressiva e sensibile riduzione e la tiroide in tali casi non è palpabile. Un quadro tiroiditico con sintomatologia simile a quella suddetta può presentarsi entro la prima settimana dalla terapia radiometabolica, con talora associata scialoadenite.
Sul piano terapeutico si useranno acido acetilsalicilico in caso di sintomatologia modesta, cortisonici in forme più severe.

Un'evenienza clinica particolare, che descriviamo in questa sede solo per il marcato sovvertimento strutturale della tiroide, pur non comportando involuzione volumetrica della ghiandola, è rappresentata dalla tiroidite di Riedel (o lignea). E' una malattia cronica estremamente rara. Secondo alcuni è una variante di tiroidite cronica fibro-invasiva, secondo altri un’entità a sé stante ad eziologia sconosciuta. E’ caratterizzata da una progressiva fibrosi, con presenza anche di linfociti, che sostituisce più o meno completamente la struttura ghiandolare; nelle zone più colpite i follicoli tiroidei possono essere completamente assenti o mostrare segni di compressione con scarso contenuto in colloide e severe alterazioni degenerative dell'epitelio. Il processo si estende ad interessare anche la capsula e le formazioni adiacenti (muscoli, tessuto adiposo, vasi, nervi). Può aversi paralisi dei nervi laringei, con disfonia e difficoltà alla deglutizione e alla respirazione per interessamento di esofago e trachea, con simulazione di un processo tumorale invasivo. La tiroide si presenta di consistenza duro-lignea, di aspetto fibroso e progressivamente aumentata di volume, per lo più tenacemente aderente ai tessuti circostanti. Gli ormoni tiroidei possono essere normali o bassi e ciò per l’estensione dell’interessamento. Possono essere presenti autoanticorpi anti-tiroide in circa il 60% dei casi. Le donne sono colpite da 3 a 4 volte più frequentemente degli uomini. La diagnosi è clinica e citologica. La tiroidite di Riedel può decorrere isolata o associata nel 35% dei pazienti a fibrosi mediastinica, retroperitoneale, dell’orbita e del tratto biliare. Per questo viene pure considerata come manifestazione locale di un processo di fibrosi sistemica. La terapia è rappresentata, in caso di ipotiroidismo, dall’impiego di L-tiroxina in dose sostitutiva. Il trattamento con cortisonici non sembra modificare la storia naturale della malattia. In casi di compressione delle strutture peri-tiroidee può essere indicato l’approccio chirurgico. 

Rare malattie, infine, possono depositare sostanze anomali o anche comportare flogosi cronica della tiroide alterandone la struttura e danneggiandone la funzionalità: l’amiloidosi, per deposito di proteine amiloidi, l’emocromatosi per deposito di ferro, la sarcoidosi per localizzazione di granulomi. 

 

Bibliografia
 

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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

 

Per ipotiroidismo si intende una sindrome caratterizzata da una riduzione degli ormoni tiroidei nelle cellule bersaglio e clinicamente da una sintomatologia aspecifica e ubiquitaria, contraddistinta da una riduzione delle funzioni di quasi tutti i sistemi, e in particolare quelli cardiovascolare, gastrointestinale e nervoso. In base al periodo di insorgenza è definito congenito o dell’adulto, mentre in base alla sede del deficit è definito primario, quando è causato da insufficienza della ghiandola tiroide, secondario quando il deficit è ipofisario, terziario se ipotalamico ed infine periferico quando è dovuto a deficit recettoriali o post-recettoriali.

In > 90% dei casi l’ipotiroidismo dell’adulto è primario, ovvero da deficit tiroideo. E' causato dalla carenza funzionale assoluta o relativa di tessuto tiroideo, essendo sostanzialmente riconducibile alla riduzione quantitativa del parenchima tiroideo attivo o alla compromissione funzionale dello stesso. Le cause principali sono la tiroidite cronica autoimmune, nelle due varianti ipertrofica e atrofica, e quelle iatrogeniche dovute alla somministrazione di radioiodio e/o alla rimozione chirurgica della tiroide.

La tiroidite cronica, come tutte le malattie autoimmuni, si caratterizza per la perdita della tolleranza immunitaria con conseguente reazione immune, umorale e cellulo-mediata, contro autoantigeni. La reazione inizia con l’attivazione di linfociti T-helper contro gli antigeni tiroidei. Non ci sono ancora evidenze definitive sull’evento che innesca la reazione autoimmune; non è chiaro, cioè, se l’attivazione dei linfociti sia la conseguenza di un difetto genetico, organo-specifico, dei linfociti “T-suppressor” oppure se sia scatenata da esposizione ad antigeni ambientali con caratteristiche simili agli antigeni tiroidei; o, infine, se sia determinata dagli stessi tireociti che iperesprimono molecole MHC di classe I o, in modo aberrante, molecole MHC di classe II. I linfociti “T-helper” attivati stimolano la produzione di anticorpi anti-tiroide da parte dei linfociti B. Gli anticorpi sono diretti prevalentemente contro la tireoperossidasi (anti-TPO) e contro la tireoglobulina (anti-Tg). Una aliquota degli anticorpi anti-TPO è in grado di fissare il complemento e pertanto essi sono, in parte, citotossici, ma il loro ruolo patogenetico nella distruzione del parenchima tiroideo non è accertato. Gli anticorpi anti-Tg non sono sempre presenti e il loro ruolo non è chiaro. Nel 10% dei pazienti, ed in particolare tra coloro che presentano la variante atrofica,  si riscontrano anche anticorpi bloccanti il recettore del TSH, che hanno un ruolo patogenetico. Più rilevante, nella patogenesi del processo distruttivo, è il ruolo dei linfociti T-citotossici e delle citochine (in particolare IFN-gamma e TNF) e dei processi di apoptosi. Come per tutte le malattie autoimmuni, anche per la tiroidite cronica è dimostrata  una predisposizione genetica confermata dalla associazione con alcuni aplotipi HLA, quali HLA-DR3, HLA-DR4 e HLA-DR5.

La terapia radiometabolica della tireotossicosi rappresenta una delle cause più frequenti di ipotiroidismo, provocando una riduzione della funzione ghiandolare nel 15-70% dei casi a distanza di 10 anni; la dose radiante e il tempo intercorso dal momento della somministrazione sono fattori che influenzano significativamente l’evoluzione verso l’ipotiroidismo. Il rischio cumulativo di sviluppare ipotiroidismo primario a seguito della terapia radiometabolica è maggiore in caso di malattia di Basedow-Graves che non di gozzo nodulare iperfunzionante.

La tiroidectomia totale ha come conseguenza ineluttabile la comparsa dell’ipotiroidismo, ma anche la tiroidectomia subtotale, frequentemente utilizzata in passato, è seguita da ipotiroidismo permanente nel 10-60% dei pazienti nel primo anno dopo l’intervento chirurgico; tale percentuale aumenta successivamente dell’1-3% all’anno. Sia nei pazienti sottoposti a tiroidectomia che in quelli trattati con il radioiodio l’ipotiroidismo è più frequente nei soggetti con positività degli anticorpi anti-tireoperossidasi.

Altre cause di ipotiroidismo primario dell’adulto (IPA) sono la carenza o l’eccesso di iodio e la somministrazione di farmaci (litio, tiouracili, imidazoli, amiodarone, interleuchina-2, interferone-α) e di agenti gozzigeni ambientali e industriali. La carenza iodica è responsabile di gozzo e di ipotiroidismo quando l’apporto iodico è < 50 µg/die. Anche l’eccesso di iodio inorganico, che si realizza quando l’introito giornaliero è > 0.5-1 mg, può inibire la captazione e l’organificazione dello iodio stesso, nonchè la sintesi e la secrezione ormonale; questo evento si verifica soprattutto in presenza di una sottostante tireopatia autoimmune o di una disfunzione latente dell’ormonogenesi tiroidea.

Altra causa importante di IPA è rappresentata dalla malattia di Flajani-Basedow-Graves nella sua fase terminale ipotiroidea. Del resto, alcuni studiosi sostengono l’opportunità di considerare la tiroidite di Hashimoto e la malattia di Flajani-Basedow-Graves come momenti differenti nell’ambito di quell’unicum che è la tireopatia autoimmune, nella complessità delle sue manifestazioni cliniche. Anche quelle patologie tiroidee a carattere autoimmune o infettivo che generalmente presentano un decorso transitorio, come la tiroidite silente, la tiroidite post-partum e la tiroidite subacuta di de Quervain, in alcuni casi possono esitare nell’ipotiroidismo permanente.

Infine, tra le cause più rare di IPA, le malattie infiltrative a carattere sistemico (emocromatosi, amiloidosi, sclerodermia, lupus eritematoso, mesenchimopatie, cistinosi, sclerosi progressiva sistemica) o preminentemente tiroideo (tiroidite di Riedel) possono esercitare un’azione destruente sul parenchima ghiandolare, con conseguente sviluppo di ipotiroidismo. La terapia radiante esterna nella regione del collo, per il trattamento di patologie quali il linfoma Hodgkin e non-Hodgkin o il carcinoma della laringe, induce ipotiroidismo nel 25-50% dei casi. Una causa rara di ipotiroidismo primario manifesto permanente è l’irradiazione corporea totale, praticata in presenza di leucemia acuta o anemia aplastica, che tuttavia si associa più frequentemente allo sviluppo di ipotiroidismo subclinico, spesso a carattere transitorio.

Assai più raramente (frequenza 1:100.000-200.000) l’ipotiroidismo è detto centrale (IC), ovvero secondario a lesione ipofisaria (ipotiroidismo secondario) o ipotalamica (ipotiroidismo terziario). Il deficit di TRH può essere dovuto ad una ridotta sintesi per distruzione del nucleo paraventricolare, per lesioni soprasellari, per produzione di fattori inibitori da parte dell’ipotalamo, come la somatostatina e la dopamina, o per blocco dei recettori per gli oppioidi. Il deficit di TSH può essere dovuto a riduzione delle cellule TSH-secernenti e ad alterazioni strutturali della molecola del TSH. In base alla causa organica o genetica sottostante sono state descritte forme familiari e sporadiche. Per quanto riguarda le forme sporadiche, le cause di alterazione del sistema ipotalamo-ipofisario possono essere molteplici: invasive, infartuali, infiltrative, infettive, iatrogeniche, traumatiche, autoimmuni, idiopatiche. I macroadenomi ipofisari rappresentano la causa più frequente (50-60% dei casi), determinando una compressione dell’ipofisi o del peduncolo ipofisario con deficit del circolo portale; l’apoplessia ipofisaria è un’altra causa di ipotiroidismo centrale. Una causa sempre più frequente è quella iatrogenica, dovuta a lesioni dell’area ipotalamo-ipofisaria per interventi chirurgici o radioterapeutici per tumori, come i craniofaringiomi, i glio­mi, i meningiomi; infatti, nel 10% dei pazienti sottoposti a chirurgia e fino al 30% di quelli trattati con radioterapia, si riscontra l’ipotiroidismo centrale. Anche la somministrazione di alcuni farmaci può determinare l’insorgenza di IC interferendo con il funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisario; tra questi ricordiamo il bexarotene, farmaco anti-neoplastico, e la oxcarbazepina, farmaco antiepilettico. Infine, dal 10% al 50% delle pazienti che presentano necrosi ipofisaria post-partum (sindrome di Sheehan) hanno ipotiroidismo centrale. Cause rare sono la necrosi ipofisaria da shock grave, l’infarto ipofisario nel diabete mellito, i traumi cranici, gli incidenti cerebrovascolari, le metastasi nella regione ipotalamica-ipofisaria, le malattie infiammatorie o granulomatose e infiltrative. Nelle forme familiari di ipotiroidismo centrale generalmente l’anomalia risiede in un deficit di sintesi e di secrezione del TSH o in un deficit recettoriale o post-recettoriale del TRH. In alcuni casi è stata descritta una carenza ereditaria isolata di TSH o di TRH, trasmessa con tratto autosomico recessivo, dovuta a una singola mutazione rispettivamente a carico del gene TSHβ (1p22) o del gene TRH-R (8q23), che si manifesta con IC grave ad insorgenza neonatale.

Infine le sindromi da resistenza agli ormoni tiroidei sono distinte in due forme cliniche opposte: la forma eu-ipotiroidea, dovuta a resistenza generalizzata o a resistenza parziale periferica, e la forma ipertiroidea, dovuta a resistenza parziale ipofisaria. Ai fini del presente capitolo ha rilevanza solo la forma eu-ipotiroidea. E’ una patologia ereditaria generalmente a trasmissione autosomica dominante, che è causata da mutazioni del gene ß del recettore degli ormoni tiroidei (TRß). Sono stati descritti oltre 100 diversi tipi di mutazioni (delezioni, mutazioni puntiformi, inserzioni, duplicazioni) e tutte nella sequenza genica della porzione del recettore che lega l’ormone. Il tipo di mutazione più frequente è costituito dalle mutazioni puntiformi con sostituzione di un singolo nucleotide. La gravità del fenotipo si correla con le alterazioni del genotipo descritte; le forme più gravi di ipotiroidismo si riscontrano nei pazienti con completa assenza di TRß o in cui entrambi gli alleli sono mutati. E’ però presente una notevole eterogeneità del quadro clinico nei diversi pazienti, pur in presenza di analogo genotipo e in alcuni casi dello stesso tipo di mutazione.

 

Bibliografia essenziale

  1. Brent GA, Reed-Larsen P, Davies TF. Hypothyroidism and thyroiditis. In: Williams Textbook of Endocrinology, Kronenberg, HM et al Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier 2008: 377–409.
  2. Cerrone D, Monaco F. Ipotiroidismo primario dell’adulto. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 233-65.
  3. Petrella V, Monaco F. Ipotiroidismo centrale. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 289-97.
  4. Wiersinga WM. Hypothyroidism and mixedema coma. In: Endocrinology, Adult and Pediatric, Jameson JL and DeGroot LJ Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier, 2010: 1607–22.
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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

 

La sintomatologia dell’ipotiroidismo è correlata alla sua gravità e durata. Ciò è confermato dal fatto che oggigiorno la precocità della diagnosi ha reso più rara l’osservazione dei segni e dei sintomi caratteristici della fase conclamata della malattia. La presentazione clinica è fortemente condizionata dall’età del paziente: nell’anziano le manifestazioni cliniche tendono ad essere più sfumate, essendo talora sovrapponibili o simili alle modificazioni fisiologicamente connesse alla senescenza.

 

Sistema cardiovascolare
La bradicardia, la ridotta gittata sistolica e l’incremento delle resistenze vascolari periferiche sono le manifestazioni più caratteristiche dell’ipotiroidismo.
La diminuita contrattilità del miocardio induce un rallentamento di tutte le fasi della cinetica cardiaca (periodo pre-eiettivo, contrazione isovolumetrica, rilasciamento ventricolare diastolico). L’insieme delle modificazioni emodinamiche comporta che si possa assistere ad un aumento della pressione diastolica (20% dei pazienti) e ad una riduzione di quella sistolica.
La cardiomiopatia ischemica si riscontra nel 3% dei pazienti affetti da ipotiroidismo; questa prevalenza relativamente bassa, pure in presenza di importanti fattori di rischio per lo sviluppo di aterosclerosi, è da ricondursi all’effetto protettivo indotto dall’ipometabolismo e dal ridotto fabbisogno di ossigeno del paziente ipotiroideo.
L’aumento della permeabilità vascolare determina il rilascio di albumina nello spazio interstiziale, con conseguente riduzione della volemia e aggravamento dell’edema, che può esitare nella formazione di versamenti a livello delle cavità sierose. Nel caso in cui, nel corso dell’ipotiroidismo, si manifesti uno scompenso cardiaco, che è più frequente in presenza di una cardiopatia sottostante, l’edema periferico può modificare le sue caratteristiche semeiologiche e divenire improntabile. Peraltro, la cardiomiopatia, l’aumentato diametro cardiaco e il versamento pericardico possono simulare la cardiomegalia e l’insufficienza cardiaca congestizia.

 

Sistema respiratorio
Il quadro respiratorio del paziente ipotiroideo è variabile e connesso alle condizioni generali del paziente; esso è più grave nel soggetto ipotiroideo obeso rispetto a quello normopeso. La diminuita capacità ventilatoria, riscontrata in circa un terzo dei pazienti, è connessa alle modificazioni cardiovascolari, che determinano una ridotta funzione dei muscoli respiratori e versamento pleurico. Sono frequenti, inoltre, dispnea da sforzo e apnea ostruttiva notturna, dovute all’aumento delle dimensioni della lingua e dei muscoli faringei, oltre che alla diminuita capacità ventilatoria. Talora è presente una ridotta risposta all’ipossia e all’ipercapnia.

 

Sistema nervoso
Caratteristiche del paziente ipotiroideo sono: astenia, adinamia, rallentamento dei movimenti volontari, ridotto stato di vigilanza, bradilalia e disartria. Il paziente mostra un’accentuata sonnolenza e una riduzione delle capacità mnemoniche e attentive. La funzione intellettuale è generalmente conservata. Gli ormoni tiroidei, i cui recettori sono numerosi nel tessuto cerebrale umano, esercitano, inoltre, un’azione importante sull’umore, come confermato dal fatto che la supplementazione con T3 è in grado di aumentare l’efficacia dei farmaci anti-depressivi. L’ipotiroidismo può determinare disturbi del comportamento e dell’affettività, come psicosi, agitazione, ansia, allucinazioni e depressione; quest’ultima è verosimilmente connessa alla ridotta sintesi cerebrale di 5-idrossitriptamina. Inoltre, nelle prime fasi della terapia sostitutiva con ormoni tiroidei, può verificarsi un’esacerbazione della psicosi ipotiroidea. Può anche essere presente, soprattutto nei pazienti anziani, una disfunzione cerebellare con atassia, tremore intenzionale e nistagmo.
Alterazioni caratteristiche del sistema nervoso periferico sono: neuropatia, parestesie e sindrome del tunnel carpale.

 

Sistema gastrointestinale
Si riscontra un rallentamento della motilità dell’intero tratto gastro-intestinale, con conseguente aumento del tempo di svuotamento gastrico. Da ciò deriva la costipazione, che va dalla stipsi lieve all’ileo paralitico e alla pseudo-occlusione. La stipsi, specie nei pazienti anziani, può essere grave e non rispondere ai lassativi. D’altro canto, è possibile il riscontro di un quadro di malassorbimento e diarrea, dovuto alla concomitante presenza di malattia celiaca o di anemia perniciosa, la cui associazione con la tiroidite cronica autoimmune è molto frequente. Infatti, la positività per anticorpi anti-cellule parietali gastriche si osserva in circa ¼ dei pazienti.

 

Cute e annessi
La cute è secca, per la ridotta funzione delle ghiandole sudoripare e sebacee, pallida, a causa della riduzione del flusso ematico e dell'eventuale anemia associata, di colorito tendenzialmente giallastro, a seguito dell’ipercarotenemia, e fredda, per la concomitante vasocostrizione. L’infiltrazione del tessuto interstiziale cutaneo ad opera dell’acido ialuronico e degli altri glicosaminoglicani (GAG), particolarmente evidente a livello peri-orbitale, facciale e acrale, è responsabile del caratteristico edema mucinoso non improntabile della cute. La pelle è, inoltre, tipicamente rugosa, per l’effetto combinato dell’edema mucinoso del derma e dell’ipercheratosi dello strato corneo dell’epidermide. L’edema palpebrale determina il restringimento della rima palpebrale, che contribuisce all’amimia del volto.
I capelli sono secchi, fragili e radi; le ciglia, i peli pubici e la barba sono spesso ridotti e anche le sopracciglia possono essere diradate, specie nel III esterno; le unghie divengono sottili e fragili, crescono più lentamente e talora presentano un aspetto solcato.

 

Sistema riproduttivo
Nella donna in età fertile sono frequenti le alterazioni del ciclo mestruale, che vanno dall’oligo-amenorrea all’iperpolimenorrea, talvolta di entità tale da richiedere la revisione della cavità uterina o l’isterectomia. La frequenza dei cicli anovulatori è significativamente maggiore rispetto alla popolazione eutiroidea di controllo. L’anovulatorietà, l’alterazione del sistema immunitario e le anomalie del sistema riproduttivo sono alla base del quadro di sub-fertilità che caratterizza la donna affetta da ipotiroidismo. Inoltre, la ridotta funzione tiroidea in gravidanza si associa a un aumento del rischio di aborto, della natimortalità, del parto pretermine e dell’ipertensione indotta dalla gravidanza. In alcune donne si osservano iperprolattinemia e galattorrea, che regrediscono rapidamente con l’istituzione della terapia tiroidea sostitutiva, essendo dovute all’azione di stimolo esercitata dal TRH sulla secrezione della prolattina.
Nel maschio adulto gli effetti sono meno evidenti, riscontrandosi talvolta una diminuzione della libido e della potenza sessuale; l’analisi del liquido seminale non mostra alterazioni significative.
La presenza di ipotiroidismo in epoca prepuberale può determinare, in entrambi i sessi, un ritardo della pubertà. In rari casi, invece, si sviluppa pubertà precoce, dovuta a quella che viene definita spillover specificity syndrome, ovvero all’azione di stimolo esercitata dal TRH sulle cellule gonadotrope ipofisarie e dal TSH sui recettori per l’FSH.

 

Sistema endocrino
Il soggetto ipotiroideo presenta deficit di GH, IGF-1, IGF-2, IGFBP-1 e IGFBP-3; queste alterazioni sono alla base del grave ipostaturalismo che caratterizza l’ipotiroidismo del bambino e influenzano, seppure meno drasticamente, il quadro clinico del soggetto ipotiroideo adulto.
La prolattinemia è generalmente normale anche se, in circa il 10% dei soggetti ipotiroidei, risulta lievemente aumentata, come conseguenza dell’incremento del TRH ipotalamico; l’iperprolattinemia, che è reversibile con l’istituzione della terapia tiroidea sostitutiva, determina la comparsa di galattorrea e amenorrea.
La lieve riduzione della calcemia, secondaria al ridotto riassorbimento osseo, determina un aumento del PTH e del calcitriolo.
La cortisolemia e la cortisoluria delle 24 ore sono generalmente normali; talora si può osservare una modesta diminuzione della risposta surrenale all’ACTH e di quella corticotropa ipofisaria all’ipoglicemia e al metirapone. Nei pazienti con ipotiroidismo primario, dovuto ad una tiroidite cronica autoimmune, va sempre ricercata l’eventuale presenza di una malattia di Addison, che può associarsi alla tireopatia nel contesto di una sindrome polighiandolare autoimmune (SPA) di tipo I e di tipo II.
Nonostante vi sia un aumento verosimilmente compensatorio della noradrenalina sierica, si osserva una riduzione degli effetti delle catecolamine, dovuta al ridotto numero di recettori ß-adrenergici e alla concomitante presenza di difetti post-recettoriali.

 

Metabolismo
Si osserva una diminuzione del consumo di ossigeno, del dispendio energetico basale, dell’utilizzo dei substrati metabolici e della produzione di calore, con riduzione del metabolismo basale del 35-45%. La ridotta termogenesi è responsabile della tipica ridotta tolleranza al freddo; inoltre, essa spiega la minore frequenza di rialzo febbrile nel corso di episodi infettivi. L’eccesso di substrati inutilizzati a seguito dell’ipometabolismo determina una diminuzione dell’appetito e dell’introito di nutrienti. L’incremento ponderale è, dunque, da ricondursi al ridotto metabolismo basale e all’imbibizione generalizzata ad opera dei GAG.
Nonostante il rallentato assorbimento intestinale del glucosio, il metabolismo glucidico non risulta generalmente modificato.
Le alterazioni dell’assetto lipidico costituiscono un aspetto caratteristico dell’ipotiroidismo; in particolare, si riscontrano un incremento del colesterolo totale ed LDL e dell’apolipoproteina B e un modesto aumento del colesterolo HDL2, dell’apolipoproteina AI, della lipoproteina A e dei trigliceridi. Ciò si traduce in un aumento sia del rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL, sia di quello colesterolo LDL/colesterolo HDL, che tendono entrambi a normalizzarsi nel corso della terapia con L-Tiroxina. L’iperomocisteinemia è anch’essa frequente.
La diminuita conversione del carotene in vitamina A è responsabile dell’ipercarotenemia.
La riduzione generale del metabolismo determina, inoltre, un rallentamento del catabolismo di numerosi farmaci, tra cui l’insulina, la digitale e la morfina, la cui posologia deve essere, pertanto, ridotta.

 

Sistema urinario
La riduzione della gittata cardiaca e della volemia determinano una diminuzione del flusso plasmatico renale, della filtrazione glomerulare e dell’escrezione urinaria.

 

Sistema muscolo-scheletrico
L’ipotiroidismo che si manifesta nell’infanzia provoca un grave ritardo della maturazione scheletrica e dell’ossificazione dei centri epifisari, con conseguente deficit staturale e nanismo disarmonico. Ciò è dovuto sia al ridotto metabolismo proteico, sia all’alterazione dell’asse GH-IGF-IGFBP.
L’ipotiroidismo determina una riduzione sia della neoformazione che del riassorbimento ossei, non alterando i valori della densità minerale ossea; a livello articolare si caratterizza per la presenza di artralgia, rigidità e versamenti, specie a carico della mano e del ginocchio.
La sintomatologia muscolare è caratterizzata da mialgia, crampi, rigidità, facile stancabilità e rallentamento dei riflessi tendinei. L’insieme della modificazioni neuro-muscolari e cardio-respiratorie rende conto della diminuita tolleranza all’esercizio fisico.

 

Sistema ematologico
In circa un terzo dei pazienti ipotiroidei si osserva anemia, a carattere normocitico e normocromico, dovuta alla diminuita produzione di eritropoietina (EPO). E' possibile osservare anche anemia microcitica e ipocromica che, in alcune casistiche, mostra una prevalenza del 15%; l’iposideremia, che ne è alla base, è dovuta all’aumentata perdita di ferro, associata all’iperpolimenorrea, e al ridotto assorbimento enterico, connesso alla carenza di acido cloridrico. L’anemia macrocitica e ipercromica, infine, può svilupparsi in conseguenza di una concomitante anemia perniciosa o anche a seguito del deficit di acido folico e/o di vitamina B12, che si riscontrano anche in assenza di anticorpi anti-mucosa gastrica.
L’emostasi può essere compromessa, con conseguente aumento del tempo di sanguinamento; l’attività fibrinolitica è diminuita nell’ipotiroidismo lieve-moderato ed è, invece, aumentata in caso di ipotiroidismo grave.

 

Bibliografia essenziale

  1. Brent GA, Reed-Larsen P, Davies TF. Hypothyroidism and thyroiditis. In: Williams Textbook of Endocrinology, Kronenberg, HM et al Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier 2008: 377–409.
  2. Cerrone D, Monaco F. Ipotiroidismo primario dell’adulto. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 233-65.
  3. Giuliani C, Monaco F. Sindrome da resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei.In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 315-25.
  4. Wiersinga WM. Hypothyroidism and mixedema coma. In: Endocrinology, Adult and Pediatric, Jameson JL and DeGroot LJ Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier, 2010: 1607–22.
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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

 

Il sospetto clinico, formulato sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, viene confermato mediante l’esecuzione delle indagini di laboratorio.
In caso di tiroidite di Hashimoto nella variante ipertrofica, di tiroidite post-partum, di tiroidite subacuta e di deficit/eccesso di iodio l’esame obiettivo tiroideo può evidenziare la presenza di gozzo.
La diagnosi di laboratorio si basa sulla determinazione delle concentrazioni sieriche della FT4 e del TSH. In caso di ipotiroidismo primario si evidenziano aumento del TSH e diminuzione della FT4. La concentrazione sierica di T4 è inversamente correlata a quella del TSH; infatti i due ormoni presentano un tipico rapporto lineare-logaritmico inverso, riconducibile alla spiccata sensibilità delle cellule tireotrope ipofisarie ai livelli di ormoni tiroidei circolanti. E’ da sottolineare, quindi, che variazioni minime di T4 corrispondono a variazioni significative del TSH sierico. Grazie a questa relazione lineare-logaritmica inversa, infatti, è possibile oggi diagnosticare l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo subclinici e determinare con precisione la dose della terapia sostitutiva o soppressiva.
Il dosaggio del solo TSH non è sufficiente per porre diagnosi di ipotiroidismo primario manifesto: infatti, sebbene normali valori di TSH consentano di escludere tale diagnosi, in presenza di TSH elevato il dosaggio della FT4 è fondamentale per distinguere l’ipotiroidismo primario manifesto da quello subclinico. La concentrazione plasmatica di FT3 può essere normale (ipotiroidismo lieve) oppure ridotta (ipotiroidismo manifesto). Infatti, nel soggetto ipotiroideo l’incremento del TSH sierico induce un aumento dell’attività 5′-monodesiodasica intra-tiroidea, responsabile della desiodazione della T4 in T3, a cui si associa anche un’accresciuta conversione della T4 in T3 a livello dei tessuti extra-tiroidei. La secrezione preferenziale della T3, biologicamente più attiva, rispetto alla T4 è volta a compensare il deficit degli ormoni tiroidei a livello periferico. Ciò spiega perché la FT3 è il parametro ormonale che si modifica più tardivamente nel soggetto ipotiroideo, essendo la sua riduzione cronologicamente preceduta, nell’ordine, dall’aumento del TSH e dalla riduzione della FT4.
Gli anticorpi anti-tireoperossidasi (anti-TPO) e anti-tireoglobulina (anti-Tg) sono presenti nel 90% dei pazienti con tiroidite cronica autoimmune.
Il riscontro di bassi valori di FT4 associato a valori di TSH inappropriatamente bassi o normali rispetto ai livelli di FT4 è suggestivo di ipotiroidismo centrale, anche se alcuni pazienti affetti da ipotiroidismo centrale con difetto prevalentemente ipotalamico possono avere elevati livelli di TSH.

In caso di sindrome da resistenza, la diagnosi è sospettata clinicamente in un paziente ipotiroideo con gozzo e viene confermata dai livelli sierici inappropriatamente elevati sia di FT4 e di FT3 che di TSH.

Altre indagini opportune a completamento dell’iter diagnostico dell’ipotiroidismo sono lecografia tiroidea, che permette di determinare le dimensioni della ghiandola, la presenza di una ecostruttura ipoecogena, che si riscontra tipicamente nelle tireopatie autoimmuni, e/o l’eventuale presenza di noduli, e l’ECG, che mostra bradicardia, bassi voltaggi ed alterazioni della ripolarizzazione ventricolare, con modificazioni aspecifiche del tratto ST e dell’onda T.

Indagini utili, ma complementari, sono la determinazione del cortisolo plasmatico, per escludere una possibile insufficienza surrenale, del colesterolo, dei trigliceridi, della sideremia, della vitamina B12, dell’acido folico e degli anticorpi anti-parete gastrica. Gli anticorpi bloccanti il recettore del TSH (TBAbs, TSH receptor blocking antibodies) sono presenti nel 10-15% dei pazienti affetti da ipotiroidismo primario; in particolare si riscontrano nella tiroidite di Hashimoto, nella variante atrofica (mixedema primario, con prevalenza fino al 25%), nei soggetti con pregressa malattia di Basedow-Graves successivamente divenuti ipotiroidei e anche negli individui che sviluppano l’ipotiroidismo nel decorso di una tiroidite subacuta. La scintigrafia tiroidea con radioiodio o con 99mTc è indicata quando la ghiandola è difficilmente esplorabile con la ecografia (dislocazione retrosternale); essa mostra, spesso, una captazione bassa e disomogenea del radioisotopo. La Rx del torace può evidenziare, in caso di ipotiroidismo grave e di lunga durata, l’aumento del diametro cardiaco e i versamenti pericardico e pleurico. L'ipotiroidismo può essere sospettato quando per altri motivi vengono eseguiti esami specialistici e si riscontrano ridotti voltaggi all’elettroencefalogramma, rallentamento della conduzione nervosa, ridotta ampiezza dei potenziali evocati visivi e somato-sensoriali e, infine, alterazioni del metabolismo dei fosfati, visualizzabili mediante particolari metodi di RM . La frazione MM della creatina-chinasi, derivante dal muscolo scheletrico, è spesso aumentata ed è correlata con la gravità dell’ipotiroidismo. Gli indici di funzione epatica sono spesso lievemente alterati. Talvolta si osservano iposodiemia e lieve aumento della creatininemia. L’idrossiprolinuria, la fosfatasi alcalina sierica e l’osteocalcina possono essere ridotte, mentre la calcemia è generalmente nella norma, anche se, in alcuni casi, può essere lievemente ridotta a causa del minore riassorbimento osseo; l’escrezione del calcio è diminuita a seguito dell’aumento del PTH e della vitamina D.
Le indagini atte a valutare l’azione periferica degli ormoni tiroidei, come il dosaggio del colesterolo e della creatina-chinasi, hanno scarse sensibilità e specificità e, pertanto, non vengono generalmente impiegate.

 

Diagnosi differenziale
Il riscontro di una massa ipofisaria nel corso delle tecniche di imaging cerebrale induce a porre una diagnosi differenziale tra l’ipotiroidismo centrale, dovuto a compressione delle cellule tireotrope ipofisarie da parte della massa occupante spazio, e l’ipotiroidismo primario, con associata iperplasia e ipertrofia delle cellule TSH-secernenti, che possono arrivare a formare un adenoma distinto. In tal caso la diagnosi differenziale con ipotiroidismo centrale viene posta sulla base dei valori di TSH sierico, che sono ridotti o inappropriatamente normali nel primo caso ed elevati nel secondo.
L’ipotiroidismo centrale, oltre che con il primario, deve essere differenziato con le patologie non tiroidee (NTI) che determinano valori della funzione tiroidea simili a quelli dei pazienti con IC. Alcuni studi, hanno evidenziato un deficit di TRH in alcuni casi di NTI, suggerendo che le NTI possano anche rappresentare una forma particolare di ipotiroidismo. Tuttavia, la distinzione fra l’ipotiroidsmo centrale e il quadro da NTI si avvale della valutazione dei livelli sierici di FT3, che risulta sempre ridotta nelle NTI mentre è normale nelle forme lievi-moderate di ipotiroidismo centrale.
Per la diagnosi differenziale tra sindrome da resistenza generalizzata e ipersecrezione di TSH, quale si ha nell’adenoma ipofisario, a conferma del quadro clinico si ricorre al test di soppressione con L-T3.

 

Bibliografia essenziale

  1. Brent GA, Reed-Larsen P, Davies TF. Hypothyroidism and thyroiditis. In: Williams Textbook of Endocrinology, Kronenberg, HM et al Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier 2008: 377–409.
  2. Ladenson PW. Diagnosis of hypothyroidism. In: Werner & Ingbar’s The thyroid. A fundamental and clinical text, Braverman LE and Utiger RD eds, Philadelphia, Lippincott, Wiliams and Wilkins, 2005: 857-63.
  3. Cerrone D, Monaco F. Ipotiroidismo primario dell’adulto. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 233-65.
  4. Giuliani C, Monaco F. Sindrome da resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei.In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 315-25.
  5. Petrella V, Monaco F. Ipotiroidismo centrale. n: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 289-97.
  6. Wiersinga WM. Hypothyroidism and mixedema coma. In: Endocrinology, Adult and Pediatric, Jameson JL and DeGroot LJ Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier, 2010: 1607–22.
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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

(aggiornato al 25 novembre 2015)

 

La terapia di prima scelta dell’ipotiroidismo primario è medica e si basa sulla somministrazione di ormoni tiroidei per os a permanenza, al fine di ristabilire e mantenere l’eutiroidismo, normalizzando le concentrazioni sieriche di TSH e di FT4.

In Italia sono disponibili diverse preparazioni di ormoni tiroidei, tutte per somministrazione orale: le preparazioni sintetiche singole di L-T4, di L-T3 e le associazioni dei due ormoni.

 

Tiroxina
La L-tiroxina (levotiroxina o L-T4) sodica, isolata dagli estratti tiroidei nel 1914 e sintetizzata nel 1926, costituisce il farmaco di prima scelta. Gli effetti del farmaco si manifestano, in genere, dopo 3-5 giorni dall’inizio dell’assunzione e cessano, seppure non completamente, dopo 10-15 giorni dalla sospensione. Infatti, la saturazione dei siti di legame delle proteine di trasporto richiede 24-48 ore, trascorse le quali la frazione libera circolante, responsabile dell’effetto ormonale, aumenta gradualmente, raggiungendo il plateau dopo 7-8 giorni.
L’assorbimento, che si attua principalmente nella parte distale del digiuno e dell’ileo, è di circa il 70-80% della dose assunta a digiuno, mentre a stomaco pieno si riduce al 50-60%; pertanto, è necessario che la L-T4 sia assunta sempre a stomaco vuoto (le condizioni per un assorbimento ottimale si verificano la mattina, 60 minuti prima della colazione, oppure la sera prima di coricarsi ma almeno 2-3 ore dopo cena) e a distanza di almeno quattro ore da altri farmaci e da vitamine che possono interferire con il suo assorbimento. Circa il 25% della T4 viene lentamente convertito in T3, quota che rappresenta approssimativamente l’80% della T3 circolante. Le iodotironine vengono coniugate nel fegato e successivamente escrete per via biliare; la parziale deconiugazione, che si attua nell’intestino, comporta il rilascio di modeste quantità di T3 e di T4, che vengono prontamente riassorbite, realizzando il cosiddetto circolo entero-epatico. L’assorbimento della L-tiroxina è influenzato dal pH gastrico, che si modifica nella gastrite correlata ad infezione da Helicobacter pylori, nella gastrite atrofica del corpo dello stomaco e nella terapia a lungo termine del reflusso gastro-esofageo con farmaci inibitori della pompa protonica. Questi ultimi risultati sono stati successivamente sconfessati da altri Autori, i quali sostengono che l’aumentato fabbisogno nei pazienti gastropatici non è tanto riconducibile alle modificazioni del pH gastrico, quanto alla concomitante presenza di uno stato infiammatorio gastro-intestinale.
La dose iniziale di L-tiroxina deve essere individualizzata e dipende dalla gravità e dalla durata dell’ipotiroidismo, dal peso, dal sesso e dall’età del paziente, nonché dalla presenza di eventuali patologie concomitanti. Generalmente la dose iniziale è con un basso dosaggio, pari a 25-50 µg/die, aumentando la posologia del farmaco di 25-50 µg ogni 4-6 settimane, fino a raggiungere la dose di mantenimento, stabilita sulla base della risposta clinica e del dosaggio del TSH ematico, da effettuare 4-6 settimane dopo ogni cambiamento della terapia, in modo da consentire l’adattamento ipofisario ai nuovi valori ormonali circolanti. Negli anziani, nei pazienti con patologie cardio-vascolari e nei pazienti con ipotiroidismo grave e/o di lunga durata, il cui organismo si è relativamente “adattato” alla carenza ormonale, la terapia viene iniziata solo dopo aver effettuato un ECG e con una posologia inferiore, pari a 12.5-25 μg/die, aumentando la dose di 12.5-25 μg a intervalli di 6-7 settimane.
La dose sostitutiva di mantenimento, che in genere si raggiunge nell’arco di 2-3 mesi, è di 1.2-1.7 µg/kg/die per os, equivalente a una dose totale di 100-150 ± 50 µg/die. La posologia ottimale è quella che mantiene il valore del TSH fra 0.5 e 2.0 µU/mL e la FT4 nel terzo superiore dei valori normali di riferimento; ciò consente, generalmente, di ottenere una concentrazione di FT3 nel mezzo dell’intervallo normale di riferimento. La dose di mantenimento dipende dal peso corporeo, principalmente dalla massa magra, dai valori iniziali di TSH, dal sesso, dalla risposta individuale e anche dal decorso della tireopatia. Per esempio, nei casi di tireopatia autoimmune, l’eventuale presenza di anticorpi anti-recettore del TSH, che possono avere funzione stimolante o inibente la funzione della cellula tiroidea, può influenzare la residua funzione tiroidea e, conseguentemente, la dose terapeutica di L-T4. Nei casi di ipotiroidismo post-chirurgico si ritiene che la dose sostitutiva sia leggermente superiore rispetto a quella che si osserva nei casi di tireopatia autoimmune per una supposta secrezione ormonale residua in quest'ultima situazione. L’età condiziona fortemente la posologia della terapia tiroidea sostitutiva: i bambini, a causa del metabolismo più elevato, necessitano di una dose di L-T4 maggiore, pari anche a 4-10 volte quella utilizzata negli adulti (fino a 10-12 µg/kg/peso corporeo/die). Al contrario, nei soggetti adulti è necessaria una dose inferiore del 25-50% rispetto a quella assunta dal soggetto giovane. La riduzione del fabbisogno di L-tiroxina connessa con l’invecchiamento è riconducibile sia al ridotto catabolismo del farmaco, che alla riduzione della massa magra. Le modificazioni ponderali influenzano anch’esse la posologia del farmaco: l’incremento o la diminuzione del peso corporeo possono infatti, rispettivamente, aumentare o ridurre il fabbisogno di L-tiroxina.
Gli insuccessi della terapia ormonale sostitutiva sono eccezionali e le cause più frequenti sono la mancata assunzione del farmaco, il malassorbimento e l’uso di preparazioni inefficaci. I pazienti con scarsa compliance mostrano tipicamente valori discordanti del TSH e della FT4 (elevato TSH/elevata FT4) a causa dell'irregolarità dell’assunzione del farmaco. In presenza di quadri malassorbitivi, come pure di pregressa resezione intestinale, può rendersi necessario il ricorso a dosi maggiori del farmaco. L’associazione delle tireopatie croniche autoimmuni con patologie di tipo malassorbitivo, come l’anemia perniciosa o la celiachia, deve essere attentamente valutata, soprattutto nei pazienti in cui dosi elevate di tiroxina non siano in grado di ridurre il TSH sierico. Negli ultimi anni sono divenute disponibili preparazioni di tiroxina liquida o gelatinosa che in studi preliminari sembrano offrire vantaggi sia per la quota di tiroxina assorbita in presenza di condizioni di malassorbimento che per la necessità di assunzione in condizioni di digiuno, essendo stato evidenziato un assorbimento ottimale anche in caso di assunzione durante la colazione; sono però necessari studi prospettici e con una popolazione studiata più numerosa per poter trarre conclusioni definitive. 
Non esistono controindicazioni alla terapia tiroidea sostitutiva. La terapia con ormoni tiroidei è priva di effetti collaterali e sono rare le descrizioni di reazioni allergiche agli eccipienti e ai coloranti aggiunti alle compresse. La complicanza più facilmente riscontrata è la tireotossicosi iatrogena, la quale, tuttavia, non è ascrivibile tanto a un effetto intrinseco del farmaco, quanto alla posologia inadeguata dello stesso. È sempre necessario considerare l’ipotiroideo come un paziente in cui può verificarsi un concomitante iposurrenalismo, come accade spesso nelle sindromi da insufficienza poli-endocrina. In questi casi la somministrazione di ormoni tiroidei può precipitare una condizione di iposurrenalismo acuto, ed è pertanto necessario controllare la funzione surrenale, eseguendo un test rapido di stimolo con ACTH, e, eventualmente, somministrare sempre la terapia sostitutiva cortisonica prima di quella tiroidea.

 

Triiodotironina
La L-triiodotironina (L-T3 o liotironina) costituisce una terapia di II scelta dell’IPA e viene perlopiù utilizzata in circostanze selezionate e per periodi limitati, in quei casi, cioè, in cui si preferisca una rapida insorgenza e/o una rapida cessazione dell’effetto terapeutico (preparazione alla terapia radiometabolica nei soggetti tiroidectomizzati per carcinoma tiroideo, preparazione alla scintigrafia corporea totale con radioiodio di controllo nei pazienti operati per carcinoma tiroideo). La T3, rispetto alla T4, presenta un’attività biologica su base equimolecolare circa 4 volte superiore, una maggiore rapidità d’azione, una minore affinità di legame per le proteine sieriche, alle quali è legata per il 99.7%, e una ridotta emivita, pari a circa 1 giorno, dal momento che viene catabolizzata per circa il 75% entro 24 ore dall’assunzione. Per queste caratteristiche farmaco-dinamiche l’indice terapeutico della L-triiodotironina è basso, per cui l’intervallo fra la dose terapeutica efficace e la dose tossica è molto ristretto. L’assorbimento enterico è del 90% e avviene molto rapidamente, e la risposta metabolica inizia dopo 4-6 ore, è massima dopo 12-24 ore e si esaurisce nell’arco di 7-8 giorni. A causa delle caratteristiche farmaco-cinetiche descritte, è pressocchè impossibile mantenere concentrazioni ematiche costanti di T3 assumendo il farmaco una sola volta al giorno, per cui la L-T3, disponibile in forma di compresse contenenti 20 µg di principio attivo, viene somministrata per os due-quattro volte al giorno, alla dose totale di 60-80 µg/die. L’aumento della triiodotironinemia che si osserva subito dopo la somministrazione può, peraltro, indurre una tireotossicosi iatrogena, per cui l’impiego del farmaco deve essere attentamente controllato, specie nei pazienti anziani e/o con insufficienza coronarica.

 

Prodotti di associazione o terapia combinata
Esistono anche prodotti di associazione di T3 e T4, in cui la L-tiroxina e la liotironina sono presenti generalmente secondo un rapporto di 4:1. È stata anche prospettata la possibilità di una terapia combinata dei singoli ormoni; la ragione di questa modalità terapeutica, in alternativa ai prodotti di associazione, risiede nelle differenti caratteristiche farmaco-cinetiche di tiroxina e triiodotironina che consentono la mono-somministrazione giornaliera di tiroxina ma necessitano di una assunzione bi-giornaliera di triiodotironina.
Il vantaggio dell’impiego combinato dei due ormoni rispetto alla terapia con sola L-T4 è stato molto discusso da numerosi anni. Il razionale della terapia associata consiste nel fatto che, sebbene la maggior parte della T3 circolante nell’organismo derivi dalla desiodazione periferica della T4, la tiroide secerne, fisiologicamente, una piccola quantità di triiodotironina, per cui, essendo l’obiettivo della terapia sostitutiva quello di riprodurre la secrezione endogena degli ormoni tiroidei, l’associazione degli stessi sembrerebbe più adeguata a quello che avviene fisiologicamente nel soggetto eutiroideo. Inoltre, la terapia combinata è stata proposta dopo che studi di biologia molecolare hanno evidenziato polimorfismi e mutazioni dei geni coinvolti nel trasporto e nel metabolismo degli ormoni tiroidei (in particolare della desiodasi di tipo 2, responsabile della trasformazione della tiroxina in triiodotironina); tuttavia nessun polimorfismo o mutazione è stato dimostrato essere responsabile di un significativo cambiamento dei livelli di triiodotironina.  Numerosi studi sono stati effettuati per valutare la superiorità della somministrazione della terapia combinata; i risultati non consentono però di trarre conclusioni definitive e, al momento, le principali associazioni endocrinologiche europee e americane affermano che non esistono motivi per consigliare la terapia combinata come terapia di prima scelta, che rimane pertanto quella con la sola tiroxina. Tuttavia nei pazienti che, escluse situazioni di scarsa aderenza terapeutica o di malassorbimento, manifestano la presenza di sintomi da insufficiente controllo terapeutico, pur in presenza di valori di TSH nell’intervallo di normalità, è possibile intraprendere una somministrazione combinata di tiroxina e triiodotironina.

 

Interferenze
Molte sostanze interferiscono con l’assorbimento, il trasporto, il metabolismo e gli effetti periferici degli ormoni tiroidei.
La somministrazione di amiodarone nei pazienti in terapia sostitutiva con T4, diminuendo la desiodazione della T4 in T3, può indurre un aumento del TSH sierico.

 

Interferenze e interazioni in corso di terapie associate
Aumentare dose L-T4 Estrogeni (fino al 30%)
Diminuiscono assorbimento Colestiramina
Latte di soia
Sucralfato
Idrossido di alluminio
Raloxifene
Solfato di ferro
Inibitori della pompa protonica
Inibitori H2
Calcio carbonato
Aumentano il metabolismo Rifampicina
Statine
Difenilidantoina
Carbamazepina
Diminuire dose L-T4 Androgeni nel trattamento del carcinoma mammario (del 25-50%)

 

 

Effetto della terapia con L-T4 sull'efficacia di altre terapie
Effetti aumentati (quindi diminuire la dose) Catecolamine e simpatico-mimetici (rischio di coronaropatia)
Anti-coagulanti orali: la dose deve essere diminuita di 1/3, controllando il tempo di protrombina (PT), il tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT) e l’INR
Effetti diminuiti (quindi aumentare la dose) Glucosidi digitalici
Insulina
Ipoglicemizzanti orali

 

 

Bibliografia essenziale

  1. Brent GA, Reed-Larsen P, Davies TF. Hypothyroidism and thyroiditis. In: Williams Textbook of Endocrinology, Kronenberg, HM et al Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier 2008: 377–409.
  2. Cerrone D, Monaco F. Ipotiroidismo primario dell’adulto. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 233-65.
  3. Giuliani C, Monaco F. Sindrome da resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei.In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 315-25.
  4. Petrella V, Monaco F. Ipotiroidismo centrale. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 289-97.
  5. Wiersinga WM. Hypothyroidism and mixedema coma. In: Endocrinology, Adult and Pediatric, Jameson JL and DeGroot LJ Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier, 2010: 1607–22.
  6. Woeber AW. Treament of hypothyroidism. In: Werner & Ingbar’s The thyroid. A fundamental and clinical text, Braverman LE and Utiger RD eds, Philadelphia, Lippincott, Wiliams and Wilkins, 2005: 864-869.
  7. Jonklaas J, Bianco  AC, Bauer AJ, et al. Guidelines for the treatment of hypothyroidism. Prepared by the American Thyroid Association Task Force on Thyroid Hormone Replacement. Thyroid 2014, 24: 1670-751.
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Gregorio Reda1 & Palma Dicorato2
1Endocrinologia, Ospedale Pertini, Roma
2Endocrinologia ASL, TA-Martina Franca

 

 

LEVOTIROXINA

Meccanismo d’azione
Legame ai recettori degli ormoni tiroidei dopo trasformazione nell’ormone attivo T3.

 

Proprietà farmacocinetiche
Assorbita in modo incompleto nel tratto superiore dell’intestino tenue. Il suo legame con le proteine plasmatiche è quasi completo e la quota libera è solo dello 0.05%. Il tempo di dimezzamento è di circa 7 giorni e ciò giustifica la possibilità di prescrivere dosaggi personalizzati, con dosi variabili anche nei giorni della settimana per ottenere il valore di TSH programmato.
Mentre la levotiroxina in compresse richiede la fase di dissoluzione con conseguente più lento assorbimento e maggiore interferenze con il cibo ed il pH gastrico, le gocce, la soluzione monodose e le capsule molli, nelle quali il principio attivo è già in soluzione, hanno migliore e più rapido assorbimento con minori interferenze con il cibo e il pH gasrtico

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia

Compresse:

  • Eutirox: 25, 50, 75, 88, 100, 112, 125, 137, 150, 175, 200 µg (da maggio 2021 sono stati modificati gli eccipienti per rendere il principio attivo più stabile: è stato sostituito il lattosio mono-idrato con mannitolo, aggiunto acido citrico, modificato il quantitativo di amido di mais e magnesio stearato)
  • Levotiroxina Aristo: 25, 50, 100, 200 µg
  • Levotiroxina Teva: 25, 50, 75, 100, 125, 150, 175, 200 µg

Gocce:

  • Tirosint: 100 µg/mL (1 goccia = 3.57 µg).

Soluzione orale:

  • in contenitori monodose da 1 mL:
    • Tirosint: 25, 50, 75, 100 µg/mL;
    • Levotirsol: 13, 25, 50, 75, 88, 100, 112, 125, 137, 150, 175, 200 µg/mL
  • in siringa graduata (5 mL): Tifactor: 100 (20 µg/mL), 50 (10 µg/mL), 25 (5 µg/mL)

Capsule molli:

  • Tiche: 13, 25, 50, 75, 88, 100, 112, 125, 137, 150, 175, 200 µg

 

Indicazioni
Ipotiroidismo, gozzo.

 

Contro-indicazioni
Ipertiroidismo

 

Effetti collaterali
Quasi esclusivamente legati ad un eccessivo dosaggio del farmaco (tachicardia, sudorazione, cefalea, irritabilità, ecc).
Da notare che Eutirox, ma non Tirosint, contiene lattosio.

 

Interazioni con altri farmaci
Numerosi farmaci e sostanze interferiscono con l’assorbimento e l’attività della levotiroxina. In particolare, l’effetto può essere ridotto da farmaci contenenti alluminio, ferro, calcio carbonato, da inibitori di pompa protonica, barbiturici e anti-epilettici, sertralina, clorochina/proguanil, composti contenenti soia.
Può determinare un potenziamento dell’effetto degli anti-coagulanti orali.

 

 

Caratteristiche delle formulazioni disponibili di tiroxina
Nome commerciale Formulazione Dosaggi Eccipienti Rimborsabilità SSN
Eutirox Compresse rivestite 25 μg, 50 μg, 75 μg, 88 μg, 100 μg, 112 μg, 137 μg, 150 μg, 175 μg, 200 μg Amido di mais, acido citrico, gelatina, croscarmellosa sodica, magnesio stearato, mannitolo Sì (escluse formulazioni da 88 μg, 112 μg, 137 μg)
 Levotirsol Soluzione orale in contenitore mono-dose 13 μg, 25 μg, 50 μg, 75 μg, 88 μg, 100 μg, 112 μg, 125 μg, 137 μg, 150 μg, 175 μg, 200 μg Glicerolo 85%
 Tiche Capsule molli 13 μg, 25 μg, 50 μg, 75 μgg, 88 μg, 100 μg, 112 μg, 125 μg, 137 μg, 150 μg, 175 μg, 200 μg Gelatina, glicerolo, acqua depurata No
 Tifactor Soluzione orale 2 flaconi da 75 mL (100 μg/5 mL) Glicerolo, acido citrico monoidrato, metil-paraidrossi-benzoato di sodio (E219), idrossido di sodio, acqua purificata
Tirosint Gocce orali 20 mL (100 μg/mL): 1 goccia contiene 3.57 μg Etanolo 96%, glicerolo 85%
Soluzione orale in contenitore mono-dose 25 μg, 50 μg, 75 μg, 100 μg

 

 

 

Utilizzo in situazioni particolari
In età pediatrica: utilizzare le gocce o la soluzione orale in contenitori monodose. Non aggiungere il farmaco nel biberon perchè potrebbe aderire alle pareti.
Nei pazienti con difficoltà a deglutire le compresse: usare le gocce o la soluzione orale in flaconi monodose.
Nei pazienti in coma (in generale ed in coma ipotiroideo in particolare): somministrare il farmaco attraverso il sondino naso-gastrico.
Uso parenterale (in Italia non esiste una preparazione commerciale): utilizzare una preparazione galenica seguendo le seguenti istruzioni (da Fabrizio Monaco,"Prontuario di Terapia Endocrina e Metabolica" SEU Editore, 2006):

  1. pesare la levotiroxina su garza sterile
  2. dissolvere la polvere in 2-3 gocce di NaOH 0.1 N in beaker sterile
  3. diluire la soluzione con 4-5 mL di NaCl 0.9% sterile, contenente albumina 1%
  4. filtrare attraverso un filtro Millipore sterile di 0.22 µm
  5. neutralizzare la soluzione a pH 7.4
  6. iniettare ev lentamente in non meno di 2 minuti.

 


LIOTIRONINA

Meccanismo d’azione
Legame diretto ai recettori degli ormoni tiroidei

 

Proprietà farmacocinetiche
Più rapidamente assorbito rispetto alla levotiroxina, ha un picco plasmatico a 2-4 ore ed un’emivita di circa un giorno.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia

  • gocce orali in soluzione da 20 mL, 20 µg/mL: Liotir

 

Indicazioni terapeutiche
Ipotiroidismo in pazienti che non rispondono adeguatamente alla sola somministrazione di levotiroxina (deficit di desiodasi, insufficienza renale cronica, ecc.), in preparazione a trattamento con radio-iodio nei pazienti operati per carcinoma tiroideo.

 

Effetti collaterali
Quasi esclusivamente legati ad un eccessivo dosaggio del farmaco (tachicardia, sudorazione, cefalea, irritabilità, ecc).

 

Limitazioni prescrittive
Classe di prescrivibilità: A
Nei pazienti in coma ipotiroideo, in genere, ne è sconsigliato l'uso, poichè la rapidità ed intensità di azione potrebbero innescare aritmie cardiache anche letali.

 


PRODOTTI DI COMBINAZIONE (levotiroxina sodica + liotironina) ed estratti tiroidei non sono più in commercio

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Elena Galazzi, Laura Fugazzola & Luca Persani
Dipartimento di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Università degli Studi di Milano, Milano

(aggiornato al 15 agosto 2021)

 

INTRODUZIONE

L'ipotiroidismo congenito (IC) è la più frequente endocrinopatia dell'età evolutiva e rappresenta, insieme alla fenilchetonuria, la principale causa congenita di ritardo mentale oggi prevenibile, grazie all’introduzione, nei Paesi ad elevato standard socio-sanitario, dello screening neonatale di massa (1).
La prevalenza della malattia si attesta tra 1:2000-3000 nati per le forme primarie e 1:16.000 nati per l’ipotiroidismo centrale.
La patologia è causata, nella maggior parte dei casi, da alterazioni dell’embriogenesi della ghiandola tiroidea: agenesia, ipoplasia, o presenza di un abbozzo tiroideo in sede ectopica, generalmente insufficiente ad assicurare un normale apporto di ormoni tiroidei. Più raramente la patologia è provocata da un deficit geneticamente determinato di enzimi deputati alla sintesi degli ormoni tiroidei. Esistono inoltre, forme transitorie di ipotiroidismo neonatale che possono essere causate da:

  • fattori materni: includono l’assunzione di farmaci anti-tiroidei durante la gravidanza, il passaggio trans-placentare di anticorpi bloccanti il recettore del TSH e l’esposizione materna durante la gravidanza a condizioni sia di deficienza che di eccesso di iodio;
  • fattori neonatali: includono condizioni di difetto o eccesso di iodio, l’emangioma epatico congenito, e mutazioni nei geni che codificano per DUOX e DUOXA2 (2).

I danni dovuti alla carenza protratta di ormoni tiroidei sono molteplici e diffusi a tutti gli organi e sistemi, principalmente l’occhio, il cuore e il sistema nervoso con grave ritardo mentale (3).
Tuttavia, un'adeguata terapia ormonale sostitutiva con L-tiroxina (LT4), poco costosa e di semplice somministrazione, consente di prevenire tali danni, purché sia attuata entro le prime settimane di vita (4).

 

SCREENING NEONATALE (5)

Poiché alla nascita la sintomatologia dell’ipotiroidismo congenito può essere aspecifica, sfumata o spesso completamente assente, è estremamente difficile effettuare una precoce diagnosi clinica della patologia in epoca neonatale. Nonostante in più del 70% dei Paesi al mondo non venga ancora eseguito, lo screening per IC rappresenta uno dei più rilevanti successi della medicina preventiva e dovrebbe essere pratica clinica universale, dato il ritardo psico-motorio irreversibile (cretinismo endemico) legato alla mancata diagnosi e il conseguente peso umano ed economico della malattia. In Italia lo screening neonatale tiroideo è iniziato nel 1977, estendendosi progressivamente a tutto il territorio nazionale e raggiungendo velocemente livelli eccellenti di copertura della popolazione neonatale (6). Dalla metà degli anni '90 la totalità dei nati in Italia viene sottoposta a screening grazie all'esistenza di 25 centri di screening per la diagnosi precoce di IC, regionali o inter-regionali, dislocati su tutto il territorio nazionale (Legge n° 104 del 5/2/1992).
Il metodo più sensibile per lo screening è il dosaggio del TSH reflex, su piccolissime quantità di sangue prelevato e assorbito su speciale carta da filtro prima della dimissione dal reparto di nascita. Il metodo ottimale per diagnosticare anche i pazienti a rischio di ipotiroidismo centrale prevede anche il dosaggio di tiroxina totale (TT4) o libera (fT4), quando economicamente sostenibile.
Alcune categorie di neonati a rischio (nati pre-termine, neonati piccoli per l’età gestazionale, neonati in terapia intensiva neonatale) possono risultare falsamente negativi al primo test per CH, perché non in grado di sviluppare un’adeguata risalita del TSH in risposta al deficit ormonale tiroideo per immaturità dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, ma possono risultare positivi nelle successive settimane (2°-6° di vita). Vi è pertanto indicazione a ripetere lo screening a distanza di circa 10-14 giorni.
Per i pazienti con s. di Down (in cui la prevalenza di IC è aumentata di 14-21 volte rispetto alla popolazione generale, sia per la trisomia del cromosoma 21 sia per la possibile sovra-espressione del gene DYRK1A) lo screening dovrebbe essere eseguito alla 3°-4° settimana di vita, perché questi bambini, per concomitanti patologie cardiache o intestinali alla nascita, possono sviluppare inizialmente una forma di malattia non tiroidea, con scarsa salita del TSH e falsi negativi allo screening.
Per quanto riguarda i gemelli, si consiglia una soglia più bassa del TSH o lo screening più tardivo, per la possibile contaminazione con il sangue del gemello dello stesso sesso non affetto; inoltre, viene segnalato un possibile sviluppo di ipotiroidismo anche nel gemello apparentemente non affetto al primo screening.
L’aumento dei valori di TSH può essere tardivo anche nei casi di disormonogenesi da difetto del sistema DUOX.
Per quanto concerne le forme centrali, particolare attenzione si dovrebbe avere in caso di familiarità positiva per ipotiroidismo centrale o segni di ipopituitarismo (micro-pene, criptorchidismo, ipoglicemia, ittero prolungato, deficit di suzione inspiegato). In molti di questi casi, il difetto funzionale dell’asse tiroideo è meno grave dei difetti primari, tuttavia lo screening può essere giustificato anche dalla possibile diagnosi precoce e prevenzione di una eventuale crisi surrenalica da deficit combinato di ACTH (7,8).

 

DIAGNOSI

I neonati con alterazione dei test di screening dovrebbero essere inviati a un centro di riferimento.
Il test di screening dovrebbe essere seguito da un test di conferma su siero con dosaggio dei livelli di TSH e fT4.

 

Quando iniziare il trattamento:

  • immediatamente se i valori di fT4 sono sotto il range di normalità (fT4 < 5 pmol/L indicativo di forma grave, 5-10 pmol/L di forma moderata, 10-15 pmol/L di forma lieve) con TSH elevato o se il solo TSH è > 20 mU/L (quest’ultima raccomandazione è basata su opinione di esperti);
  • se invece i valori di TSH sono compresi tra 6 e 20 mU/L sotto i 21 giorni di vita, con fT4 nel range di norma, è possibile iniziare la terapia con L-T4 e rivalutare il quadro successivamente, oppure aspettare e ripetere gli esami di funzione tiroidea dopo 1-2 settimane (mancanza di studi randomizzati controllati a riguardo).

Nei paesi dove la conferma su siero non è immediata, valori di TSH allo screening su tallone > 40 mU/L richiedono l’immediato inizio della terapia con L-T4, perché indicativi di forma moderata-severa (opinione di esperti).
La diagnosi di IC centrale si basa sul rilievo di bassi valori di fT4 con TSH basso, normale o lievemente elevato; in questi pazienti la terapia con LT4 deve essere iniziata dopo aver escluso un concomitante iposurrenalismo centrale.
La terapia deve essere iniziata prima di eventuali accertamenti di diagnostica per immagini, che comunque è bene eseguire alla diagnosi per capire l’eziologia dell’IC.
L’ecografia tiroidea permette di stabilire se la ghiandola è in sede, le dimensioni e l’ecostruttura. È una procedura poco costosa e non espone alle radiazioni, ma è operatore-dipendente.
La scintigrafia può essere più informativa, soprattutto nei casi di disormonogenesi. Può essere eseguita con due diversi radioisotopi:

  • Tc-99 è meno costoso, più disponibile e veloce (acquisizione delle immagini 15 minuti dopo la somministrazione);
  • I-123 dà immagini di migliore qualità, è associato a minore radio-esposizione e permette di eseguire il test al perclorato.

La combinazione di ecografia e scintigrafia (dual-imaging) permette di ottenere la maggior quantità di informazioni, soprattutto nei casi di atireosi/ectopia ghiandolare. In Italia l’ecografia tiroidea è molto spesso eseguita alla nascita, mentre la scintigrafia tiroidea viene più spesso eseguita alla rivalutazione diagnostica.
Il test al perclorato serve a studiare la capacità iodio-ritentiva della ghiandola. È considerato positivo quando il discharge dello iodio supera il 10% della dose somministrata ed è un importante marcatore diagnostico per individuare disormonogenesi, insieme al dosaggio della tireoglobulina sierica.
Molte forme sindromiche possono presentarsi con IC (tabella 1).

 

Tabella 1
Cause sindromiche di
ipotiroidismo congenito primario
Sindrome Fenotipo Gene
Bamfoth-Lazarus Atireosi/ectopia con ipoplasia + palatoschisi e “spiky hair”, eventuale atresia delle coane FOXE1 (TITF-2)
Brain-Lung-Thyroid Atireosi/severa ipoplasia + disturbi neurologici variabili (tipo coreo-atetosi) e distress respiratorio NKX2-1 (TTF-1)
Alagille tipo 1 GIS, malformazioni cardiache JAG1
Williams-Beuren GIS o ipoplasia tiroidea con funzionalità residua varia + agenesia renale monolaterale/rene a ferro di cavallo, anomalie testicolari PAX8
Di George Ipoplasia tiroidea (50-70%), cardiopatie TBX1
Kabuki GIS, bassa statura, difetti cardiaci, gastro-enterici, neurologici, scheletrici, facies tipica MLL2 o KDM6A
Johanson-Blizzard GIS, alterazioni pancreas esocrino, sordità neuro-sensoriale UBR1
Pendred Gozzo e sordità neuro-sensoriale, predisposizione all’alcalosi SLC26A4
OMIM #610192 Ipotiroidismo e diabete mellito congeniti, rene policistico e colestasi GLIS3
OMIM #601614 Ectopia tiroidea, artro-griposi NTN1
OMIM #609977 Ectopia/emi-agenesia tiroidea CDCA8
OMIM #612901 Disgenesia tiroidea + tendenza alla formazione di macro-aggregati piastrinici TUBB1
GIS = ghiandola in situ

 

 

TRATTAMENTO

Il trattamento di scelta è la terapia con LT4, che deve essere iniziata entro le 2 settimane di vita o immediatamente dopo il test di conferma su siero. È stata, infatti, dimostrata una correlazione inversa tra quoziente intellettivo raggiunto ed età all’inizio della terapia (9). Tuttavia, anche se la diagnosi viene effettuata precocemente, consentendo una tempestiva istituzione della terapia sostitutiva, possono comunque essere rilevati effetti neurologici minori se il trattamento non viene ottimizzato nei primi due anni di vita (10).

 

Dosaggi di LT4:

  • IC grave (fT4 < 5 pmol/L): iniziare con 10-15 µg/kg/die;
  • IC lieve (fT4 > 10 pmol/L ma TSH elevato): trattare inizialmente con la dose minima (circa 10 µg/kg/die), anche inferiore (5-10 µg/kg/die) se fT4 è entro il limite inferiore dell’intervallo di riferimento;
  • pazienti con malformazioni cardiache importanti: si raccomanda di iniziare con il 50% della dose standard per il rischio di insufficienza cardiaca.

 

Formulazioni: gli autori raccomandano di utilizzare il brand e non il generico e di assumere la terapia insieme al cibo per aumentare la compliance (ma sempre alla stessa ora del giorno ed evitando di assumere cibi interferenti, come proteine della soia o fibre vegetali). La biodisponibilità delle formulazioni liquide è maggiore delle compresse e questo è da tenere in considerazione nel passaggio da una formulazione all’altra; inoltre, nel passaggio da formulazione orale a endovenosa, la dose deve essere ridotta dell’80%.

Tempi per il follow-up: il primo controllo deve avvenire 1-2 settimane dopo l’inizio del trattamento, poi ogni 3 mesi fino all’anno, poi ogni 2-4 mesi fino a 3 anni, poi ogni 3-6 mesi fino al completamento della crescita. Eseguire un controllo ematico 4-6 settimane dopo ogni cambio di dose.

Come monitorare la terapia: dosare TSH e fT4, prima dell’assunzione o 4 ore dopo l’ultima dose di LT4, mantenendo i valori nell’intervallo di riferimento età-specifico. Il dosaggio di LT4 deve essere ridotto se fT4 è elevato insieme a TSH soppresso (non ridurre sulla base del solo rialzo singolo di fT4) o se ci sono segni di ipertiroidismo (agitazione/tachicardia). La maggior causa di mancato ottenimento del target terapeutico è la scarsa compliance al trattamento, tuttavia un vero malassorbimento può dipendere da sindrome dell’intestino corto, celiachia, aumento dell’attività deiodinasica di voluminosi emangiomi epatici oppure concomitanti terapie interferenti che possono ridurre l’assorbimento (inibitori di pompa protonica, calcio, ferro) oppure aumentare la metabolizzazione (fenobarbital, fenitoina, carbamazepina, rifampicina).

Ipotiroidismo centrale: subito dopo la diagnosi, la terapia deve essere iniziata alle stesse dosi del primario a seconda della gravità del difetto. L’fT4 deve essere mantenuto nel range alto di norma. Il dosaggio di TSH va eseguito in caso di sotto-dosaggio terapeutico (fT4 ai limiti inferiori di riferimento, TSH > 1 mU/L). Il dosaggio di fT3 va eseguito in caso di sospetto sovra-dosaggio, soprattutto se fT4 è sopra il limite superiore di norma in presenza di segni di tireotossicosi.

Rivalutazione diagnostica
Se alla nascita non è stata individuata una causa specifica di IC, è necessaria una rivalutazione a 2-3 anni di vita, soprattutto in caso di GIS o forme isolate di ipotiroidismo centrale. La rivalutazione può essere eseguita già a 6 mesi se il paziente ha una GIS e richiede una dose di LT4 < 3 µg/kg/die.
Per la rivalutazione si sospende la terapia tout-court, oppure scalando la dose in 4-6 settimane e misurando dopo 4 settimane i valori di TSH e fT4:

  • in caso di IC primario, se TSH > 10 mU/L si conferma la diagnosi e si approfondisce con ulteriori parametri di imaging;
  • in caso si confermi IC centrale, è necessario rivalutare gli altri ormoni antero-ipofisari;
  • se il TSH è sopra il limite superiore di riferimento ma < 10 mU/L, in caso di patologia primaria, o se fT4 è appena al di sotto dell’intervallo di normalità in caso di deficit centrale, si continua senza terapia e si monitora ogni 3-4 settimane.

 

Monitoraggio delle donne in gravidanza
Obiettivo:

  • IC primario: mantenere TSH < 2.5 mU/L;
  • IC centrale: mantenere fT4 nella metà superiore del range di norma per intervallo di normalità trimestre-specifico.

L’incremento posologico di LT4 nel corso della gravidanza è di circa il 30%. Dopo il parto, la posologia di ormone tiroideo dovrebbe tornare a quella pre-concepimento.
Per la valutazione del volume tiroideo fetale si consigliano ecografia tiroidea alla 20°-22° settimana di gestazione. Per la valutazione della funzionalità tiroidea fetale viene consigliata la cordocentesi e non l’amniocentesi. Se la madre è ipotiroidea, è consigliato trattare la madre, mentre se solo il feto è ipotiroideo e ha un associato iperidramnios, si consigliano iniezioni intra-amniotiche di LT4 per ridurre il volume del gozzo fetale.

 

ESITI SUL BAMBINO IN CRESCITA

Il bambino deve essere monitorato dal punto di vista:

  • neuro-psichiatrico: ritardo psico-motorio, deficit dell’udito (anche periodicamente);
  • ecografico ogni 2-3 anni per il rischio di sviluppo di gozzo e noduli con potenziale maligno, soprattutto in caso di disormonogenesi, come in caso di mutazione dei geni TPO, SLC5A5/NIS, SLC26A4/PDS, DUOX, TG.

 

GENETICA (11)

Lo scopo della genetica è perfezionare la diagnosi, il trattamento e la prognosi e deve essere eseguito, quando possibile, con tecniche come l’array-CGH (Comparative Genomic Hybridization), l’NGS (Next Generation Sequencing) o la WES (Whole Exome Sequencing). Il counseling genetico, raccomandato per famiglie con almeno un membro affetto, deve essere orientato in base al fenotipo del paziente e deve includere il rischio di trasmissibilità.
I geni implicati nella disormonogenesi dell’IC primario sono descritti in tabella 2.

 

Tabella 2
Geni implicati nella resistenza al TSH o disormonogenesi con GIS
Gene Sindrome Fenotipo tiroideo
TSH-R Resistenza al TSH Atireosi/GIS con gozzo, captazione scintigrafica moderata
GNAS Pseudoipoparatiroidismo tipo 1A Ipoplasia tiroidea, ipotiroidismo moderato
SLC5A5 (NIS) Deficit di trasporto dello iodio GIS (volume normale o gozzo), captazione assente alla scintigrafia
SCLC26A4 (PDS) Deficit di pendrina Gozzo, captazione scintigrafica elevata, test al perclorato negativo
TPO Deficit di tireo-perossidasi Difetto di organificazione completo, gozzo, captazione scintigrafica elevata, test al perclorato positivo con discharge totale, ipotiroidismo severo
TG Deficit di tireoglobulina Gozzo, captazione scintigrafica presente, risposte variabili al test al perclorato (negativo o positivo), valori di tireoglobulina sierica indosabili
DUOX1/DUOX2 Deficit del sistema di generazione dei perossidi Difetto di organificazione parziale o completo, gozzo, forme transitorie o permanenti, captazione scintigrafica presente con discharge parziale del perclorato
DUOXA2 Deficit della proteina del reticolo endoplasmatico necessaria per la maturazione della proteina DUOX2 Gozzo, difetto di organificazione parziale o completo, talora forme transitorie
IYD (DEHAL1) Deficit di iodotirosina-deiodinasi GIS (volume normale o gozzo), captazione presente, test al perclorato negativo, ioduria bassa, ipotiroidismo variabile
SLC26A7 Deficit di trasportatore dei solfati Gozzo, vari gradi di ipotiroidismo

 

Per quanto riguarda l’ipotiroidismo centrale, vengono citate le mutazioni di TSH-ß (caratterizzate da ipotonia, ittero, ernia ombelicale, macroglossia), TRH-R, IGSF1, TBL1X, IRS4, PROP1, POU1F1, HESX1, SOX3, OTX2, LHX3, LHX4, LEPR, SOX2, PROKR2, NFKB2, CHD7, FGFR1, FGF8, FOXA2.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Dussault JH, Coulombe P, Laberge C, et al. Preliminary report on a mass screening program for neonatal hypothyroidism. J Pediatr 1975, 86: 670-4.
  2. Olivieri A, Stazi MA, Mastroiacovo P, et al. A population-based study on the frequency of additional congenital malformations in infants with congenital hypothyroidism: data from the Italian Registry for Congenital Hypothyroidism (1991-98). J Clin Endocrinol Metab 2002, 87: 557-62.
  3. Grüters A, Krude H. Detection and treatment of congenital hypothyroidism. Nat Rev Endocrinol 2012, 8: 104-13.
  4. Rastogi MV, LaFranchi SH. Congenital hypothyroidism. Orphanet J Rare Dis 2010, 5: 17.
  5. van Trotsenburg P, Stoupa A, Léger J, et al. Congenital hypothyroidism: a 2020-2021 consensus guidelines update - An ENDO-European Reference Network initiative endorsed by the European Society for Pediatric Endocrinology and the European Society for Endocrinology. Thyroid 2021, 31: 387-419.
  6. Cassio A, Corbetta C, Antonozzi I, et al. The Italian screening program for primary congenital hypothyroidism: actions to improve screening, diagnosis, follow-up, and surveillance. J Endocrinol Invest 2013, 36: 195-203.
  7. Persani L, Brabant G, Dattani M, et al. 2018 European Thyroid Association (ETA) guidelines on the diagnosis and management of central hypothyroidism. Eur Thyroid J 2018, 7: 225-37.
  8. Braslavsky D, Méndez MV, Prieto L, et al. Pilot neonatal screening program for central congenital hypothyroidism: evidence of significant detection. Horm Res Paediatr 2017, 88: 274-80.
  9. LaFranchi SH, Austin J. How should we be treating children with congenital hypothyroidism? J Pediatr Endocrinol 2007, 20: 559-78.
  10. Bongers-Schokking JJ, de Muinck Keizer-Schrama SM. Influence of timing and dose of thyroid hormone replacement on mental psychomotor, and behavioural development in children with congenital hypothyroidism. J Pediatr 2005, 147: 768-74.
  11. Persani L, Rurale G, de Filippis T, et al. Genetics and management of congenital hypothyroidism. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 2018, 32: 387-96.
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Piernicola Garofalo
UOC Endocrinologia, AOR Villa Sofia - V. Cervello, Palermo

 

L'ipotiroidismo è una delle malattie endocrine di più frequente riscontro in età pediatrica.
Ne esistono due forme: una congenita e una acquisita o a insorgenza post-natale.

 

EPIDEMIOLOGIA

La reale incidenza e prevalenza dell'ipotiroidismo acquisito, in Italia, non è ben documentata. Uno studio del 2000 di Hunter e coll. mostra come in Inghilterra la prevalenza dell'ipotiroidismo, in base alla prescrizione di tiroxina nei diversi gruppi di età, aumenta con l'aumentare dell'età, con un picco nella fascia tra i 16 e i 19 anni.
In Italia non è attivo un registro dell'ipotiroidismo acquisito.

 

CLASSIFICAZIONE

L'ipotiroidismo acquisito può riconoscere molteplici cause. Nella classificazione classica si può distinguere l'ipotiroidismo primitivo, dovuto a patologie che interessano direttamente la tiroide, e l'ipotiroidismo secondario o terziario se, rispettivamente, si tratta di patologie a carico dell'ipofisi o dell'ipotalamo.

 

Classificazione dell'ipotiroidismo acquisito
Primitivo Tiroiditi Tiroidite cronica linfocitaria o autoimmunitaria
Tiroidite subacuta di De Quervain
Tiroidite silente
Deficit o eccesso di iodio (sostanze o farmaci gozzigeni)
Irradiazione o chirurgia tiroidea
Malattie infiltrative o da accumulo Cistinosi
Emocromatosi
Istiocitosi X
Amiloidosi
Secondario o terziario Tumori ipotalamo/ipofisari (specie craniofaringioma)
Anomalie congenite
Terapia radiante/chirurgica (tumori cerebrali)
Processi infiltrativi/granulomatosi (sarcoidosi)

 

Tiroidite cronica di Hashimoto
La tiroidite di Hashimoto è la causa più frequente di ipotiroidismo acquisito e di gozzo in età pediatrica. Alla diagnosi, la funzione tiroidea è variabile, con quadri clinici che vanno dall'eutiroidismo, all'ipotiroidismo subclinico o a quello conclamato. Più rare sono le forme che esordiscono con ipertiroidismo. Tuttavia è frequente l'evoluzione, spesso lenta, verso una ridotta funzionalità tiroidea.
La malattia colpisce preferenzialmente il sesso femminile (F/M = 5:1) e rappresenta la causa più frequente di ipotiroidismo acquisito in età pediatrica. E' più frequente in soggetti affetti da altre patologie del sistema autoimmune (diabete, celiachia, psoriasi, vitiligine, alopecia, iposurrenalismo, piastrinopenia). La sua frequenza è maggiore nelle sindromi di Turner, di Down e di Klinefelter.
E' stata dimostrata una predisposizione genetica (associazione con HLA-DR3) e sembra  che l'esposizione agli estrogeni ne aumenti l'incidenza. Una familiarità talora misconosciuta è presente in oltre il 90 % dei casi. La tiroidite cronica di Hashimoto è una malattia a patogenesi autoimmune caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi anti- tiroide a titolo elevato nel siero dei pazienti affetti:

  • i TPOAb (anticorpi anti-tireoperossidasi, presenti in oltre il 90% dei casi) diretti contro uno dei maggiori antigeni tiroidei, svolgono un ruolo determinante nella patogenesi della tiroidite di Hashimoto e dell'ipotiroidismo che spesso ne consegue.
    I TPOAb, infatti, possono danneggiare le cellule follicolari tiroidee, fissando il complemento o attivando cellule natural killer, responsabili della citotossicità anticorpo-dipendente cellulo-mediata (ADCC).
  • i TgAb (anticorpi anti-tireoglobulina, presenti nel 50-60% dei casi), pur non fissando il complemento, formano immunocomplessi con la tireoglobulina, che si depositano lungo la membrana dei follicoli tiroidei attivando il complemento.
  • possono riscontrarsi inoltre anticorpi anti-recettore del TSH di tipo "bloccante" (TSH-blocking-Ab), responsabili della variante atrofica, oppure, anticorpi anti-recettore del TSH "stimolanti" (TSHRAb), responsabili del transitorio o a volte permanente ipertiroidismo che, raramente, si riscontra nei pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto (hashitossicosi o ipertiroidite).

La diagnosi si fonda sul riscontro degli autoanticorpi tiroidei, elevati, e sull'esame ecografico, che è diagnostico di malattia autoimmune tiroidea, evidenziando la caratteristica "ipoecogenicità parenchimale a zolle", talvolta con aspetto pseudo-nodulare, espressione di cronico e progressivo danno autoimmune ghiandolare. Più semplicemente, la tiroide assume ecograficamente un caratteristico aspetto maculato "a pelle di leopardo". Nelle forme più severe e avanzate di tiroidite autoimmune l'ecografia può evidenziare una ghiandola tiroidea completamente ipoecogena (pattern dark gland), svuotata dalle strutture follicolari, oppure, una tiroide atrofica ad evoluzione fibrotica con strie iperecogene.

 

Tiroidite subacuta di De Quervain
È la seconda forma più comune di infiammazione che può causare ipotiroidismo. Trattasi comunque di una forma transitoria di ipofunzione ghiandolare con completo ripristino funzionale alla guarigione. L'incidenza non è conosciuta, ma è sicuramente sottostimata. L’eziologia è virale: la Tiroidite Subacuta insorge a seguito di parotite epidemica, sindromi influenzali/parainfluenzali.
L’esordio clinico è caratteristicamente brusco, raramente insidioso. Il sintomo emblematico d’esordio è il dolore acuto e intenso in emiloggia tiroidea destra o sinistra, che tipicamente si irradia omolateralmente alla mandibola e all’orecchio (potendo simulare una faringite o un’otite), persino alla nuca, con viva dolorabilità durante la deglutizione, la tosse e l’estensione o latero-deviazione del collo. Spesso è presente febbre moderata/alta con malessere generale, poliartromialgie, astenia.
Da un punto di vista laboratoristico, si può osservare un aumento di VES e PCR, più un modesto e incostante aumento dei TPOAb e dei TgAb, ed è caratterizzata da un ipertiroidismo iniziale seguito da modico ipotiroidismo transitorio.
Il pattern ecografico è polimorfo: di solito si repertano una o più aree ipoecogene disomogenee, in ragione delle varie fasi di sviluppo della malattia. L'ecografia è utile nella determinazione della guarigione.
La terapia si basa sull'uso di steroidi per 6-12 settimane, mentre abitualmente non è necessario instaurare terapia sostitutiva con L-Tiroxina.

 

Deficit o eccesso di iodio (sostanze o farmaci gozzigeni)
Una severa e protratta carenza iodica può determinare ipotiroidismo. Il deficit di iodio può essere determinato da un insufficiente apporto con la dieta, ma anche da diversi tipi di farmaci (anti-tiroidei, anti-epilettici, litio e interferone) e, seppur raramente, da alimenti che inibiscono l'assorbimento di iodio.
Anche un eccesso di iodio può causare un blocco tiroideo, tramite l'effetto di Wolff-Chaikoff, per cui bisogna fare attenzione a disinfettanti iodurati (soprattutto nei neonati), creme e prodotti orali dimagranti a base di iodio (di frequente utilizzo in età adolescenziale), alghe marine e tiroxina.

 

Cause di ipotiroidismo centrale
Patologie che interessano l’ipofisi o l’ipotalamo, sia congenite che acquisite, tumori come il craniofaringioma, danni da radioterapia per altri tumori, malattie granulomatose, malattie infettive come la meningite, interventi chirurgici o traumi, possono alterare il sistema di regolazione TRH-TSH-tiroide e determinare ipotiroidismo. Di solito sono presenti altri deficit di funzionalità ipofisaria.

 

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Le caratteristiche cliniche dell' ipotiroidismo acquisito nell'età pediatrica, non neonatale, sono molteplici, e spesso subdole: il quadro può anche essere, infatti, sfumato e di difficile interpretazione. I bambini affetti giungono, in genere, all'osservazione per il rallentamento della velocità di crescita, o più raramente per la comparsa di gozzo. Se l'ipotiroidismo è severo e di lunga durata, si possono osservare i segni tipici dell'alterazione ormonale:

  • mixedema, gozzo e voce rauca
  • ritardo della maturazione ossea e dentale, sproporzione tronco-arti
  • letargia, ipotonia, riflessi torpidi, stipsi, umore depresso
  • intolleranza al freddo
  • pelle secca, pallida, perdita di capelli e irsutismo
  • difficoltà di concentrazione e di memoria.

Il ritardo di crescita lineare, spesso presente alla diagnosi e che nella maggior parte viene recuperato nei primi anni di terapia,  sarà dipendente dall'epoca della diagnosi e  dalla tempestività della terapia sostitutiva. Nonostante in passato ci sia stato un dibattito su possibili differenze di crescita lineare sulla base della natura dell'ipotiroidismo, al momento non ci sono evidenze che consentano di prevedere un diverso andamento clinico  sulla base di eziologie diverse di ipotiroidismo.
Il persistere della condizione di ipotiroidismo, se non diagnosticato e adeguatamente trattato, potrà determinare ritardo puberale e non infrequentemente  un anticipo puberale per l'azione di trascinamento svolta dal TSH sulla Prolattina e sull'FSH, e deficit funzionali cardiaci (ingrandimento cardiaco e bradicardia, versamento pericardico).

 

DIAGNOSI

L'esame principale che depone per l'inizio dell'insufficienza funzionale tiroidea è il TSH:

  • nell'ipotiroidismo acquisito primario, oltre ovviamente ad una diminuzione dell'FT4, troveremo il TSH aumentato;
  • in caso di ipotiroidismo acquisito secondario o terziario, invece, diminuiscono notevolmente sia l'FT4 che il TSH;
  • un incremento di TSH con normalità degli ormoni tiroidei FT4 ed FT3 fa porre diagnosi di ipotiroidismo subclinico.

 

TERAPIA

Consiste nel trattamento sostitutivo con L-tiroxina, con dosi che vanno corrette sul singolo paziente, tenendo conto dell'età e del peso.
Il dosaggio periodico del TSH (solo nelle forme prìmarie) consente il corretto follow-up della malattia e permette di variare periodicamente la dose di ormone tiroideo da somministrare.
L'opportunità di trattare l'ipotiroidismo subclinico è attualmente controversa. C'è un consenso clinico diffuso nell'affermare che non esiste attualmente un trattamento che ne impedisca l'evoluzione verso l'ipotiroidismo franco. Alcuni giustificano la terapia sostitutiva prima che si instauri un vero e proprio ipotiroidismo, al fine di prevenire la formazione del gozzo. Altri autori preferiscono un atteggiamento di attesa con controllo periodico di FT4 e TSH e avvio della terapia in caso di evoluzione verso l'ipotiroidismo conclamato. Al momento non esistono evidenze scientificamente validate che consentano di scegliere l'uno o l'altro atteggiamento visto che la maggior parte degli studi sono osservazionali o basati sulle esperienze dei singoli centri.

 

BIBLIOGRAFIA 

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Roberto Negro
UO Endocrinologia, PO “V. Fazzi”, Lecce

(aggiornato al 4 gennaio 2021)

 

ADATTAMENTI FISIOLOGICI DELLA TIROIDE IN GRAVIDANZA
Lo stato di gravidanza esercita una profonda influenza sulla tiroide e la sua funzione. Dall'inizio della gravidanza si realizza un aumento del filtrato glomerulare, con conseguente aumento della clearance dello iodio e riduzione della concentrazione plasmatica di iodio. A partire dalla fine del I trimestre inizia inoltre il passaggio trans-placentare dello iodio, necessario per la sintesi fetale di iodotironina.
Vi è inoltre da considerare che l'aumento di concentrazione della Thyroxine Binding-Globulin (TBG), secondario all'incremento degli estrogeni, comporta un relativo aumento di T4 e corrispondente riduzione di FT4 (1).
Un altro importante elemento che condiziona la funzione della tiroide in gravidanza è rappresentato dall'azione tireotropa esercitata dall'hCG. hCG e TSH possiedono omologie strutturali che consentono all'hCG una intrinseca, seppur debole, attività di stimolo sulla tiroide (il rapporto di potenza hCG/TSH è stimato circa 1/100). L'azione diretta di stimolo dell'hCG sulla tiroide induce nel I trimestre un relativo aumento di produzione di ormone tiroideo, con speculare riduzione del TSH. Tale quadro implica che, applicando i limiti di riferimento validi per la popolazione generale, fino al 20% delle donne gravide può mostrare valori di TSH al di sotto della norma. L’effetto tireotropo esercitato dall’hCG è confermato dal caso delle gravidanze gemellari: poiché le concentrazioni di hCG sono maggiori nelle gravidanze gemellari, la riduzione del TSH è maggiore in queste, rispetto a quelle singole. In uno studio che ha riguardato 63 gravide il TSH è risultato ≤ 0.2 mIU/L nel 67% dei casi con concentrazione di hCG > 200.000 IU/L e nel 100% dei casi allorché hCG era > 400.000 IU/L (2). Gli adattamenti fisiologici ai quali va incontro la tiroide di una donna in gravidanza sono testimoniati dalla correlazione positiva fra livelli di hCG e livelli di FT4 e dalla correlazione negativa fra livelli di hCG e livelli di TSH. Questi reciproci rapporti non sono più significativi in caso di positività per AbTPO. In questo caso, infatti, la tiroide, che è caratterizzata da una ridotta riserva funzionale, esprime una ridotta risposta all’azione stimolatoria da parte dell’hCG ed espone la paziente al rischio di ipotiroidismo (3).
In concreto, rispetto ai limiti di riferimento validi per la popolazione generale, si verifica una riduzione di TSH pari a circa 0.1-0.2 mIU/L per il limite superiore e circa 0.5-1.0 mIU/L per il limite inferiore.
Le linee guida ATA 2017 riconoscono pertanto che in una paziente gravida, negativa per anticorpi anti-tiroide, è accettabile un limite superiore di normalità del TSH pari a 4.0 mIU/L (4).
La maggior parte degli studi riporta inoltre una sostanziale riduzione di FT4 con il progredire della gravidanza (sebbene l’aumento della TBG e la riduzione della concentrazione di albumina possano rendere il dosaggio di FT4 non completamente affidabile e riproducibile) (5). Deve inoltre essere tenuto in conto che i limiti di riferimento per FT4 comunemente disponibili sono riferiti alla popolazione generale (non gravida) e non esistono limiti di riferimento trimestre-specifici. I dati forniti dalla letteratura indicano che il limite inferiore (2.5° percentile) è attorno a 0.8 ng/dL (6). Allo stato attuale quindi, il TSH rimane l'indicatore più affidabile dello stato di funzionalità tiroidea.

 

DEFINIZIONE DI IPOTIROIDISMO IN GRAVIDANZA
La prevalenza dell'ipotiroidismo franco (definita dal riscontro di TSH > 4.0 mIU/L ed FT4 inferiore al limite, oppure da valore di TSH > 10.0 mIU/L, indipendentemente dal valore di FT4) è di circa lo 0.5%, mentre quella dell'ipotiroidismo subclinico (definito dal riscontro di TSH > 4.0 mIU/L ed FT4 nei limiti della norma) è di circa il 3.5-4.0% (7).
Un'altra entità clinica è poi rappresentata dalla cosiddetta ipotiroxinemia isolata, condizione nella quale si rilevano valori di FT4 inferiori alla norma in presenza di normali valori di TSH.

 

COMPLICANZE ASSOCIATE ALL’IPOTIROIDISMO IN GRAVIDANZA
Ipotiroidismo franco
Da studi retrospettivi e caso-controllo emerge chiaramente che la condizione di ipotiroidismo franco è associata ad aumentata incidenza di aborto spontaneo, parto pre-termine, morte fetale endo-uterina, ipertensione gestazionale e pre-eclampsia, basso peso alla nascita, ridotto quoziente intellettivo (QI) nella progenie (8). Per contro, riguardo alle complicanze ostetriche legate all'ipotiroidismo, è importante notare che due studi, che hanno coinvolto rispettivamente 419 e 1102 pazienti ipotiroidee trattate con L-T4, non hanno riscontrato un'aumentata incidenza di ipertensione gestazionale, pre-eclampsia, basso peso alla nascita e parto pre-termine (9,10).
Il ridotto QI in bambini nati da madri ipotiroidee è stato dimostrato da vecchi lavori di Man e successivamente confermato da Haddow. In quest’ultimo studio (retrospettivo), gli autori hanno selezionato 62 pazienti gravide con valori di TSH > 98° percentile. La progenie è stata sottoposta a test psicometrici per la valutazione del QI (Wechsler Intelligence Scale for Children - WISC III) all'età di 7-9 anni. I risultati hanno evidenziato che il QI era più basso di 4 punti nei casi rispetto ai controlli e il QI era < 85 nel 15% dei casi contro il 5% dei controlli. Delle 62 pazienti ipotiroidee, 48 non erano state trattate con L-T4: nei bambini di queste pazienti non trattate il QI era di 7 punti inferiore ai controlli (P = 0.005) ed era < 85 nel 19% dei casi (11). I dati disponibili confermano dunque la necessità di trattare con terapia sostitutiva la gravida ipotiroidea.

Ipotiroidismo subclinico
I dati sono più controversi: in alcuni studi sono state associate complicanze, quali aborto, ipertensione gestazionale, diabete gestazionale, parto pre-termine, rottura di placenta, basso peso neonatale, che non sono state confermate in altri studi (12).
Uno degli studi più importanti nel campo dell’ipotiroidismo subclinico in gravidanza è quello pubblicato da Casey et al nel 2017 (13). Si tratta di un trial clinico randomizzato, nel quale gli autori hanno selezionato pazienti gravide entro la 20° settimana, affette da ipotiroidismo subclinico (definito come TSH ≥ 4.0 mU/L e normale FT4 [0.86–1.90 ng/dL]) o ipotiroxinemia isolata (definita come TSH normale [0.08–3.99 mU/L] ed FT4 basso [< 0.86 ng/dL]). In trial separati per le due condizioni patologiche, 677 donne nel gruppo ipotiroidismo subclinico e 526 donne nel gruppo ipotiroxinemia isolata sono state randomizzate, rispettivamente alla 16.7° settimana (media) e alla 17.8° settimana (media), a ricevere L-T4 o placebo. In entrambi i trial non si osservava significativa differenza in qualsiasi evento avverso ostetrico-neonatale fra i gruppi trattati con L-T4 o con placebo.
Per quanto riguarda nello specifico il rischio di aborto spontaneo, alcuni studi hanno evidenziato una relazione fra aumento di TSH e aumentato rischio di aborto. È stato, infatti, osservato che pazienti AbTPO negative con TSH nel I trimestre compreso fra 2.5-5.0 mU/L presentavano un tasso di abortività maggiore rispetto a donne con TSH < 2.5 mU/L (6.1% vs 3.6%, P = 0.006) (14); pazienti andate incontro ad aborto presentavano nel I trimestre TSH > 97.5° percentile nel 5.9% dei casi contro il 2.5% dei controlli (P < 0.05), e valori di FT4 < 2.5° percentile nel 5% dei casi contro il 2.5% dei controlli (P < 0.05) (15). Infine, uno studio inglese retrospettivo ha osservato che il valore di TSH pre-gravidico > 4.5 mIU/L determinava un significativo rischio di aborto spontaneo (16). Di contro, uno studio prospettico statunitense non ha osservato aumento di aborto spontaneo con TSH > 2.5 mIU/L (con o senza anticorpi) e un altro studio retrospettivo di coorte non ha rilevato beneficio derivante dalla terapia con L-T4 nelle pazienti con TSH 2.5-4.0 mIU/L, ma solo in quelle con TSH 4.0-10.0 mIU/L (17,18).
Ad oggi, due soli studi prospettici di intervento hanno valutato i possibili benefici della terapia con L-T4 in pazienti con ipotiroidismo subclinico. Nel primo, pazienti AbTPO positive e TSH compreso fra 0.27-4.2 mIU/L hanno beneficiato della terapia sostitutiva in termini di aborto spontaneo e parto pre-termine (19); nel secondo studio, che ha coinvolto più di 4000 pazienti, si è osservato che le pazienti con ipotiroidismo subclinico (TSH > 2.5mIU/L e positive per AbTPO) trattate con L-T4 presentavano un tasso di complicanze (end-point composito) significativamente più basso rispetto a quelle non trattate (rapporto complicanze/paziente di 0.74 vs 1.67) (P < 0.05) (20).
Per quanto riguarda l’associazione fra ipotiroidismo subclinico e parto pre-termine, i dati forniti dalla letteratura sono contrastanti. I risultati contraddittori in questo ambito sono in larga parte dovuti al fatto che in alcuni studi venivano considerate sia pazienti con ipotiroidismo franco che subclinico, in altri il numero di pazienti reclutate era limitato, e inoltre i criteri utilizzati per la diagnosi di ipotiroidismo (cut-off del TSH) sono stati diversi di volta in volta. Uno studio interessante ed esplicativo in tal senso ha confrontato l’utilizzo di due diversi cut-off di TSH: mentre utilizzando un cut-off di 2.5 mIU/L non vi era associazione con il parto prematuro, se veniva utilizzato un limite di 4.0 mIU/L si osservava un aumento di rischio per parto pre-termine pari a 1.9 volte e 2.5 volte, alla 37° settimana e 34° settimana, rispettivamente. Questa associazione non era più significativa se venivano escluse le pazienti AbTPO positive (21). Una recente metanalisi, utilizzando i dati individuali di 47.045 pazienti provenienti da 19 coorti, ha evidenziato come il parto pre-termine fosse significativamente aumentato nelle pazienti con ipotiroidismo subclinico (OR 1.29, IC95% 1.01-1.64), con ipotiroxinemia isolata (OR 1.46, IC95% 1.12-1.90) e con autoimmunità tiroidea (OR 1.33 IC95% 1.15-1.56) (22).
Un altro importante tassello nella comprensione delle complicanze associate all’ipotiroidismo subclinico viene offerto da due trial clinici randomizzati che hanno valutato il QI nei figli nati da madre con ipotiroidismo subclinico. Il primo studio, condotto nel Regno Unito, ha esaminato all'età di 3 anni il QI di bambini nati da madri affette da elevato TSH e/o basso FT4, divise in due gruppi, dei quali uno sottoposto a trattamento con L-T4. Lo studio ha dimostrato che in donne gravide con grado lieve di ipotiroidismo subclinico, la terapia sostitutiva con L-T4, a partire dalla 13° settimana, non dà luogo a miglioramento nel QI della progenie (23). Il secondo studio è quello già citato di Casey: la terapia con L-T4 non ha dimostrato un vantaggio nel QI della progenie, esaminata all’età di 5 anni, sia nel gruppo ipotiroidismo subclinico che in quello ipotiroxinemia isolata (13).

Ipotiroxinemia isolata
Questa condizione esercita effetti potenzialmente deleteri sullo sviluppo del sistema nervoso centrale del feto, soprattutto nel I trimestre. La tiroide fetale inizia ad essere funzionale a partire dalla fine del I trimestre e, pertanto, per tutto il I trimestre lo sviluppo del feto è interamente dipendente dall’apporto materno di FT4. In uno studio condotto in Olanda su 3659 bambini, le cui madri erano state testate nel I trimestre per TSH, FT4, AbTPO, all'età di 18 e 30 mesi è stato osservato un ritardo del linguaggio e delle performance cognitive non-verbali nel caso di FT4 materna al di sotto del 5° e del 10° percentile (24).
Due studi di intervento, volti alla prevenzione dell’ipotiroxinemia tramite supplementazione iodica ad un dosaggio compreso fra 200 e 300 μg/die, hanno dimostrato che i bambini nati da madri ipotiroxinemiche mostravano peggiori performance psico-motorie, rispetto alle pazienti supplementate (25,26).

 

TERAPIA SOSTITUTIVA CON L-T4 IN GRAVIDANZA
Le linee guida ATA 2017 (4) forniscono indicazioni nelle diverse categorie di pazienti (tabella).

 

Indicazioni al trattamento con L-T4
(non sono indicati preparati contenenti T3)
TSH (mIU/L) Ab negativi Ab positivi
> 10 Raccomandato Raccomandato
4.0-10.0 Può essere considerato Raccomandato
2.5-4.0 Non è raccomandato Può essere considerato

 

Allorché la diagnosi di ipotiroidismo avviene in occasione della gravidanza, è necessario normalizzare i valori di TSH il più rapidamente possibile, iniziando direttamente con il dosaggio sostitutivo pieno di tiroxina in relazione al livello di TSH (12):

  • 2.5-5.0 mIU/L: iniziare con 50 µg/die;
  • 5.1-8.0 mIU/L: iniziare con 75 µg/die;
  • > 8.0 mIU/L: iniziare con 100 µg/die.

Nelle pazienti con tiroidite cronica autoimmune o ipotiroidismo già in terapia sostitutiva, che siano in età fertile o che abbiano in programma una gravidanza, è utile mantenere il TSH pre-concepimento al di sotto di 2.5 mIU/L. Poiché lo stato di gravidanza è caratterizzato da un’aumentata richiesta di ormone tiroideo, è indicato aumentare il dosaggio di L-T4 ad inizio di gravidanza rispetto al dosaggio pre-gravidico:

  • nelle pazienti con ipotiroidismo autoimmune del 30%;
  • nelle pazienti tiroidectomizzate nell’ordine del 50%.

È utile a tal proposito che le pazienti affette da tiroidite cronica autoimmune o ipotiroidismo già in trattamento vengano adeguatamente informate sulla necessità di verificare lo stato di gravidanza alla prima assenza di flusso mestruale, e consultare quindi l'endocrinologo o effettuare l'aumento di L-T4 autonomamente.
Successivamente i controlli di funzionalità tiroidea dovrebbero essere eseguiti ogni 4-6 settimane fino a metà gravidanza e poi intorno alla 26° e 32° settimana.
Dopo il parto, il dosaggio di L-T4 deve essere riportato a quello pre-gravidico. Non sono necessari particolari accertamenti nel neonato, in aggiunta allo screening per ipotiroidismo congenito, già previsto per legge.

La necessità di trattare con L-T4 le pazienti ipotiroxinemiche nel I trimestre è ancora in dubbio. Nei due trial clinici di Lazarus e Casey, il QI dei bambini le cui madri erano ipotiroxinemiche non è risultato significativamente diverso fra le madri trattate e non trattate, sebbene vada considerato che in entrambi gli studi la settimana media del reclutamento delle pazienti era oltre la 12° (13,22). La terapia sostitutiva va comunque considerata, anche secondo le linee guida ETA, solo nel I trimestre (non nel II e III) (5).

 

BIBLIOGRAFIA

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  2. Dashe JS, Casey BM, Wells CE, et al. Thyroid-stimulating hormone in singleton and twin pregnancy: importance of gestational age-specific reference ranges. Obstet Gynecol 2005, 106: 753-7.
  3. Korevaar TI, Steegers EA, Pop VJ, et al. Thyroid autoimmunity impairs the thyroidal response to human chorionic gonadotropin: two population-based prospective cohort studies. J Clin Endocrinol Metab 2017, 102: 69-77.
  4. Alexander EK, Pearce EN, Brent GA, et al. 2017 Guidelines of the American Thyroid Association for the diagnosis and management of thyroid disease during pregnancy and the postpartum. Thyroid 2017, 27: 315-389.
  5. Kahric-Janicic N, Soldin SJ, Soldin OP, et al. Tandem mass spectrometry improves the accuracy of free thyroxine measurements during pregnancy. Thyroid 2007, 17: 303-11.
  6. Lazarus J, Brown RS, Daumerie C, et al. 2014 European Thyroid Association guidelines for the management of subclinical hypothyroidism in pregnancy and in children. Eur Thyroid J 2014, 3: 76-94.
  7. Dong AC, Stagnaro-Green A. Differences in diagnostic criteria mask the true prevalence of thyroid disease in pregnancy: a systematic review and meta-a Thyroid 2019, 29: 278-89.
  8. Stagnaro-Green A. Overt hyperthyroidism and hypothyroidism during pregnancy. Clin Obstet Gynecol 2011, 54: 478-87.
  9. Tan TO, Cheng YW, Caughey AB. Are women who are treated for hypothyroidism at risk for pregnancy complications? Am J Obstet Gynecol 2006, 194: e1-3.
  10. Matalon S, Sheiner E, Levy A, et al. Relationship of treated maternal hypothyroidism and perinatal outcome. J Reprod Med 2006, 51: 59-63.
  11. Haddow JE, Palomaki GE, Allan WC, et al. Maternal thyroid deficiency during pregnancy and subsequent neuropsychological development of the child. N Engl J Med 1999, 341: 549-55.
  12. Negro R, Stagnaro-Green A. Diagnosis and management of subclinical hypothyroidism in pregnancy. BMJ 2014, 349: g4929.
  13. Casey BM, Thom EA, Peaceman AM, et al. Treatment of subclinical hypothyroidism or hypothyroxinemia in pregnancy. N Engl J Med 2017, 376: 815-25.
  14. Negro R, Schwartz A, Gismondi R, et al. Increased pregnancy loss rate in thyroid antibody negative women with TSH levels between 2.5 and 5.0 in the first trimester of pregnancy. J Clin Endocrinol Metab 2010, 95: E44-8.
  15. Ashoor G, Maiz N, Rotas M, et al. Maternal thyroid function at 11 to 13 weeks of gestation and subsequent fetal death. Thyroid 2010, 20: 989-93.
  16. Taylor PN, Minassian C, Rehman A, et al. TSH levels and risk of miscarriage in women on long-term levothyroxine: a community-based study. J Clin Endocrinol Metab 2014, 99: 3895-902.
  17. Plowden TC, Schisterman EF, Sjaarda LA, et al. Subclinical hypothyroidism and thyroid autoimmunity are not associated with fecundity, pregnancy loss, or live birth. J Clin Endocrinol Metab 2016, 101: 2358-65.
  18. Maraka S, Mwangi R, McCoy RG, et al. Thyroid hormone treatment among pregnant women with subclinical hypothyroidism: US national assessment. BMJ 2017, 356: i6865.
  19. Negro R, Formoso G, Mangieri T, et al. Levothyroxine treatment in euthyroid pregnant women with autoimmune thyroid disease: effects on obstetrical complications. J Clin Endocrinol Metab 2006, 91: 2587-91.
  20. Negro R, Schwartz A, Gismondi R, et al. Universal screening versus case finding for detection and treatment of thyroid hormonal dysfunction during pregnancy. J Clin Endocrinol Metab 2010, 95: 1699-707.
  21. Korevaar TI, Schalekamp-Timmermans S, de Rijke YB, et al. Hypothyroxinemia and TPO-antibody positivity are risk factors for premature delivery: the generation R study. J Clin Endocrinol Metab 2013, 98: 4382–90.
  22. Consortium on Thyroid and Pregnancy—Study Group on Preterm Birth; Korevaar T, et al. Association of thyroid function test abnormalities and thyroid autoimmunity with preterm birth: a systematic review and meta-analysis. JAMA 2019, 322: 632-41.
  23. Lazarus JH, Bestwick JP, Channon S, et al. Antenatal thyroid screening and childhood cognitive function. N Engl J Med 2012, 366: 493-501.
  24. Henrichs J, Bongers-Schokking JJ, Schenk JJ, et al. Maternal thyroid function during early pregnancy and cognitive functioning in early childhood: the generation R study. J Clin Endocrinol Metab 2010, 95: 4227-34.
  25. Velasco I, Carreira M, Santiago P, et al. Effect of iodine prophylaxis during pregnancy on neurocognitive development of children during the first two years of life. J Clin Endocrinol Metab 2009, 94: 3234-41.
  26. Berbel P, Mestre JL, Santamaría A, et al. Delayed neurobehavioral development in children born to pregnant women with mild hypothyroxinemia during the first month of gestation: the importance of early iodine supplementation. Thyroid 2009, 19: 511-9.

 

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Pietro Lanzetta
Area emergenza ASL SA,  Osservatorio Epidemiologie Malattie Croniche del Territorio 

 

L'ipotiroidismo nell'anziano rappresenta un problema in crescita esponenziale con l’affinarsi dei mezzi diagnostici: è riportata una prevalenza di patologia autoimmune (aspetto morfologico e/o elevazione del TSH) superiore al 20% in soggetti di età > 70 anni, sia su casistiche cliniche che su casistiche autoptiche.
Nella maggior parte dei casi le alterazioni funzionali della tiroide si presentano in una forma subclinica o asintomatica; da questo consegue un ritardo nella diagnosi e nella cura delle patologie sottostanti l’ipotiroidismo.
Negli anziani le alterazioni fisiologiche a carico dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide e del metabolismo periferico si caratterizzano per :

  • attenuazione del picco notturno del TSH
  • diminuita capacità di captare lo iodio
  • diminuita secrezione di ormoni tiroidei
  • ridotta clearance della T4 per ridotta attività della 5' desiodasi di tipo I (conseguente a decremento della massa magra)
  • riduzione delle concentrazioni sieriche di T3 ed rT3

A queste alterazioni si associa una labilità del sistema immunitario, con aumento del rischio di patologie autoimmunitarie e quindi di tiroiditi.
L'eziologia dell’ipotiroidismo  in età avanzata, oltre ai normali fenomeni parafisiologici collegati con l’invecchiamento, riconosce numerose cause:

  • tireopatie croniche autoimmuni
  • pregresso trattamento con I-131
  • pregresso trattamento con anti-tiroidei
  • esiti di tiroiditi subacute
  • pregressa tiroidectomia parziale.

 

Sintomatologia
I pazienti presentano i caratteri tipici dell’ipotiroidismo (facile affaticabilità, voce roca e nasale, intolleranza al freddo, incremento ponderale, stipsi, secchezza della cute, crampi e dolori muscolari) accanto all’accentuazione di disturbi abbastanza frequenti nell’età avanzata (ipoacusia, lentezza nei riflessi, parestesie, andatura atassica, depressione con turbe mnesico-cognitive, edema diffuso, anemia normocitica normocromica, iponatremia e ipercolesterolemia, ipertensione, ipertrofia cardiaca, crisi stenocardiche e basso voltaggio-allungamento QT-appiattimento onda T all’ECG).

 

Diagnosi
Pur trattandosi di una diagnosi agevole dal punto di vista laboratoristico, spesso la sintomatologia è sfumata e frequentemente passano diversi mesi prima che si giunga alla prescrizione del dosaggio degli ormoni tiroidei.
L’anamnesi positiva per pregressa tireopatia consente una diagnosi tempestiva.
Il quadro laboratoristico deve comprendere FT3, FT4, TSH e TPOAb. Non è frequente l’elevazione dei TgAb in assenza di positività dei TPOAb, mentre il dosaggio della calcitonina deve essere riservato alle forme in cui è presente una componente nodulare.
L’ecografia mantiene un ruolo centrale, soprattutto nella diagnosi delle malattie autoimmuni, dove il quadro è caratteristico e del tutto sovrapponibile a quello riscontrato nei pazienti più giovani.

 

Terapia
L’ipotiroidismo subclinico non va sempre trattato. Ci sono evidenze che mostrano come la sola elevazione del TSH fino a 10 mU/L non debba necessariamente portare alla prescrizione di terapia sostitutiva, anche in considerazione della labilità del sistema cardiovascolare nell’anziano. In questi casi è opportuno il monitoraggio della funzione tiroidea con ripetizione del TSH e della FT4 ogni 6 mesi.
Quando l’elevazione del TSH è maggiore o si ha un riduzione del valore della FT4, è opportuno l’inizio della terapia sostitutiva.
La terapia deve essere prescritta  comunque con cautela, iniziando da una  dose di 25 µg/die per aumentare gradualmente la dose sino al raggiungimento del valore target del TSH sulla base dei controlli laboratoristici. Il range terapeutico del TSH non differisce da quelli dei soggetti più giovani (0.5-2.0 mUI/L) ma, al fine di evitare periferici sovradosaggi, è consigliabile che il valore non scenda sotto 1 mUI/L. 
Il dosaggio della funzione tiroidea è consigliato ogni 2-3 mesi inizialmente e quindi ogni 6-12 mesi a terapia stabilizzata.

 

Bibliografia
 

  1. Canaris GJ, et al. The Colorado thyroid disease prevalence study. Arch Int Med 2000, 160: 526-34.
  2. Vanderpump MP, et al. The incidence of thyroid disorders in the community: a twenty-year follow-up of the Whickham Survey. Clin Endocrinol 1995, 43: 55-68.
  3. Col NF, Surks MI, Daniels GH. Subclinical thyroid disease: clinical applications. JAMA 2004, 291: 239-43.
Stampa

Vincenzo Di Donna & Salvatore Maria Corsello
Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” IRCCS, Roma

(aggiornato all'8 ottobre 2019)

 

Definizione
L’ipotiroidismo subclinico (IS) è una condizione caratterizzata da aumento del TSH sierico con normali livelli di ormoni tiroidei, conseguente a un lieve difetto della funzione della tiroide (1,2).

 

Epidemiologia
La prevalenza stimata dell’IS varia dal 4 al 20% della popolazione adulta; quest’ampia variabilità è legata allo scarso consenso sul cut-off diagnostico del TSH e alle sue differenze regionali.
L’IS è più frequente nelle donne, negli anziani, nell’etnia caucasica e nelle aree con sufficiente apporto iodico.
Inoltre, circa il 10-30% dei pazienti trattati con L-tiroxina per ipotiroidismo è a rischio di avere IS per inadeguatezza della terapia da varie cause (soprattutto scarsa compliance, interferenze farmacologiche, malassorbimento) (3-9).

 

Ezio-patogenesi
Le cause di IS sono le stesse dell’ipotiroidismo franco. La più frequente è la tiroidite cronica autoimmune o tiroidite di Hashimoto, i cui principali fattori di rischio sono: storia familiare o personale di patologia autoimmune, sindrome di Down, sindrome di Turner. Cause meno frequenti sono: tiroidectomia parziale, pregressa terapia radio-metabolica con 131I o tireostatica per un precedente ipertiroidismo, radioterapia esterna del distretto testa-collo, tiroidite subacuta, tiroidite post-partum, tiroidite silente, uso di farmaci interferenti con la funzione tiroidea.

 

Diagnosi
L’anamnesi e l’esame obiettivo sono importanti per indagare possibili cause e fattori di rischio per IS, ma la diagnosi è biochimica ed è definita dal riscontro di un’elevazione del TSH sierico con normali livelli di FT4, generalmente nella porzione inferiore del range di normalità, confermato in almeno una seconda occasione a distanza di 1-3 mesi. Circa il 60% dei pazienti con TSH < 10 mUI/L, che sono a loro volta circa il 90% dei pazienti con IS, sperimenta infatti entro i successivi 5 anni una normalizzazione spontanea del TSH stesso (10-12), la cui oscillazione può essere legata a condizioni transitorie e/o fisiologiche, tra cui:

  • periodo di recupero dopo euthyroid sick syndrome;
  • periodo finale della tiroidite subacuta, silente o post-partum;
  • periodo seguente la sospensione della terapia tiroxinica;
  • uso di farmaci interferenti con la funzione tiroidea. I principali sono: amiodarone, litio, mezzi di contrasto radiologici, interferone alfa, inibitori tirosin-chinasici, inibitori dei check-point immunitari; è stata segnalata un’associazione anche con aminoglutetimide, etionamide, sulfonamidi e sulfaniluree;
  • resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei (raro);
  • insufficienza surrenalica non trattata (raro);
  • obesità grave, in cui l’elevazione del TSH è mediata centralmente dalla leptina ed è reversibile con la perdita di peso;
  • variabilità del metodo di determinazione o, più raramente, interferenza di anticorpi eterofili, auto-anticorpi anti-TSH (possibili complessi con il TSH, chiamati anche "macro-TSH," privi di attività biologica, ma dotati di immuno-reattività e potenzialmente responsabili di valori falsamente, e spesso marcatamente, elevati di TSH).

Il dosaggio degli anticorpi anti-tireoglobulina e anti-tireoperossidasi e l’ecografia tiroidea sono di ausilio nella diagnosi differenziale e nelle scelte decisionali riguardanti la gestione clinica del paziente: sia la presenza di tireopatia autoimmune che di gozzo e/o patologia nodulare rappresentano un fattore prognostico importante per la progressione verso la forma conclamata di ipotiroidismo.
Il cut-off diagnostico del TSH non è universalmente accettato, perché la curva di distribuzione dei valori su cui si basano gli attuali intervalli di riferimento è in realtà l’insieme di diverse curve di sotto-popolazioni specifiche. Idealmente, si dovrebbe disporre di intervalli di riferimento specifici per età, sesso, indice di massa corporea, etnia e apporto iodico. Il TSH è, ad esempio, più elevato negli anziani, negli obesi e negli americani ispanici rispetto agli afro-americani; ci sono inoltre fisiologiche variazioni crono-biologiche durante il giorno, anche del 50% rispetto ai valori medi, con tendenza a valori più bassi nel tardo pomeriggio e più alti avvicinandosi al sonno.
In assenza di intervalli di riferimento specifici, il limite superiore di normalità più diffusamente accettato nella pratica clinica è 4.12 mUI/L, basato soprattutto sui dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III), ma molti autori propongono un cut-off di 2.5 o 3.0 mUI/L, che deve essere spostato a 4.5 mUI/L negli ultra70enni e a 7 mUI/L negli ultra80enni.
Una considerazione a parte meritano le donne in gravidanza, infertili o sottoposte a procreazione medicalmente assistita (PMA), in cui una singola determinazione di TSH e FT4 può essere sufficiente per fare diagnosi di IS, in relazione allo specifico contesto clinico e alla necessità di un intervento terapeutico più precoce. In gravidanza è fortemente auspicabile disporre di intervalli di riferimento trimestre-specifici sia per il TSH che per gli ormoni tiroidei (sia per questa condizione che per la PMA si rimanda alle specifiche linee guida).

 

Clinica
Sebbene si tratti di una condizione “subclinica” e dunque asintomatica per definizione, è stato ipotizzato un possibile rapporto con sintomi e segni potenzialmente correlabili all’ipotiroidismo (13), per lo più aspecifici, come astenia, stitichezza, intolleranza al freddo. Questo rimane tuttavia un punto molto controverso, dal momento che tali disturbi sono presenti anche in circa il 25% delle persone con TSH normale.
L’importanza dell’IS è legata principalmente alla potenziale evoluzione a ipotiroidismo franco e all’ipotesi di un possibile aumento del rischio cardio-vascolare (CV): infarto miocardico non fatale, morte CV, ospedalizzazione per angina o rivascolarizzazione coronarica (14-17).
Il rischio di progressione a ipotiroidismo franco è stimato intorno al 2-5%/anno, ma è di gran lunga maggiore in caso di positività dell’auto-immunità tiroidea, livelli più elevati di TSH (soprattutto se > 10 mUI/L), pregressa terapia radio-metabolica o radiante del distretto testa-collo.
I possibili e principali meccanismi alla base dell’aumento del rischio CV comprendono da una parte la dislipidemia e la disfunzione endoteliale per la cardiopatia ischemica e, dall’altra, la disfunzione ventricolare e l’alterato rilasciamento vascolare per lo scompenso cardiaco. A questo proposito, c’è maggiore consenso sulle evidenze nei pazienti con TSH ≥ 10 mU/L e, nel caso dello scompenso cardiaco, nei pazienti più anziani con livelli di TSH > 7 mU/L. I dati disponibili sono comunque ancora non univoci e definitivi, a causa delle differenze tra le popolazioni e nel disegno degli studi. In sintesi, combinando profilo di rischio CV ed età, ad oggi l’IS sembra conferire un rischio aggiuntivo sia per malattie che per mortalità CV solo nei pazienti < 65 anni.
Sono state segnalate in letteratura anche possibili relazioni, non confermate, tra IS e ictus, sintomi neuro-psichiatrici, demenza, mortalità da tutte le cause, sindrome metabolica, NAFLD (Non-Alcoholic Fatty Liver Disease), progressione dell’insufficienza renale cronica (18-26). Al contrario, negli anziani (> 75 anni) e soprattutto nei “grandi vecchi” (> 85 anni) è stata segnalata una correlazione inversa tra IS e mortalità da tutte le cause (27-29).

 

Terapia
La maggior parte dei pazienti con IS può essere mantenuta in osservazione senza alcuna terapia. La terapia tiroxinica non deve essere prescritta a pazienti con sintomi suggestivi di ipotiroidismo in presenza di normali livelli di TSH ed FT4.
In linea generale, con alcune differenze (vedi tabella), le principali consensus e linee guida correnti (30-33) raccomandano di:

  • trattare in caso di TSH ≥ 10 mUI/L;
  • considerare il trattamento:
  • età ≤ 65 anni: TSH tra il limite superiore dell’intervallo di riferimento e 10 mUI/l (soprattutto se TSH > 7 mUI/l) e presenza di uno o più tra sintomi di ipotiroidismo, gozzo, auto-immunità tiroidea, elevato rischio di malattia aterosclerotica CV;
  • età > 65 aa: TSH > 7 mUI/l ed elevato rischio di malattia aterosclerotica CV;
  • non trattare se TSH < 7 mUI/l ed età > 65 anni, dal momento che si tratta di valori appropriati per l’età ed è maggiore il rischio di overtreatment con aumento della morbilità CV e scheletrica.

 

Linee guida correnti sulla terapia dell’ipotiroidismo subclinico
ATA/AACE 2012 TSH > 10 mUI/L: considerare il trattamento.
TSH ≤ 10 mUI/L: considerare il trattamento in presenza di sintomi di ipotiroidismo, auto-immunità tiroidea, evidenza di malattia (o fattori di rischio) CV o scompenso cardiaco.
ETA 2013

TSH ≥ 10 mUI/L:

  • età > 70 anni: considerare il trattamento in presenza di sintomi di ipotiroidismo o elevato rischio CV;
  • età ≤ 70 anni: considerare il trattamento.

TSH < 10 mUI/L:

UptoDate® 2019

TSH ≥ 10 mUI/L: trattare.
TSH 7-10 mUI/L:

  • età > 65 anni: considerare il trattamento in presenza di sintomi di ipotiroidismo, autoimmunità tiroidea, gozzo, elevato rischio CV;
  • età < 65 anni: trattare.

TSH < 7 mUI/L:

  • età > 65 anni: wait and see;
  • età < 65 anni: trattare in presenza di sintomi di ipotiroidismo, auto-immunità tiroidea, gozzo.
ATA: American Thyroid Association
AACE: American Association of Clinical Endocrinologists
ETA: European Thyroid Association

 

Nei soggetti anziani la terapia tiroxinica sostitutiva deve essere iniziata con basse dosi (12.5-25 µg/die nella grande maggioranza dei casi) e aumentata gradualmente, specialmente nei pazienti con sospetta patologia ischemica.
L’obiettivo della terapia è normalizzare i livelli di TSH, ma non c’è consenso unanime sui valori ottimali da raggiungere; in linea generale, appare ragionevole cercare di ottenere valori tra 0.5 e 2.5 mU/L nei giovani e negli adulti e tra 4 e 6 mU/L negli ultra65enni, ma l’obiettivo della terapia va personalizzato e stabilito caso per caso.
Recentemente, un gruppo di esperti (34) ha condotto una revisione sistematica, che ha incluso 21 studi con 2192 partecipanti, con lo scopo di valutare se la terapia dell’IS fosse associata a miglioramento dei sintomi e ad altri benefici in pazienti adulti al di fuori della gravidanza. Sulla base dell’analisi delle evidenze disponibili, quasi tutti gli adulti con IS non beneficerebbero di una terapia sostitutiva secondo le attuali evidenze, anche in considerazione del carico di un follow-up a vita e dell’incertezza sui potenziali rischi della terapia. In particolare, non sono stati dimostrati chiaramente benefici clinici rilevanti rispetto a qualità della vita e sintomi correlati alla patologia tiroidea; inoltre, gli ormoni tiroidei avrebbero un effetto modesto o assente sugli eventi CV o sulla mortalità (evidenza di bassa qualità). In parziale contro-tendenza rispetto alle linee guida, gli autori hanno dunque formulato una raccomandazione forte contro l’uso di ormoni tiroidei in soggetti adulti con IS, ad eccezione delle seguenti condizioni:

  • donne alla ricerca di gravidanza o a rischio di gravidanza non pianificata, dove l’IS può condizionare esiti avversi sia per la madre che per il bambino;
  • TSH > 20 mUI/L;
  • sintomi severi, sebbene aspecifici;
  • età < 30 anni, che è quella meno rappresentata negli studi;
  • pazienti già in terapia con ormoni tiroidei, dal momento che la maggior parte dei dati si riferisce agli effetti dell’inizio della terapia tiroxinica e solo indirettamente alla sua sospensione.

Appare tuttavia importante evidenziare che la forza di questa raccomandazione va presa con molta cautela per una serie di motivi ed è oggetto di discussione in letteratura (35-37). In primo luogo, i dati su cui si basa sono molto limitati per quanto riguarda i pazienti giovani; in secondo luogo, gli studi considerati nell’analisi della letteratura sono di piccole dimensioni e un peso predominante è attribuibile allo studio TRUST (Thyroid Hormone Replacement for Untreated Older Adults With Subclinical Hypothyroidism), effettuato su 737 pazienti di età compresa tra 65 e 93 anni (38). Si tratta di un trial randomizzato in doppio cieco che, sebbene presenti un disegno sperimentale molto solido, presenta diverse limiti: mancanza di informazioni sullo stato dell’auto-immunità tiroidea e sulla presenza di gozzo o patologia nodulare, valutazione della qualità della vita e del miglioramento dei sintomi di ipotiroidismo in una popolazione largamente asintomatica, range di TSH considerato modesto (5.76 mU/L, range interquartile 5.10–6.94 mU/L, nel gruppo placebo vs 5.73 mU/L, range interquartile 5.12–6.83 mU/L, nel gruppo in terapia). Se, d’altra parte, non consideriamo nella revisione i pazienti dello studio TRUST, la potenza statistica dell’analisi appare insufficiente per estrapolare i dati a tutta la popolazione < 65 anni.
In conclusione, appare ragionevole affermare che rimangono valide le indicazioni delle linee guida correnti in attesa di evidenze conclusive sull’argomento, per le quali è indispensabile disegnare studi ampi, rigorosi, prospettici e con follow-up di lungo termine, in grado di misurare morbilità e mortalità CV.

 

Follow-up
Nei trattati, il TSH deve essere ricontrollato dopo 6-8 settimane dall’inizio della terapia e dai cambiamenti di dose, che dovrebbero essere effettuati con variazioni di 12.5-25 µg/die. Una volta individuata la dose corretta, il TSH dovrebbe essere ricontrollato con cadenza circa annuale. L’opportunità di proseguire la terapia va rivalutata periodicamente, in relazione a efficacia sui sintomi, variazioni del quadro clinico e del rischio CV.
Nei pazienti in cui si decide di non iniziare la terapia tiroxinica, è indicato il monitoraggio di TSH (ed FT4), inizialmente dopo 6 mesi e poi con cadenza circa annuale in caso di sostanziale stabilità.

 

Bibliografia

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Vincenzo Novizio
A.O.R.N. "A.Cardarelli" - Napoli

 

È in genere l'ultimo stadio di un ipotiroidismo, primitivo o ipofisario, grave e di lunga durata, non diagnosticato o non in terapia.

Spesso è scatenato da fattori precipitanti (tabella).

 

Fattori precipitanti
Esposizione prolungata al freddo
Setticemia o malattia infettiva intercorrente: più spesso polmonite, infezione delle vie urinarie o cellulite
Trauma con emorragia: incidenti stradali, sanguinamenti gastrointestinali
Accidenti cerebrovascolari
Insufficienza cardiaca congestizia
Assunzione di farmaci o sostanze ad azione depressiva sul Sistema Nervoso Centrale: soprattutto alcool, barbiturici, clorpromazina, morfina
Assunzione di altri farmaci che possono interferire con i meccanismi di incorporazione dello iodio e quindi la formazione della tiroxina a livello dei tireociti: come sunitinib, litio, amiodaroneo
Assunzione di cibi che possono interferire con i meccanismi di incorporazione dello iodio: cavolo bianco cinese (1)

 

È un'evenienza rara, la cui vera incidenza non è ben conosciuta: circa 300 casi al momento riportati in letteratura. Così come per l'ipotiroidismo in generale, esso colpisce di più le donne e gli individui anziani (2). Ad un'incidenza così bassa, fa da contraltare un tasso di mortalità decisamente alto: in letteratura vengono riportati tassi di mortalità varianti dal 25 al 60%, anche in quei casi sottoposti al miglior trattamento possibile. In passato la mortalità raggiungeva l'80%.

Il quadro clinico è quello proprio dell'ipotiroidismo cronico grave dove, accanto ai segni del mixedema (facies caratteristica, cute secca, capelli radi, voce rauca, macroglossia, edema cutaneo non improntabile), si possono mettere in evidenza un eventuale gozzo oppure una cicatrice da pregressa tiroidectomia o, ancora, un'eventuale proptosi, segno di una malattia di Graves trattata con radioiodio o chirurgicamente. Inoltre, quasi sempre sono presenti ipotermia, bradicardia, bradipnea, areflessia tendinea ed osteo-periostea, ipotensione arteriosa, ipoventilazione polmonare. Non ha quasi mai esordio brusco, ma quelli ad esordio acuto hanno una maggiore mortalità, perchè spesso misconosciuti poichè raramente nell'ambito di patologie acute viene preso in considerazione il coma mixedematoso nella diagnostica differenziale.
Vari sono i possibili gradi di alterazione dello stato di coscienza, fino ad arrivare al coma; quest'ultimo suole essere preceduto da ottundimento psico-sensoriale e torpore profondo, talora interrotto da crisi di agitazione, allucinazioni, delirio (psicosi mixedematosa). Possono precederlo crisi di tipo epilettico, con scosse tonico-cloniche segmentarie o generalizzate.
L'ipotermia è una delle peculiarità del coma mixedematoso (l'80% di questi pazienti sono ipotermici): una temperatura corporea > 35°C deve far sospettare la presenza di un focolaio di infezione. L'ipotermia non sempre viene convenientemente valutata, sia perchè non si usano termometri tarati a 20-40°C, sia perchè non li si fa azzerare del tutto o perchè non vi si presta fede.
Il cuore è ingrandito; talora è presente un versamento pericardico o pleuro-pericardico. I toni cardiaci sono deboli e lontani. L'ECG mostra bradicardia sinusale, talora blocco A-V, basso voltaggio dei complessi rapidi in tutte le derivazioni, onde T appiattite, talora negative sulle precordiali.
Il respiro è lento e superficiale o periodico, tipo Cheyne-Stokes: sono abituali4-8 atti/minuto e ciò conduce a grave ipossia, ipercapnia e acidosi respiratoria (carbonarcosi). Anche in presenza di insufficienza ventilatoria, può mancare la cianosi, a causa dell'anemia e della povertà del circolo capillare superficiale, mentre è costante il pallore giallognolo della cute. A tale ridotta ventilazione polmonare, che di solito precede l'ipotermia, concorrono l'inibizione centrale e di conduzione nervosa, l'inefficienza dei muscoli respiratori, specie del diaframma sollevato dal meteorismo intestinale, l'edema delle mucose e l'ostacolo meccanico dei versamenti pleuro-pericardici. La stasi polmonare favorisce poi le infezioni.
I riflessi tendinei possono essere presenti, con il prolungamento della fase di decontrazione muscolare, caratteristico dell'ipotiroideo.
Costante è una sindrome ipotensiva con riduzione della pressione differenziale, espressione sia di una componente centrale (cuore da mixedema, versamento pericardico, eventuale coronaropatia dismetabolica) sia di una periferica, conseguente ad una precaria neuroregolazione arteriosa.
Vi può essere ritenzione urinaria per paresi vescicale e ritenzione fecale per ileo paralitico o presenza di fecalomi.
La pressione liquorale può essere elevata, con aumento del contenuto delle proteine e diminuzione del sodio e del glucosio.

Gli esami ematochimici mostrano di solito iponatriemia con emodiluizione (Na < 120 mEq/L), talora ipoglicemia, correggibili mediante somministrazione in vena di NaCl e glucosio ipertonico e restrizione di liquidi.
T4 e T3 sono pressochè assenti nel sangue, mentre sono aumentate TBG, CPK, LDH nonchè ALT e colesterolemia.
E' frequente anemia normocromica e normocitica, che può essere secondaria al ridotto fabbisogno di ossigeno, così come a ridotta produzione di eritropoietina e talora aggravata dall'emodiluizione. Più rara la macrocitosi, con associato basso assorbimento di folati fino ad arrivare ad anemia perniciosa. E' pure possibile anemia microcitica sideropenica.
In tali pazienti gravemente ipotiroidei si possono avere diverse manifestazioni da sanguinamento, con indagini che rivelano un prolungato tempo di sanguinamento e di coagulazione, ridotta adesività piastrinica, elevata APTT e normale o ridotta attività del fattore VIII. L'ipotiroidismo grave può essere causa di malattia di von Willebrand acquisita, per ridotta produzione ed attività del fattore di von Willebrand; la terapia sostitutiva con ormone tiroideo corregge questa anormalità. Tale forma acquisita è per lo più di tipo 1, caratterizzata da un normale rapporto tra fattore di von Willebrand e del cofattore ristocetina. Erfurth et al. (3) hanno dimostrato che la desmopressina riduce rapidamente il tempo di sanguinamento, migliora l'adesività piastrinica ed incrementa in modo significativo la concentrazione plasmatica del fattore VIII e del fattore di von Willebrand; pertanto può essere utile per il trattamento di un'emorragia acuta o come copertura in caso di intervento chirurgico di urgenza in presenza di una crisi mixedematosa o comunque di grave ipotiroidismo.

 

Terapia
Cardini della terapia nel coma mixedematoso sono i seguenti.

  • Sostenere le funzioni vitali, garantendo vie aeree, ossigenazione e ventilazione.
  • Riscaldamento del paziente ipotermico, esterno se la temperatura corporea è > 30°C, con tecniche invasive di riscaldamento se invece è < 30°C. Il trattamento dell'ipotermia del coma mixedematoso differisce da quello dell'ipotermia da esposizione al freddo nei soggetti eutiroidei. Nel coma mixedematoso il paziente deve essere tenuto in ambiente caldo e coperto. Va evitato di solito il riscaldamento attivo poichè incrementa il consumo di ossigeno e favorisce la vasodilatazione periferica e il collasso circolatorio; è raccomandato solo in caso di grave ipotermia in cui la fibrillazione ventricolare è un'imminente minaccia per la vita. In questi casi il valore di riscaldamento non deve superare 0.5°C/ora e la temperatura centrale va riportata a un valore di circa 31°C.
  • Trattare l'ipovolemia e sostenere la pressione arteriosa: l'ipovolemia va corretta con infusioni lente di plasma o, se vi è anemia, di sangue. Somministrare con cautela sia i coronarodilatatori che le amine pressorie, sia per l'effetto aritmogeno sia per non sovraccaricare il miocardio.
  • Trattare gli stati morbosi concomitanti.
  • Somministrare ad alte dosi antibiotici a largo spettro, sia a scopo preventivo che curativo delle infezioni, specie polmonari di cui spesso mancano i segni (tosse, polipnea, febbre).
  • Trattare la sindrome di iponatriemia diluizionale e di ritenzione idrica tissutale: la ridotta perspiratio, l'idropessia e il frequente deficit surrenalico non sono compensati dalla reazione vasopressinica e dalla funzione renale. Vi è oliguria e opsiuria da ridotto flusso renale e filtrato glomerulare. Conseguenza di tale stato di cose è il possibile edema cerebrale. L'iponatriemia (Na = 120-125 mEq/L) con ipo-osmolarità plasmatica e iperosmolarità urinaria rende non opportuna la somministrazione di liquidi in eccesso, perchè si rischierebbe l'intossicazione idrica. La quantità necessaria per fornire dosi adeguate di NaCl (soluzione fisiologica) è di 500-1000 mL/24 ore. L'uso della furosemide è indicato non appena viene raggiunta la sicurezza elettrolitica.
  • Somministrare ormone tiroideo, teoricamente per via ev (non disponibile in Italia) o in forma di compressa tritata o liquida attraverso il sondino nasogastrico. Il protocollo usuale prevede la somministrazione in vena mediante bolo di 300-500 µg di T4, seguita da una dose di 50-100 µg/die sempre per via endovenosa fino a che il paziente non diviene in grado di assumere l'ormone per os (4,5). Laddove possibile, l'uso della T3 per via endovenosa permette un più rapido inizio di azione, un più precoce effetto benefico sui sintomi neuropsichiatrici ed un significativo miglioramento del quadro clinico nell'arco delle 24 ore: alla dose iniziale di 10-20 µg in bolo per via endovenosa, fanno seguito 10 µg sempre per via endovenosa ogni 4 ore per le prime 24 ore e quindi 10 µg ogni 6 ore nei successivi 2° e 3° giorno, fino a che il paziente non è in grado di continuare la terapia orale. Tuttavia, il suo uso è limitato dalla sua indisponibilità in molti Paesi (tra cui il nostro), dall'ampia fluttuazione dei suoi livelli sierici nonchè dai frequenti effetti avversi a livello dell'apparato cardiocircolatorio. Yamamoto et al. (6) hanno riportato che dosi di T4 > 500 µg/die e di T3 > 75 µg/die per via endovenosa si associano ad un incremento della mortalità.
  • Poichè nei pazienti con coma mixedematoso vi è un'incidenza variabile dal 5 al 10% di una coesistente insufficienza surrenalica, e poichè la terapia sostitutiva con ormone tiroideo può aumentare la clearance del cortisolo e quindi aggravare la situazione di carenza dello stesso, se non è possibile disporre di metodiche per la valutazione della funzionalità dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, è consigliabile iniziare la terapia steroidea (idrocortisone, 100 mg per via ev ogni 8 ore) prima dell'inizio della terapia con ormone tiroideo e fino a che non sia possibile valutare successivamente la funzionalità del suddetto asse.

Possiamo concludere affermando che il coma mixedematoso, pur essendo evenienza rara, è comunque decisamente pericolosa per la vita. Il trattamento spesso deve essere iniziato basandosi sul solo sospetto clinico. C'è continuo dibattito sulla formulazione e sulla dose di ormone tiroideo da somministrare. La prognosi è in rapporto col grado di coma e con la possibilità di un rapido intervento volto a contrastare congiuntamente tutti gli aspetti sindromici del complesso quadro clinico. Ogni ritardo o incompletezza delle misure correttive comporta l'aggravamento della prognosi ed il raggiungimento di stadi irreversibili.

 

Bibliografia

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In attesa degli aggiornamenti di Endowiki, si possono trovare articoli aggiornati ai seguenti link:

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Rinaldo Gugliemi
UOC Endocrinologia Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale

 

L’ipertiroidismo è una condizione in cui si ha un eccesso di ormoni tiroidei circolanti, con aumento sovrafisiologico della loro attività a  livello degli organi bersaglio. A differenza della tireotossicosi, dove non è specificata la causa dell’eccesso di ormoni circolanti, si definisce ipertiroidismo la condizione in cui si ha un aumento della sintesi ormonale. Da un punto di vista laboratoristico la malattia è caratterizzata da valori bassi/soppressi di TSH e da valori elevati di FT4 e/o FT3 circolanti.
La scintigrafia tiroidea con captazione mantiene ancora oggi un ruolo significativo nell’inquadramento diagnostico dell’ipertiroidismo (1) e consente di distinguere nell’ambito delle tireotossicosi le forme di ipertiroidismo vero grazie alla dimostrazione dell’elevata captazione della ghiandola.
La malattia è più frequente nelle donne, soprattutto nella forma autoimmune, mentre la prevalenza è sovrapponibile nei due sessi per quanto riguarda il gozzo uni o multi-nodulare. Quest'ultima forma, a differenza del morbo di Graves, presenta un'incidenza che si correla con l’età (2).  

Il morbo di Graves è di gran lunga la forma più frequente di ipertiroidismo. E' dovuto a un disturbo autoimmune, in seguito al quale si verifica la produzione di anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb) che, una volta legatisi al recettore specifico, stimolano costantemente i tireociti alla produzione e rilascio di ormoni tiroidei. Tra i fattori di rischio viene riportato un alto introito iodico, il substrato genetico e fattori stressanti ambientali. L’eccesso di ormoni tiroidei si esplica in modo ubiquitario, portando alla comparsa di sintomatologia che coinvolge il sistema cardiovascolare, la cute, il sistema nervoso, l’apparato osteomuscolare, l’apparato respiratorio, il sistema gastrointestinale, l’apparato genito-urinario,  gli organi emopoietici, i surreni. In questa forma, oltre alla sintomatologia classica da eccesso di ormoni tiroidei, si possono avere il coinvolgimento degli occhi (orbitopatia) e del tessuto sottocutaneo (mixedema pretibiale). Questo coinvolgimento è strettamente legato alla presenza dei TRAb e la loro positività conferma la diagnosi (3,4). La positività degli altri anticorpi anti-tiroide conferma la genesi autoimmune della malattia, mentre ulteriori elementi di conferma vengono dalla scintigrafia con captazione (4) e dalla tipicità del quadro ecografico (1).

L’"Hashitossicosi" è la condizione in cui si realizza un ipertiroidismo con genesi del tutto simile al Graves, ma che poi è seguito da ipotiroidismo a causa di un processo autoimmune distruttivo del tutto sovrapponibile alla tiroidite cronica autoimmune.

Il gozzo uninodulare (adenoma) ed il gozzo multinodulare tossico sono caratterizzati da una componente nodulare o multinodulare iperplastica, la cui attività funzionale è svincolata dal controllo del TSH. Nell’adenoma tossico e nel gozzo multinodulare sono state individuate mutazioni attivanti a carico del recettore del TSH, mentre solo nell’adenoma tossico sono state riscontrate mutazioni della proteina G-alpha. N ell’adenoma singolo sono prevalenti le mutazioni, mentre il basso introito di iodio sembra essere il fattore determinante nella genesi della forma multinodulare (5). Per quanto riguarda la diagnosi, essa viene confermata dal dosaggio degli ormoni tiroidei, dall’aspetto ecografico e dalla scintigrafia. La clinica è simile a quella riportata negli altri ipertiroidismi, anche se le manifestazioni sono di gravità variabile in relazione al grado di iperfunzione del singolo e dei plurimi noduli iperfunzionanti. A differenza del Graves, non infrequente in questa condizione è il riscontro di ipertiroidismo subclinico (4).

L’ipertiroidismo iodio-indotto è una forma non molto comune, che si può verificare dopo l’introito di alte quantità di iodio, come accade in caso di esami radiologici che prevedano l’uso di contrasti iodati ed in corso di terapia di patologie cardiache mediante amiodarone.

L’ipertirodismo può essere secondario a mola idatiforme, corioncarcinoma o a tumore delle cellule germinali nel maschio attraverso lo stimolo del recettore del TSH. In tali casi la terapia principale è diretta verso il tumore, ma è comunque opportuno utilizzare le tionamidi, visto che la sintesi eccessiva dell’ormone avviene comunque a causa di un'iperattivazione della tiroide (6).

L’ipertiroidismo da inappropriata secrezione  di TSH può essere ricondotto ad una causa neoplastica ed ad una non neoplastica: peculiarità di questa forma è l’associazione di frazioni libere degli ormoni tiroidei elevate con TSH normale o alto (7). L’adenoma ipofisario TSH-secernente quasi sempre è un macroadenoma e qualche volta può essere invasivo. Accanto alla sintomatologia tipica dell’ipertiroidismo e al gozzo spesso è presente la sintomatologia dovuta agli effetti compressivi del macroadenoma (deficit del campo visivo e galattorrea). In tali casi la terapia principale è l’asportazione del macroadenoma, ma in preparazione  all’intervento è consigliato l’uso transitorio delle tionamidi. In fase pre-operatoria può essere utile trattamento con analoghi della somatostatina al fine di ridurre il volume del macroadenoma (8).
La forma non neoplastica è dovuta alla resistenza agli ormoni tiroidei in conseguenza della mutazione del recettore nucleare della T3. Non esiste un trattamento specifico di tale  condizione (9).

Esiste infine una rara condizione di ipertiroidismo da eccessiva attività a valle del recettore del TSH non dovuta ad uno stimolo del TSH, che in queste condizioni è basso, ma alla mutazione attivante del recettore. Si tratta di una patologia trasmissibile ereditariamente come tratto autosomico dominante (4).

 

Terapia medica
La terapia farmacologica rappresenta l’opzione iniziale e ha lo scopo di conseguire il compenso funzionale tiroideo nel più breve tempo possibile.

L’uso dei ß-bloccanti è consigliato come terapia isolata quando non è ancora completato l’iter diagnostico, con lo scopo di ridurre segni e sintomi di iperattivazione adrenergica e le possibili conseguenze cardiovascolari. Essi possono essere utilizzati, inoltre, in combinazione con le tionamidi nelle prime 3-4 settimane di trattamento nei casi di tireotossicosi più severa o in pazienti a rischio cardiovascolare. L’uso di tali farmaci consente la riduzione del rischio di fibrillazione atriale, che è la maggior complicanza cardiovascolare che si verifica in oltre il 10% degli ipertiroidei severi; il rischio di aritmie severe aumenta con l’avanzare dell’età del paziente (4).

I due farmaci anti-tiroidei più utilizzati sono il metimazolo e il propiltiouracile (quest’ultimo non commercializzato in Italia), che appartengono al gruppo delle tionamidi e condividono un duplice meccanismo d'azione: inibizione delle perossidasi tiroidee e azione immunomodulatrice.
Il propiltiouracile possiede l’azione ulteriore di inibizione della desiodasi 1. Il rapporto in termini di efficacia tra metimazolo e propiltiouracile è di circa 1:12.
In ogni caso è prevista una dose di attacco che per il metimazolo va da 5-10 mg/die nelle forme lievi a 20- 30 mg/die nelle forme più severe; la dose di attacco del propiltiouracile va in genere da 50 a 300 mg/die, a seconda della severità della patologia.

Morbo di Graves. L’obiettivo è inizialmente la rapida normalizzazione di FT3 e FT4 e successivamente la normalizzazione del TSH. In genere dopo 3 e 6 settimane dall’inizio del trattamento, circa il 70-90% dei pazienti raggiunge valori nei limiti di FT3 e FT4. La posologia del farmaco viene gradualmente ridotta, sulla base dell’andamento dei dati di funzionalità. Il primo controllo dovrebbe essere eseguito a 30 giorni e i successivi controlli ogni 45-60 giorni sulla base del quadro clinico. Il dosaggio dei TRAb, che va riservato alla diagnosi ed in gravidanza, può avere un significato al momento di variazioni terapeutiche critiche;  la negativizzazione dei livelli circolanti di TRAb rappresenta un indice prognostico favorevole. Una volta raggiunto l’eutiroidismo, è possibile controllare la funzione tiroidea ogni 2-3 mesi (3).
Nei paesi anglosassoni (USA, UK) e in alcuni centri europei viene a volte utilizzato un regime di trattamento combinato tireostatico + L-tiroxina, denominato “block and replace therapy”. Vengono solitamente impiegati dosaggi pieni di entrambi i farmaci (es. metimazolo 30 mg/die + L-tiroxina 100-150 µg/die) per un periodo di almeno 6 mesi, con l’obiettivo di conseguire una stabile soppressione della funzione ghiandolare. Tuttavia, non è a tutt’oggi dimostrata la superiorità di tale regime terapeutico nei confronti della sola terapia tireostatica (4).
Nella maggior parte dei pazienti è possibile sospendere il trattamento con tireostatici dopo 12-18 mesi. Il tasso di remissione stabile della malattia è di circa il 30-50% dei casi (% più alte nelle casistiche di pazienti europei rispetto alle casistiche nordamericane). Ci sono fattori che rendono meno probabile la remissione: sesso maschile, età avanzata, abitudine al fumo, severità d'esordio della tireotossicosi,  FT3 più elevata della FT4, valori molto elevati e persistenti di TRAb, presenza di tiroide voluminosa e di elevato titolo di anticorpi, comparsa di orbitopatia (3).

Gozzo uni o multinodulare. La terapia medica è la medesima del Graves, ma in genere non è necessario ricorrere a dosaggi elevati. Si tratta in ogni caso di un pre-trattamento in attesa del trattamento definitivo con chirurgia, I-131 o terapie ablative. Studi randomizzati controllati hanno evidenziato che il pretrattamento con tireostatici non inficia l'efficacia del trattamento radiometabolico (10).

Altre forme di ipertiroidismo. Il trattamento medico con tionamidi non trova indicazione nell’Hashitossicosi, visto la patogenesi della malattia, mentre in tali casi possono essere utili i ß-bloccanti al fine di minimizzare i sintomi cardiovascolari. Le tionamidi hanno un ruolo nel pre-trattamento, in attesa della soluzione chirurgica, dei pazienti con mola idatiforme, corioncarcinoma e tumore delle cellule germinali.

 

Terapia radiometabolica
Morbo di Graves. Lo 131I è il trattamento di prima scelta negli USA, mentre in Europa viene generalmente riservato ai pazienti con malattia persistente o recidivante (11). In Italia, il ricorso al radioiodio è aumentato negli ultimi 10-15 anni, probabilmente in rapporto all’accresciuta presenza sul territorio di centri medico-nucleari. L’obiettivo della terapia radioiodometabolica è il conseguimento del controllo permanente della funzione tiroidea. Molti centri utilizzano dosaggi standard (10-15 mCi, corrispondenti a 370-555 MBq), mentre in altri si ricorre a una valutazione dosimetrica basata sulla misura della iodocaptazione e/o sul volume ghiandolare, che in teoria avrebbe il vantaggio  di impiegare dosi in media leggermente più ridotte. Al fine di ottenere il controllo permanente della funzione tiroidea è consigliabile somministrare la dose “fissa”  e cercare di ottenere l’ipotiroidismo nel più breve tempo possibile (80% di obiettivo terapeutico con un'unica somministrazione di 131I) (11) e quindi iniziare la terapia sostitutiva con L-T4.

Gozzo uni o multinodulare. L’indicazione in tali condizioni è rappresentata da età avanzata, presenza di comorbilità, precedente tiroidectomia per gozzo multinodulare tossico con recidiva di tireotossicosi (o anche semplicemente di tiroidectomia per gozzo semplice), gozzo di piccole dimensioni, captazione sufficiente a consentire il trattamento (10). Le controindicazioni a tale trattamento sono rappresentate da gravidanza/allattamento, impossibilità a rispettare le norme radioprotezionistiche, nodo di grosse dimensioni (in assenza di controindicazioni ad intervento chirurgico)(10).

 

Terapia chirurgica
Morbo di Graves. La tiroidectomia dovrebbe essere presa in considerazione in caso di:

  • gozzo di grandi dimensioni non idoneo alla terapia con 131
  • diagnosi o sospetto di malignità tiroidea
  • necessità di risoluzione dell’ipertiroidismo in breve tempo
  • orbitopatia severa ed attiva

La chirurgia non è indicata:

  • nel primo e nel terzo trimestre di gravidanza
  • in pazienti a rischio chirurgico a causa di comorbilità importanti e/o per pregressa chirurgia tiroidea

 La tiroidectomia deve essere totale, poiché gli interventi subtotali sono associati al rischio di ipertiroidismo persistente (3).

Gozzo uni o multinodulare. La soluzione chirurgica può essere particolarmente indicata in caso di grossi nodi di gozzo compressivi e/o con estrinsecazione retro-sternale, coesistenza di nodi sospetti, captazione insufficiente a consentire il trattamento radiometabolico, necessità di rapida correzione dell'ipertiroidismo (4).

Altre forme di ipertiroidismo. La terapia chirurgica sul tumore è di scelta, se praticabile, nell’ipertiroidismo da adenoma ipofisario TSH-secernente, nel corioncarcinoma, nella mola idatiforme e nel tumore a cellule germinali.

 

Altre terapie
Gozzo uni o multinodulare. Sono comparse negli ultimi anni evidenze di un possibile contenimento dell’ipertiroidismo con l'ablazione del nodulo iperfunzionante mediante laser, radiofrequenza e alcolizzazione percutanea ecoguidata (PEI). I risultati per il momento non sono conclusivi e tali approcci devono essere considerati di seconda scelta: possono essere presi in considerazione in casi particolari nell’ambito dell'individualizzazione della terapia (12-15).

 

Bibliografia
  

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  9. Duprez L, Parma J, Van Sande J, et al. Germline mutations in the thyrotropin receptor gene cause non-autoimmune autosomal dominant hyperthyroidism. Nat Genet 1994, 7: 396-401.
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  12. Tarantini B, Ciuoli C, Di Cairano G, et al. Effectiveness of radioiodine (131-I) as definitive therapy in patients with autoimmune and non-autoimmune hyperthyroidism. J Endocrinol Invest 2006, 29: 594-8.
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  14. Deandrea M, Limone P, Basso E. US-guided percutaneous radiofrequency thermal ablation for the treatment of solid benign hyperfunctioning or compressive thyroid nodules. Ultrasound Med Biol 2008, 34: 784-91.
  15. Zingrillo M, Torlontano M, Ghiggi MR, et al. Radioiodine and percutaneous ethanol injection in the treatment of large toxic thyroid nodule: a long-term study. Thyroid 2000, 10: 985-9.