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Andrea Delbarba1 & Paolo Facondo2
1SSVD Medicina ad Indirizzo Endocrino Metabolico, ASST Spedali Civili di Brescia
2Università degli Studi di Brescia, G-AME

(aggiornato al 30 agosto 2021)

 

INQUADRAMENTO PER LA SCELTA DELLA TERAPIA

La categoria degli inibitori della fosfo-diesterasi di tipo 5 (PDE5i) rappresenta la terapia farmacologica di prima linea della DE, con un’efficacia che raggiunge l'80% dei soggetti trattati (1-3). Tuttavia, la loro prescrizione deve necessariamente essere preceduta da un corretto iter diagnostico, finalizzato a porre una diagnosi eziologica. Infatti, la DE non deve essere considerata come un semplice sintomo “risolvibile con una compressa”, ma va intesa come disturbo che può sottendere a diverse problematiche e soprattutto che può essere correlato ad aumentato rischio CV. A tale scopo, occorre ricordare che la terapia per la DE deve essere subordinata a un adeguato screening e controllo dei fattori di rischio CV. Infatti, in accordo con il 3rd Princeton Consensus Panel, i pazienti con DE su base vascolare vengono classificati in base al rischio CV in 3 categorie (tabella 1) (2,4). Nei pazienti a basso rischio la prescrizione di PDE5i può essere effettuata senza ulteriori accertamenti, mentre nei pazienti a rischio intermedio o alto è necessaria una valutazione cardiologica preliminare alla prescrizione di tali farmaci (2,4).

 

Tabella 1
Gestione del paziente cardiopatico con DE in base al 3rd Princeton Consensus Panel
Rischio CV Categorie Raccomandazioni
Basso Asintomatico, < 3 fattori di rischio per CAD.
Ipertensione controllata.
Angina lieve stabile.
Rivascolarizzazione coronarica con esito positivo.
IMA pregresso (> 6-8 settimane) non complicato.
Valvulopatia lieve.
HF NYHA classe I-II.
È possibile l’immediata ripresa dell’attività sessuale, con controlli ogni 6-12 mesi
Intermedio o indeterminato ≥ 3 fattori di rischio per CAD.
Angina moderata stabile.
Recente IMA (2-6 settimane).
HF NYHA classe III.
Malattia aterosclerotica senza sequele cardiache (ictus, vasculopatia periferica).
La ripresa dell’attività sessuale va posticipata dopo l’esecuzione di test cardiologici di II livello (test da sforzo), per riclassificare il paziente in basso o alto rischio
Alto Angina instabile o refrattaria.
Ipertensione non controllata.
HF NYHA classe IV.
Recente IMA (< 2 settimane).
Cardiomiopatie.
Aritmie ad alto rischio.
Valvulopatia moderata o severa.
È necessario stabilizzare la patologia cardiaca prima della ripresa dell’attività sessuale
CAD: coronaropatia. IMA: infarto miocardico acuto. HF: scompenso cardiaco. NYHA: New York Heart Association

 

Un uso indiscriminato dei PDE5i, anche in pazienti con una DE con componente prevalentemente relazionale o intra-psichica, senza un adeguato counseling, può avere conseguenze negative, generando, in caso di successo terapeutico, una possibile forma di dipendenza farmacologica (ho fatto bene solo perché ho preso la pasticca) o, in caso di insuccesso, peggiorando ulteriormente l’ansia prestazionale sottostante (sono spacciato: non ho fatto bene nemmeno con la pasticca). Inoltre, la somministrazione di un PDE5i a un paziente con una patologia cardiaca non stabilizzata potrebbe avere conseguenze devastanti, in relazione all’incapacità di sopportare il carico di lavoro derivante.

 

Tabella 2
Farmaci per la disfunzione erettile
Per via orale PDE5-inibitori Avanafil
Sildenafil
Tadalafil
Vardenafi
Yoimbina (galenico)
Per via intra-cavernosa Alprostadil

 

 

FARMACI ATTIVI PER VIA ORALE

Inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5i)
Proprietà farmacologiche. I PDE5i agiscono con un meccanismo prevalentemente periferico, inibendo la principale fosfo-diesterasi presente a livello penieno (PDE5), coinvolta nella degradazione del guanosin-monofosfato ciclico (cGMP). All’aumento del cGMP, provocato a livello penieno dall’azione dei PDE5i, consegue il rilassamento della muscolatura liscia peniena che favorisce l’erezione (1). In tabella 2 sono riportate le caratteristiche farmacologiche dei 4 farmaci della classe PDE5i attualmente approvati in Europa (1-3).

 

Tabella 3
Inibitori PDE5
  Sildenafil Tadalafil Vardenafil Avanafil
Dosaggi (mg) 25, 50, 75, 100 2.5, 5, 10, 20 5, 10, 20 50, 100, 200
Inizio azione (minuti) 20-30 20-30 20-30 < 20-30
Emivita (ore) 3-5 17.5 4 6-17
Effetto del pasto sull’assorbimento Sì, specie se ricco in lipidi Non influenzato Solo se ad alto contenuto lipidico Si, specie se ricco in lipidi
Modalità di utilizzo On demand On demand o quotidiano
On demand On demand
Controindicazioni assolute Concomitante utilizzo di nitrati
Retinite pigmentosa
Interazioni farmacologiche (utile ridurre dosaggio PDE5i) Anti-retrovirali, anti-fungini (fluconazolo, ketoconazolo, itraconazolo) e antibiotici (rifampicina e azitromicina)
Precauzioni di utilizzo Pazienti in terapia con α-bloccanti (specialmente doxazosina) Utilizzare con cautela e al dosaggio minimo
Ultra65enni Non è richiesto aggiustamento del dosaggio Non è richiesto aggiustamento del dosaggio Utilizzare con cautela Non è richiesto aggiustamento del dosaggio
Pazienti che assumono anti-aritmici di classe I A (chinidina o procainamide) o III (sotalolo o amiodarone) o con sindrome del QT prolungato     Sconsigliato  
Aggiustamento della dose per

insufficienza renale Riduzione per eGFR < 30 mL/min Aggiustamento della dose anche per forme lievi di insufficienza renale; dose massima 10 mg Riduzione per eGFR < 30 mL/min Controindicato se eGFR < 30 mL/min; non richiede aggiustamento con insufficienza renale lieve o moderata
insufficienza epatica Riduzione anche per forme lievi (Child A-B) Dose massima 10 mg Riduzione anche per forme lievi (Child A-B) Controindicato con insufficienza epatica grave (Child C); non richiede aggiustamento della dose con insufficienza epatica lieve o moderata
Effetti collaterali Frequenti disturbi visivi.
Generali: cefalea, vampate di calore, congestione nasale, tachicardia; meno frequenti dolori lombari.
Frequente lombalgia.
Generali: cefalea, vampate di calore, congestione nasale, tachicardia; rari disturbi visivi.
Generali: cefalea, vampate di calore, dolori lombari, disturbi visivi, congestione nasale, tachicardia. Generali rari

 

 

Utilizzo clinico. Non vi è significativa differenza di efficacia e sicurezza tra questi 4 farmaci (1). Tutti i PDE5i sono rapidamente assorbiti dopo somministrazione orale e sono attivi (previo stimolo sessuale) dopo circa 20-30 minuti dall’assunzione (avanafil sembra avere inizio d’azione più rapido, entro 15-20 minuti). Tadalafil ha la maggiore emivita (1). Tutti i PDE5i sono approvati come terapia on-demand della DE, mentre tadalafil è approvato anche per l'uso quotidiano, al dosaggio di 2.5 o 5 mg/die (1). L’assunzione on-demand è efficace in circa il 60-80% dei pazienti, minore nei diabetici o prostatectomizzati (1). La dose iniziale da suggerire deve riflettere gravità della DE, comorbilità ed esigenze del paziente. Prima di giudicare il paziente non responsivo, è opportuno suggerire almeno 6-8 tentativi (per un periodo di circa almeno 3 mesi), per poi modificare dosaggio o tipo di farmaco (altro PDE5i o, successivamente, farmaco di seconda linea).

Interazioni farmacologiche e controindicazioni. Poiché hanno il medesimo meccanismo d’azione, è controindicato il concomitante utilizzo di tutti i PDE5i con i nitrati, perché ne potenziano gli effetti ipotensivi 1). L’uso pregresso di nitrati (> 2 settimane) non rappresenta invece una controindicazione. È consigliato un periodo di sospensione dei PDE5i > 24-48 ore prima di assumere nitrati. Vista la possibile interazione tra nitrati e PDE5i, nel paziente cardiopatico sono da preferire i farmaci a breve durata d’azione (in particolare, sildenafil, vardenafil e avanafil) (1).
Tutti i PDE5i sono inoltre controindicati nei portatori di retinite pigmentosa, per la possibile interazione con la PDE6, principale fosfo-diesterasi retinica coinvolta nella malattia.
Nei pazienti in terapia anti-ipertensiva con α-bloccanti (specialmente doxazosina) o con ß-bloccanti non selettivi (labetalolo e carvedilolo), tutti i PDE5i devono essere utilizzati con cautela per ridurre il rischio ipotensivo (a causa degli effetti vaso-dilatatori additivi), partendo con il dosaggio minimo raccomandato (50 mg per avanafil, 25 mg per sildenafil, 5 mg per tadalafil e vardenafil) (1).
Diversi farmaci possono interferire con il metabolismo di tutti i PDE5i (aumentandone la concentrazione ematica), in particolare gli inibitori del citocromo CYP3A4 (enzima implicato nel metabolismo epatico dei PDE5i), come anti-retrovirali, anti-fungini (fluconazolo, ketoconazolo, itraconazolo) e antibiotici (rifampicina e azitromicina) (1). Nei pazienti che assumono tali farmaci è consigliato utilizzare i PDE5i a basso dosaggio (1).
In aggiunta a tali controindicazioni assolute e avvertenze valide per tutti i PDE5i, ciascuno di questi 4 farmaci è sconsigliato in pazienti selezionati che assumono specifici farmaci e ha le sue specifiche controindicazioni e necessità di aggiustamento del dosaggio in base a presenza e gravità di insufficienza renale ed epatica (tabella 2).

Effetti collaterali. Dipendono dalla possibile interazione con altre isoforme di fosfo-diesterasi ma gli eventi gravi sono estremamente rari. Includono (1,5):

  • disturbi visivi transitori, legati all’inibizione della PDE6 (espressa quasi esclusivamente nella retina), sono molto più frequenti con sildenafil, meno con vardenafil e virtualmente assenti con tadalafil e avanafil;
  • cefalea, vampate di calore, congestione nasale e tachicardia sono conseguenza dell’interazione con PDE1 e PDE4 (ampiamente diffuse sulla muscolatura liscia vasale e bronchiale);
  • dolori lombari, per interazione con PDE11, più frequenti con tadalafil.

Avanafil è la molecola con maggiore selettività per PDE5, per cui potrebbe essere associata a minori effetti collaterali (1,5).

 

Yoimbina
Agisce sia a livello centrale sia perifericamente. Non è in commercio in Italia come medicinale, ma è preparabile come galenico, su richiesta medica. Il suo utilizzo non è contemplato nelle principali linee guida (1,2).

 

Associazione PDE5i e testosterone
Il testosterone stimola l’attività e l’espressione della PDE5 a livello penieno (6). Ne consegue un possibile sinergismo derivante dalla terapia combinata di testosterone e PDE5i (1,2,5). Tuttavia, è opportuno sottolineare come l’efficacia della terapia con testosterone nel paziente con DE sia strettamente legata alla presenza di ipogonadismo (7,8). L’introduzione dei PDE5i è quindi da considerare in seconda linea in pazienti ipogonadici con DE, quando non vi sia una sufficiente risposta clinica alla terapia con testosterone.

 

FARMACI ATTIVI PER VIA INTRA-CAVERNOSA O TOPICA
L’adenosin-monofosfato ciclico (cAMP) è implicato nel rilassamento delle cellule muscolari lisce dei corpi cavernosi penieni, favorendo l’erezione. Farmaci in grado di incrementare i livelli di cAMP possono dunque essere utili nel trattamento della DE, in particolare nelle forme associate a disfunzione neuronale e/o endoteliale, tali da compromettere la produzione di monossido d’azoto (NO) e di cGMP (1).
L’alprostadil (PGE1) è l’unico farmaco che agisce su cAMP autorizzato in Italia (altri farmaci quali la papaverina, da sola o in associazione con fentolamina o prostaglandine, non sono autorizzati in Italia e sono di scarso utilizzo dato il rischio di fibrosi dei corpi cavernosi). Alprostadil può essere somministrato come formulazione topica o in iniezioni intra-cavernose (1), di solito come terapia di seconda linea nei pazienti non responsivi a PDE5i (es. diabetici o prostatectomizzati), oppure come prima linea nei pazienti con controindicazione o intolleranza a PDE5i o, più raramente, come terapia di combinazione in aggiunta a PDE5i (1,2).
Alprostadil è disponibile e approvato in formulazione topica (crema, 300 μg) o intra-uretrale (pellet medicato, 500-1000 μg) nella terapia della DE (1). In tali formulazioni, questa terapia si è dimostrata più efficace rispetto al placebo nel trattamento della DE, ma meno efficace rispetto ai PDE5i e alla formulazione intra-cavernosa (9-11). Per tale motivo, tale terapia non è suggerita in prima linea come terapia della DE ed è considerata come possibile terapia di seconda linea (1,2). L’effetto è raggiunto in circa 10-12 minuti e dura meno di un’ora, con risposta soddisfacente in circa il 73-83% dei casi (1). Alprostadil topico non presenta controindicazioni specifiche ed interferenze farmacologiche ed è associato ad effetti avversi solamente locali (priapismo, eritema, fibrosi, dolore penieno) (1).
L’iniezione intra-cavernosa di alprostadil, in dosi comprese fra 5 e 20 µg, induce erezioni valide nell’80% circa dei soggetti trattati, in 5-10 minuti dalla somministrazione (indipendentemente dallo stimolo sessuale) (1). Tale terapia rappresenta, in genere, la terapia farmacologica di seconda linea, nei pazienti con DE non responsivi a PDE5i (1). Le dosi del farmaco devono essere particolarmente basse nelle forme neurogene di DE, dove può essere presente un’aumentata sensibilità al farmaco (rischio di priapismo). Gli effetti collaterali del farmaco si verificano principalmente a livello locale e sono rappresentati da dolore penieno (in genere modesto) ed ematomi. Più rare sono condizioni quali erezioni prolungate e complicazioni fibrotiche quali malattia di Peyronie (1). Molto rari gli effetti sistemici, quali ipotensione, aritmie, sudorazione (1). L’utilizzo di anti-coagulanti aumenta il rischio di sanguinamenti locali, anche se non rappresenta una controindicazione assoluta (1). Analogamente, cautela nell’utilizzo di alprostadil deve essere posta in pazienti che presentano condizioni di predisposizione al priapismo, quali malattie ematologiche non controllate (anemia falciforme, mieloma multiplo o leucemia) o malformazioni anatomiche peniene (angolazione, fibrosi dei corpi cavernosi o malattia di Peyronie).
Lo schema sottostante mostra il ruolo della terapia farmacologica nel management terapeutico del paziente con DE (1,2,12,13).

 

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Hatzimouratidis K, Salonia A, Adaikan G, et al. Pharmacotherapy for erectile dysfunction: recommendations from the Fourth International Consultation for Sexual Medicine (ICSM 2015). J Sex Med 2016, 13: 465-88.
  2. Salonia A, Bettocchi C, Carvalho J, et al. EAU Guidelines on Sexual and Reproductive Health. European Association of Urology. 2020.
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  4. Nehra A, Jackson G, Miner M, et al. The Princeton III Consensus recommendations for the management of erectile dysfunction and cardiovascular disease. Mayo Clin Proc 2012, 87: 766-78.
  5. Corona G, Mondaini N, Ungar A, et al. Phosphodiesterase type 5 (PDE5) inhibitors in erectile dysfunction: the proper drug for the proper patient. J Sex Med 2011, 8: 3418-32.
  6. Morelli A, Filippi S, Mancina R, et al. Androgens regulate phosphodiesterase type 5 expression and functional activity in corpora cavernosa. Endocrinology 2004, 145: 2253-63.
  7. Corona G, Isidori AM, Buvat J, et al. Testosterone supplementation and sexual function: a meta-analysis study. J Sex Med 2014, 11: 1577-92.
  8. Corona G, Mannucci E, Lotti F, et al. Impairment of couple relationship in male patients with sexual dysfunction is associated with overt hypogonadism. J Sex Med 2009, 6: 2591-600.
  9. Anaissie J, Hellstrom WJ. Clinical use of alprostadil topical cream in patients with erectile dysfunction: a review. Res Rep Urol 2016, 8: 123-31.
  10. Costa P, Potempa AJ. Intraurethral alprostadil for erectile dysfunction: a review of the literature. Drugs 2012, 72: 2243-54.
  11. Padma-Nathan H, Yeager JL. An integrated analysis of alprostadil topical cream for the treatment of erectile dysfunction in 1732 patients. Urology 2006, 68: 386-91.
  12. Shamloul R, Ghanem H. Erectile dysfunction. Lancet 2013, 381: 153–65.
  13. Yafi FA, Jenkins L, Albersen M, et al. Erectile dysfunction. Nat Rev Dis Primers 2016, 2: 16003.
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Andrea Delbarba1 & Paolo Facondo2
1SSVD Medicina ad Indirizzo Endocrino Metabolico, ASST Spedali Civili di Brescia
2Università degli Studi di Brescia, G-AME

(aggiornato al 30 agosto 2021)

 

Meccanismo d’azione
Inibizione della fosfo-diesterasi di tipo 5 (PDE5), che è la principale fosfo-diesterasi presente a livello penieno, coinvolta nella degradazione del guanosin-monofosfato ciclico (cGMP), a sua volta implicato nel rilasciamento della muscolatura liscia peniena e quindi nell’erezione.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia

Avanafil:

Sildenafil:

Tadalafil:

Vardenafil:

 

Indicazioni
Trattamento della disfunzione erettile.

 

Controindicazioni
Utilizzo concomitante con nitrati, per lo specifico meccanismo d’azione.
Retinite pigmentosa, per la possibile interazione con la fosfo-diesterasi tipo 6 retinica.

 

Effetti collaterali
Dipendono dall'interazione con altre isoforme di fosfo-diesterasi. I principali sono: cefalea, vampate di calore, dolori lombari, disturbi visivi, congestione nasale e tachicardia.

 

Precauzioni
Insufficienza renale
:

  • lieve o moderata: non aggiustamento dose per avanafil, aggiustamento dose per tadalafil;
  • grave (eGFR < 30 mL/min): avanafil controindicato.

Insufficienza epatica:

  • lieve o moderata: non aggiustamento dose per avanafil, aggiustamento dose per sildenafil e vardenafil;
  • grave (Child C): avanafil controindicato.

Nei pazienti in terapia con α-bloccanti tutti i PDE5i devono essere iniziati alla dose minima raccomandata, per ridurre il rischio ipotensivo (a causa di effetti vasodilatatori additivi): le dosi suggerite sono 50 mg per avanafil, 25 mg per sildenafil, 5 mg per tadalafil e vardenafil.

Nei pazienti che assumono anti-aritmici di tipo 1A (come chinidina o procainamide) o di tipo 3 (come sotalolo o amiodarone) o in pazienti con sindrome del QT prolungato è sconsigliato l’uso di vardenafil per l’effetto sull'intervallo QT.

In pazienti che assumono farmaci che possono interferire con il metabolismo dei PDE5i, aumentandone la concentrazione ematica, quali anti-retrovirali, anti-fungini (fluconazolo, ketoconazolo, itraconazolo) e antibiotici (rifampicina e azitromicina), è consigliato utilizzare i PDE5 a basso dosaggio.

 

Limitazioni prescrittive
Tutti i PDE5i sono liberamente prescrivibili in fascia C.
Possono essere prescritti con il servizio sanitario nazionale (SSN) in specifiche condizioni, secondo nota AIFA 75: la prescrizione di inibitori della PDE5 a carico del SSN è limitata a pazienti con disfunzione erettile neurogena da lesione completa o incompleta del midollo spinale o del plesso pelvico, di origine traumatica, infiammatorio/degenerativa o iatrogena, secondo piano terapeutico specialistico (redatto da andrologo, endocrinologo, neurologo o urologo). Nel dettaglio, rimborsabili in fascia A sono: Cialis 20 mg, Sildenafil 25 mg, Spedra 100 o 200 mg.

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1SSVD Medicina ad Indirizzo Endocrino Metabolico, ASST Spedali Civili di Brescia
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(aggiornato al 30 agosto 2021)

 

Meccanismo d’azione
Attivazione dell’adenosin-monofosfato-ciclico (cAMP), coinvolto nel rilasciamento della muscolatura liscia peniena e quindi nel processo di erezione.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia

Somministrazione in iniezione intra-cavernosa:

Somministrazione trans-uretrale o topica:

  • contenitori mono-uso 300 µg (Vitaros)
  • bastoncino uretrale in busta singola 125 µg (Muse)
  • bastoncino uretrale in busta singola 250 µg (Muse)
  • bastoncino uretrale in busta singola 500 µg (Muse)
  • bastoncino uretrale in busta singola 1000 µg (Muse)

 

Indicazioni
Trattamento della disfunzione erettile.

 

Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo e/o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
Condizioni di predisposizione al priapismo, quali anemia falciforme, mieloma multiplo o leucemia.
Malformazioni anatomiche del pene.

 

Effetti collaterali
Principalmente a livello locale: dolore penieno, in genere modesto, ed ematomi a livello locale.
Più rare sono erezioni prolungate e complicazioni fibrotiche.
Molto rari effetti sistemici: ipotensione, aritmie e sudorazione.

 

Precauzioni
L’utilizzo contemporaneo con anti-coagulanti (come eparina o dicumarolici) aumenta il rischio di sanguinamento locale penieno, ma non rappresenta una controindicazione assoluta.

 

Limitazioni prescrittive
I preparati a base di alprostadil sono liberamente prescrivibili in fascia C.
Inoltre, alprostadil in iniezione intra-cavernosa al dosaggio di 10 µg può essere prescritto con il servizio sanitario nazionale (SSN) in specifiche condizioni, secondo nota AIFA 75 pazienti con disfunzione erettile da lesioni complete del midollo spinale o disfunzione erettile neurogena da lesione incompleta del midollo spinale o del plesso pelvico, qualora vi sia mancata risposta, intolleranza o controindicazione ai PDE5i.

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La terapia chirurgica può trovare indicazione come terza linea nei pazienti non responsivi ai trattamenti di prima e seconda linea (terapia orale, iniettiva, onde d’urto a bassa intensità) (1-3) e generalmente è rivolta ai pazienti con DE da danno vascolare o neurologico severo (es. cause anatomiche, iatrogene o traumatiche) (1-4).
Mentre l’approccio chirurgico standard si basa sull'impianto di protesi peniene (3,4), in rari casi selezionati possono essere utilizzare anche tecniche di rivascolarizzazione arteriosa (p.e. in pazienti giovani con DE arteriosa traumatica o da documentata stenosi isolata dell’arteria pudenda interna e senza fattori aggiuntivi di rischio CV) (3,4). Più personalizzato è l’approccio chirurgico alla DE da malattia di Peyronie (o da fibrosi dei corpi cavernosi), che può rappresentare una indicazione chirurgica specifica (1-4). Sono invece attualmente abbandonate e non raccomandate le tecniche di chirurgia venosa (4).

Le protesi peniene si suddividono sostanzialmente in due tipi:

  • le protesi malleabili (o semi-rigide) sono costituite da due cilindri che vengono impiantati nei corpi cavernosi e conferiscono al pene uno stato di rigidità parziale e permanente, sufficiente per avere un rapporto sessuale soddisfacente;
  • le protesi idrauliche prevedono la presenza, oltre ai due cilindri penieni, di un serbatoio che funge da sistema di gonfiaggio (o pompa di gonfiaggio), attivato dal paziente stesso quando desidera ottenere l’erezione. In base alle caratteristiche della pompa di gonfiaggio, queste protesi si distinguono, a loro volta, in protesi a due o a tre componenti:
    • nelle forme a due componenti il sistema di gonfiaggio è costituito da un unico serbatoio, contenente soluzione fisiologica sterile, che viene posizionato nella borsa scrotale;
    • le forme a tre componenti sono costituite da una micro-pompa non visibile, alloggiata nella borsa scrotale, e da un serbatoio che viene posto nello spazio pre-peritoneale in sede sovra-pubica. Il sistema è riempito da soluzione fisiologica sterile, che passa dal serbatoio ai cilindri in fase erettile e che invece rimane nel serbatoio in condizioni di detumescenza.

La scelta del tipo di protesi deve tenere conto di vari fattori, quali costo, manualità del paziente e tipo di intervento necessario per l'impianto (anche in base all’expertise dell’equipe chirurgica a cui si fa riferimento). Le protesi malleabili sono le meno costose e sono di facile gestione, ma hanno lo svantaggio della non perfetta detumescenza (si mantiene uno stato di parziale erezione permanente) e della mancata sensazione soggettiva dell'erezione (4). Le protesi idrauliche a tre componenti sono in genere preferite rispetto a quelle a due componenti, perchè simulano meglio l’erezione fisiologica (si associano a maggior differenza tra stato di flaccidità e di rigidità peniena, grazie al maggior volume di liquido immesso durante il gonfiaggio), ma richiedono una buona manualità per la gestione e sono più costose (4). Attualmente, le protesi idrauliche a tre componenti rappresentano la scelta terapeutica più utilizzata (oltre il 95% dei casi), con soddisfazione dei pazienti in circa il 90% dei casi (5,6). Sono, quindi, le protesi consigliate, tranne che nei pazienti in cui è controindicato o non possibile il posizionamento del serbatoio in sede pre-peritoneale (4).
L’impianto protesico è potenzialmente sconsigliato in tutte quelle condizioni di aumentato rischio infettivo e le principali complicanze dell’impianto protesico sono rappresentate, oltre che dalle infezioni, dalle erosioni della protesi e dalle dislocazioni dei componenti (con conseguente necessità di re-intervento) (4,7).

 

Bibliografia

  1. Salonia A, Bettocchi C, Carvalho J, et al. EAU Guidelines on Sexual and Reproductive Health. European Association of Urology. 2020.
  2. Shamloul R, Ghanem H. Erectile dysfunction. Lancet 2013, 381: 153–65.
  3. Yafi FA, Jenkins L, Albersen M, et al. Erectile dysfunction. Nat Rev Dis Primers 2016, 2: 16003.
  4. Levine LA, Becher E, Bella A, et al. Penile prosthesis surgery: current recommendations from the International Consultation on Sexual Medicine. J Sex Med 2016, 13: 489-518.
  5. Segal RL, Camper SB, Burnett AL. Modern utilization of penile prosthesis surgery: a national claim registry analysis. Int Impot Res 2014, 26: 167-71.
  6. Montorsi F, Rigatti P, Carmignani G, et al. AMS three-piece inflatable implants for erectile dysfunction: a long-term multi-institutional study in 200 consecutive patients. Eur Urol 2000, 37: 50-5.
  7. Cakan M, Demirel F, Karabacak O, et al. Risk factors for penile prosthetic infection. Int Urol Nephrol 2003, 35: 209-13.
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Modifiche dello stile di vita
L’approccio educativo-comportamentale è di primaria e fondamentale importanza in determinate categorie di soggetti affetti da DE (1). In particolare, il paziente con DE a prevalente o concomitante genesi vascolare può migliorare la propria funzione erettile agendo direttamente sulle cause, attraverso comportamenti attivi e responsabilizzanti. Le principali e auspicabili modifiche dello stile di vita sono la riduzione dell’eccessivo peso corporeo, l’astensione dal fumo di sigaretta, la corretta alimentazione e l’adeguato controllo dei fattori di rischio cardio-metabolici laddove presenti, quali ipertensione, diabete, dislipidemie e sindrome metabolica (1-3). In aggiunta, è stato osservato che l’attività fisica regolare, in particolare aerobica, svolge un ruolo importante nel trattamento della DE, sia organica (per effetto protettivo CV) che psicogena (per effetto anti-stress) (4).

 

Psicoterapia sessuale
Il paziente con DE a prevalente o concomitante componente relazionale o intra-psichica può trovare sostegno dal trattamento psico-sessuologico (5). La psicoterapia sessuale prevede un approccio breve (15-20 sedute), volto a ridefinire e migliorare la sessualità della coppia disfunzionale, in cui è presente almeno un partner con disfunzione sessuale (5,6). Questo approccio prevede la prescrizione in fasi progressive di specifiche mansioni sessuali da far svolgere alla coppia, al fine di riportarla gradualmente a una sessualità soddisfacente (7). La finalità dello psicoterapeuta è prendersi carico del successo (o dell’insuccesso) della sessualità della coppia, deresponsabilizzando “la coppia-paziente” e alleviandone la componente psicogena correlata al disturbo sessuale (7).

 

Terapia con onde d’urto a bassa intensità
Nell’ultimo decennio la terapia con onde d’urto a bassa intensità (LI-SWT) ha progressivamente raccolto una serie di evidenze scientifiche a sostegno dell’efficacia per il trattamento della DE a genesi vascolare, come riportato nelle ultime linee guida urologiche europee (1,8). L’utilizzo di onde d’urto può, infatti, stimolare il rilascio di sostanze vasoattive (quali VEGF e ossido nitrico), che possono migliorare la funzione endoteliale peniena (9). Tuttavia, ad oggi il protocollo di trattamento con LI-SWT non è stato ancora standardizzato e le evidenze di efficacia non sono ancora conclusive (1,9). Un recente studio suggerisce però che questo trattamento può migliorare la funzione erettile e i parametri emodinamici in uomini con DE vascolare di grado lieve e senza arteriopatia cavernosa peniena, che potrebbero dunque essere i pazienti in cui tale terapia potrebbe essere effettivamente indicata (10).

 

Terapia meccanica (vacuum device)
Questo approccio può essere indicato come alternativa terapeutica di seconda linea nel paziente con DE che non abbia beneficiato di altre terapie di prima e seconda linea. Si tratta di dispositivi meccanici che possono essere utilizzati dal paziente per indurre un'erezione, sfruttando “l’effetto vuoto” creato da una pompa aspirante. Tali dispositivi sono costituiti da un apparecchio cilindrico di silicone, al cui interno il paziente inserisce il pene in condizioni di flaccidità. Una pompa aspirante (manuale o elettrica) viene collegata all’apparecchio cilindrico per aspirarne l'aria, creando al suo interno una pressione negativa di 100-150 mmHg. Entro due-tre minuti, la pressione negativa generata nel dispositivo determina un richiamo di sangue nel pene, consentendo l'erezione. Per evitare che l’erezione svanisca appena rimosso il dispositivo, si applica un sottile anello elastico compressivo alla base del pene (per evitare che il flusso sanguigno abbandoni il circolo penieno). Tale approccio terapeutico è limitato dalla bassa soddisfazione riportata dai pazienti e dagli effetti avversi (dolore penieno, bruciore, aneiaculazione, ematomi), con alti tassi di abbandono (11,12). Questi dispositivi sono inoltre sconsigliati in pazienti con disordini coagulativi o in terapia anti-coagulante (12).

 

Riabilitazione funzionale del pavimento pelvico
La disfunzione del pavimento pelvico si può associare a DE e pertanto, in tale contesto, gli esercizi di rieducazione funzionale del pavimento pelvico (quali gli esercizi di Kegel) potrebbero rappresentare un utile supporto terapeutico (13,14). Tale rieducazione funzionale potrebbe essere utile in particolare nei pazienti con DE neurogena insorta a seguito di prostatectomia o radioterapia pelvica (15). Tuttavia, vi sono poche evidenze sull’utilità della rieducazione funzionale pelvica nel paziente con DE, per cui tale trattamento non è menzionato nelle correnti linee guida (1).

 

Bibliografia

  1. Salonia A, Bettocchi C, Carvalho J, et al. EAU Guidelines on Sexual and Reproductive Health. European Association of Urology. 2020.
  2. Shamloul R, Ghanem H. Erectile dysfunction. Lancet 2013, 381: 153–65.
  3. Yafi FA, Jenkins L, Albersen M, et al. Erectile dysfunction. Nat Rev Dis Primers 2016, 2: 16003.
  4. Allen MS. Physical activity as an adjunct treatment for erectile dysfunction. Nat Rev Urol 2019, 16: 553-62.
  5. Giommi R, Corona G, Maggi M. The therapeutic dilemma: how to use psychotherapy. Int J Androl 2005, 28, 2: 81-5.
  6. Boddi V, Castellini G, Casale H, et al. An integrated approach with vardenafil orodispersible tablet and cognitive behavioral sex therapy for treatment of erectile dysfunction: a randomized controlled pilot study. Andrology 2015, 3: 909-18.
  7. Jannini EA, Lenzi A, Maggi M. Sessuologia Medica. Trattato di psicosessuologia, medicina della sessualità e salute della coppia. II edizione. Edra 2017.
  8. Dong L, Chang D, Zhang X, et al. Effect of low-intensity extracorporeal shock wave on the treatment of erectile dysfunction: a systematic review and meta-analysis. Am J Mens Health 2019, 13: 1557988319846749.
  9. Capogrosso P, Frey A, Jensen CFS, et al. Low-intensity shock wave therapy in sexual medicine—Clinical Recommendations from the European Society of Sexual Medicine (ESSM). J Sex Med 2019, 16: 1490-505.
  10. Caretta N, De Rocco Ponce M, Minicuci N, et al. Efficacy of penile low-intensity shockwave treatment for erectile dysfunction: correlation with the severity of cavernous artery disease. Asian J Androl 2021, DOI: 10.4103/aja.aja_15_21.
  11. Graham P, Collins JP, Thijssen A. Popularity of the vacuum erection device in male sexual dysfunction. Int J Impot Res 1998, 10: S6.
  12. Montorsi F, Adaikan G, Becher E, et al. Summary of the recommendations on sexual dysfunctions in men. J Sex Med 2010, 7: 3572-88.
  13. Padoa A, et al. The Overactive Pelvic Floor (OPF) and Sexual Dysfunction. Part 1: Pathophysiology of OPF and its impact on the sexual response. Sex Med Rev 2021, 9: 64-75.
  14. Padoa A, et al. The Overactive Pelvic Floor (OPF) and Sexual Dysfunction. Part 2: Evaluation and treatment of sexual dysfunction in OPF patients. Sex Med Rev 2021, 9: 76-92.
  15. Nicolai M, Urkmez A, Sarikaya S, et al. Penile rehabilitation and treatment options for erectile dysfunction following radical prostatectomy and radiotherapy: a systematic review. Front Surg 2021, 8: 636974.
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Antonio Aversa
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Catanzaro Magna Graecia

 

Definizione
Con il termine di eiaculazione precoce (EP) si definisce una condizione clinica caratterizzata dalla mancanza di controllo sul tempo che intercorre tra la penetrazione e l’orgasmo (chiamato con l’acronimo IELT: Intravaginal Eiaculatory Latency Time), e dall’impatto negativo sul soggetto e sulla coppia, che si manifesta con disagio, frustrazione, fino al graduale evitamento dei rapporti intimi. In alcuni casi, l’eiaculazione si può verificare prima della penetrazione vaginale o in assenza di erezione.
Queste 3 dimensioni del problema (controllo, tempo, distress) sono state riaffermate nella recente “definizione unificata” (valida per entrambe le forme, idiopatica ed acquisita) nella Consensus ad hoc del 2014 (1), nel corso della quale è stato precisato che la EP è una disfunzione sessuale maschile caratterizzata da:

  • eiaculazione che si verifica sempre o quasi sempre entro 1 minuto dalla penetrazione vaginale (EP idiopatica), o dopo un tempo di latenza ≤ 3 minuti (EP acquisita);
  • incapacità di ritardare l’eiaculazione in tutte o quasi tutte le penetrazioni vaginali;
  • conseguenze negative a livello personale, quali disagio, fastidio, frustrazione e tendenza ad evitare i rapporti sessuali.

Si distinguono forme assolute, che si verificano con qualsiasi partner e in ogni situazione, e forme relative o relazionali, in cui la precocità si manifesta in determinate situazioni o con definiti partner. Si riconoscono inoltre forme ante-portas e intra-mœnia, a seconda che l'eiaculazione avvenga prima o durante la penetrazione.

 

Epidemiologia
L’EP può manifestarsi in qualunque età, sebbene sia più comune tra gli uomini più giovani senza partner fisso/a (18-30 anni), ma può anche manifestarsi insieme a disfunzione erettile secondaria, in uomini di età compresa tra i 45 e i 65 anni.
Ha una prevalenza stimata del 4% circa della popolazione generale, anche se in alcune categorie a rischio, come la popolazione che si rivolge a visita andrologica, può arrivare sino al 20-25%.

 

Patogenesi
Come per altre patologie del comportamento sessuale, le cause della EP possono essere organiche o psicogene, ma sarebbe più corretto chiamare quest'ultime idiopatiche o non-organiche, non essendo in alcun modo obiettivabile la natura psicogena del sintomo. Queste sono comunque ritenute le più frequenti, forse anche per un deficit di approfondimento diagnostico. Prima di qualsiasi intervento terapeutico deve essere accuratamente presa in considerazione la possibilità che i disturbi dell’eiaculazione possano essere riconducibili a cause congenite, infettive, neurologiche, endocrine o chirurgiche (tabella 1).

 

Tabella 1
Cause di eiaculazione precoce
Organiche Endocrine Ipogonadismo maschile
Ipertiroidismo
Iperprolattinemia
Diabete mellito
Infettivo-infiammatorie

Male Accessory Gland Infections (MAGI), in particolare:

  • MAGI non complicate, identificabili nelle categorie di prostatite secondo la classificazione NIH:
    • II = prostatiti croniche batteriche (tipo II);
    • IIIa = prostatiti infiammatorie;
    • IIIb = prostatiti non infiammatorie/dolore cronico pelvico
  • MAGI complicate: prostato-vescicoliti, prostato-vescicolo-epididimiti
Urologiche Patologie organo-terminali: fimosi, frenulo corto del prepuzio
Neurologiche Sclerosi multipla
Spina bifida
Tumori della corda spinale
Neuropatia periferica
Processi espansivi midollari
Iatrogene Amfetamine
Agonisti dopaminergici
Agonisti adrenergici
Voluttuarie Assunzione di droghe (cocaina)
Psiconeuroendocrine Alterati meccanismi ormonali: alterato/inadeguato tono serotoninergico, geneticamente determinato da polimorfismo genetico nel gene trasportatore per la ricaptazione della serotonina (5-HT)
Alterazioni reflessogene: disturbi muscolo-tensivi a carico del pavimento pelvico; dei muscoli bulbo-cavernosi; iperreflessività peniena
Alterazioni neurologiche: alterato tempo di latenza e/o di conduzione dello stimolo nervoso
Effetto iatrogeno: riconducibile a una o a entrambe le suddette interpretazioni biologiche
Alterazioni vascolari: nei casi di EP secondaria, specie se associata a disfunzione erettile; anorgasmia della partner

 

Il riflesso eiaculatorio è sotto il controllo e la mediazione del sistema nervoso centrale e periferico. Il controllo centrale è esercitato dal sistema serotoninergico (inibitorio) e dopaminergico (facilitatorio). Il controllo periferico è esercitato invece dai sistemi simpatico e parasimpatico che modulano rispettivamente le due distinte fasi dell’eiaculazione: l’emissione e l’espulsione. La serotonina (5-HT) è considerata il neurotrasmettitore chiave ad azione inibitoria coinvolto nel processo dell’eiaculazione. Spesso, i soggetti con EP hanno una soglia eiaculatoria geneticamente fissata a un livello più basso di 5-HT, per effetto di un’iposensibilità del recettore serotoninergico 5-HT2C presente nella terminazione post-sinaptica e di un’ipersensibilità dell’auto-recettore 5-HT1A presente sul corpo cellulare e nella terminazione pre-sinaptica ad azione inibitoria sul rilascio di 5-HT. In quest’ottica, l’EP life-long può essere geneticamente determinata, dovuta ad uno specifico polimorfismo genetico nel gene trasportatore per la ricaptazione di 5-HT (2).
I livelli di ormonali circolanti sembrano modulare il riflesso eiaculatorio maschile: maggiore è il livello di testosterone e  più rapida sarebbe l'eiaculazione, maggiore è il livello di prolattina e tireotropina e più lenta sarebbe l'eiaculazione. Fondamentale anche a tale proposito il dato sperimentale che evidenzia un ruolo regolatorio stimolante degli androgeni per il tramite del GRP-peptide  di  rilascio  della  gastrina, sull'attività della rete neuronale del midollo spinale lombo-sacrale che controlla l’eiaculazione e l’erezione; stimolazione che viene inibita dalla carenza di androgeni e/o da una condizione stressogena (3).

 

Diagnostica
La patologia dell’eiaculazione, come tutte le disfunzioni sessuali, è da considerarsi sintomo, piuttosto che disfunzione, e come tale, necessita di una diagnosi integrata che parta dalle condizioni fisiche del paziente per estendersi agli aspetti sia intra-psichici che relazionali.
La diagnosi di EP si basa sulla storia clinica e sessuale del paziente. Un corretto approccio diagnostico dell’EP inizia quindi con un’accurata raccolta anamnestica. Il periodo d’insorgenza del disturbo distingue l’EP idiopatica da quella acquisita. Si indaga poi il parametro tempo, misurando lo IELT con un cronometro o, meglio, chiedendo al soggetto qual è il suo IELT percepito. Poiché il tempo non è l’unica variabile da considerare (di fatto esiste una sovrapposizione in termini di IELT fra uomini con e senza EP), si valutano poi i fattori riportati dal paziente relativi alla percezione del controllo, al disagio personale, all’impatto di coppia e alla soddisfazione sessuale, utilizzando appositi questionari validati (ad esempio il Premature Ejaculation Diagnostic Tool, tabella 2).

 

Tabella 2
Premature Ejaculation Diagnostic Tool
Quanto è difficile per te ritardare l’eiaculazione? Per niente: 0
Un po’ difficile: 1
Moderatamente difficile: 2
Molto difficile: 3
Estremamente difficile: 4
Ti capita di eiaculare prima di quando vorresti? Quasi mai o mai (0% delle volte): 0
Meno della metà delle volte (circa il 25% delle volte): 1
Circa il 50% delle volte: 2
Più della metà delle volte (circa il 75% delle volte): 3
Quasi sempre o sempre (100% delle volte): 4
Ti capita di eiaculare con una minima stimolazione? Quasi mai o mai (0% delle volte): 0
Meno della metà delle volte (circa il 25% delle volte): 1
Circa il 50% delle volte: 2
Più della metà delle volte (circa il 75% delle volte): 3
Quasi sempre o sempre (100% delle volte): 4
Ti senti frustrato perché eiaculi prima di quando vorresti? Per niente: 0
Un po’: 1
Moderatamente: 2
Molto: 3
Estremamente: 4
Quanto sei preoccupato che la durata del tempo per eiaculare lasci insoddisfatta la tua partner? Per niente: 0
Un po’: 1
Moderatamente: 2
Molto: 3
Estremamente: 4

Attribuisci il relativo punteggio ad ogni domanda e fai la somma:

  • < 8: si esclude eiaculazione precoce
  • 9-10: probabile eiaculazione precoce
  • > 11: eiaculazione precoce

 

L’esame obiettivo permette di valutare l’integrità dell’apparato sessuale (ad esempio frenulo corto o parafimosi), ma anche di sospettare la presenza di potenziali cause organiche, come sintomi di ipertiroidismo (tremore, magrezza, agitazione, tachicardia), di prostatiti o di altre malattie croniche. È importante in questa fase escludere la presenza concomitante di altre disfunzioni sessuali, in particolare della disfunzione erettile (DE).
Esami di laboratorio e altri accertamenti dovrebbero essere richiesti sulla base di elementi precisi emersi dalla storia clinica o dall’esame obiettivo, e non sempre da eseguire di routine (tabella 3).

 

Tabella 3
Diagnostica della eiaculazione precoce
Indagini di laboratorio Esame batterioscopico e colturale del liquido seminale ed eventuale antibiogramma
Esame batterioscopico e colturale delle urine con eventuale antibiogramma
Dosaggi ormonali (testosterone, prolattina, TSH)
Esami ematochimici (se concomita patologia sistemica cronica)
Indagini strumentali Ecografia didimo-epididimaria
Ecografia  prostato-vescicolare per via trans-rettale
Biotesiometria peniena (metodica neurologica per valutare la sensibilità cutanea del pene) non più usata
Studio della velocità di conduzione del nervo pudendo

 

 

Terapia
La classe di farmaci maggiormente utilizzata nella EP è costituita dagli inibitori selettivi della ricaptazione di 5-HT (SSRI).
In Italia, da luglio 2009 è in commercio l’unico farmaco ad oggi approvato per la cura della EP, la dapoxetina, che agisce impedendo selettivamente la ricaptazione della 5-HT. È disponibile in due dosaggi (30 mg, dosaggio iniziale raccomandato, e 60 mg) e possiede proprietà farmacocinetiche tali (rapidità d’azione e breve emivita) da essere utilizzata al bisogno, 1-3 ore prima del rapporto sessuale. È stata utilizzata, in tutto il mondo, su oltre 6000 soggetti affetti da EP moderata-grave, incrementando di circa 3-4 volte, sin dalla prima dose, l’IELT medio rispetto al basale e migliorando tutte le misure riguardanti la sensazione di controllo sull’eiaculazione (4). Anche le partner di uomini trattati con dapoxetina hanno mostrato benefici, dichiarando un aumento della soddisfazione per il rapporto sessuale e riportando punteggi simili a quelli delle partner degli uomini senza EP. Gli studi clinici condotti con dapoxetina hanno evidenziato un buon profilo di tollerabilità e sicurezza. Complessivamente, gli effetti collaterali più comuni, dose-dipendenti, sono stati nausea, diarrea, mal di testa e capogiri. Per la maggior parte sono stati di natura lieve e transitoria, sono comparsi maggiormente all’inizio del trattamento e solo in pochi casi hanno causato l’interruzione del farmaco. Eventi avversi cardio-vascolari sono stati segnalati in una percentuale di pazienti inferiore al 3%. I casi di sincope, definiti benigni, di natura vaso-vagale, verificatisi per lo più dopo poche ore dalla prima assunzione, non associati a tachiaritmie e con risoluzione spontanea, non si sono più presentati una volta che i soggetti sono stati successivamente istruiti a mantenere un corretto stato di idratazione (per esempio assumendo il farmaco con un bicchiere pieno di acqua)(4). L’utilizzo cronico di SSRI (paroxetina, citalopram, escitalopram) è al momento vietato per tale condizione, e si riserva per quei casi selezionati che non rispondono alla terapia codificata con dapoxetina; fermo restando la stretta sorveglianza medica, in quanto sono frequenti eventi avversi seri, soprattutto alla sospensione della terapia.
In caso di comorbilità di EP con DE, è possibile associare dapoxetina ai farmaci pro-erettivi, come gli inibitori della 5-fosfodiesterasi; ovviamente, per una possibile riduzione della tolleranza ortostatica, occorre comunque usare cautela in questa associazione farmacologica. Nella EP idiopatica il vardenafil ha mostrato un discreto effetto sullo IELT anche in mono-terapia (5), effetto probabilmente mediato dalla presenza dell’enzima nei deferenti e nella prostata, dalla capacità di ridurre il periodo refrattario (che permette un secondo rapporto in tempi brevi) e dalla riduzione dell’ipertono adrenergico presente in molti di questi pazienti (6).
In caso di fallimento terapeutico e, spesso in sinergia con le terapie farmacologiche (7), vi sono altri strumenti di ausilio terapeutico dello specialista:

  • sexual counseling: si consiglia di tenere rilasciato lo sfintere anale durante la penetrazione, o la pratica del coitus interruptus o di utilizzare pomate anestetiche a base di lidocaina;
  • terapia comportamentale: si basa fondamentalmente sulla tecnica dello squeeze. Il paziente, e poi il partner, impara a controllare l'emissione stringendo il glande energicamente tra le dita durante la fase di eccitazione. In alternativa, si può consigliare di adottare la tecnica dello stop and start, ove si impone alla coppia di fermarsi prima dell’emissione fino alla conseguente riduzione dell'erezione. Il gioco sessuale ricomincia fino al nuovo approssimarsi della fase di emissione, che viene nuovamente bloccata per un numero di volte e con modalità che vengono accuratamente prescritte dal terapeuta.

Si ricorda infine la necessità di trattamenti eziologici: antibiotici e/o anti-flogistici nelle forme associate a eziologia infiammatoria delle ghiandole sessuali accessorie maschili e tireostatici in quelle dovute a ipertiroidismo.

 

Bibliografia

  1. Althof SE, McMahon CG, Waldinger MD, et al. An update of the International Society of Sexual Medicine's guidelines for the diagnosis and treatment of premature ejaculation (PE). J Sex Med 2014, 11: 1392-422.
  2. Janssen PK, Bakker SC, Réthelyi J, et al. Serotonin transporter promoter region (5-HTTLPR) polymorphism is associated with the intravaginal ejaculation latency time in Dutch men with lifelong premature ejaculation. J Sex Med 2009, 6: 276-84.
  3. Corona G, Jannini EA, Lotti F, et al. Premature and delayed ejaculation: two ends of a single continuum influenced by hormonal milieu. Int J Androl 2011, 34: 41-8.
  4. Yue FG, Dong L, Hu TT, Qu XY. Efficacy of dapoxetine for the treatment of premature ejaculation: a meta-analysis of randomized clinical trials on intravaginal ejaculatory latency time, patient-reported outcomes, and adverse events. Urology 2015, 85: 856-61.
  5. Aversa A, Pili M, Francomano D, et al. Effects of vardenafil administration on intravaginal ejaculatory latency time in men with lifelong premature ejaculation. Int J Impot Res 2009, 21: 221-7.
  6. Francomano D, Donini LM, Lenzi A, Aversa A. Peripheral arterial tonometry to measure the effects of vardenafil on sympathetic tone in men with lifelong premature ejaculation. Int J Endocrinol 2013, 2013: 394934.
  7. Aversa A, Lenzi A. Sexual dysfunction: a practical approach to men with premature ejaculation. Nat Rev Urol 2014, 11: 496-8.
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Antonio Aversa
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Catanzaro Magna Graecia

 

Meccanismo d’azione
Inibitore selettivo della ricaptazione di serotonina.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Compresse rivestite da 30 e 60 mg (Priligy) per uso orale. Le compresse devono essere deglutite intere, per evitare di sentire un sapore amaro. Si raccomanda di assumere le compresse con almeno un bicchiere pieno d’acqua. Può essere assunto indipendentemente dai pasti.
La dose iniziale raccomandata per tutti i pazienti è di 30 mg, da assumere al bisogno, circa 1-3 ore prima dell’attività sessuale. Il trattamento con Priligy non deve essere iniziato con la dose da 60 mg. Priligy non è destinato ad uso quotidiano continuato. Priligy deve essere assunto solo quando è prevista un'attività sessuale. Priligy non deve essere assunto più di una volta nelle 24 ore.
Se la risposta individuale alla dose da 30 mg non è sufficiente e il paziente non ha mostrato reazioni avverse moderate o severe o sintomi prodromici indicativi di sincope, è possibile aumentare la dose fino a quella massima raccomandata di 60 mg, assunti al bisogno da 1 a 3 ore prima dell’attività sessuale.
L’incidenza di eventi avversi è superiore con la dose da 60 mg. Se il paziente ha manifestato reazioni ortostatiche alla dose iniziale, la dose non deve essere aumentata a 60 mg. Dopo le prime quattro settimane di trattamento (o dopo almeno 6 dosi di trattamento), deve essere effettuata dal medico un’attenta valutazione dei rischi e dei benefici di Priligy, per decidere se è opportuno continuare il trattamento. Dati sull'efficacia e la sicurezza oltre le 24 settimane sono limitati. La necessità clinica di continuare il trattamento ed il rapporto rischio/beneficio devono essere rivalutati almeno ogni sei mesi.

 

Indicazioni
Trattamento dell’eiaculazione precoce (EP) in uomini adulti di età compresa tra 18 e 64 anni.
Deve essere prescritto solo a pazienti che soddisfano tutti i seguenti criteri:

  • tempo di latenza eiaculatoria intra-vaginale (intravaginal ejaculatory latency time - IELT) < 2 minuti;
  • eiaculazione persistente o ricorrente alla minima stimolazione sessuale, prima, durante o appena dopo la penetrazione e prima che il paziente lo desideri;
  • spiccato disagio personale o difficoltà inter-personale conseguente all’EP;
  • scarso controllo dell’eiaculazione;
  • storia di eiaculazione precoce nella maggior parte dei rapporti sessuali nei 6 mesi precedenti.

Deve essere somministrato solo come trattamento su richiesta prima di una prevista attività sessuale.
Non deve essere prescritto per ritardare l’eiaculazione in uomini a cui non è stata diagnosticata EP.

 

Contro-indicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o a uno qualsiasi degli eccipienti.
Condizioni patologiche significative a carico del cuore come: insufficienza cardiaca (NYHA classe II-IV); anomalie della conduzione come blocco AV o sindrome del seno malato; cardiopatia ischemica significativa; cardiopatia valvolare significativa.
Storia di sincope.
Storia di mania o depressione severa.
Disfunzione epatica di grado moderato e grave.
Trattamento concomitante con potenti inibitori del CYP3A4, come ketoconazolo, itraconazolo, ritonavir, saquinavir, telitromicina, nefazodone, nelfinavir, atazanavir, ecc.
Questi farmaci non devono essere assunti contemporaneamente o prima di 7 giorni dall’interruzione del trattamento e devono passare almeno 14 giorni dalla loro interruzione prima di somministrare dapoxetina: inibitori delle mono-amino-ossidasi, tioridazina, SSRI, SNRI, anti-depressivi triciclici o altri prodotti medicinali/erboristici ad effetto serotoninergico (triptofano, triptani, tramadolo, linezolid, litio, erba di S. Giovanni).

 

Effetti collaterali
Negli studi clinici sono stati riportati sincope e ipotensione ortostatica.
Le seguenti reazioni avverse sono state riportate più comunemente durante gli studi clinici di fase III e sono risultate dose-correlate: nausea (11% e 22.2% rispettivamente nei gruppi di pazienti che hanno assunto dapoxetina 30 mg e dapoxetina 60 mg al bisogno), capogiri (5.8% e 10.9%), cefalea (5.6% e 8.8%), diarrea (3.5% e 6.9%), insonnia(2.1% e 3.9%) e affaticamento (2% e 4.1%).
Gli eventi avversi più comuni che hanno portato alla sospensione del trattamento sono stati nausea (2.2%) e capogiri (1.2%).

 

Precauzioni
Evitare in caso di:

  • anamnesi positiva per reazione ortostatica (documentata o sospetta);
  • uso di droghe ad uso ricreativo (chetamina, MDMA, LSD);
  • associazione con alcool, narcotici e benzodiazepine;
  • anamnesi positiva per mania/ipomania o disturbo bipolare, depressione, schizofrenia;
  • epilessia;
  • pazienti di età inferiore ai 18 anni.

Usare con cautela nei pazienti:

  • che assumono alfa-bloccanti e nitrati (rischio di vasodilatazione eccessiva);
  • che assumono medicinali noti per esercitare un effetto sulla funzione piastrinica: anti-psicotici atipici e fenotiazine, acido acetil-salicilico, FANS, anti-aggreganti o anti-coagulanti (rischio emorragia);
  • con disfunzione renale;
  • con pressione intra-oculare aumentata o rischio di glaucoma.

 

Limitazioni prescrittive
Libera prescrizione in classe C

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Giancarlo Balercia
Clinica di Endocrinologia, Università Politecnica delle Marche

Le disfunzioni sessuali femminili (DSF) comprendono un insieme di disturbi di origine multifattoriale e multidimensionale, che comportano l’insorgenza di un profondo disagio a impatto negativo sulla qualità di vita della persona. Circa il 45% della popolazione femminile presenta vari disturbi definiti come DSF (1).
Le DSF vengono classificate come (2,3):

  • disturbo del desiderio sessuale ipoattivo (DDSI);
  • disordini della fase di eccitamento;
  • disordini della fase orgasmica;
  • dolore sessuale, che comprende dispareunia, vaginismo e dolore non associato a rapporti coitali.

 

Disturbo del desiderio sessuale ipoattivo
Il DDSI viene definito come la “riduzione o assenza di desiderio sessuale e fantasie-pensieri sessuali, associato alla perdita di risposta a vari stimoli erotici ed alla riduzione della motivazione sessuale, in grado di provocare una profonda sensazione di disagio personale e inter-personale” (1).
Diversi studi epidemiologici condotti negli Stati Uniti e in diversi paesi europei dimostrano come il DDSI nella popolazione femminile può raggiungere il 45% dei soggetti, fino ad arrivare al 60% con l’avanzare dell’età (4), con un rapporto donna:uomo di 2:1 o 3:1 in alcune casistiche.
L’eziologia del deficit del desiderio sessuale femminile può essere suddivisa in:

  • fattori psicologici, personali e inter-personali: immagine personale, umore, ansia e intensità del trasporto emozionale con il partner;
  • fattori biologici: presenza di depressione e terapia con anti-depressivi, squilibri ormonali come iperprolattinemie, ipotiroidismo e menopausa.

La diagnosi del DDSI è spesso molto difficoltosa, in quanto spesso la paziente non vive questa condizione come un disagio e ciò può essere la conseguenza di numerosi fattori personali, come l’etnia, il livello culturale e l’impostazione educativa familiare, le condizioni sociali, l’età e la storia sessuale passata e presente. La diagnosi viene posta tramite un colloquio dettagliato con la paziente, che indaghi in particolare lo sviluppo psico-sessuale passato con l’utilizzo di specifici test psicometrici (vedi allegato a fondo pagina) (5), le condizioni di vita attuali, la storia clinica e farmacologica, concludendo poi l’iter diagnostico con eventuali esami di laboratorio e strumentali.
La terapia medica del DDSI si basa sull’utilizzo di farmaci per il ripristino delle basi endocrine e neurochimiche della libido e, quando necessario, è opportuno associare anche un counselling individuale e/o di coppia (6). Tra le terapie mediche, utilizzate in particolare in caso di menopausa, troviamo gli estro-progestinici, il testosterone trans-dermico (300 µg/die), il tibolone e il deidroepiandrosterone. La terapia del DDSI richiede comunque un’integrazione tra l’approccio biologico e quello psico-relazionale.

 

Dispareunia
Viene definita come il persistente o ricorrente dolore genitale durante i tentativi di penetrazione o durante la penetrazione completa vaginale nel rapporto sessuale (2,6). Colpisce circa il 12-15% delle donne in età fertile (1) e il 45% delle donne in post-menopausa.
Si distinguono tre tipi di dispareunia a seconda della sede del dolore (7):

  • introitale o superficiale;
  • medio-vaginale;
  • profonda.

L’eziologia è multifattoriale e vede cause biologiche, psicosessuali e relazionali. Soprattutto il caso della forma superficiale e/o medio-vaginale dipende da fattori biologici, come le malattie infettive (candidosi cronica, infezioni batteriche e/o recidivanti da Gardnerella, Papillomavirus, vaginiti, …), oppure cause ormonali, come atrofie e distrofie vulvo-vaginali per carenza di estrogeni e/o androgeni. Vi possono poi essere cause muscolari, con ipertono del pavimento pelvico, neurologiche (neuropatie sistemiche e periferiche), connettivali e immunitarie, vascolari e anatomiche (imene cribroso, fibroso, agenesia vaginale e sindrome di Rokitansky) e cause iatrogene, come effetti collaterali della chirurgia perineale e pelvica ed esiti di radioterapia perineale.
La dispareunia profonda, con il dolore localizzato nella vagina posteriore o nello scavo pelvico, vede come cause principali l’endometriosi, la malattia infiammatoria pelvica, gli esiti di radioterapia pelvica, la sindrome da intrappolamento dei nervi cutanei addominali e dei nervi pelvici.
La diagnosi di dispareunia viene posta tramite anamnesi ed esame obiettivo accurati, valutando localizzazione, intensità e durata del dolore. Spesso vi sono sintomi di accompagnamento: bisogno di urinare dopo il rapporto, sintomi cistitici, secchezza vaginale, prurito e bruciore.
La terapia prevede un approccio multidisciplinare, con la necessità di individualizzare il trattamento basandosi sull’anamnesi sessuale e medica della paziente.

 

Anorgasmia
È definita come difficoltà persistente o ricorrente a raggiungere l’orgasmo, nonostante un adeguato stimolo ed eccitamento, che causa un distress (6).
Può essere classificata in:

  • primitiva: la donna non ha mai avuto un orgasmo;
  • secondaria: perdita della capacità di provare l’orgasmo;
  • casuale: è dovuta a circostanze occasionali.

In base all’eziologia, viene distinta in organica, psicogena o mista.
Tra le cause organiche troviamo il deficit di estrogeni e/o androgeni nelle donne in menopausa spontanea o iatrogena; esiti di danni ostetrici, chirurgici o attinici. È necessario indagare anche l’eventuale assunzione di alcol o droghe che possono deprimere l’attività del sistema nervoso centrale e possono inibire l’orgasmo soprattutto nel caso di abuso cronico. Tra le cause psicologiche ritroviamo stati di ansia e di depressione.
Non vi sono sostanze farmacologiche approvate per l’anorgasmia femminile (8), anche se esistono studi indipendenti o sponsorizzati che hanno ricercato una possibile efficacia e sicurezza di farmaci che agiscono sulle strutture sessuali centrali e periferiche.

 

Bibliografia

  1. Laumann EO, Paik A, Rosen RC. Sexual dysfunction in the United States: prevalence and predictors. JAMA 1999, 281: 537-44.
  2. Basson R et al. Report of the International Consensus Development Conference on female sexual dysfunction: definitions and classifications. J Urol 2000, 163: 888-93.
  3. American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders-DSM-IV, 4thed. American Psychiatric Association Press, Washington DC, 1994.
  4. Van Turnhout AA, Hage JJ, van Diest PJ. The female corpus spongiosum revisited. Acta Obstet Ginecol Scand 1995, 74: 767-71.
  5. Basson R. Women’s sexual dysfunction: revised and expanded definition. CMAJ 2005, 172: 1327-33.
  6. Basson R et al. Definitions of women’s sexual dysfunctions reconsidered: advocating expansion and revision. J Psychosom Obstet Gynecol 2003, 24: 221-9.
  7. Meana M, et al. Dyspareunia: sexual dysfunction or pain syndrome? J Nerv Ment Dis 1997, 185: 561-9.
  8. Furcroy JL. Female sexual dysfunction: potential for pharmacotherapy. Drugs 2003, 63: 1445-57

 

Allegato
Domande guidate durante il colloquio

Da rivolgere alla coppia:

  1. chiedere alla coppia di spiegare a proprio modo i problemi sessuali presenti o presunti tali;
  2. chiedere qual è il periodo di insorgenza dei disturbi sessuali e, soprattutto, se si presentano sporadicamente o in modo persistente;
  3. cercare di determinare il contesto e la fase in cui si instaura il disturbo;
  4. chiedere quanta carica erotica e comunicativa presentano i contesti in cui si svolge l’attività sessuale; con quale frequenza e in quale momento della giornata la coppia consuma il rapporto sessuale e se tali modalità coincidono con le loro preferenze e aspettative; se durante il rapporto la coppia usa prendere precauzioni riguardo a gravidanze indesiderate e/o patologie sessualmente trasmesse;
  5. chiedere se il disturbo nasce nel contesto della relazione attuale o se già presente nel contesto di una relazione precedente;
  6. indagare come e quanto ciascun partner reagisce al problema;
  7. interrogare la coppia su eventuali terapie effettuate a riguardo e sulla loro riuscita; chiedere perché si rivolgono al medico in quel momento e non prima, se il disturbo è insorto già da tempo e come intendono affrontare i cambiamenti.

Da rivolgere al singolo soggetto, separatamente dal partner:

  1. chiedere come il partner vive la condizione di disagio e come affronta il problema;
  2. indagare sull’eventuale abitudine alla masturbazione del partner;
  3. chiedere di precedenti relazioni e indagare su eventuali proiezioni negative;
  4. determinare una sorta di storia dello sviluppo psicosessuale, chiedendo del rapporto passato e presente con i genitori e con persone care, di eventuali perdite affettive e traumi e di come si sono affrontati;
  5. indagare su eventuali storie di abuso o violenza sessuale durante l’infanzia o precedentemente all’attuale relazione.
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Settimio D’Andrea
Servizio di Endocrinologia, Distretto Sanitario di Base di Sulmona, ASL 1 Abruzzo

(aggiornato al 16 giugno 2022)

 

Premessa
Ad oggi non esistono dati sulla reale incidenza e prevalenza dell’incongruenza di genere. Il non riconoscersi nel sesso assegnato alla nascita non sempre comporta sofferenza e distress psichico. Quando ciò avviene, si parla di disforia di genere, alla quale si associa una richiesta di aiuto e quindi un intervento clinico.
Spesso misuriamo l’incongruenza di genere in termini di disforia, cioè persone che accedono a centri specializzati o comunque esprimono un bisogno ai vari sistemi sanitari. Ma essa rappresenta solo la punta dell’iceberg e i dati disponibili sotto-stimano ampiamente la reale numerosità del fenomeno. È necessaria una stima accurata delle proporzioni delle persone con genere non conforme nella popolazione generale, al fine di sviluppare e programmare un’adeguata politica sanitaria per le necessità di tali individui.

 

Adulti
La proporzione di soggetti adulti con incongruenza di genere presenta un’ampia variabilità. Se si analizzano studi che valutano persone che accedono a centri per la disforia di genere e che utilizzano classificazioni diagnostiche internazionali (ICD-9 ed ICD-10), si ha una proporzione che va da 17 a 33 individui per 100 000 soggetti arruolati. Mentre dalla valutazione di studi che utilizzano questionari auto-somministrati, le stime variano dallo 0.3 allo 0.5% se viene indagata nello specifico la disforia di genere. Quando invece le domande sono più generiche, per includere tutte le “declinazioni” dello spettro di genere, la proporzione passa dallo 0.5% al 4.5%. Tra queste, la percentuale di persone che si definivano AMAB (assigned male at birth) variava dallo 0.3% al 4.5% e dallo 0.2% al 7.3% per le persone che si riferivano come AFAB (assigned female at birth) (1).
Sono diversi i bias che incidono su tale variabilità. Ad esempio, nel 2019 Goodman e colleghi (2) valutavano che dei 41 studi prodotti dal 1968 al 2018, la maggior parte (e con con la più elevata numerosità di persone arruolate) erano stati condotti in Paesi ad alto reddito (Europa Occidentale, Nord America, Giappone, Australia e Nuova Zelanda). Soltanto un paio di lavori provenivano dall’Iran, in un contesto culturale completamente differente dal nostro. Pertanto, la distribuzione geografica dei lavori svolti sta influenzando la nostra visione sulla numerosità a livello mondiale; infatti, a diverse sedi geografiche corrispondono differenze socio-culturali, delle caratteristiche demografiche della popolazione arruolata, di risorse economiche e quindi di grandezza del campione possibile da arruolare (2).
Altro importante fattore confondente che influenza l’epidemiologia dell’identità di genere è la definizione stessa di incongruenza di genere. Analizzando studi che valutavano l’accesso alla terapia ormonale e/o chirurgica, si ha una stima dello 0.9 per 100 000 persone, con una proporzione di AMAB dello 0.013% e di AFAB dello 0.005%. Considerando invece lavori che utilizzano le classificazioni ICD o DSM, si ottiene una prevalenza dello 0.07%, con gli AMAB allo 0.06% e gli AFAB allo 0.003%. Decisamente maggiore la prevalenza in quegli studi che hanno utilizzato questionari auto-somministrati, in cui si attesta allo 0.36%, con una percentuale di AMAB allo 0.52% e di AFAB allo 0.26% (3).
Inoltre, devono essere tenuti in considerazione i cambiamenti nel tempo della popolazione con disforia di genere. Negli ultimi anni si assiste a un incremento della prevalenza dell’incongruenza di genere. Ad esempio, nella coorte dello studio longitudinale nordamericano STRONG (Study of Transition, Outcomes and Gender) i tre centri hanno visto aumentare la proporzione di persone con incongruenza di genere da 3.5 (1.9-6.3), 5.5 (4.8-6.4) e 17 (16-19) per 100 000 persone arruolate nel 2006, al 38 (32-45), 44 (42-46) e 75 (72-78), rispettivamente, nel 2014 (4). Questo trend, associato a maggior sensibilità e attenzione generale, ha portato all’aumento delle persone che accedono a centri specializzati. Dal 2010 al 2016 è stato stimato un incremento di 4 volte nel numero delle persone che accedono a un trattamento per disforia di genere (2).
La composizione stessa della popolazione sta variando. Infatti, l’età media di accesso alle cure sta diminuendo (5). Ad esempio, nel 1994 l’età media per la terapia chirurgica era di 40 anni rispetto ai 27 anni nel 2015 (6). Inoltre, anche il rapporto tra AMAB ed AFAB è variato negli ultimi anni. Se nel passato si assisteva alla netta prevalenza di AMAB, oggi c’è una maggior eguaglianza tra i due gruppi: sempre nella casistica STRONG il rapporto AMAB:AFAB è passato da 1.7:1 nel 2006 a 1:1 nel 2014. Così come è in aumento il numero delle persone con identità di genere non-binaria, che non necessariamente si sentono di appartenere al sesso opposto a quello assegnato alla nascita. Ciò comporta anche un aumento delle richieste per terapie di affermazione parziali (per esempio solo terapia ormonale senza riassegnazione chirurgica o parziale demascolinizzazione con la terapia ormonale senza induzione della femminilizzazione) (7).
Le persone con incongruenza di genere sono suscettibili di stigma sociale, che le porta ai margini della società con ricadute socio-economiche e sul benessere psico-fisico. Nello specifico, il 42% delle persone adulte presenta disturbi del tono dell’umore e il 27% disturbi di ansia (8). Inoltre, dati recenti nelle persone con disforia di genere in terapia ormonale riportano mortalità maggiore rispetto alla popolazione generale, con Standard Mortality Ratio di 2.8 per gli AMAB e di 1.8 per gli AFAB (9). Secondo gli autori, tale incremento è dovuto a cause non ormonali, come suicidio, cancro del polmone e comorbilità HIV-correlate (9).

 

Adolescenti e bambini
I dati riguardanti la numerosità dell’incongruenza di genere nei minori appaiono ancora più incerti rispetto agli adulti, perché comportamenti gender-variant non sempre sono espressione di incongruenza e/o disforia di genere (10) e perché non esistono veri studi epidemiologici sui minori, ma i dati disponibili si basano nella maggior parte dei casi su questionari somministrati ad adolescenti (12-18 anni) o ai loro genitori se bambini (4-11 anni) (5). Il dato certo è l’aumento di accessi dei minorenni presso i centri specializzati, un incremento costante a partire dagli anni 2000 e con una crescita esponenziale (11). Gli autori del centro di Toronto sono stati i primi a portare all’attenzione tale fenomeno: in una coorte dal 1976 al 2003 il numero di accessi di minori per incongruenza di genere era < 5 persone/anno, mentre dal 2004 c’è stato un incremento che poi ha superato i 50 casi/anno nel 2011 (11). Tale incremento è stato riportato anche in altre casistiche maggiori, confermandosi come un trend a livello mondiale (5,12). Le stime più recenti riportano che il 4.8% dei bambini si comporta come se appartenesse al sesso opposto (sulla base di questionari somministrati ai genitori), dallo 0.17 al 3.3% degli adolescenti identifica se stesso come persona transgender, mentre il 2.5% non sa esprimersi riguardo alla propria identità di genere (5).
Come per gli adulti, anche per i minori l’epidemiologia dell'incongruenza di genere sta cambiando. Si è assistito al progressivo aumento del numero di adolescenti rispetto ai bambini (5,11). Inoltre, è stata osservata anche un’inversione nel rapporto tra AMAB ed AFAB: da una netta prevalenza di AMAB si è passati a una maggior prevalenza di AFAB. Infatti, in alcune coorti il rapporto AMAB:AFAB è passato da 2.11:1 a 1:1.72 (5, 11, 13). È interessante notare come la maggior parte delle persone con incongruenza di genere, nello specifico circa l’85.9% degli AMAB e il 66.2% degli AFAB, riportino l’insorgere di comportamenti gender-variant prima degli 11 anni (8). L’infanzia e soprattutto l’adolescenza sono visti come momenti fondamentali per l’affermazione di genere, in cui si completa il dimorfismo encefalico iniziato durante la vita fetale. Infatti, l’altro problema dei professionisti che prendono in carico questi minori è la persistenza dell’incongruenza di genere in età adulta. L’incongruenza persisterà soltanto nel 12-27% dei bambini che accedono a centri specializzati e ricevono un supporto psicologico (10). Negli adolescenti con insorgenza dell’incongruenza di genere durante l’infanzia e con espressione intensa della stessa disforia raramente si osserva desistenza, mentre le forme a esordio più tardivo, dopo la pubertà, presentano alti tassi di desistenza (10).
Le problematiche psicologiche clinicamente significative nei bambini variano dal 12.5 all’84%, a seconda delle casistiche (10). Ancora più drammatica è la situazione negli adolescenti, perché tali problematiche tendono a insorgere o accentuarsi: il 24% riporta auto-lesionismo, il 35% ha tentato il suicidio, con tassi di ideazione suicidaria che vanno dal 45% al 65% dei casi (14-17).

 

Bibliografia

  1. Zhang Q, Goodman M, Adams N, et al. Epidemiological considerations in transgender health: a systematic review with focus on higher quality data. Int J Transgend Health 2020, 21: 125-37.
  2. Goodman M, Adams N, Corneil T, et al. Size and distribution of transgender and gender non conforming populations: a narrative review. Endocrinol Metab Clin North Am 2019, 48: 303-21.
  3. Collin L, Reisner SL, Tangpricha V, Goodman M. Prevalence of transgender depends on the "case" definition: a systematic review. J Sex Med 2016, 13: 613-26.
  4. Quinn VP, Nash R, Hunkeler E, et al. Cohort profile: Study of Transition, Outcomes and Gender (STRONG) to assess health status of transgender people. BMJ Open 2017, 7: e18121.
  5. Zucker KJ. Epidemiology of gender dysphoria and transgender identity. Sex Health 2017, 14: 404-11.
  6. Aydin D, Buk LJ, Partoft S, et al. Transgender surgery in Denmark from 1994 to 2015: 20-year follow-up study. J Sex Med 2016, 13: 720-5.
  7. Cocchetti C, Ristori J, Romani A, et al. Hormonal treatment strategies tailored to non-binary transgender individuals. J Clin Med 2020, 9: 1609.
  8. Fisher AD, Ristori J, Bandini E, et al. Medical treatment in gender dysphoric adolescents endorsed by SIAMS-SIE-SIEDP-ONIG. J Endocrinol Invest 2014, 37: 675-87.
  9. de Blok CJ, Wiepjes CM, van Velzen DM, et al. Mortality trends over five decades in adult transgender people receiving hormone treatment: a report from the Amsterdam cohort of gender dysphoria. Lancet Diabetes Endocrinol 2021, 9: 663-70.
  10. Ristori J, Steensma TD. Gender dysphoria in childhood. Int Rev Psychiatry 2016, 28: 13-20.
  11. Wood H, Sasaki S, Bradley SJ, et al. Patterns of referral to a gender identity service for children and adolescents (1976-2011): age, sex ratio, and sexual orientation. J Sex Marital Ther 2013, 39: 1-6.
  12. Chen M, Fuqua J, Eugster EA. Characteristics of referrals for gender dysphoria over a 13-year period. J Adolesc Health 2016, 58: 369-71.
  13. Aitken M, Steensma TD, Blanchard R, et al. Evidence for an altered sex ratio in clinic-referred adolescents with gender dysphoria. J Sex Med 2015, 12: 756-63.
  14. Grossman AH, D'Augelli AR. Transgender youth and life-threatening behaviors. Suicide Life Threat Behav 2007, 37: 527-37.
  15. Spack NP, Edwards-Leeper L, Feldman HA, et al. Children and adolescents with gender identity disorder referred to a pediatric medical center. Pediatrics 2012, 129: 418-25.
  16. Holt V, Skagerberg E, Dunsford M. Young people with features of gender dysphoria: demographics and associated difficulties. Clin Child Psychol Psychiatry 2016, 21: 108-18.
  17. Khatchadourian K, Amed S, Metzger DL. Clinical management of youth with gender dysphoria in Vancouver. J Pediatr 2014, 164: 906-11.
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Daniel Portolani
Psicologo psicoterapeuta, consulente sessuologico. Referente area clinica LGBTQIA+ presso Mi.CAL Milano, docente presso Scuola Lombarda di Psicoterapia (SLOP)

(aggiornato al 19 settembre 2022)

 

Genere e identità di genere
Il genere si riferisce ad atteggiamenti, sentimenti e comportamenti che una cultura associa al sesso di una persona (1). Nella cultura occidentale, il genere viene assegnato alla nascita in base a norme culturali condivise, che lo concepiscono come un costrutto binario (definibile tramite le categorie mutuamente esclusive di maschio o femmina) e postulano un’associazione implicita con le caratteristiche biologiche del corpo sessuato (2).
Il genere è composto da molteplici dimensioni, interrelate ma distinte (3). Il termine “identità di genere” fa riferimento al “senso intimo, profondo e soggettivo di essere un maschio, una femmina, o un genere alternativo, che può corrispondere o meno al genere assegnato alla nascita, o alle caratteristiche biologiche del corpo sessuato” (2). L’identità di genere è meglio comprensibile come uno spettro non lineare, e può essere vissuta ed espressa al di fuori del binarismo di genere (2,3). Il modo in cui il genere viene presentato all’esterno, ad esempio tramite l’abbigliamento, si definisce “espressione di genere”. Il pattern di atteggiamenti, personalità e comportamenti che in una data cultura è associato a un genere si definisce “ruolo di genere” (3).

 

Diversità di genere
Le persone che percepiscono una congruenza tra il genere assegnato alla nascita, le caratteristiche biologiche sessuate e la propria identità di genere, vengono definite “cisgender” (2). La dicitura “transgender e gender-diverse” (TGD) si riferisce, in modo ampio, a tutte le persone con identità o espressioni di genere che differiscono dal genere socialmente attribuito al sesso assegnato alla nascita (4). Il termine ombrello “transgender” è un aggettivo che comprende una vasta gamma di esperienze e identità, binarie e non binarie (che esperiscono il proprio genere al di fuori del binario di genere) (5), che non si allineano con le caratteristiche del genere assegnato alla nascita. Non tutte le persone utilizzano la parola “transgender” per riferirsi a sé stesse: è fondamentale rispettare le scelte linguistiche della persona e utilizzare i termini che sceglie per descriversi. Quando l’incongruenza tra il genere esperito/espresso e il genere assegnato alla nascita causa una sofferenza significativa, è possibile parlare di disforia di genere. Il concetto di disforia non è sinonimo di esperienza transgender: soltanto alcune persone transgender presentano disforia nella loro vita (6). L’esperienza di disforia non è statica, e varia da individuo ad individuo (7).

 

Il dibattito sulla diagnosi
Le identità transgender sono state storicamente patologizzate dal mondo della salute fisica e mentale. In epoca recente, le classificazioni diagnostiche disponibili hanno apportato modifiche sostanziali in risposta ai movimenti diretti a una depatologizzazione delle identità e delle esperienze di diversità di genere.
Nel 2010 la World Professional Association for Transgender Health (WPATH) ha dichiarato che “l’espressione delle caratteristiche di genere, comprese le identità, che non possono essere associate allo stereotipo del sesso assegnato a una persona alla nascita, è un fenomeno comune e dipendente dai diversi contesti culturali, che non dovrebbe essere giudicato come necessariamente negativo o patologico” (8). Nel 2018, l’OMS ha riconosciuto che le esperienze di incongruenza di genere non soddisfano di per sé i criteri di disturbo mentale (9). Tale riconoscimento si basa sulle evidenze scientifiche secondo cui eventuali distress e limitazioni funzionali accusati dalle persone transgender non sarebbero causati dall’identità di per sé, ma dalle esperienze di discriminazione e violenza vissute in contesti cis-normativi ed etero-normativi (10).
Il dilemma attualmente affrontato dalla comunità scientifica riguarda allora la tensione tra la necessità di sostenere e promuovere la depatologizzazione e quella di favorire accesso e sostegno sanitario ed economico per i percorsi medicalizzati (11). Al momento, la scelta è stata di mantenere la presenza di un’etichetta diagnostica, a garanzia del diritto fondamentale di accesso alle cure, aggiornando la terminologia, i criteri e la struttura dei manuali nosografico-descrittivi, allo scopo di ridurre lo stigma associato. Attualmente, pertanto, l’esperienza delle persone transgender si ritrova nei manuali nosografico-descrittivi in due etichette: Disforia di Genere (DSM-5) (12) e Incongruenza di Genere (ICD-11) (13).

 

Classificazioni diagnostiche

DSM-5: Disforia di Genere
Le diagnosi sull’identità di genere compaiono nel DSM nel 1980 (DSM-III) tramite le etichette “transessualismo” e “disturbo dell’identità di genere dell’infanzia”, collocate nella sezione dedicata ai disturbi psico-sessuali. Nella rivisitazione della terza edizione (DSM-III-TR), tale sezione viene rimossa e viene introdotta la dicitura “Disturbi dell’Identità di Genere”, collocata nella sezione dei “disturbi che usualmente compaiono per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza e nell’adolescenza”. Con il DSM-IV, pubblicato nel 1994, e la successiva rivisitazione (DSM-IV-TR) pubblicata nel 2000, si assiste all’inserimento del “Disturbo dell’Identità di Genere” all’interno della sezione denominata “Disturbi sessuali e dell’Identità di Genere” (14). Nel DSM-5 l’etichetta “Disforia di genere” sostituisce il precedente “Disturbo dell’Identità di Genere”. Sono presenti due etichette: “Disforia di Genere nei bambini” e “Disforia di Genere negli adolescenti e negli adulti” (12).

 

Disforia di genere nei bambini 302.6 (F64.2)
A: marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi, che si manifesta attraverso almeno 6 dei seguenti criteri (di cui uno deve essere necessariamente il criterio 1)
  1. Forte desiderio di appartenere al genere opposto o insistenza sul fatto di appartenere al genere opposto (o a un genere alternativo diverso dal genere assegnato).
  2. Nei bambini (genere assegnato) forte preferenza per il travestimento con abbigliamento tipico del genere opposto o per la simulazione dell’abbigliamento femminile; nelle bambine (genere assegnato) forte preferenza per indossare esclusivamente abbigliamento tipicamente maschile e forte resistenza a indossare abbigliamento tipicamente femminile.
  3. Forte preferenza per i ruoli tipicamente legati al genere opposto nei giochi del “far finta” o di fantasia.
  4. Forte preferenza per giocattoli, giochi o attività stereotipicamente utilizzati o praticati dal genere opposto.
  5. Forte preferenza per i compagni di gioco del genere opposto.
  6. Nei bambini (genere assegnato) forte rifiuto per giocattoli, giochi e attività tipicamente maschili e forte evitamento dei giochi in cui ci si azzuffa; nelle bambine (genere assegnato) forte rifiuto di giocattoli, giochi e attività tipicamente femminili.
  7. Forte avversione per la propria anatomia sessuale.
  8. Forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie corrispondenti al genere esperito.
B: la condizione è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico o in altre aree importanti.
Specificare se: Con un disturbo dello sviluppo sessuale (per es, disturbo adrenogenitale congenito come Iperplasia surrenalica congenita 255.2 [E25.0] oppure Insensibilità agli androgeni 259.50 [E34.50].

 

 

Disforia di genere negli adulti 302.6 (F64.2)
A: marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi, che si manifesta attraverso almeno 2 dei seguenti criteri
  1. Marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e le caratteristiche sessuali primarie/secondarie (oppure, in giovani adolescenti, le caratteristiche sessuali secondarie attese).
  2. Forte desiderio di liberarsi delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie a causa di una marcata incongruenza col genere esperito/espresso (oppure, nei giovani adolescenti, desiderio di prevenire lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie attese).
  3. Forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie del genere opposto.
  4. Forte desiderio di appartenere al genere opposto (o a un genere alternativo diverso dal genere assegnato).
  5. Forte desiderio di essere trattato come un membro del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato).
  6. Forte convinzione di avere sentimenti e reazioni tipici del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato).
B: la condizione deve essere associata inoltre a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
Specificare se: Con un disturbo dello sviluppo sessuale (per es, disturbo adrenogenitale congenito come Iperplasia surrenalica congenita 255.2 [E25.0] oppure sindrome da insensibilità agli androgeni 259.50 [E34.50].
Post-transizione: l’individuo è passato a vivere a tempo pieno il genere desiderato (con o senza riconoscimento legale del cambiamento di genere) e si è sottoposto (oppure si sta preparando a sottoporsi) almeno a una procedura medica di riassegnazione sessuale o a un protocollo di trattamento, vale a dire un regolare trattamento con ormoni del sesso opposto o un intervento chirurgico di riassegnazione del genere in accordo al genere desiderato (per es, penectomia, vagino-plastica in un individuo nato maschio; mastectomia o fallo-plastica in un individuo nato femmina).

 

La rimozione del termine “disturbo”, sostituito dalla parola “disforia”, e lo spostamento dell’etichetta in una sezione omonima rispetto alla precedente “Disturbi sessuali e dell’Identità di Genere”, mostrano una parziale ricezione delle istanze di depatologizzazione. L’attenzione si sposta dall’identità, come in sé potenzialmente disturbata, alla sofferenza clinicamente significativa che deriva dall’incongruenza tra genere esperito/espresso e genere assegnato. L’American Psychological Association (APA) dichiara che “le persone che esperiscono disforia di genere necessitano di un termine diagnostico che protegga il loro accesso alle cure e non venga utilizzato contro di loro in contesti sociali, occupazionali, o legali” (15). Cambiamenti linguistici allo scopo di ridurre ulteriormente lo stigma associato alle identità transgender si ritrovano nell’edizione text-revised (16): termini problematici vengono sostituiti (ad esempio, “interventi di riassegnazione di genere” viene sostituito da “interventi affermativi di genere”) e viene introdotta una definizione del termine “cisgender”.

 

ICD-11: Incongruenza di Genere
Nell’ICD, le diagnosi relative alle persone transgender compaiono per la prima volta nel 1975 (ICD-9) attraverso il termine “transessualismo”, classificato nelle “Deviazioni sessuali” accanto al travestitismo. Il termina “transessualismo” rimane nella versione 10, edita nel 1992, dove compare tra i “Disturbi dell’identità sessuale” insieme ai “disturbi dell’identità di genere” (14). La dicitura “Incongruenza di Genere” viene introdotta nel 2019, nell’undicesima e attuale edizione (ICD-11) (13). Le categorie ad essa relative (“Incongruenza di genere nell’infanzia” e “Incongruenza di genere nell’adolescenza e nell’età adulta”) vengono collocate per la prima volta tra le “condizioni relative alla salute sessuale”, anziché tra quelle relative alla salute mentale. Viene riconosciuto che i vissuti di disagio e sofferenza possono essere secondari a violenza e discriminazione anziché intrinseci, e non sono pertanto elementi necessari al fine di porre diagnosi (9,11,17).
L’ICD-11 definisce l’Incongruenza di Genere come marcata e persistente incongruenza tra il genere esperito da un individuo e il sesso assegnato, presente da diversi mesi, che spesso porta al desiderio di compiere una transizione di genere, per vivere ed essere accettato come persona del genere esperito, attraverso trattamento ormonale, chirurgico o altri servizi di cura sanitaria, per allineare il corpo di un individuo, per quanto desiderato e possibile, con il genere esperito. I comportamenti gender-variant e le preferenze non sono, da sole, una base per porre diagnosi (13).

 

Somiglianze e differenze
Entrambi i sistemi di classificazione riconoscono alcune manifestazioni centrali (11):

  • forte disagio per le caratteristiche sessuali primarie o secondarie;
  • forte desiderio di liberarsi delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie;
  • forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie o secondarie del genere esperito;
  • forte desiderio di essere trattati come una persona del genere esperito.

Incongruenza e disforia di genere tuttavia non sono sinonimi, e le due etichette non sono sovrapponibili. La classificazione ICD-11 descrive un’esperienza soggettiva e individuale di incongruenza persistente tra aspetti individuali, corporei e sociali di genere, in cui non è necessaria la presenza di distress clinicamente significativo o di compromissione del funzionamento per porre diagnosi. L’etichetta di Disforia di Genere si riferisce invece in modo specifico a una sofferenza clinicamente significativa e a una compromissione di funzionamento associate all’incongruenza esperita, che non si ritrovano necessariamente in tutte le esperienze delle persone transgender e gender-diverse. Il DSM-5 richiede una durata minima di sei mesi per porre diagnosi, mentre l’ICD-11 parla di “diversi mesi”, senza stabilire un criterio temporale definito (11). La non necessarietà di una sofferenza significativa o di una compromissione funzionale e la mancanza di un criterio temporale forte possono facilitare l’accesso ai percorsi affermativi nei paesi in cui è necessaria una diagnosi per usufruire delle cure da parte del sistema sanitario.

 

Affermazione di genere
Gli interventi volti ad allineare le caratteristiche del genere percepito a quelle del genere assegnato si definiscono “percorsi di affermazione di genere”. Gli interventi possono riguardare le caratteristiche fenotipiche (tramite modifiche medicalizzate ormonali o chirurgiche), sociali (ad esempio attraverso la modifica di ruolo o espressione di genere), e/o giuridico-legali (tramite la rettifica anagrafica di sesso e nome). Gli interventi e i percorsi sono personalizzabili a seconda delle esigenze individuali, riconoscendo la validità di tutte le esperienze delle persone transgender e l’eterogeneità dei loro bisogni (4,18).
Esistono linee guida e documenti di raccomandazioni, che regolano e forniscono indicazioni sull’accesso agli interventi affermativi. In Italia, rispetto alle cure endocrinologiche, si segnala il recente Position Statement di SIGIS-SIAMS-SIE (19). Rispetto alla presa in carico generale, sono disponibili le linee guida ONIG (Osservatorio Nazionale Identità di Genere) (20), e gli Standard di Cura per la Salute delle persone Transessuali, Transgender e Gender-nonconforming – 7° Edizione di WPATH (18). Tale edizione, pubblicata nel 2012, richiede di accertare la presenza di un’esperienza di disforia di genere per accedere alla terapia ormonale sostitutiva e non contiene la dicitura “incongruenza di genere”, introdotta solo in seguito. Il documento specifica, tuttavia, che “gli specialisti dovrebbero fare riferimento ai criteri diagnostici più recenti e ai codici appropriati da usare nelle proprie aree di operatività” (18). L’8° versione, appena pubblicata, contiene la dicitura “incongruenza di genere”. I contenuti di questo paragrafo si riferiscono alle indicazioni contenute in quest’ultima.
Il punto di accesso al percorso è rappresentato dal professionista della salute mentale. WPATH specifica che le decisioni riguardanti la propria salute sono in primo luogo della persona (18) e che la decisione di procedere ai percorsi affermativi medicalizzati è condivisa da utente e clinico, in un processo decisionale condiviso (4). Gli specialisti hanno il compito di guidare e assistere gli utenti, promuovendo una migliore comprensione della propria identità di genere, dei propri bisogni e delle opzioni disponibili per i percorsi affermativi, al fine di prendere decisioni pienamente consapevoli e informate (18,19).

I compiti del professionista di salute mentale sono così sintetizzabili (4,18,19):

  1. valutare la presenza e il grado dell’incongruenza di genere, verificando che i criteri ad essa relativi siano soddisfatti laddove sia necessaria la formulazione di una diagnosi per l’accesso al sistema sanitario;
  2. fornire informazioni su tutte le opzioni disponibili per l’affermazione di genere;
  3. valutare la presenza e l’impatto di eventuali condizioni di salute mentale in comorbilità, e discutere le opzioni di trattamento;
  4. valutare la capacità della persona di prendere una decisione consapevole e informata sulla propria salute;
  5. se viene richiesta una terapia ormonale sostitutiva, valutare l’idoneità della persona, prepararla e supportarla nella considerazione degli effetti e dei rischi e inviarla all’endocrinologo;
  6. se viene richiesta una chirurgia, valutare l’idoneità della persona, prepararla e supportarla nella considerazione degli effetti e dei rischi e inviare al chirurgo;
  7. fornire supporto psicologico relativamente ai percorsi di genere, in qualsiasi fase, compresa la valutazione individuale della possibilità di una transizione sociale e il supporto relativo allo stigma subito.

Non è necessario che vengano esperiti livelli severi di distress per accedere ai trattamenti fisici (4). La psicoterapia relativa all’identità di genere non è un pre-requisito per i percorsi affermativi medicalizzati e non è obbligatoria in nessun punto del percorso. Un accompagnamento psicologico potrebbe essere utile, fortemente consigliato, o in alcuni casi necessario anche dopo l’emissione del nulla-osta psicologico alla terapia ormonale (4,18,19), a seconda delle singole situazioni e dell’eventuale presenza di comorbilità psicologiche. Quando la persona è minorenne, è necessario coinvolgere le figure di riferimento nel processo di valutazione e nel supporto al processo decisionale (18). È fortemente consigliata e opportuna la collaborazione multi-disciplinare lungo tutto il percorso (4,19).

 

Bibliografia

  1. American Psychological Association. Guidelines for psychological practice with lesbian, gay, and bisexual clients. Am Psychol 2012, 67: 10–42.
  2. American Psychological Association. Guidelines for psychological practice with transgender and gender nonconforming people. Am Psychol 2015, 70: 832–64.
  3. Vincent B. Non-binary genders: navigating communities, identities, and healthcare. Policy Press, 2020.
  4. World Professional Association for Transgender Health. Standards of care for the health of transsexual, transgender, and gender nonconforming people. 8th Version 2022, 23 suppl 1.
  5. American Psychological Association. APA dictionary of psychology (2nd ed). Washington, DC: 2015.
  6. Byne W, Karasic DH, Coleman E, et al. Gender dysphoria in adults: an overview and primer for psychiatrists. Transgend Health 2018, 3: 57–70.
  7. Galupo MP, Pulice-Farrow L, Pehl E. "There is nothing to do about it": Nonbinary individuals' experience of gender dysphoria. Transgend Health 2021, 6: 101–10.
  8. WPATH Board of Directors. Depsychopathologisation statement. Released May 26, 2010.
  9. Winter S, Diamond M, Green J, et al. Transgender people: health at the margins of society. Lancet 2016, 388: 390–400.
  10. Baleige A, de la Chenelière M, Dassonneville C, Martin MJ. Following ICD-11, rebuilding mental health care for transgender persons: Leads from field experimentations in Lille, France. Transgend Health 2022, 7: 1–6.
  11. Robles R, Keeley JW, Vega-Ramírez H, et al. Validity of categories related to gender identity in ICD-11 and DSM-5 among transgender individuals who seek gender-affirming medical procedures. Int J Clin Health Psychol 2022, 22: 100281.
  12. American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed) 2013.
  13. World Health Organization. International statistical classification of diseases and related health problems (11th ed) 2019.
  14. Fortunato A, Giovanardi G, D'angelo V. Breve storia di una diagnosi controversa. Ricerca Psicoanalitica 2020, 31: 277-94.
  15. American Psychological Association. Gender Dysphoria in DSM-5 Factsheet. 2013.
  16. American Psychological Association. Gender Dysphoria in DSM-5-TR Factsheet. 2022.
  17. Drescher J, Cohen-Kettenis P, Winter S. Minding the body: situating gender identity diagnoses in the ICD-11. Int Rev Psychiatry 2012, 24: 568-77.
  18. Coleman E, Bockting W, Botzer M, et al. Standards of care for the health of transsexual, transgender, and gender-nonconforming people, version 7. Int J Transgenderism 2012, 13: 165–232.
  19. Fisher AD, Senofonte G, Cocchetti C, et al. SIGIS–SIAMS–SIE position statement of gender affirming hormonal treatment in transgender and non-binary people. J Endocrinol Invest 2022, 45: 657–73.
  20. Osservatorio Nazionale Identità di Genere (ONIG). Standard sui percorsi di affermazione di genere nell’ambito della presa in carico delle persone transgender e gender nonconforming (TGNC).
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Gianmarco Negri
Avvocato del Foro di Pavia e Sindaco di Tromello

(aggiornato al settembre 2022)

 

La normativa che regolamenta i percorsi di affermazione di genere è rappresentata dalla Legge 164 del 14 aprile 1982 rubricata “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, poi modificata dalla riforma di semplificazione dei riti (1). All’epoca della sua promulgazione l’Italia ha dimostrato di essere all’avanguardia, sul tema dei diritti, collocandosi come terzo stato europeo (2) nell’offrire una risposta alle istanze delle persone con incongruenza di genere.
A distanza di quarant’anni l’impianto normativo si rivela inadeguato e lacunoso sotto numerosi versanti, alcuni dei quali colmati, solo in parte, per via giurisprudenziale. La modifica del genere di una persona, sia sotto il profilo anatomico che burocratico, è attualmente consentita solo a seguito di una pronuncia giudiziaria. La necessità della sentenza, per avere accesso agli interventi chirurgici, è da ricondurre al divieto degli atti di disposizione sul proprio corpo quando essi cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica (3). Al fine di sollevare il chirurgo dalla responsabilità di menomare organi perfettamente sani, l'ordinamento ha previsto l'autorizzazione da parte del Tribunale come unico strumento in grado di superare il predetto limite di indisponibilità. Detta configurazione evidenzia la totale carenza del potere di auto-determinazione della persona transgender, in quanto il suo consenso non riveste alcun rilievo per il chirurgo, non potendo, quest’ultimo, intervenire in assenza della previa autorizzazione del Giudice.
Parimenti, il procedimento in Tribunale è d’obbligo per quanto riguarda la richiesta di rettificazione dei dati anagrafici, trattandosi di atto di stato civile, che incide sull'assegnazione del genere e del prenome. Procedimento da non confondere con quello per la richiesta di cambio del prenome o del cognome, regolamentato ai sensi del DPR 396/2000, che, seppure distinto, contiene una disposizione che si riflette in quello di affermazione di genere. Nel citato decreto è, infatti, disposto che “il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso” (4). Detta prescrizione si applica anche alla richiesta di rettificazione anagrafica della persona transgender, in quanto il prenome che ella chiede le sia attribuito deve corrispondere al genere di elezione per il quale ha adito il Tribunale. Talvolta, in attesa di poter instaurare il giudizio, le persone transgender azionano il procedimento prefettizio di cui al DPR 396/2000, chiedendo l’attribuzione di un prenome considerato “neutro”, ovvero interpretabile nella sua duplice accezione maschile e femminile. In tale ipotesi il genere rimane invariato e si pone il rischio che, nella fase giudiziale, possa essere rifiutata l’attribuzione di altro prenome più caratterizzato rispetto al genere (5).
Allo stesso modo alcune persone transgender, non riuscendo ad attendere le lungaggini del sistema giudiziario, decidono di sottoporsi al bisturi rivolgendosi a medici che operano oltre i confini nazionali. Il chirurgo che esercita all’estero non è sottoposto alla legislazione italiana e, pertanto, non soggiace al limite di cui all’art. 5 del Codice Civile. In tale ipotesi all’atto della richiesta al Tribunale, di riconoscimento del prenome e del genere elettivo, potrebbero però porsi alcune complicazioni nel momento in cui l’istante dichiarasse la realizzazione di interventi chirurgici non previamente autorizzati.
Una profonda trasformazione, in ordine agli interventi chirurgici, si è verificata, come sopra accennato, per via giurisprudenziale. La Corte di Cassazione (6) e la Corte Costituzionale (7), chiamate a pronunciarsi in ordine al diritto della persona transgender di ottenere una modifica burocratica dei dati anagrafici, mantenendo integri i propri genitali, hanno sancito la non obbligatorietà del bisturi. Con le predette pronunce si è verificata una modifica della precedente giurisprudenza, la valorizzazione del diritto all’auto-determinazione e la garanzia del diritto alla salute come bene preminente rispetto ad altri interessi (8). Fino al 2015, infatti, benché non vi fosse alcuna disposizione che prevedesse in maniera inequivocabile l’obbligatorietà dell’intervento chirurgico, questo è stato sempre considerato indispensabile. Nemmeno la modifica ad opera della riforma dei riti è stata dirimente sul tema, lasciando aperti dubbi ermeneutici e la necessità di instaurare due procedimenti distinti. Nel corso del primo la persona transgender poteva domandare l’autorizzazione agli interventi chirurgici e, solo dopo esservisi sottoposta, aveva diritto ad adire nuovamente il Tribunale domandando la rettifica dei dati anagrafici. Uno dei problemi più discussi in merito all’obbligatorietà o meno di agire sui caratteri sessuali primari risale all’inciso (9) “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”. La disposizione in esame non specifica il confine della necessarietà e il soggetto preposto alla sua definizione. Per prassi giurisprudenziale quel “quando” è sempre stato interpretato nel senso che gli interventi dovessero essere realizzati “quando ancora la persona non vi si era sottoposta”. Nelle aule dei Tribunali, fino all’anno in cui sono state pronunciate le citate sentenze, una persona transgender, chiamata a definirsi al cospetto del magistrato a cui chiedeva il riconoscimento della sfera identitaria percepita, non era considerata credibile se prescindeva dalla sua anatomia sul pube ritenendola irrilevante o, peggio, se dichiarava di non essere in conflitto con la stessa.
Sempre nel 2015 anche il Parlamento Europeo ha offerto il suo contributo affinché si raggiungesse una visione rinnovata del corpo e della psiche delle persone transgender. Con risoluzione in data 12 marzo 2015 ha infatti chiesto espressamente la “messa al bando della sterilizzazione quale requisito per il riconoscimento giuridico del genere”, richiamando la richiesta del “relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura”. Il Parlamento Europeo ha dunque condiviso l’assunto secondo il quale gli obblighi di sottoporsi al bisturi (con finalità demolitive e/o ricostruttive) dovrebbero “essere trattati e perseguiti come una violazione del diritto all’integrità fisica nonché della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti” (10). Sul tema si è espressa anche la Corte Europea dei Diritti Umani, che ha rilevato una violazione della libertà di definire la propria appartenenza sessuale, definita parte essenziale del diritto all’auto-determinazione, la previsione della sterilizzazione come condizione imprescindibile di accesso al percorso di transizione (11). Il 2015 è dunque tappa fondamentale nel riconoscimento del diritto all’identità di genere.
Successivamente a quelle pronunce viene sancito, anche nelle aule di giustizia, il diritto dell’essere umano a essere riconosciuto in una sfera identitaria nella quale la valorizzazione e definizione della stessa trascende il mero dato anatomico. Con le pronunce delle Corti Superiori si è assistito alla presa d’atto della dimensione corporea non tanto, e non soltanto, nella sua forma biologica, ma anche indagando aspetti quali il ruolo di genere e l’espressione di genere. L’esclusione del carattere necessario dell'intervento chirurgico assurge a corollario dell'impostazione, coerente ai supremi valori costituzionali, che rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare il percorso di transizione, il quale “deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere. L’ampiezza del dato letterale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982 e la mancanza di rigide griglie normative sulla tipologia dei trattamenti rispondono all’irriducibile varietà delle singole situazioni soggettive” (12).
L’effetto delle citate pronunce si è riflesso anche nell’ambito procedurale. Da quell’anno non è più stato necessario instaurare due procedimenti distinti, cui si è fatto precedentemente riferimento, bensì è stato possibile domandare contestualmente al tribunale la rettifica dei dati anagrafici e l’autorizzazione agli interventi chirurgici (solo nelle ipotesi in cui questi sono desiderati dalla persona). Il venir meno dell’obbligo di sottoporsi a questi ultimi, infatti, ha reso superflua l’instaurazione della seconda azione giudiziaria. Questo risultato ha prodotto uno snellimento dei tempi per l’ottenimento di documentazione coerente con la percezione di sé, unico elemento in grado di consentire alla persona transgender il pieno diritto alla privacy, presupposto indispensabile affinché ella possa decidere liberamente se narrare o meno a terzi il proprio passato. In forza delle sentenze delle Corti Superiori resta tuttavia in capo al collegio giudicante l’obbligo di verificare l’esistenza di una serie di caratteristiche del percorso, quali la sua definitività, irreversibilità e l’approdo conclusivo dello stesso. In tale ottica il magistrato istruttore, mediante libero interrogatorio della parte in udienza, ricerca la conferma di quanto illustrato nelle relazioni dei medici, che l’hanno accompagnata durante il suo percorso di transizione, e delle deduzioni contenute nell’atto introduttivo. Nelle ipotesi in cui egli ritiene l’istruzione probatoria inidonea alla formazione del suo convincimento, dispone la nomina del C.T.U. (13). In questo caso il processo viene rinviato a un'udienza durante la quale lo specialista nominato giura di adempiere fedelmente l'incarico conferitogli, che si sostanzia nel dare risposta ai quesiti che sono posti dal Giudice. La nomina di un C.T.U. rallenta il procedimento (in quanto sono fissate udienze a ciò predisposte) e, salve le ipotesi in cui la parte sia ammessa al patrocinio a spese dello Stato, è onerosa, in quanto il consulente dev’essere retribuito. Il procedimento si conclude con sentenza collegiale (14), che è immediatamente azionabile per gli eventuali interventi chirurgici. Per la rettifica dei dati anagrafici occorre invece che decorra il termine per il suo passaggio in giudicato (15), affinché sia poi possibile dar impulso ai successivi passaggi amministrativi.
La Legge 164/1982 è stata ritenuta applicabile dalla giurisprudenza anche alle persone intersessuali, che non possono essere definite come appartenenti ad uno dei due sessi in base a criteri oggettivi. L’esistenza di persone che non possono essere incasellate come “maschi” o come “femmine”, a patto che non si intervenga in senso medico e/o chirurgico, smaschera l’artificiosità, a parere di chi scrive, dell’argomentazione che fa della “natura” l’elemento di distinzione tra i sessi e il pilastro su cui basare considerazioni in diritto. Sul punto almeno un accenno merita di essere fatto anche in relazione alla pratica medica di riassegnazione del sesso nel caso di neonati o minori intersessuali, i quali non possono esprimere un valido consenso. Il Comitato Nazionale per la Bioetica (16) ha espresso parere secondo il quale “la compresenza di elementi sessuali discordi, se non è conforme al progetto di essere uomo o donna, rende lecito rimuovere ciò che impedisce la realizzazione, almeno parziale, di questa armonia” e continua affermando che l’ipotesi di registrare all'anagrafe i bambini in cui risulta incerta l’attribuzione del sesso, evitando dunque un'iscrizione come maschio o come femmine “è inaccettabile sulla base di alcuni argomenti: in primo luogo si verrebbe ad istituzionalizzare legalmente ma in modo ben poco trasparente e surrettizio, un tertium genus anagrafico, che non ha alcun riconoscimento normativo nel nostro ordinamento e che provocherebbe pesanti alterazioni nel suo equilibrio sistemico”. Queste considerazioni permettono di rilevare come alcune caratteristiche richiamate per la distinzione tra sessi e generi sono convenzionali più che oggettive, con la conseguenza che alcuni presupposti richiamati dalle Corti, perché i Giudici di merito riconoscano il diritto all’attribuzione di un genere differente, rispetto a quello assegnato alla nascita, si manifestano in tutta la loro indeterminatezza. Una caratteristica, quest’ultima, che diventa ancora più problematica a fronte dell’importante evoluzione del pensiero sviluppato dalle persone transgender, che ha introdotto nelle aule di Giustizia una proiezione della persona ben differente rispetto a quella cristallizzata negli anni di promulgazione della Legge in vigore. Le istanze sottoposte al giudizio dei magistrati sono sempre più orientate alla definizione del proprio genere in modo fluido e indipendente da modifiche sui caratteri sessuali sia primari che secondari. Tuttavia, benché non vi sia alcun obbligo legale precostituito alla modifica dei caratteri sessuali secondari, per il tramite di terapia ormonale sostitutiva (17), è ancora complesso riuscire a perseguire il risultato di una rettifica di dati anagrafici (ed eventuale autorizzazione ad interventi chirurgici) dichiarando la sola volontà di essere riconosciuti nel genere di elezione in assenza di modifiche tramite la farmacologia. La Corte Costituzionale nel 2017 si è infatti espressa in questo senso “Resta fondamentale un accertamento rigoroso, non solo della serietà e univocità dell'intento, ma anche dell'intervenuta oggettiva transizione dell'identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata; percorso che corrobora e rafforza l'intento così manifestato” (…) “va escluso che il solo elemento volontaristico possa rivestire prioritario esclusivo rilievo ai fini dell'accertamento della transizione”. A tale dettato sfugge, ovviamente, il caso della persona transgender che soffre di patologie che le rendono impossibile assumere ormoni in sicurezza. Questi dettami non devono tuttavia scoraggiare la persona transgender e nemmeno portarla a rinunciare a essere sé stessa. Già nel 2018 il Tribunale di Vercelli, chiamato a pronunciarsi in merito alle richieste di autorizzazioni chirurgiche e rettifica dei dati anagrafici, per una persona che solo temporaneamente non poteva assumere ormoni, ha accolto entrambe le istanze (18). Pende al Tribunale di Monza il procedimento per una persona transgender che ha chiesto il riconoscimento del diritto a sottoporsi ad interventi chirurgici, ma che non vuole venga rettificato il genere e nemmeno il prenome. Si tratta di casi che oggi possono essere considerati isolati ma che rappresentano il futuro.
Le sentenze del 2015 dimostrano che il Diritto è vivente nelle sue forme applicative e nelle menti della magistratura, che ha dimostrato di saper meditare in modo aderente alle istanze sottoposte alla sua attenzione. C’è ancora molto lavoro da svolgere per la salute delle persone transgender. In queste righe ci si è soffermati solo sugli aspetti legali del percorso di transizione in senso stretto ma, ampliando l’ambito di riflessione, ci si scontra con una realtà costellata da episodi di discriminazione, negazione dell’accesso al mondo del lavoro, mobbing, demansionamenti, esclusione sociale, casi di espulsione di figli e genitori transgender dalle famiglie. È necessario approntare strumenti di tutela mirati e non solo norme applicate per analogia. L’Italia, che si è distinta nel 1982 promulgando una legge definita di civiltà (19), merita ora un impianto legislativo aderente alle istanze della sua cittadinanza.

 

Modulistica utile nella gestione dell'incongruenza di genere

 

Bibliografia

  1. D Lgs 150/2011, art 31. G Cardaci. Per un “giusto processo” di mutamento di sesso. In Riv Dir Fam Per 2015, 4: 1459.
  2. Dopo la Svezia nel 1972 e la Germania nel 1980.
  3. Codice Civile art 5.
  4. DPR n 396, 3 novembre 2000, art 35.
  5. Sentenza Tribunale di Pavia 2 febbraio 2006.
  6. Corte Cassazione 15138/2015.
  7. Corte Costituzionale 221/2015 su cui A Lorenzetti. Corte costituzionale e transessualismo: ammesso il cambiamento di sesso senza intervento chirurgico ma spetta al giudice la valutazione. In Quad Cost 4/2015, 1006-1009; 180/2017 e 185/2017, su cui A Lorenzetti. Il cambiamento di sesso secondo la Corte Costituzionale: due nuove pronunce (nn. 180 e 185/2017). In Studium Iuris 2018 (4): 446.
  8. Tra i quali “l’ordine pubblico" secondo il quale, poiché dev’essere garantita la certezza dei rapporti giuridici, l’ordinamento giuridico ha il compito di garantire la riconoscibilità delle persone che li instaurano.
  9. D Lgs 150/2011, art 31, comma 4. Delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.
  10. Parlamento Europeo. Risoluzione del 12 marzo 2015 sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2013 e sulla politica dell’Unione Europea in materia.
  11. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza del 10 marzo 2015, Affaire YY c Turquie.
  12. Corte Costituzionale 221/2015.
  13. Consulente Tecnico d’Ufficio. Si tratta di norma di un medico psicologo o psichiatra, il quale potrebbe chiedere al Giudice di essere autorizzato a far partecipare alle operazioni peritali il medico endocrinologo.
  14. La decisione in ordine alle domande svolte è assunta da un collegio formato da tre Giudici, dei quali il relatore è il magistrato che ha condotto l’istruttoria.
  15. Il termine è di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza oppure di trenta giorni dalla notifica della stessa alle controparti. Parte necessaria è sempre la Procura della Repubblica, mentre controparti eventuali, a norma dell’art 31 D Lgs 150/2011, sono il coniuge e i figli.
  16. Comitato Nazionale per la Bioetica. I disturbi della differenziazione sessuale nei minori: aspetti bioetici. 25-02-2010.
  17. Corte Costituzionale 221/2015. “Interpretata alla luce dei diritti della persona ‒ ai quali il legislatore italiano, con l’intervento legislativo in esame, ha voluto fornire riconoscimento e garanzia − la mancanza di un riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali”.
  18. Sentenza Tribunale di Vercelli 561/2018.
  19. Corte Costituzionale 161/1985. “La legge n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale”.
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Terapia ormonale di affermazione di genere erogabile a carico del SSN:

  • determina AIFA per terapia mascolinizzante: leggi
  • determina AIFA per terapia femminilizzante: leggi
  • determina AIFA per la sospensione della pubertà con GnRH analoghi: leggi

Consenso informato alla terapia di affermazione di genere: scarica

Portale istituzionale dedicato al benessere e alla salute delle persone transgender, nato dalla collaborazione tra l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) e l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali - Presidenza del Consiglio dei Ministri (UNAR): Infotrans

International Olimpic Committee Framework On Fairness, Inclusion and Non-Discrimination: scarica

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Stefania Marchisotta1, Piernicola Garofalo2, Stefania Bonadonna3
1Fondazione Istituto G. Giglio – Cefalù
2Centro di Endocrinologia Clinica Marco Attard – Palermo

3UOC Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Istituto Auxologico Italiano – Milano

(aggiornato al 20 settembre 2022)

 

Premesse
Una persona assegnata alla nascita al sesso femminile (AFAB, assigned female at birth) in base al proprio sesso somatico può sentire la propria identità di genere come non femminile. Si tratta quindi di ragazzo/uomo trans o, secondo la terminologia più attuale e più corretta, di persona trans AFAB.

I criteri per iniziare una terapia medica includono (1):

  • persistente e ben documentata disforia di genere/incongruenza di genere;
  • maggiore età (per i soggetti minori, consenso al trattamento da parte di entrambi i genitori o di altri tutori, secondo le normative attuali inerenti i soggetti minorenni: art. 3 della legge n. 219/2017);
  • capacità di prendere una decisione pienamente consapevole e di fornire il consenso al trattamento ormonale;
  • assenza di problematiche mediche o psicologiche non adeguatamente stabilizzate.

L'obiettivo della terapia ormonale mascolinizzante è lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari maschili (gender affirmed) e la soppressione/minimizzazione dei caratteri sessuali secondari femminili (gender assigned).

 

Prima di iniziare il trattamento
L’inizio del trattamento non richiede un tempo minimo di valutazione o di psicoterapia, né di transizione sociale. Sarà comunque importante che lo specialista endocrinologo, che prende in carico la persona AFAB e prescrive la terapia ormonale (2):

  • verifichi che il percorso medico sia il più appropriato per ridurre la disforia, senza creare problematiche di salute;
  • valuti le altre condizioni mediche se coesistenti e eventuali problematiche socio-economiche concomitanti;
  • consideri e affronti tutte le condizioni cliniche che posso essere esacerbate dalla deplezione ormonale e/o dal trattamento ormonale sostitutivo;
  • fornisca una chiara informazione circa i farmaci da assumere.
  • informi e spieghi con attenzione le opzioni disponibili per la conservazione della fertilità prima del trattamento.

La terapia ormonale dovrà essere personalizzata, valutando le necessità della singola persona, nonché i fattori di rischio e lo stato di salute individuali. Andranno anche valutati e spiegati con attenzione quali possono essere gli obiettivi raggiungibili dalla terapia, rispetto alle aspettative della persona. Tali aspettative devono infatti essere realistiche e il trattamento ormonale deve poterle soddisfare, permettendo un effettivo miglioramento della disforia.

Controindicazioni assolute alla terapia con testosterone sono:

  • gravidanza;
  • malattie coronariche instabili;
  • policitemia non curata con ematocrito ≥ 55%.

È necessaria quindi un’attenta raccolta anamnestica e una valutazione clinica dei profili di rischio prima di iniziare la terapia (1).

 

Terapia ormonale virilizzante
Richiede la somministrazione nelle persone transgender AFAB di preparati a base di testosterone. Sono attualmente in commercio diverse formulazioni di testosterone: trans-dermiche e parenterali (esteri del T o T undecanoato), mentre quelle orali (comunque poco efficaci e gravate da effetti collaterali) non sono più in commercio in Italia dal 2022 (tabella 1) (2,3).

 

Tabella 1
Terapia virilizzante (disponibile in Italia)
Parenterale
Testosterone enantato 250 mg im ogni 2-4 settimane Importanti fluttuazioni dei valori plasmatici del T
Esteri del testosterone 250 mg im ogni 3-4 settimane Importanti fluttuazioni dei valori plasmatici del T
Testosterone undecanoato 1000 mg im ogni 10-16 settimane Raggiunge livelli stabili e più fisiologici in pochi mesi
Trans-dermica
Testosterone gel 1-2% 40-50 mg/die Determina minori variazioni dei livelli di T
Passaggio epatico ridotto
Parenterale
GnRH agonisti (triptorelina o leuprolide) 3.75 mg/mensile
11.25 mg/ogni 3 mesi
Utile per indurre la cessazione del ciclo mestruale, nel caso in cui il solo testosterone non fosse sufficiente

 

Se la persona trans AFAB in età adulta nutre l’aspettativa di una virilizzazione completa, la terapia ormonale segue i criteri della terapia sostitutiva dell'ipogonadismo maschile. Pertanto, i valori target di testosterone devono essere quelli dell’uomo cisgender (320-1000 ng/dL, 11.1-34.7 nmol/L).
Negli studi a lungo termine, non si sono osservate differenze sostanziali in termini di efficacia o di sicurezza delle diverse formulazioni. Sicuramente il testosterone trans-dermico e l’undecanoato determinano una maggiore stabilità dei livelli plasmatici di testosterone. Le formulazioni a breve durata d’azione di esteri del testosterone e il testosterone enantato inducono maggiori oscillazioni dei livelli circolanti, con maggior rischio di policitemia e di variazioni dell’umore e del benessere psico-fisico.
La terapia andrà protratta per tutta la vita con dosi decrescenti, rispettando i range di riferimento per età del maschio cisgender; in particolare, nelle persone sottoposte a ovariectomia la terapia non deve essere sospesa, per evitare le complicanze legate allo stato di ipogonadismo.
La maggior parte dei cambiamenti fisici, mascolinizzanti, si verificano nel corso di due anni circa e sono dipendenti sia dagli schemi proposti che dalle richieste espresse dalle persone in carico.

I principali cambiamenti osservati sono:

  • aumento della distribuzione pilifera al volto e sul corpo, con distribuzione maschile (4);
  • acne per aumento della produzione di sebo (incidenza del 30-40%) (4);
  • alopecia androgenetica solo nei soggetti geneticamente predisposti (4);
  • abbassamento del timbro di voce (5);
  • atrofia mammaria (6);
  • modificazioni della composizione corporea, con aumento della massa muscolare e riduzione della massa grassa, quest’ultima con un accumulo prevalentemente in regione addominale (7);
  • aumento della libido, con aumento della masturbazione, delle fantasie e del desiderio e dell’eccitazione;
  • ipertrofia clitoridea (8);
  • arresto del ciclo mestruale: avviene in genere entro pochi mesi dall’inizio della terapia con testosterone, con sostanziale beneficio psico-fisico. Qualora si osservasse persistenza del ciclo mestruale, è possibile aggiungere trattamento progestinico o con GnRH analoghi (tab 2).

 

Tabella 2
Effetti della terapia virilizzante
Effetto Iniziale Completo
Alopecia androgenetica 6-12 mesi Variabile
Ridistribuzione della massa grassa 3-6 mesi 2-5 anni
Amenorrea 2-6 mesi Variabile
Ipertrofia clitoridea 1-6 mesi 1-2 anni
Atrofia vaginale 1-6 mesi 1-2 anni
Aumento massa muscolare 6-12 mesi 3-5 anni
Aumento distribuzione pilifera 3-6 mesi 2-5 anni
Variazione del tono della voce 3-12 mesi 1-2 anni
Acne 1-6 mesi 1-2 anni
Aumento della libido Variabile Variabile

 

 

La terapia ormonale di riaffermazione sessuale presenta gli stessi rischi associati alla terapia sostitutiva androgenica nel maschio cisgender. Il profilo di sicurezza della terapia deve tener conto di:

  • valutazione dei rischi derivanti dal sovra-dosaggio, con incremento dell’emoglobina e dell’ematocrito;
  • valutazione dell’aumento del rischio cardio-vascolare per alterazione del profilo lipidico: incremento dei livelli di trigliceridi e colesterolo LDL e riduzione del colesterolo HDL;
  • valutazione del quadro osseo: la conversione del testosterone a estradiolo sembra permettere il mantenimento della salute ossea;
  • valutazione del rischio oncologico: sembra sovrapponibile a quello della popolazione generale. Lo screening segue comunque le indicazioni delle persone cisgender relativo a tutti i tessuti presenti nel soggetto AFAB.

È necessario pertanto sottoporre la persona AFAB a controlli clinici ogni tre mesi nel primo anno e successivamente ogni 6-12 mesi (tab 3).

 

Tabella 3
Follow-up
Parametri da valutare Frequenza
Valutazione clinica (pressione arteriosa – BMI) Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
Grado di soddisfazione Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
LH/FSH
Testosterone totale
Prolattina
17ß-estradiolo
Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
Ematocrito e Hb
Colesterolo totale, HDL, trigliceridi
Glicemia
Creatinina
GOT/GPT
Calcio, 25OH-vitamina D
Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi 
Densitometria ossea Ogni 2 anni nei soggetti > 60 anni o con fattori di rischio
Mammografia Annualmente nei soggetti > 40 anni se non è stata effettuata mastectomia
Pap-test Annualmente nei soggetti > 40 anni se non è stata effettuata isterectomia
Ecografia addome Ogni 2-3 anni

 

Nel corso della visita ambulatoriale andranno valutati diversi aspetti:

  • l’adeguatezza e i possibili effetti collaterali della terapia in atto, così da apportare eventuali modifiche della formulazione o della posologia;
  • che il soggetto stia seguendo uno stile di vita sano, raccomandando la riduzione/cessazione del fumo e la pratica di attività fisica regolare;
  • la soddisfazione rispetto alle modificazioni corporee desiderate.

La terapia con testosterone andrà protratta tutta la vita e adattata in base a eventuali cambiamenti delle condizioni di salute, all'introduzione di eventuali ulteriori terapie e all’invecchiamento (1).

 

Bibliografia

  1. Coleman E, Radix AE, Bouman WP, et al. Standards of care for the health of transgender and gender diverse people, version 8. Int J Transgender Health 2022, 23 suppl 1: S1-S259.
  2. Hembree WC, Cohen-Kettenis PT, Gooren L, et al. Endocrine treatment of gender-dysphoric/gender-incongruent persons: an Endocrine Society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab 2017, 102: 3869-903.
  3. Olson J, Schrager SM, Clark LF, et al. Subcutaneous testosterone: an effective delivery mechanism for masculinizing young transgender men. LGBT Health 2014, 1: 165-7.
  4. Giltay EJ, Gooren LJ. Effects of sex steroid deprivation/administration on hair growth and skin sebum production in transsexual males and females. J Clin Endocrinol Metab 2000, 85: 2913-21.
  5. Gooren LJ, Giltay EJ. Review of studies of androgen treatment of female-to-male transsexuals: effects and risks of administration of androgens to females. J Sex Med 2008, 5: 765-76.
  6. T’Sjoen G, Arcelus J, Gooren L, et al. Endocrinology of transgender medicine. Endocr Rev 2019, 40: 97-117.
  7. Fisher AD, Senofonte G, Cocchetti C, et al. SIGIS-SIAMS-SIE position statement of gender affirming hormonal treatment in transgender and non-binary people. J Endocrinol Invest 2022, 45: 657-73.
  8. Mueller A, Kiesewetter F, Binder H, et al. Long-term administration of testosterone undecanoate every 3 months for testosterone supplementation in female-to-male transsexuals. J Clin Endocrinol Metab 2007, 92: 3470-5.
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Roberto Castello1 & Stefania Bonadonna2
1Medicina Generale A, AOUI, Verona
2UOC Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Istituto Auxologico Italiano, Milano

(aggiornato al 19 settembre 2022)

 

Premesse
Una persona assegnata alla nascita al sesso maschile (AMAB, assigned male at birth) in base al proprio sesso somatico può sentire la propria identità di genere come non maschile. Si tratta quindi di ragazza/donna transgender o, secondo la terminologia più attuale e più corretta, di persona transgender AMAB.
È importante considerare che non tutte le persone transgender AMAB si identificano come donne, quindi, parlando di trattamento di riaffermazione di genere, faremo riferimento a quei soggetti che presentano una disforia verso il proprio corpo e che sentono la necessità di un percorso medicalmente assistito, mirato a rendere l’aspetto della persona il più possibile congruente con il genere desiderato.
I criteri per iniziare una terapia medica sono:

  • persistente e ben documentata disforia di genere/incongruenza di genere;
  • maggiore età (per i soggetti minori, consenso al trattamento da parte di entrambi i genitori o di altri tutori, secondo le normative attuali inerenti i soggetti minorenni: art. 3 della legge n. 219/2017);
  • capacità di prendere una decisione pienamente consapevole e di fornire il consenso al trattamento ormonale;
  • assenza di problematiche mediche o psicologiche non adeguatamente stabilizzate.

Scopo della terapia ormonale di affermazione di genere in persone AMAB adulte che richiedono una femminilizzazione completa, è quello di:

  • sviluppare e mantenere i caratteri secondari femminili;
  • sopprimere l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e ridurre i caratteri secondari maschili.

 

Prima di iniziare il trattamento
Il medico endocrinologo che prende in carico la persona transgender ha il compito di verificare che le aspettative rispetto al trattamento siano realistiche: durante il percorso la terapia sarà personalizzata, così da garantire che i risultati ottenuti riflettano il più possibile tali aspettative e siano quanto di meglio si possa proporre ad ogni persona. La terapia, quindi, è individualizzata e può essere costantemente modificata in base ai risultati ottenuti e alle richieste del soggetto.
Non esistono percorsi psicoterapeutici e tempi minimi di riflessione prima di iniziare il trattamento, tuttavia, prima di iniziare una terapia ormonale, è importante:

  • spiegare attentamente i fattori di rischio legati al trattamento, valutare lo stato di salute della persona AMAB, eventuali fattori di rischio aggiuntivi legati alla familiarità o allo stile di vita (in particolare il fumo);
  • affrontare il tema della fertilità: la terapia ormonale affermativa di genere può compromettere la fertilità e la capacità riproduttiva. L’utilizzo di estrogeni e/o anti-androgeni, infatti, danneggia la spermatogenesi in maniera irreversibile. Deve pertanto essere proposta la crio-conservazione degli spermatozoi in strutture dedicate alla preservazione di gameti (banca del seme), da effettuare possibilmente prima dell’inizio della terapia ormonale o dopo la sospensione della stessa per almeno tre mesi qualora la terapia sia stata da poco iniziata.

Controindicazioni assolute al trattamento sono rappresentate da:

  • alterazioni dell’assetto coagulativo;
  • pregressi eventi trombo-embolici;
  • storia di neoplasia estrogeno-sensibile;
  • grave epatopatia.

 

Terapia ormonale femminilizzante
Prevede l’utilizzo di:

  • terapia estrogenica
  • terapia anti-androgenica.

Gli estrogeni rappresentano la prima linea di trattamento in soggetti AMAB. Le linee guida raccomandano solo l’utilizzo del 17β-estradiolo (E2). È controindicato, per i maggiori rischi trombotici, l’utilizzo di ormoni sintetici (etinil-estradiolo) o di derivazione equina (estrogeni coniugati) o, per l’aumentata incidenza di neoplasia mammaria, del progesterone.
L’estradiolo è disponibile in diverse formulazioni che differiscono per via di somministrazione:

  • orale: estradiolo orale micronizzato esterificato (valerato), viene metabolizzato a livello intestinale ed epatico in estrone, si accumula gradualmente nel sangue, con maggiori fluttuazioni plasmatiche;
  • trans-dermica (cerotti o gel): è evitato l’effetto di primo passaggio epatico, con riduzione del rischio protrombotico e maggiore biodisponibilità, che consente l’utilizzo di dosaggi inferiori e porta a minori fluttuazioni dei livelli plasmatici. Rappresentano il trattamento di scelta in soggetti AMAB > 40 anni o in presenza di fattori di rischio trombo-embolico (fumo, obesità, patologia epatica, diabete mellito complicato);
  • intra-muscolare: i livelli raggiunti sono mediamente più alti rispetto a quelli di donne cisgender, con maggior rischio di eventi cardio-vascolari. Presentano importanti fluttuazioni dei livelli plasmatici. Non sono disponibili in Italia.

Se il soggetto richiede un processo di femminilizzazione completa, gli estrogeni devono essere prescritti in età adulta a un dosaggio da due a tre volte superiore alle dosi raccomandate nella terapia sostitutiva delle donne cisgender in post-menopausa. Quindi, il trattamento sarà mirato a raggiungere e mantenere livelli di estradiolo e testosterone nel normale range per la donna cisgender in età fertile (indicativamente 100-200 pg/mL e 50 ng/dL, rispettivamente).

 

Tabella 1
Terapia femminilizzante (disponibile in Italia)
Trans-dermica
Estradiolo Cerotti trans-dermici
25-100 mg/24h
1 o 2 applicazioni/settimana
Rilascio graduale di estradiolo
Valori plasmatici di estradiolo stabili
Emivita 24 h
Estradiolo emidrato Gel trans-dermico
1.5-3 mg/die
Flacone con pompa dosatrice o contenitori monodose
Rilascio graduale di estradiolo
Valori plasmatici di estradiolo stabili
Emivita 36 h
Orale
Estradiolo valerato Compresse
2-6 mg/die
Accumulo di estrone come effetto di primo passaggio epatico
Minore biodisponibilità di estradiolo
Fluttuazione dei valori plasmatici di estradiolo
Emivita 12 h

 

Valori simili di testosterone in un soggetto AMAB sono raggiunti, almeno inizialmente, tramite l’utilizzo di anti-androgeni. La terapia con anti-androgeni può essere successivamente sospesa o notevolmente ridotta se i livelli di testosterone sono sufficientemente ridotti anche con i soli estrogeni e completamente sospesa in caso di orchiectomia.
I farmaci comunemente utilizzati sono:

  • ciproterone acetato (CPA): ha duplice azione, progestinica ad effetto centrale e periferica di inibizione del recettore androgenico. Viene metabolizzato nel fegato, il picco è a 2-3 ore e ha emivita di 48-72 ore. Dall’uscita delle linee guida dell’Endocrine Society si pongono maggiori precauzioni nell’utilizzo del CPA, proponendone dosaggi più bassi (< 10 mg vs 25-50 mg), con una variazione in base ai valori del testosterone totale. Il dosaggio di 10 mg/die sembra peraltro ottenere valori di soppressione del testosterone assolutamente sovrapponibili ai 50 mg/die. Nel caso in cui venga raggiunta una persistente soppressione o riduzione del testosterone, il CPA può essere somministrato anche a giorni alterni. Nei soggetti in trattamento con CPA la letteratura riporta un aumentato rischio metabolico legato a effetti negativi sul profilo lipidico (riduzione HDL), un aumento dei valori di prolattina e una segnalazione di incrementata incidenza di meningiomi (vedi: Alert EMA/384708/2019 del 12 luglio 2019, aggiornato il 13 febbraio 2020). Si raccomanda pertanto di utilizzare bassi dosaggi e di limitare la durata del trattamento. Sono stati descritti episodi di depressione con dosi > 50 mg/die;
  • spironolattone: antagonista del recettore dei mineralcorticoidi con proprietà anti-androgeniche, blocca debolmente il legame del DHT al suo recettore e inibisce anche alcuni enzimi della via biosintetica del testosterone. Viene somministrato per os al dosaggio di 100-400 mg/die. È metabolizzato nel fegato con un picco a 1-4 ore ed emivita di 16-22 ore. Diversi studi sostengono che lo spironolattone potrebbe migliorare il rischio metabolico rispetto al CPA (aumento HDL). È utilizzato soprattutto negli Stati Uniti, dove il CPA non è disponibile, risulta efficace nel ridurre i livelli di testosterone nel range delle donne cisgender. Durante il trattamento con spironolattone deve essere monitorato il rischio di iperpotassiemia e di ipotensione ortostatica;
  • GnRH agonisti: possono essere considerati una valida alternativa grazie alla loro efficacia e al profilo di sicurezza. Nei soggetti AMAB adulti si tende a non utilizzare questa possibilità a causa dell’alto costo. In Italia è stata autorizzata la prescrivibilità e l’utilizzo per il blocco dello sviluppo puberale in adolescenti AMAB, ottenendo un’efficace soppressione gonadica già dopo tre mesi;
  • antagonisti periferici del recettore per gli androgeni (bicalutamide, finasteride e flutamide): non sono raccomandati per i potenziali effetti collaterali (epatotossicità) e la scarsa tolleranza;
  • progesterone: i progestinici hanno un minimo effetto anti-androgeno attraverso il blocco centrale delle gonadotropine, ma non ci sono evidenze che ne suggeriscano l'uso, in quanto sicuramente si accompagnano ad aumentato rischio di tumore mammario.

 

Tabella 2
Terapia anti-androgenica (disponibile in Italia)
Orale
Ciproterone acetato Compresse
10-25 mg/die
Metabolismo epatico
Emivita 48-72 h
Spironolattone Compresse
50-200 mg/die
Metabolismo epatico
Emivita 16-22 h
Parenterale
GnRH agonisti (triptorelina o leuprolide) Fiale somministrazione sc o im
3.75 mg/mese
11.25 mg/ogni 3 mesi
Metabolismo epatico
Emivita 3 h

 

 

Effetti della terapia di femminilizzazione

I primi effetti dell’assunzione della terapia femminilizzante compaiono in un periodo variabile dai 2 ai 4 mesi, con differenze inter-individuali legate al ruolo dei fattori genetici nel determinare la risposta. I cambiamenti diventano parzialmente irreversibili in un periodo da 6 a 12 mesi, mentre la loro stabilizzazione può richiedere periodi di tempo variabili entro i 2 anni dall’inizio del trattamento. I maggiori risultati si ottengono entro i 5 anni, mentre le tempistiche si dilatano qualora non sia effettuata orchiectomia.

  • Crescita mammaria: la terapia estrogenica comporta un moderato aumento del volume delle mammelle (Tanner 2-3), variabile da persona a persona in base ai fattori genetici. Non esiste alcun parametro clinico o di laboratorio che predica la crescita mammaria, la quale correla però in modo significativo con una riduzione della disforia verso il corpo. In circa il 20% dei soggetti AMAB è stato osservato un grado Tanner 4 dopo una mediana di 2 anni di trattamento. Questo spiega perché circa il 60% delle persone trans AMAB ricorrono ad interventi di chirurgia estetica (masto-plastica additiva).
  • Composizione corporea: si verifica un progressivo aumento della massa grassa, con modifica della disposizione del grasso corporeo dalle aree addominali e dalle spalle ai fianchi e ai glutei. Contemporaneamente si osserva una riduzione della massa magra e il tono muscolare si riduce in maniera significativa, per cui in alcuni casi si verifica anche una perdita di energia (spossatezza) accompagnata a diminuzione della forza fisica, soprattutto nel periodo iniziale del trattamento.
  • Effetti dermatologici: i peli (salvo i capelli e i peli pubici) generalmente rallentano la velocità di crescita, diventano più sottili e radi. La distribuzione corporea dei peli si riduce. La barba può subire un rallentamento nella crescita e divenire meno folta, ma non si ottiene quasi mai una riduzione soddisfacente/completa. Si osserva il blocco della calvizie maschile e la progressiva ricrescita di una leggera peluria nelle sedi di alopecia androgenetica. Si verifica anche una riduzione della produzione sebacea, con modificazione della produzione e dell’odore del sudore.
  • Voce: nei soggetti AMAB adulti, la terapia ormonale non induce modificazione del timbro della voce. Per questo spesso le persone AMAB ricorrono a interventi di logopedia o interventi chirurgici alle corde vocali.
  • Apparato genitale e attività sessuale: si osserva una quasi completa scomparsa delle erezioni spontanee. Le erezioni stimolate tendono a diminuire e possono essere difficili da mantenere. La produzione di liquido seminale diminuisce, e di frequente si verifica una ridotta intensità dell’orgasmo. I testicoli e la prostata si atrofizzano, dunque la fertilità diminuisce, poiché il numero di spermatozoi si riduce notevolmente, con il rischio di raggiungere la completa sterilità. Nei primi sei mesi si assiste al calo della libido. Successivamente il benessere sessuale tende ad aumentare, soprattutto grazie al miglioramento dell’immagine corporea.

 

Tabella 3
Effetti della terapia di femminilizzazione
Effetto Iniziale Completo
Crescita mammaria 3-6 mesi 2-3 anni
Ridistribuzione della massa grassa 3-6 mesi 2-5 anni
Scomparsa delle erezioni spontanee 1-3 mesi 3-6 mesi
Riduzione della forza muscolare 3-6 mesi 1-2 anni
Riduzione della secrezione sebacea 3-6 mesi 3-6 mesi
Riduzione della spermatogenesi Variabile Variabile
Diradamento e rallentata crescita dei peli 6-12 mesi 3 anni
Calvizie androgenetica Effluvium ridotto in 3 mesi 1-2 anni
Riduzione della libido Variabile Variabile

 

 

Monitoraggio
La terapia ormonale deve sempre essere effettuata sotto monitoraggio specialistico: questo garantisce un livello di sicurezza maggiore se confrontata con la terapia auto-prescritta o con l’utilizzo di preparati farmacologici non certificati.
Dalla letteratura si evince che la terapia ormonale nelle persone transgender AMAB è associata a un assetto lipidico lipidico maggiormente protettivo (incremento delle concentrazioni del colesterolo HDL e riduzione del colesterolo LDL), anche se alcuni studi riportano una maggiore incidenza di infarto del miocardio, trombosi venosa ed eventi cerebro-vascolari nella popolazione transgender AMAB in terapia ormonale se confrontata con gli uomini e le donne cisgender. Tali dati possono essere falsati dall’utilizzo che in passato si faceva di etinil-estradiolo. A tutt’oggi, comunque, è noto che gli estrogeni hanno un effetto pro-trombotico: l’incidenza annuale di eventi trombo-embolici nelle persone transgender AMAB in terapia femminilizzante è di circa 2‰.
Spesso le persone AMAB presentano una grave ipovitaminosi D, che deve essere corretta e monitorata. La terapia con estrogeni è associata a un progressivo incremento della densità minerale ossea, ma non sono disponibili dati di follow-up a lungo termine relativi al rischio di frattura nelle persone transgender in terapia ormonale.
Gli estrogeni inoltre stimolano la crescita delle cellule lattotrope, per cui è indicato il costante monitoraggio dei valori di prolattina ed è segnalato un incrementato rischio di prolattinoma. Inoltre, dal punto di vista oncologico, devono essere monitorati il rischio di neoplasia mammaria (aumentato rispetto agli uomini cisgender) e prostatica. In chi utilizza CPA andrà valutato il rischio di meningioma. In ogni caso il rischio oncologico presenta comunque bassi tassi di incidenza nelle persone trans AMAB in terapia femminilizzante.
La terapia ormonale può indurre modificazioni del tono dell’umore, favorendo in rari casi gravi episodi depressivi.
Il monitoraggio della terapia prevede controlli ambulatoriali ogni 3-4 mesi nel primo anno e successivamente ogni 6-12 mesi. Durante le visite di controllo saranno monitorati i dosaggi ormonali, per verificare l’appropriatezza della terapia, e saranno osservate e discusse con il soggetto le modifiche corporee ottenute e l’eventuale comparsa di effetti indesiderati. La terapia andrà corretta sia alla luce dei valori ematochimici sia nel rispetto delle esigenze/problematiche presentate dalla persona.
Seppur con dosaggi, frequenza - ed eventualmente modalità - diversi, le persone AMAB devono assumere estrogeni per tutta la vita. Devono inoltre sottoporsi regolarmente ai programmi di screening oncologici per i tessuti presenti e monitorare regolarmente la densità minerale ossea in caso di fattori di rischio o dopo i 60 anni.
Si raccomanda uno stile di vita corretto, con astensione dal fumo e attività fisica regolare.

 

Tabella 4
Follow-up
Parametri da valutare Frequenza
Valutazione clinica (pressione arteriosa – BMI) Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
Grado di soddisfazione Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
LH/FSH
17ß-estradiolo
Testosterone totale
Prolattina
Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
Screening trombofilia, PSA Ogni 6-12 mesi
Elettroliti plasmatici (se terapia con spironolattone) Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
Ematocrito e Hb
Colesterolo totale, HDL, trigliceridi
Glicemia
Creatinina
GOT/GPT
Calcio, 25OH-vitamina D
Ogni 3 mesi per il primo anno, poi ogni 6-12 mesi
Densitometria ossea Ogni 2 anni nei soggetti > 60 anni o con fattori di rischio
Mammografia Annualmente nei soggetti > 40 anni
Ecografia addome Ogni 2-3 anni

 

Bibliografia

  1. Coleman E, Radix AE, Bouman WP, et al. Standards of care for the health of transgender and gender diverse people, version 8. Int J Transgender Health 2022, 23 suppl 1: S1-S259.
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  3. T’Sjoen G, Arcelus J, Gooren L, et al. Endocrinology of transgender medicine. Endocr Rev 2019, 40: 97-117.
  4. Hembree WC, Cohen-Kettenis PT, Gooren L, et al. Endocrine treatment of gender-dysphoric/gender-incongruent persons: an Endocrine Society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab 2017, 102: 3869-903.
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  13. de Blok CJM, Klaver M, Wiepjes CM, et al. Breast development in transwomen after 1 year of cross-sex hormone therapy: results of a prospective multicenter study. J Clin Endocrinol Metab 2018, 103: 532–8.
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Andrea Delbarba1 & Paolo Facondo2
1SSVD Medicina ad Indirizzo Endocrino-Metabolico, ASST Spedali Civili di Brescia
2Università degli Studi di Brescia, G-AME

(aggiornato al 25 settembre 2022)

 

Recenti pubblicazioni evidenziano come la popolazione con incongruenza di genere presenti un aumentato rischio cardio-vascolare (CV) rispetto ai coetanei cisgender (1). Nello specifico, grazie ai dati provenienti da registri americani, nei soggetti AFAB (assigned female at birth) emerge una prevalenza di eventi CV (in particolare di infarto miocardico) superiore sia agli uomini cisgender che alle donne cisgender, mentre nei soggetti AMAB (assigned male at birth) tale prevalenza risulta aumentata solamente rispetto alle donne cisgender, risultando invece sovrapponibile agli uomini cisgender (2).
Un recente statement dell’American Heart Association ha sottolineato come la salute CV della popolazione transgender non dipenda solamente dall’impatto della terapia ormonale di riassegnazione di genere, ma anche da altri variabili non trascurabili, quali i fattori di rischio CV tradizionali, le comorbilità e i fattori di stress psico-sociale (3). In particolare, in merito alla presenza di fattori di rischio CV prima dell’inizio della terapia ormonale, è stato osservato che i valori di colesterolo HDL risultano più frequentemente ridotti nella popolazione transgender rispetto ai cisgender (si suppone per il più frequente riscontro di sovrappeso-obesità, diete scorrette e minor attività fisica), mentre non sono state osservate differenze significative in merito ai livelli di colesterolo totale e trigliceridi, tassi di ipertensione e iperglicemia (3). Alla base della peggior salute CV nella popolazione transgender vi possono essere inoltre fattori di stress psico-sociale, quali lo stress di appartenere a un gruppo ritenuto “minoranza di genere”, lo stigma e la discriminazione, con conseguenti ricadute sfavorevoli sullo stile di vita e sul rischio CV, anche attraverso meccanismi indipendenti (3). In aggiunta, non devono essere trascurate le comorbilità che possono avere un impatto negativo sul profilo CV: infezione da HIV, utilizzo di sostanze d’abuso, abitudine tabagica, altri farmaci o patologie concomitanti (3).
Ad ogni modo, risulta cruciale una gestione ottimale della terapia ormonale nella popolazione con incongruenza di genere, per tutelarne la salute CV.

 

Impatto della terapia ormonale su rischio e mortalità CV nella popolazione transgender
Nonostante i dati siano dibattuti, si ritiene che la terapia ormonale di riassegnazione di genere possa impattare sulla salute CV, sia alterando i principali parametri cardio-metabolici, sia aumentando di per sé il rischio di eventi CV a breve e lungo termine.

Soggetti AMAB. La terapia con estrogeni (eventualmente associati ad anti-androgeni) sembra associarsi ad aumento dell’insulino-resistenza (valutato con l’indice HOMA) dopo un anno di terapia (4,5), mentre non comporta variazioni significative di pressione arteriosa e tassi di iperglicemia e diabete mellito a breve e lungo termine (oltre un anno dall’inizio di terapia) (3,4). La terapia con estrogeni sembra inoltre associarsi a lieve incremento dei trigliceridi per le formulazioni orali (soprattutto se associate ad anti-androgeni), mentre il dato non sembra confermarsi per le formulazioni a base di estradiolo trans-dermico (6). Non sembra invece emergere un significativo impatto della terapia estrogenica sui valori di colesterolemia totale a breve e lungo termine (3,6). Risultano invece discordanti i dati in merito all’impatto di tale terapia sulla composizione corporea, anche se prevalgono evidenze a supporto di un aumento della massa grassa (in particolare un incremento del grasso corporeo totale senza variazioni del grasso viscerale) e riduzione della massa magra (5). In letteratura, è inoltre riportato un aumentato rischio trombo-embolico nelle donne transgender che ricevono una terapia ormonale a base di estrogeni, anche se una recente metanalisi ha riportato in tale popolazione una prevalenza di eventi trombo-embolici del 2%, stimandone un rischio più basso soprattutto nei soggetti più giovani (< 37.5 anni), mentre il rischio è sicuramente maggiore in caso di utilizzo di estrogeni combinati o sintetici, ad alto dosaggio, entro il primo anno di terapia e nel caso di concomitante obesità o abitudine tabagica (7).

Soggetti AFAB. La terapia con testosterone sembra associarsi, dopo un anno dall’inizio del trattamento, a lieve non significativo aumento della pressione arteriosa sistolica, effetto trascurabile sui livelli di glicemia e tassi di diabete, e a impatto neutro o favorevole sull’insulino-resistenza (3). Inoltre, tale terapia, a breve e lungo termine, è risultata in molti studi associarsi a riduzione dei livelli di colesterolo HDL, aumento di trigliceridi e lieve aumento del colesterolo totale e LDL (il dato sembra dovuto alla riduzione dei livelli di estrogeni, che hanno un ruolo favorevole sul metabolismo lipidico) (3,6). Nonostante i dati non siano univoci, si può affermare inoltre che la terapia con testosterone nei soggetti AFAB non sembri variare significativamente il BMI, mentre migliori il rapporto massa magra/grassa (massa grassa minore o uguale associata a massa magra maggiore rispetto alle donne cisgender, mentre massa magra inferiore rispetto agli uomini cisgender) (3,5). In aggiunta, la terapia con testosterone negli uomini transgender si associa ad aumento dei globuli rossi e dell’ematocrito (soprattutto con le formulazioni intra-muscolari rispetto a quelle trans-dermiche, con conseguente incremento del rischio di iperviscosità ematica) e a incrementata ritenzione idro-salina, mentre sono discordanti e non conclusivi i dati in merito al rischio trombo-embolico (8).

In merito invece alla mortalità CV in corso di terapia ormonale di riassegnazione di genere (con estrogeni o testosterone), i dati sull’aumentato rischio non sembrano convincenti e concordanti: si suppone che l’aumentata mortalità nei soggetti transgender (rispetto ai coetanei cisgender) non siano attribuibili all’impatto della terapia ormonale sulla salute CV, ma siano dovuti alle comorbilità e all’aumentato rischio di suicidio (9). Nonostante la modificazione dei fattori di rischio CV in corso di terapia di affermazione di genere (in particolare del profilo lipidico in corso di terapia con testosterone nei soggetti AFAB), non sembra esserci evidenza di aumentato rischio a breve e lungo termine di eventi avversi fatali CV o trombo-embolici (10,11).

 

Gestione della terapia ormonale per la gestione della salute CV nella popolazione con incongruenza di genere
Per salvaguardare la salute CV nella popolazione con incongruenza di genere è indispensabile eseguire un’adeguata valutazione propedeutica all’inizio della terapia e, soprattutto, un adeguato monitoraggio in corso di trattamento, attenendosi alle indicazioni delle principali linee guida di riferimento (10-12).

Soggetti AMAB. La presenza di recenti eventi cardio-cerebro-vascolari rappresenta una controindicazione alla terapia estrogenica (10). Inoltre, un’anamnesi positiva per trombo-embolismo venoso e/o embolia polmonare richiede necessariamente un’attenta valutazione prima dell’inizio della terapia estrogenica, e nel caso di storia personale di eventi trombo-embolici ripetuti o di familiarità positiva per trombo-embolismo (avvenuto prima dei 50 anni in un parente di primo grado) dovrebbe essere eseguito uno screening genetico per trombofilia ereditaria (10-12).

Soggetti AFAB. Deve essere valutato l’ematocrito, dato che il suo aumento (eritrocitosi) costituisce una controindicazione alla terapia con testosterone (10,11).

Tutti. Per salvaguardare ulteriormente la salute CV della popolazione con incongruenza di genere, prima dell’inizio della terapia ormonale devono essere corretti o trattati, laddove presenti, i fattori di rischio CV modificabili (ipertensione, dislipidemia, obesità, abitudine tabagica, sedentarietà) (10,11).

In generale, per ottimizzare il rapporto tra rischi e benefici della terapia (per la salute CV e generale), il fine del trattamento deve essere il raggiungimento di livelli di ormoni sessuali nel range di norma per età e genere esperito (come fosse una terapia ormonale sostitutiva in paziente ipogonadico, evitando di raggiungere valori ormonali sovra-fisiologici), da proseguire anche dopo gonadectomia (10-12). Si ritiene che, se non adeguatamente gestita, la terapia:

  • estrogenica nei pazienti AMAB si associ ad aumentato rischio trombo-embolico, di eventi cardio-cerebro-vascolari e di ipertrigliceridemia;
  • con testosterone nei soggetti AFAB si associ ad aumentato rischio di eritrocitosi (ematocrito > 50-52%), di eventi cardio-cerebro-vascolari e di ipertensione arteriosa (11,12).

Nei soggetti più critici è buona pratica clinica tenere in considerazione alcune accortezze terapeutiche.

  • Terapia estrogenica in soggetti AMAB ad alto rischio trombo-embolico (> 40 anni, abitudine tabagica, obesità, epatopatie): è sconsigliato l’utilizzo di estrogeni combinati o sintetici (quali l’etinil-estradiolo), mentre è suggerito l’utilizzo di estrogeni naturali (quali l’estradiolo valerato), a non elevato dosaggio e preferibilmente in formulazione trans-dermica anziché orale, per evitare l’effetto pro-trombotico legato al primo passaggio epatico) (10-12).
  • Soggetti AFAB ad alto rischio per iperviscosità ematica (emopatie, trombofilia, storia di trombo-embolismo ed epatopatie): può risultare opportuno preferire le formulazioni di testosterone trans-dermico, rispetto a quelle intra-muscolari, per ridurre il rischio di eritrocitosi (13,14).

Al fine di contenere il più possibile i rischi sovra-citati, è indispensabile un adeguato management clinico e biochimico in corso di trattamento: dopo l’inizio della terapia ormonale, monitoraggio a cadenza trimestrale nel primo anno di terapia e successivamente ogni 6-12 mesi (10,11). In merito alla salute CV, sia per i soggetti AFAB sia AMAB, oltre al monitoraggio dei livelli plasmatici degli ormoni gonadici si raccomanda la valutazione di pressione arteriosa, BMI, profilo glucidico e lipidico (10-14). È inoltre raccomandato il monitoraggio dei valori di ematocrito nei soggetti AFAB, e degli elettroliti (potassiemia) nei soggetti AMAB che assumono spironolattone (come anti-androgeno) (10,11).
È inoltre importante gestire la terapia ormonale laddove il soggetto ricorra a chirurgia di riassegnazione di genere: seppur non esistano in merito indicazioni perentorie da parte delle linee guida, è consigliabile, per ridurre il rischio trombo-embolico, sospendere la terapia ormonale (in particolare con estrogeni) nel periodo pre- e post-operatorio (così come in caso di chirurgia maggiore o allettamento prolungato) (11,12). Successivamente, la terapia è da adeguare e proseguire a lungo termine, per evitare gli effetti avversi dovuti al deficit ormonale gonadico (12). Tutto ancora da valutare è invece il dosaggio della terapia di riassegnazione di genere nei soggetti più anziani, data la scarsità di dati disponibili sulla sicurezza CV di tale trattamento in età avanzata (10), anche se in linea teorica la terapia ormonale andrà ridotta e, in casi specifici, andrà considerata anche la sua sospensione.

 

Bibliografia

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