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Cinzia Sacchetti
AFaDOC (Associazione famiglie di Soggetti con Deficit dell’Ormone della Crescita, Sindrome di Turner ed altre patologie)

 

Quando ci si trova di fronte al problema della scarsa crescita staturale del proprio bambino è naturale cercare di saperne di più. Non sempre, però, è facile avere informazioni precise e sicure che possano veramente orientarci su cosa sia meglio fare per nostro figlio.
La bassa statura è molto penalizzata dai canoni estetici della società moderna e questo crea disagio nelle famiglie dei bambini con una statura inferiore alla media, soprattutto con l’ingresso nella scuola.
Nel nostro manuale “Bassa statura nel bambino” pubblicato nel 2012 abbiamo cercato di rispondere alle domande più frequenti che i genitori e i bambini pongono al medico curante, dando molta importanza alle implicazioni psicologiche legate alla scarsa crescita staturale.
Tutte le condizioni che intaccano la naturale spinta evolutiva alla crescita rappresentano una fonte di stress e di possibile disagio per il bambino e per gli adulti che lo accudiscono (“adulti significativi” come i genitori ed i nonni). Si pensi alle più comuni forme di esortazione e/o elogio che gli adulti rivolgono ai bambini: “Coraggio, mangia, che devi diventare grande!”; oppure, con concitato entusiasmo: “Ma come sei diventato grande!”. Il “diventare grandi” rappresenta il progetto di vita di ogni bambino e la statura l’aspetto più evidente di questo obiettivo.
La statura rappresenta il primo dato concreto e una delle primissime informazioni che si impongono agli occhi degli altri e di sè stessi, quando ci si pone di fronte a uno specchio; di solito ad essa si associano giudizi valoriali che attribuiscono una valutazione positiva all’alta statura, in termini di bellezza, successo e apprezzabilità, e una valutazione negativa alla bassa statura in termini diametralmente opposti. Una tale comune tendenza di attribuzione si inserisce in un’epoca storico-culturale in cui vige il mito dell’immagine, permeato dai “must” dell’omologazione (necessità di imitare dei modelli) e della perfezione a tutti i costi.
Ritengo utile e prezioso inserire una riflessione sugli aspetti psicologici, sociali e relazionali legati alla bassa statura, esplicitando alcune importanti premesse:

  1. In assenza di sufficienti condizioni organiche e/o psicologiche che le diano significatività clinica, la bassa statura non è, e non può essere considerata o trattata, come una malattia da curare o da combattere, ma piuttosto una semplice variante della crescita normale. Questa premessa vuole richiamare alla responsabilità di tutti gli adulti significativi e di quanti lavorano nel campo dell’educazione e della promozione della salute ad andare contro-corrente, nella direzione di un recupero di quei valori e di quegli strumenti che restituiscano dignità e legittimazione all’unicità e irripetibilità di ogni essere umano.
  2. Pur in presenza di condizioni mediche e/o psicologiche che giustificano un intervento di natura farmacologica allo scopo di migliorare il problema della bassa statura, questo intervento non può essere disgiunto da una presa in carico più globale, allo scopo di garantire una crescita non solo fisica, ma anche psico-affettiva e psico-relazionale.

Solo in questo modo è possibile affrontare il problema della bassa statura senza cadere in trappole riduzionistiche e in atteggiamenti collusivi rispetto a quei valori che alienano l’essere umano da sè stesso e che allontanano dalla realizzazione di una cultura di promozione della salute, così come globalmente intesa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’OMS parla di “Promozione della Salute” come di un processo socio-politico globale, che investe non soltanto le azioni finalizzate al rafforzamento delle capacità e delle competenze degli individui, ma anche quelle azioni volte a modificare le condizioni sociali, ambientali ed economiche, in modo tale da mitigare l’impatto che esse hanno sulla salute del singolo e della collettività. La promozione della salute è intesa, in definitiva, come il processo che consente alle persone di acquisire un maggior controllo dei fattori determinanti della salute e, di conseguenza, di migliorarla.
Da questa definizione emergono già alcune importanti linee-guida rispetto agli interventi che si possono attuare di fronte ai più comuni problemi che si riscontrano nei bambini con bassa statura, a prescindere dalle sue cause. La bassa statura, infatti, sembra influire sulla percezione che il bambino ha di sé e sulla percezione da parte dell’ambiente familiare e scolastico, che rimanda a un’immagine di immaturità e di inadeguatezza. Il bambino di bassa statura viene facilmente percepito come “piccolo”, più piccolo rispetto all’età anagrafica e questo può portare i genitori a porsi in relazione con lui con un atteggiamento che non ne favorisce il processo di autonomia e responsabilizzazione. Inoltre, l’atteggiamento protettivo, che normalmente si riserva a un bambino “piccolo”, rischia di diventare iper-protettivo se non è in sintonia con l’età anagrafica del bambino, perpetuando un circolo vizioso di dipendenza.
Nella presa in carico di bambini con bassa statura può diventare prezioso, quindi, un supporto psico-educativo rivolto ai genitori, che permetta loro anzitutto di migliorare e/o aumentare la consapevolezza dell’immagine che essi hanno del loro bambino, per poi adeguarla all’età anagrafica e poter mobilitare atteggiamenti e comportamenti nuovi, volti alla promozione di una maggiore autonomia e indipendenza del figlio.
Un’altra caratteristica spesso riportata dai genitori di bambini con bassa statura è una maggiore aggressività dei bambini, che può assumere le forme di un’aggressività attiva o passiva, verso sè stessi o verso gli altri, o al contrario forme di chiusura e ritiro sociale, comportamenti che spesso i genitori fanno fatica a capire e a gestire. Così come i sintomi fisici sono il segnale di un qualcosa, anche le manifestazioni comportamentali “significano” sempre qualcosa. E spesso l’aggressività nei bambini, come anche il silenzio o il ritiro sociale, esprimono sentimenti e vissuti di rabbia; rabbia che spesso rappresenta solo la punta di un iceberg sotto il quale si celano altri sentimenti di inferiorità, di scarsa auto-stima, di paura di non farcela. Dare voce a queste emozioni può rappresentare, a questo punto, l’unico modo per evitare che diventino “emozioni agite” in modo disfunzionale nella relazione con sè stessi e con gli altri, genitori o coetanei. Un percorso di sostegno psicologico al bambino e/o alla famiglia può configurarsi come spazio di “alfabetizzazione emotiva”, e di mediazione di modalità comunicative maggiormente funzionali alla crescita e all’instaurarsi di relazioni gratificanti in famiglia e con i coetanei.
Un’altra comune caratteristica riportata dalla letteratura riguarda poi la presenza di maggiori difficoltà scolastiche e di apprendimento nei bambini con bassa statura, in assenza di deficit intellettivi. È facilmente deducibile lo stretto legame tra questo tipo di difficoltà e la situazione emotiva e relazionale del bambino con bassa statura, rimandandogli continuamente un’immagine di sé inadeguata e concorrendo allo sviluppo di una bassa auto-stima. Se si pensa alla quantità di tempo che i bambini trascorrono a scuola, si intravede l’importanza di interventi di sensibilizzazione, formazione e supervisione nelle scuole che le rendano luoghi di espressione delle potenzialità dei bambini e dei ragazzi, oltre che di valorizzazione delle differenze. Purtroppo le strutture scolastiche e socio-sanitarie, che potrebbero intervenire attivamente al di fuori del nucleo familiare, non hanno sempre la possibilità/i mezzi e gli operatori con formazione adeguata necessari a proteggere ed educare adeguatamente il bambino di bassa statura.
Auspico pertanto che gli approcci multidisciplinari, di cui tanto si parla, non rimangano progetti scritti sulla carta ma diventino una realtà, o meglio si trasformino in una “responsabilità socio-politica”, per riprendere le parole dell’OMS, nella quale ciascuno agisca con le sue specifiche competenze, nei limiti delle proprie possibilità e con il proprio particolare e unico modo di essere al mondo.

R. D’Aprile. La bassa statura nel bambino, 2012.

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Cinzia Sacchetti
AFaDOC (Associazione famiglie di Soggetti con Deficit dell’Ormone della Crescita, Sindrome di Turner ed altre patologie)

 

“Cicciottello” è bello!
Durante i primi anni di vita noi genitori preferiamo un figlio cicciottello e ci preoccupiamo soltanto in caso di inappetenza, sottovalutando e spesso non conoscendo i problemi che possono derivare da un’ipernutrizione o dalle cattive abitudini alimentari durante l’infanzia, con ripercussioni in età adulta, prestando più attenzione alla quantità dei cibi consumati che non alla composizione e alla qualità degli alimenti assunti.
Un altro errore di giudizio che spesso commettiamo è pensare che l’eccesso di peso nell’infanzia si risolva spontaneamente con lo sviluppo puberale.
Anche lo stile di vita sedentario della famiglia è un fattore che incide sull’eccesso di peso del bambino, che può trascorrere gran parte del tempo libero davanti alla televisione o ai videogiochi, con frequenti spuntini dolci e salati e assunzione di bevande gassate. Nelle famiglie in cui si pratica abitualmente attività fisica, invece, il problema del sovrappeso non è così avvertito e questi genitori prestano maggior attenzione anche alla qualità degli alimenti assunti.
Durante l’adolescenza, mangiando spesso fuori di casa, i ragazzi sono meno sottoposti al controllo dei genitori. In questa fase i problemi di sovrappeso e obesità derivano spesso da un’alimentazione disordinata e inadeguata, fatta di cibi industriali pubblicizzati dai media, che si trovano nei locali frequentati dai giovani.
Verso il peso esiste un atteggiamento che oscilla tra ansia e negazione: per esempio, alla preoccupazione dichiarata può corrispondere la resistenza a pesarsi, oppure di fronte a squilibri visibili si può rispondere con il rifiuto di chiedere consigli. Il problema del peso si collega all’immagine di sé e molti adolescenti non si piacciono, si vedono troppo grassi o troppo magri, si danno alle diete più strane e fantasiose, contribuendo in questo modo a creare nel loro corpo squilibri effettivi, destinati a perpetuarsi in età adulta.
Bambini e ragazzi con malattia cronica sono più facilmente soggetti sedentari, predisposti al sovrappeso per la scarsa attività motoria e l’atteggiamento iperprotettivo dei genitori nei loro confronti, che, assecondandoli in questo stile di vita, peggiora la situazione. Durante gli incontri dell’associazione A.Fa.D.O.C i genitori che esprimono la preoccupazione del sovrappeso del proprio figlio, soprattutto in certe fasi della crescita e per lo più relative alle bambine/adolescenti con sindrome di Turner, si vedono rispondere dai nostri esperti di mantenere un’alimentazione varia ed equilibrata, seguendo lo schema della piramide alimentare e nei casi di obesità di ricorrere all’aiuto di un nutrizionista.
Altrettanta attenzione deve essere rivolta al problema della scarsa alimentazione, dell'eccessiva attenzione agli aspetti nutrizionali dell'alimentazione, all'osservazione ossessiva della propria immagine e dell'adeguamento ai modelli correnti di magrezza, non esitando a ricorrere all'aiuto di professionisti qualificati in caso di dubbio o bisogno.

Fabbrini A, Melucci A. L’età dell’oro. Adolescenti tra sogno ed esperienza. Feltrinelli 2000.

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Cinzia Sacchetti
AFaDOC (Associazione famiglie di Soggetti con Deficit dell’Ormone della Crescita, Sindrome di Turner ed altre patologie)

 

La sessualità è parte integrante della vita umana; nasce e cresce con noi. In adolescenza essa ricopre un posto centrale nel passaggio dal mondo infantile a quello adulto, e si relaziona agli aspetti biologici, psicologici e sociali dello sviluppo adolescenziale.
La sessualità in adolescenza investe aspetti importanti e fondamentali: la maturazione sessuale, l’acquisizione della propria identità sessuale e della propria autonomia, l’assunzione di ruoli adulti, l’immagine corporea e i sentimenti ad essa associati, ecc.
È ben comprensibile il potenziale impatto di una condizione organica (quale può essere la sindrome di Turner) che tocca la sfera della sessualità in senso lato, in una fase della vita in cui la sessualità costituisce il perno attorno a cui ruota l’intero processo di separazione/individuazione. Ciò non implica che esso ne risulti inevitabilmente compromesso; tuttavia, fabbricarsi un’immagine di sé a partire da un corpo che nel suo funzionamento sessuale e sessualizzato è carente, risulta quanto meno più complicato. Ci si può aspettare che le inquietudini adolescenziali si amplifichino e che le principali mete evolutive possano incontrare ostacoli in termini di schema corporeo, immagine di sé, auto-stima, autonomia e fiducia in sè stessi.
Alterazioni della pubertà, alterazioni del ciclo mestruale, compromissioni della potenzialità riproduttiva, sono tutti aspetti che non possono essere sottovalutati nella presa in carico degli adolescenti con sindrome di Turner in ambito sanitario. Alcuni studi sulla funzione sessuale riportano che le donne con sindrome di Turner hanno maggiori difficoltà di relazione con l’altro sesso e spesso arrivano tardivamente al primo rapporto sessuale.
La percezione della diversità dai coetanei ne inibisce spesso un confronto, favorendo l’insorgenza di sentimenti di inferiorità. Ma anche la percezione della diversità dal corpo adulto e potenzialmente procreativo dei genitori può essere un ostacolo, per genitori e figli, nella percezione della possibilità di divenire adulti. Il rischio, per le figlie è di sentirsi eternamente “infantilizzate” e per i genitori, di permanere in relazioni “infantilizzanti” e in atteggiamenti iper-protettivi.
L’infertilità, poi, richiederà di fare i conti con un’idea di sessualità staccata dall’aspetto procreativo. La progressiva accettazione di questo aspetto permetterà da un lato, di accogliere e di vivere pienamente la dimensione del piacere sessuale (assolutamente possibile anche per le donne con sindrome di Turner) e dall’altro di integrare nella propria vita idee alternative di femminilità e/o di maternità. In questo senso, il confronto con ragazze o donne con sindrome di Turner (tenendo ben presente l’enorme variabilità clinica della sindrome) e uno spazio di supporto psicologico al momento della comunicazione della diagnosi e/o in adolescenza, sia per i genitori, sia per le figlie con sindrome di Turner, possono rappresentare risorse davvero preziose.
La sindrome di Turner è stata inserita tra i Disordini dello Sviluppo Sessuale (DSD Disorders of Sex Development) che includono anomalie dei cromosomi sessuali, delle gonadi, dei dotti riproduttori. L’associazione A.Fa.D.O.C. si occupa soltanto della sindrome di Turner, mentre i DSD comprendono anche altre condizioni caratterizzate dai seguenti fattori:

  • sviluppo dalla nascita di genitali ambigui (iperplasia surrenale congenita virilizzante con cariotipo 46, XX; clitoridomegalia; micropene);
  • discordanza congenita dell’anatomia sessuale interna ed esterna (sindrome da completa insensibilità agli androgeni, deficit di 5-alfa-reduttasi);
  • sviluppo incompleto dell’anatomia sessuale (aplasia vaginale, aplasia gonadica);
  • anomalie dei cromosomi sessuali (sindrome di Turner, sindrome di Klinefelter, mosaicismo dei cromosomi sessuali);
  • disordini dello sviluppo gonadico (ovotestis).

Molti soggetti con sindrome di Turner presentano un’insufficienza ovarica, che non consente loro una maturazione puberale spontanea, altri hanno una funzionalità ovarica limitata nel tempo, pertanto la maggior parte deve seguire un trattamento a base degli ormoni che vengono fisiologicamente prodotti dall’ovaio, cioè gli estrogeni e il progesterone. Quando non si verifica una maturazione puberale spontanea, viene proposto un trattamento di induzione della pubertà, iniziando con bassi dosaggi di estrogeni a un’età comparabile a quella della pubertà fisiologica e aumentandoli progressivamente. Dopo qualche anno di trattamento, si associa agli estrogeni un progestinico, al dosaggio adeguato per provocare e mantenere un ciclo mestruale regolare.
Il trattamento ormonale sostitutivo deve essere proseguito in adolescenza e per buona parte della vita, fin verso i cinquanta anni, naturalmente adattando i dosaggi e le formulazioni in base all’età, ai bisogni specifici e ad eventuali problemi medici associati. La terapia con ormoni sessuali è utile per l’equilibrio di tutto il corpo, ma in particolare è importante per contrastare la riduzione del contenuto minerale osseo e il rischio di fratture, per mantenere un buon trofismo delle mucose genitali e dell’apparato urinario, per mantenere più elastici i vasi sanguigni e per proteggere le cellule del fegato e alcune aree del sistema nervoso.

AFaDOC. La sindrome di Turner. Guida pratica per la famiglia. 2014.

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(questo capitolo è pubblicato grazie a un accordo con il Gruppo di Studio Italiano DSD, www.gruppodistudio-it-dsd.org che detiene il copyright di tutti i paragrafi contrassegnati con il seguente logo “copyright alttutti i diritti sono riservati)

 

Associazione Italiana Sindrome Insensibilità agli Androgeni (AISIA), www.aisia.org

Cosa vorrebbe che i medici sapessero in merito a…

 

Come comunicare la diagnosi ai genitori
Al contrario degli anni passati, oggi la maggior parte dei medici professionisti dà informazioni complete e veritiere e consiglia fin dall'inizio un supporto psicologico fornito da personale qualificato all’interno di un team multi-disciplinare di professionisti (pediatra, endocrinologo, chirurgo, genetista, psicologo/counselor, ecc.).

 

Come comunicare la diagnosi al paziente pediatrico e al paziente adolescente
Spiegare al bambino il concetto di diversità, mostrando ad esempio quanto siano diversi tra loro i corpi delle persone.
Mostrare che mentre alcuni hanno figli nel modo considerato “normale”, altri li adottano.
Durante l’adolescenza si può spiegare alle ragazze che nei casi di AIS il cromosoma Y ha causato la formazione dei testicoli (gonadi) ritenuti e bloccato lo sviluppo dell’utero. Le gonadi producono ormoni, ma a seguito di una particolare mutazione genetica, il loro corpo non è in grado di recepire in toto o in parte quelli maschili (androgeni), bensì solo quelli femminili, perciò sviluppa caratteristiche tipicamente femminili o non completamente maschili. Le ragazze AIS però, a causa dell'incompleta funzionalità delle gonadi, non possono avere figli naturali.

 

Le Associazioni e i gruppi di supporto
La condizione non è grave dal punto di vista della salute, ma affrontare una diagnosi di AIS non è facile, perché tocca la sfera più intima di una persona, la definizione di sè stessa, i rapporti affettivi e sessuali e la possibilità di avere figli. Si vive inoltre un conflitto tra la voglia di condividere la propria esperienza e il desiderio di tacere per paura e vergogna. Poiché tale isolamento crea sofferenza, l'incontro con altre persone nella stessa condizione è la più utile delle terapie. I gruppi di supporto hanno quindi le funzioni di facilitare l’incontro (sia delle persone direttamente interessate, sia dei genitori), di combattere i tabù che ruotano attorno all'AIS e alle altre condizioni di intersessualità e di incoraggiare i medici e la società verso una maggiore apertura.

 

Un approccio ragionato alle terapie mediche e chirurgiche
Gonadectomia. Nella forma completa (CAIS) le gonadi producono ormoni che inducono la pubertà: crescita del seno e sviluppo di forme femminili; inoltre favoriscono la mineralizzazione delle ossa. Per questi motivi i medici sono ormai orientati ad evitare la gonadectomia fino al termine dello sviluppo (18-20 anni). Studi recenti dimostrano che il rischio di degenerazione neoplastica è basso per le donne con la forma completa (CAIS), mentre sarebbe piuttosto alto in quella parziale (PAIS). Solo nelle donne CAIS quindi, si può evitare l’intervento chirurgico, avendo cura di sottoporsi a controlli periodici. A volte però genitori e medici preferiscono intervenire già in età infantile: sarebbe invece auspicabile aspettare che fosse la ragazza stessa, in futuro, a prendere la decisione, senza il bisogno della terapia ormonale sostitutiva e usufruendo dei progressi della medicina. La forma incompleta (PAIS) comprende una vasta serie di diverse manifestazioni cliniche, perciò la decisione sul momento più opportuno in cui eseguire l'asportazione delle gonadi va presa caso per caso.

Ipoplasia vaginale. L’ipoplasia vaginale (sia per CAIS che PAIS) si può risolvere in casa e con successo tramite dilatatori, dopo che la giovane paziente ha raggiunto la pubertà ed è sufficientemente motivata. I metodi di chirurgia plastica per ingrandire la vagina presentano invece grossi inconvenienti e non devono essere utilizzati se non dopo avere escluso i trattamenti meno traumatici. Particolarmente sconsigliate sono le operazioni di chirurgia vaginale durante l’infanzia (se non necessarie per motivi di salute): i risultati sono insoddisfacenti o dannosi e inoltre gli interventi risultano traumatici per le bambine.

Terapia ormonale sostitutiva. Dopo la rimozione delle gonadi, si deve ricorrere a una terapia sostitutiva a lungo termine a base di ormoni femminili (o maschili) per prevenire l’osteoporosi, i sintomi della menopausa e per proteggere le pazienti dalle malattie cardio-vascolari. Purtroppo ancora oggi mancano linee guida oggettive sulla terapia da intraprendere e sui dosaggi.

 


Associazione Estrofia Vescicale (AEV onlus) www.malatirari.it

Cosa vorrebbe che i medici sapessero in merito al Complesso Estrofia Vescicale-Epispadia

La componente chirurgica è di rilevante importanza ma non è di certo la sola. Ciò che ha un valore significativo è il vissuto delle persone affette da estrofia vescicale e quello dei loro familiari. Il loro sviluppo psico-sessuologico deve essere considerato e accompagnato con azioni specifiche. È fondamentale un approccio multi-disciplinare e multi-dimensionale da parte di vari professionisti (chirurgo, pediatra, urologo, endocrinologo, genetista, psicologo, sessuologo, ecc.) per una reale presa in carico di queste persone dalla nascita in poi, lungo le fasi della loro vita, che attraversano l’età pediatrica, poi quella adulta sino ad arrivare alla vecchiaia.

 

Le Associazioni e i gruppi di supporto
L’associazione nasce dall’esigenza di ragazzi/e, adulti e genitori con la necessità di incontrarsi per condividere esperienze, ricercare un confronto, ridimensionare la sensazione di sentirsi i soli e unici soggetti a vivere con questa patologia.
La malattia obbliga a numerosi interventi chirurgici di ricostruzione degli apparati colpiti, per ottenere la continenza urinaria, evitare danni renali e ridare un aspetto sia funzionale che di cosmesi ai genitali esterni. Dal punto di vista psicologico e relazionale la condizione è molto severa e le sue conseguenze, a causa dell’anatomia residua, pesano in maniera estremamente significativa. La patologia, colpendo l’apparato uro-genitale, si riflette su due elementi di primaria importanza nella vita di una persona: la funzione della minzione e la vita sessuale. Guardando al problema in una prospettiva più ampia, è doveroso considerare anche lo stato emotivo dei genitori, che, travolti da un vortice di situazioni molto dolorose e carichi di stati di ansia, rischiano di condizionare la vita futura dei loro figli, appesantendo problematiche che sorgono in loro già spontaneamente. Tutto ciò tende ad aumentare in conseguenza del fatto che solitamente i genitori non sono stati accompagnati a elaborare la nascita di un bimbo con questa patologia molto invalidante.
Sia i ragazzi/e adolescenti e adulti che i genitori desiderano uscire dall’isolamento e dalla sofferenza che vivono in prima persona. L'incontro con altre persone, che vivono la stessa condizione, mette in atto un utile scambio di informazioni che riguardano la loro vita quotidiana e scalfisce tutti quei tabù che ruotano attorno alle patologie uro-genitali.

 


Associazione Inter-Regionale Iperplasia Surrenale Congenita (AIRISC) www.airisc.it

 

L’Associazione AIRISC nasce dal progetto di costituire un Ente di Rappresentanza più ampio rispetto alle Associazioni Regionali, che dovrebbe portare a una federazione di Associazioni ISC (Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Campania, …). Il primo passo verso questo obiettivo è stata la fusione nel 2009 dell’Associazione ARFSAG-Emilia-Romagna con l'associazione della Regione Veneto.
Le sue finalità sono:

  • promuovere e incrementare con ogni mezzo la conoscenza della ISC-SAG (Iperplasia Surrenale Congenita - Sindrome Adreno-Genitale), al fine di favorirne la diagnosi e la terapia precoci e la cura efficace delle persone con ISC;
  • sostenere la ricerca scientifica nel campo della ISC-SAG;
  • ricercare fondi per contribuire all’acquisizione di specifiche apparecchiature medicali;
  • sensibilizzare le istituzioni politiche, amministrative e sanitarie, al fine di migliorare l’assistenza globale dei soggetti affetti e delle loro famiglie;
  • sostenere le famiglie dei soggetti con ISC-SAG mediante l’attivazione di una rete territoriale di referenti;
  • organizzare giornate di studio, anche a livello nazionale, in collaborazione con le altre associazioni SAG-ISC operanti in Italia, allo scopo di offrire un’occasione di:
    • scambio di esperienze di vita (scuola, famiglia, lavoro, sport, amicizia, rapporti sociali, rapporti con l’altro sesso, …) tra persone e realtà di regioni diverse;
    • dialogo aperto e amichevole, in cui Medici, Psicologi e Specialisti degli specifici presidii sanitari possano raccogliere direttamente, con visione più generale, le ansie e le paure dei pazienti, dare risposte realisticamente rassicuranti ai loro dubbi, informare in modo esauriente sugli esiti e sulle possibilità di successo delle terapie offerte dalla medicina moderna, usando nei loro interventi termini chiari, o resi tali da specifiche e puntuali spiegazioni, in modo da facilitare il dibattito e renderne i contenuti di semplice comprensione per tutti;
  • pubblicare materiale divulgativo e organizzare iniziative pubbliche, al fine di diffondere l’informazione più corretta;
  • stabilire rapporti di cooperazione con altre Associazioni e organizzazioni che promuovono attività di volontariato con le stesse finalità e specificità.

Tutte le attività sono sostenute con risorse proprie, costituite da quote associative, liberalità di soci, donazioni di enti e privati, finalizzati a singole iniziative.

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Cinzia Sacchetti
AFaDOC (Associazione famiglie di Soggetti con Deficit dell’Ormone della Crescita, Sindrome di Turner ed altre patologie)

 

L’adolescenza è un momento della vita molto importante per ciascun individuo, che non può essere vista unicamente come fase di transito tra infanzia e vita adulta, ma come un periodo del ciclo vitale in cui avvengono grandi processi di trasformazione, che investono sia la dimensione mentale che corporea, le relazioni con gli altri e col mondo.
Noi adulti pensiamo agli adolescenti in molti modi: come creature inquiete, diffidenti e in guerra col mondo adulto; oppure li pensiamo insicuri, in cerca di identità, bisognosi di comprensione e sostegno.
Gli adolescenti sono gli uni e gli altri, su di loro e sui loro comportamenti a rischio è stato scritto molto e altrettanto si potrebbe scrivere ancora …
Le trasformazioni fisiologiche, con l’irrompere delle pulsioni sessuali, rendono così intense le sensazioni interne, difficilmente traducibili in pensieri concreti e spesso vissute come incontenibili, che spesso i ragazzi vivono in uno stato di diffusa irritazione, con l’impressione di non riuscire a fare la cosa giusta, di essere inadeguati, di non capire veramente cosa si vuole da sé e dagli altri.
I ragazzi non parlano spontaneamente del loro corpo, ma esso parla per loro attraverso il modo di presentarsi, che va dall’abbigliamento agli atteggiamenti, spesso esibiti in modo provocatorio: trucchi pesanti e stravaganti, abiti di gusto particolare, segni, tatuaggi, orecchini e piercing.
A questa esibizione di alcuni si contrappone una scarsa disinvoltura e un profondo disagio del proprio corpo in altri, come succede alla maggior parte degli adolescenti della nostra associazione, con problemi legati alla bassa statura in entrambi i sessi e con problemi estetici nelle ragazze con sindrome di Turner, spesso fonte di profondo disagio psicologico o addirittura di severe depressioni.
Abusi alimentari, fumo, bevande, mancanza di sonno, sono talvolta gli eccessi con cui gli adolescenti si misurano nelle loro prove di crescita. Tutte queste condotte, apparentemente molto diverse tra loro, sono definite comportamenti adolescenziali a rischio, in quanto hanno la caratteristica comune di poter compromettere nell’immediato o a lungo termine il benessere fisico, psicologico e sociale dell’individuo.
La graduale emancipazione dai genitori e la ricerca di nuovi modelli è un processo che genera facilmente inquietudine emotiva e disorientamento, perché determina la perdita di quei riferimenti stabili su cui il soggetto si è sostenuto durante tutta l’infanzia e la necessità di impegnarsi a costruire un personale progetto di vita. La sofferenza dell’adolescente può assumere forme e direzioni diverse, a seconda delle caratteristiche della sua personalità e dalla possibilità di fruire di un supporto adeguato da parte del proprio ambiente. Una modalità attraverso cui il giovane può esprimere il disagio è proprio lo sviluppo di un comportamento deviante o sintomatico, il quale assume la funzione di comunicare la sofferenza, il senso di disorientamento o il bisogno di modificare una situazione interiore.
Ecco allora che la sperimentazione, fino all’abuso, di alcool e droghe può rispondere al bisogno, tipicamente adolescenziale di affermazione e sperimentazione di sé (nuovi stati di coscienza, sensazioni fisiche ed emozioni prima sconosciute).
Allo stesso modo, il digiuno cui si sottopone l’adolescente anoressica rappresenta il tentativo estremo di dare forza e autonomia a un’identità fragile e precaria, attraverso il controllo estremo dell’immagine corporea.
E ancora, i comportamenti socialmente devianti, come il vandalismo e le condotte delinquenziali, o la guida pericolosa, assolvono il bisogno di trasgressione e di superamento dei limiti, ed esprimono l’impulso di andare contro le regole e le leggi del mondo adulto. Parallelamente, l’adozione di molti di questi comportamenti in un contesto di gruppo testimonia l’esigenza del giovane di accrescere il riconoscimento di sé, la reputazione e la popolarità all’interno del gruppo dei pari.
A differenza di queste tipologie di adolescenti, le problematiche maggiormente presenti nei ragazzi con malattia cronica seguiti dall’associazione A.Fa.D.O.C. ed in particolare nelle ragazze con sindrome di Turner, sono di tipo relazionale, con poche amicizie anche in ambito scolastico e lavorativo, dovute alla scarsa auto-stima che si riflette nelle relazioni con i pari e con l’altro sesso e, nei casi più estremi, può determinare un certo grado di ritiro sociale. Spesso le ragazze con sindrome di Turner vivono a lungo a casa con i genitori, o hanno lavori che non sono all’altezza del loro buon livello di istruzione. In adolescenza è incrementato il rischio di sviluppo di disturbi d’ansia e del tono dell’umore in senso depressivo. In questo periodo, infatti, aumenta la consapevolezza della propria condizione e il vissuto di “diversità” può pesare maggiormente nel difficile compito della costruzione della propria identità, il gruppo dei pari è desiderato e temuto, e spesso viene a mancare proprio questo elemento significativo nella propria crescita; il corpo, dovrebbe iniziare a diventare sessualmente connotato e potenzialmente fertile, segnando simbolicamente l’ingresso nel mondo adulto, e invece ci si trova a fare i conti con un corpo che non riesce a svilupparsi spontaneamente e che, in molti casi non potrà generare come il corpo adulto della propria madre.
Compito dei genitori è cercare di cogliere i segnali di questi disagi, se non di prevenirli, sostenendo le proprie bambine fin dall’infanzia, in modo che possano accettare la loro condizione di giovani adulte, acquisendo una sempre maggior consapevolezza, come tutti del resto, di limiti e risorse personali.
Altro difficile compito del genitore è di mantenere il giusto equilibrio nelle relazioni con e tra i figli, senza fare pesare ai figli sani i problemi dei figli malati e viceversa, incoraggiando i secondi a costruirsi un’identità propria, all’esterno delle mura domestiche.

  • Fabbrini A, Melucci A. L’età dell’oro. Adolescenti tra sogno ed esperienza. Feltrinelli 2000.
  • D’Aprile R. Adolescenza e sindrome di Turner. Il rapporto con se stessi, il rapporto con i genitori, i rapporti con la scuola. 2012.

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Elisa Parolo, Francesca Dassie, Francesca Favaretto, Gabriella Milan, Pietro Maffei
Azienda Ospedaliera di Padova, Clinica Medica 3^, DIMED

 

Introduzione
Le malattie rare possono diminuire la sopravvivenza e la qualità di vita delle persone colpite. La Commissione Europea ha stimato che esistano da 5.000 a 8.000 malattie rare e che circa 27-36 milioni di persone in Europa sono colpite da una di esse. Le malattie rare costituiscono quindi nel loro insieme un rilevante problema di salute pubblica e negli anni sono stati fatti molti sforzi per favorire l’assistenza e la ricerca in questo settore, anche adeguando la legislazione comunitaria.
Le malattie rare sono molto eterogenee per età di insorgenza, cause e sintomi; possono interessare uno o più organi e apparati. La maggior parte ha una causa genetica, vi sono malattie del sistema immunitario, errori congeniti del metabolismo, malattie endocrine e tumori. Nonostante le differenze, esistono alcuni problemi comuni di gestione, che ne rendono opportuno il raggruppamento, per programmare specifici interventi di sanità pubblica.

Difficoltà diagnostiche
Per la loro rarità queste malattie sono frequentemente non riconosciute e non diagnosticate o diagnosticate erroneamente:

  • l’inizio può provocare sintomi aspecifici, subdoli, simili a quelli di altre patologie, per cui può risultare difficile distinguere le patologie rare fra loro o rispetto a malattie più frequenti;
  • alcune condizioni, relativamente comuni, possono mascherare la presenza di una malattia rara;
  • anche la singola malattia può presentarsi in modi diversi;
  • la condizione di rarità fa sì che la malattia venga poco studiata e quindi difficilmente riconosciuta.

Tutti questi aspetti costituiscono un ostacolo per la diagnosi e molto spesso passa un tempo molto lungo tra l’inizio dei sintomi e la diagnosi, con gravi conseguenze sulla prognosi del paziente e sulla sua qualità di vita: una diagnosi errata può comportare la mancanza di cure o la somministrazione di cure inappropriate e potenzialmente dannose.
Per superare queste difficoltà, è nato RD-Connect, un consorzio internazionale che ha come obiettivo comune l’identificazione delle malattie rare e lo sviluppo di nuove terapie. Per rendere maggiormente disponibili le informazioni, sono nati molti altri strumenti, come ORPHANET, sito web che offre vari servizi, fra cui un elenco dettagliato e una classificazione delle malattie rare, linee guida, un elenco aggiornato dei farmaci orfani e dei centri di riferimento, nonché le informazioni derivanti dalle sperimentazioni e dai progetti di ricerca. ORPHANET Italia è il sito italiano su cui si possono trovare notizie, eventi e documenti sulle malattie rare e i farmaci orfani rilevanti a livello nazionale.
Ricordiamo infine il Centro Nazionale delle Malattie Rare (CNMR), nato per promuovere piani nazionali per le malattie rare.

Possibilità di terapia
Sono generalmente limitate, tuttavia la progressiva consapevolezza dell’esistenza di tali patologie e gli sforzi fatti per la loro gestione hanno portato a incentivare la ricerca per lo sviluppo di terapie adeguate.
Un fattore determinante è dato dal fatto che l’investimento per produrre e mettere in commercio farmaci che verranno usati da poche persone non è conveniente per le aziende farmaceutiche. Una sostanza potenzialmente utile a trattare una malattia rara viene definita come “orfana”, perchè non ha un mercato sufficiente per ripagare le spese del suo sviluppo. Esiste quindi la necessità di una specifica legislazione che sostenga la ricerca e lo sviluppo di farmaci orfani e renda sostenibile il costo della loro realizzazione.
A livello europeo, nel 1995 è stata istituita l’EMA (European Medicines Agency), agenzia che si occupa della valutazione dei farmaci prima della loro immissione nel mercato, e della loro sicurezza anche attraverso uno stretto monitoraggio. È stato inoltre istituito il COMP (Committee for Orphan Medicinal Products), che si occupa della presa in carico delle richieste di valutazione e designazione dei farmaci orfani. ll Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa hanno poi promulgato nel 2000 una normativa per favorire lo sviluppo e la commercializzazione dei farmaci orfani. La fase di commercializzazione dei farmaci orfani è controllata dal CHMP (Committee for Human Medicinal Products), comitato che autorizza la disponibilità sul mercato dei suddetti farmaci seguendo precise linee guida e utilizzando le informazioni derivanti dagli studi clinici. Il percorso per l’autorizzazione e la commercializzazione di un farmaco orfano è quindi lungo e complesso.
L’Italia segue la normativa europea e le normative nazionali applicate dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). La Legge 648/96 consente di fornire il farmaco a carico del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) quando non vi sono alternative; questo può avvenire dopo la valutazione positiva della Commissione Tecnico-Scientifica dell’AIFA. Sul sito dell’AIFA è disponibile l’elenco dei farmaci orfani e la normativa di riferimento. La legge n° 79, pubblicata in GU nel maggio 2014, prevede che, dopo valutazione dell’AIFA, possano essere forniti gratuitamente dal SSN farmaci impiegati per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, se tale indicazione è in accordo con le ricerche della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale.
Non tutti i farmaci impiegati nella cura delle malattie rare si possono definire orfani: ve ne sono alcuni, studiati inizialmente per una patologia comune, che si sono poi scoperti utili al controllo di una patologia rara.

Percorsi assistenziali
Dalla condizione di rarità deriva la scarsa conoscenza delle particolarità di molte malattie. In linea generale, la risposta assistenziale dovrebbe fornire ai pazienti risposte per soddisfare i loro bisogni di salute. Con il DM n. 279 del 18.05.2001 è stata istituita la Rete Nazionale dedicata alle malattie rare, per sviluppare azioni di prevenzione e sorveglianza, migliorare la diagnosi e la terapia, stabilire le esenzioni per i servizi compresi nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), incentivare l’informazione e favorire la formazione degli operatori sanitari. La Rete Nazionale è costituita da tutte le strutture e i servizi delle Regioni, le quali hanno individuato i centri di diagnosi e cura accreditati, preferibilmente ospedalieri. Questi centri si occupano dei diversi aspetti: la diagnosi di malattia rara, la fornitura delle prestazioni necessarie, comprese le indagini genetiche, in regime di esenzione, la redazione del Piano Terapeutico Personalizzato (PTP) e la fornitura delle relative cure, sempre in regime di esenzione. I centri compresi nella Rete operano secondo protocolli clinici specifici e cooperano con i servizi territoriali e i medici di medicina generale.
È stato anche istituito un numero verde per le malattie rare (TVMR 800.89.69.49), raggiungibile gratuitamente da tutta Italia ed anche dai cellulari, per dare informazioni sulle malattie rare e sulla rete nazionale.
Il DM 279/2001 ha anche previsto l’istituzione di un Registro delle Malattie Rare, per raccogliere tutte le informazioni. Attraverso le indagini epidemiologiche si cerca di identificare i possibili fattori di rischio, per impostare un eventuale programma di prevenzione, migliorare la definizione dei criteri diagnostici per una diagnosi più tempestiva e adeguata.
Il CNMR ha la missione di svolgere attività di ricerca, consulenza e documentazione sulle malattie rare e i farmaci orfani, con i seguenti obiettivi:

  • promozione dell’attività di ricerca sulle malattie rare;
  • elaborazione di test genetici;
  • prevenzione, sorveglianza (registro delle malattie rare), formazione continua degli specialisti e divulgazione dell’informazione;
  • fornitura di farmaci orfani;
  • promozione del processo di collaborazione internazionale sulle malattie rare;
  • promozione della medicina narrativa; in collaborazione con le associazioni dei pazienti, viene data la possibilità per i soggetti affetti di raccontare la loro storia attraverso una forma artistica in un concorso chiamato “Il volo di Pegaso”, con successiva premiazione dei migliori lavori durante la Giornata delle Malattie Rare, che si svolge solitamente l’ultimo giorno di febbraio di ogni anno.

Associazioni pazienti
I pazienti e i familiari devono spesso affrontare un’esperienza dolorosa, legata sia alla malattia che alla condizione di rarità, con molte delle difficoltà precedentemente elencate. Molti vivono la patologia rara come una “colpa”, poiché non identificano la malattia come qualcosa che ha colpito l’individuo, ma identificano l’individuo con la sua malattia: il malato viene visto come un errore e la famiglia si sente colpevole. Ecco perché è necessaria un’adeguata informazione sulla malattia rara, che non deve essere vissuta come una condizione di diversità. Negli anni è emersa la necessità, da parte dei pazienti e delle famiglie, di creare una comunicazione e una condivisione dell’esperienza di malattia, allo scopo di evitare situazioni di solitudine e garantire sostegno durante tutte le tappe della malattia stessa. Sono nate così varie associazioni, che nel tempo hanno guadagnato un ruolo determinante, sia nel produrre conoscenza della malattia rara in quanto tale, sia per quanto riguarda la presa in carico di situazioni spesso difficili causate dalla convivenza con la malattia stessa. Inoltre, la condivisione delle esperienze crea una rete di solidarietà, che permette di affrontare anche il doloroso percorso di accompagnamento dei malati verso la morte.
Tra le varie associazioni italiane ricordiamo UNIAMO, federazione italiana malattie rare, fondata nel 1999, che ad oggi comprende circa più di 100 associazioni di affetti e loro familiari, per oltre 600 patologie rare rappresentate. UNIAMO fa parte di EURORDIS (European Organisation for Rare Diseases), federazione europea non governativa, che comprende 705 associazioni di affetti da malattia rara in 63 paesi, per almeno 4.000 patologie rare rappresentate. Le varie associazioni di pazienti hanno tutte lo scopo di dare voce e visibilità al mondo delle malattie rare, e restituire così dignità ai soggetti affetti.

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