Farmacologica
Gozzo congenito e acquisito in età pediatrica
Piernicola Garofalo
UOC Endocrinologia, AOR Villa Sofia - V. Cervello, Palermo
Il gozzo è un disturbo caratterizzato da un aumento di volume della tiroide, che può interessare l'intera ghiandola o essere limitato a lesioni focali (formazione di uno o più noduli).
La prevalenza del gozzo varia in rapporto a diversi fattori, quali l'area geografica, l'età e il periodo di tempo preso in considerazione.
Classificazione del gozzo | |||
In base alla diffusione | diffuso | ||
uninodulare | |||
plurinodulare | |||
In base alla funzione | eutiroideo | ||
ipotiroideo | |||
ipertiroideo | |||
In base alle modalità di comparsa | endemico | > 5% della popolazione adulta di una determinata area geografica > 10% della popolazione in età scolare |
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sporadico | occasionale riscontro | ||
familiare | presente in più membri della stessa famiglia | ||
In base all'eziologia | diffuso | sporadico |
tiroidite di Hashimoto |
endemico | deficit di iodio sostanze gozzigene esposizione a radiazioni |
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nodulare | multinodulare | ||
uninodulare |
GOZZO NEONATALE
L'evidenza di gozzo neonatale è una condizione poco frequente. Gozzi di elevate dimensioni possono essere responsabili di comparsa di distress respiratorio neonatale per problemi di tipo compressivo. Le cause possono essere rappresentate da:
- patologia tiroidea autoimmune materna (morbo di Basedow o molto raramente tiroidite)
- assunzione materna di farmaci anti-tiroidei
- difetti dell'ormonogenesi
- eccessiva assunzione di iodio (farmaci materni)
- deficit di iodio
Gozzo neonatale da patologia autoimmune materna
La patologia tiroidea in gravidanza, pur rappresentando un tema strettamente specialistico e settoriale, rappresenta un importante problema clinico per la sua discreta diffusione nel sesso femminile, il suo frequente mancato riconoscimento, i potenziali effetti sul feto e sul neonato e una certa tendenza all’over- o under-treatment.
Si calcola che la prevalenza delle disfunzioni tiroidee in gravidanza possa variare dallo 0.2% dell’ipertiroidismo (con complicazioni feto-neonatali anche gravi e frequenti), al 2.5% dell’ipotiroidismo, al 4-5% per i noduli tiroidei.
La premessa fondamentale è che tutti i farmaci anti-tiroidei attraversano la placenta e possono interferire con la funzione tiroidea del feto e del neonato e a dosi elevate possono bloccare per lungo tempo il funzionamento della tiroide del feto e del neonato con conseguente gozzo e ipotiroidismo fetale-neonatale.
Gozzo neonatale da deficit di iodio
La carenza alimentare di iodio durante la gravidanza compromette la funzione tiroidea del bambino e si traduce in quadri morbosi che variano a seconda del periodo della vita interessato da questo deficit. La quantità di iodio nel neonato raccomandata dalla World Health Organization (WHO) e dall’United Nations Children’s fund (UNICEF) è di 40 µg/die. La particolare sensibilità del neonato alla carenza nutrizionale di iodio è dovuta al basso contenuto tiroideo di questo micronutriente, a fronte di un elevato turn-over intra-tiroideo.
Il deficit funzionale tiroideo si traduce in un aumento del TSH neonatale, rilevabile allo screening, e nella presenza di gozzo neonatale.
Disormonogenesi
La disormonogenesi tiroidea è una forma di ipotiroidismo primitivo congenito, presente dunque alla nascita, dovuto a difetti genetici della sintesi dell'ormone tiroideo. La disormonogenesi è dovuta ai difetti ereditari nelle tappe della sintesi e della secrezione dell'ormone tiroideo, la maggior parte dei quali è trasmessa con modalità autosomica recessiva.
La disormonogenesi tiroidea rappresenta il 10-15% dei casi di ipotiroidismo permanente congenito. Oltre ai segni dell'ipotiroidismo, i pazienti con disormonogenesi possono presentare il gozzo.
GOZZO IN ETÁ PEDIATRICA
Le tiroiditi rappresentano al momento attuale, nel nostro paese, la causa più frequente di gozzo in età pediatrica, mentre il deficit di iodio mantiene la sua importanza in aree limitate del nostro paese.
La diagnosi differenziale di un gozzo deve essere inizialmente fatta tra forme diffuse e forme nodulari. In generale, un aumento diffuso della ghiandola è espressione di uno stimolo “in toto” della tiroide a opera del TSH o di immunoglobuline specifiche, più raramente di un infiltrato diffuso; talvolta un aumento diffuso della ghiandola è dovuto alla presenza di numerose strutture nodulari stipate (gozzo multinodulare). Le forme nodulari possono coesistere con ectopia tiroidea, agenesia unilaterale, presenza del dotto tireoglosso, igroma cistico, cisti dermoide. La diagnosi differenziale, nelle forme nodulari, va effettuata con le neoplasie benigne (adenoma) o maligne (carcinoma midollare, carcinoma follicolare, carcinoma anaplastico)(vedi nodulo in età pediatrica).
Forme diffuse
La tiroidite cronica autoimmune è una patologia che colpisce fino al 10% della popolazione giovanile, con una predilezione per il sesso femminile e picco in periodo puberale. E’ una malattia autoimmune della tiroide, caratterizzata cioè da una reazione immunitaria dell’organismo contro un proprio costituente, che si manifesta con l’infiltrazione linfocitaria della tiroide e con la comparsa di autoanticorpi diretti contro antigeni tiroidei (anticorpi anti-tireoperossidasi, ab-TPO, anticorpi anti-tireoglobulina, ab-Tg). La tiroidite cronica autoimmune può presentarsi con gozzo, tiroide di volume normale o più raramente atrofica.
Tra le cause più frequenti di gozzo diffuso ricordiamo la ridotta sintesi di ormoni tiroidei dovuta alla carenza di iodio, che determina iperstimolazione della ghiandola da parte del TSH, con conseguente aumento di volume del tessuto ghiandolare.
La malattia di Graves è una malattia autoimmune responsabile di circa il 95% dei casi di ipertiroidismo in età pediatrica, e può essere causa di gozzo. E’ per fortuna rara in età pediatrica, con prevalenza di 0.8 casi per 1.000.000 di abitanti tra 0 e 15 anni. Le forme che compaiono in età prepubere sono in genere più aggressive e più difficili da trattare rispetto a quelle che si manifestano nell’adolescenza. L’ipertiroidismo nella malattia di Graves è dovuto alla presenza in circolo di anticorpi particolari, detti anticorpi anti-recettore per il TSH (TRAb)(vedi overview sull’ipertiroidismo).
DIAGNOSI DI GOZZO
L'inquadramento clinico del gozzo è il passo più importante: nelle zone iodo-carenti, si penserà in prima istanza al deficit di iodio; in una zona non iodo-carente, in un soggetto di sesso femminile, in età adolescenziale si penserà ad una forma autoimmune.
Valutazione strumentale
In epoca pre-ecografica, la diagnosi di gozzo si basava unicamente sull'ispezione e sulla palpazione. In base a questi criteri, la Pan American Health Organization suggeriva di parlare di gozzo quando il volume dei lobi tiroidei fosse superiore a quello della falange distale del pollice del soggetto in esame e di classificarlo in 5 gradi.
Classificazione della gravità del gozzo | |
Grado | Caratteristiche |
0 | assente |
1A | palpabile, ma non visibile |
1B | visibile solo con il capo in posizione estesa |
2 | visibile con il capo in posizione normale |
3 | visibile a distanza |
Questa classificazione, riportata esclusivamente per il valore storico, non è ormai utilizzata, sostituita dalla valutazione ecografica che permette una diagnosi esatta del volume e della morfologia della ghiandola.
Particolare attenzione, in età pediatrica, va posta alle dimensioni di riferimento da considerare: studi su popolazione normale hanno mostrato come i limiti di normalità non siano sempre sovrapponibili. Tale disomogeneità dipende non solo dall'età del paziente, ma anche dal differente apporto di iodio con la dieta che si riflette sul volume ghiandolare. È opportuno che l'ecografia, in età pediatrica venga effettuata solo da personale esperto, che ogni paese elabori ed utilizzi i propri valori di normalità in ragione delle varie fasi di sviluppo puberale e uniformando i limiti massimi di volume della ghiandola da considerare.
Valutazione ecografica (volume della tiroide in mL per età e sesso: 50° e 97° centile) | ||||
Maschi | Femmine | |||
Età | P50 | P97 | P50 | P97 |
6 | 1.6 | 2.91 | 1.57 | 2.84 |
7 | 1.8 | 3.29 | 1.81 | 3.26 |
8 | 2.03 | 3.71 | 2.08 | 3.76 |
9 | 2.3 | 4.19 | 2.4 | 4.32 |
10 | 2.59 | 4.73 | 2.76 | 4.98 |
11 | 2.92 | 5.34 | 3.17 | 5.73 |
12 | 3.3 | 6.03 | 3.65 | 6.59 |
TERAPIA
L'atteggiamento terapeutico dipende da una serie di variabili che comprendono la valutazione clinica, ormonale, funzionale e dall'apporto iodico ambientale. L'approccio medico farmacologico dipende dalla patogenesi dell'iperplasia ghiandolare.
- In caso di deficit iodico severo, supplementazione iodica secondo i parametri stabilita dall'OMS.
- In caso di voluminoso gozzi da disormonogenesi non responsiva alla terapia medica è indicata la terapia chirurgica.
- Per quanto concerne il gozzo tossico diffuso e la tiroidite cronica autoimmune si rimanda ai relativi capitoli.
BIBLIOGRAFIA
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Terapia citoriduttiva medico-nucleare del gozzo nodulare normofunzionante
Marco Chianelli
UOC Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale, Roma
Il gozzo multinodulare normofunzionante è una condizione frequente dell’età avanzata, che può determinare segni e sintomi compressivi cervicali con vario grado di disfagia e/o dispnea, anche severi. La terapia di elezione in questa patologia è la tiroidectomia, che consente la risoluzione immediata della compressione, in modo definitivo, e anche la diagnosi di eventuali focolai di carcinoma tiroideo. A causa delle dimensioni aumentate e del prolungato tempo operatorio, tuttavia, l’intervento può essere gravato da una maggiore frequenza di complicanze locali. I pazienti portatori di questa patologia, inoltre, sono frequentemente affetti da comorbilità, che sconsigliano o controindicano l’intervento chirurgico.
Una possibile alternativa è la terapia medico-nucleare, basata sull’uso dello iodio-131 (131I). La terapia citoriduttiva medico-nucleare è molto ben tollerata, non determina effetti sistemici. È semplice ed economica e può essere effettuata in regime ambulatoriale, compatibilmente con i limiti imposti dalla normativa radioprotezionistica. Può essere ripetuta se necessario. Evita i possibili effetti collaterali della terapia chirurgica (1,2).
MODALITÀ STANDARD
Note metodologiche
Per questa indicazione lo 131I viene utilizzato a bassa attività/grammo di tessuto tiroideo (dose assorbita di radiazioni: 100 Gy), allo scopo di ridurre la possibilità di effetti collaterali locali, particolarmente importante in questo gruppo di pazienti in cui esistono già effetti compressivi (3).
Secondo la normativa vigente in Italia, la terapia può essere effettuata in regime ambulatoriale se l'attività da somministrare non supera i 600 MBq (16.2 mCi) (4).
I pazienti non necessitano di preparazione, tranne una dieta povera di iodio nei 10 giorni precedenti la terapia e l'evitare l'assunzione di farmaci contenenti iodio e mezzi di contrasto organo-iodato per un tempo idoneo, variabile in base al composto (vedi tutto sul radioiodio).
Risultati attesi
Nei pazienti con gozzo di medie dimensioni (fino a 100 cc), la terapia citoriduttiva con radioiodio determina una riduzione di volume della tiroide pari a circa il 25% dopo 3-6 mesi, per raggiungere il 50% dopo un anno e arrivare fino al 60% dopo 3-5 anni. Una seconda dose di 131I, se necessaria, determina un effetto aggiuntivo. Per gozzi di elevate dimensioni (> 100 cc), l’effetto citoriduttivo atteso è minore (circa 30-40% a un anno) e si riduce all’aumentare delle dimensioni iniziali. Nel gozzo semplice l’effetto citoriduttivo è maggiore rispetto a quello osservato nel gozzo nodulare. In oltre il 75% dei pazienti si ottiene un significativo miglioramento dei sintomi compressivi e della funzionalità respiratoria (5).
Effetti indesiderati
Raramente il paziente lamenta nausea, ma nei pazienti a rischio è indicata l’assunzione di gastro-protettori (ranitidina 150 1 cp x 2/die per una settimana, iniziando il giorno precedente la terapia con 131I).
Si può verificare ipertiroidismo transitorio da tiroidite attinica (nel 3-5% dei casi), a causa della immissione in circolo degli ormoni tiroidei preformati in seguito al danno cellulare; più raramente ipertiroidismo autoimmune (5%) di lunga durata.
Non è descritto in letteratura un significativo aumento del volume tiroideo conseguente alla terapia con 131I, molto temuto in questi pazienti: uno studio del 1995 ha riportato a 7 giorni dalla terapia un aumento di volume massimo pari al 4% (3,6).
Raramente può insorgere lieve dolenzia cervicale, tipicamente qualche giorno dopo il trattamento, responsiva ai comuni farmaci anti-infiammatori.
L'ipotiroidismo può insorgere dopo circa un anno nel 20% dei pazienti ed entro 6-8 anni nel 30-40% dei pazienti trattati (7).
Monitoraggio dopo la terapia
I pazienti dovranno essere monitorati per la verifica del successo terapeutico e per l’insorgenza di possibili effetti collaterali.
Nelle prime settimane dovrà essere monitorata la comparsa di effetti collaterali precoci (dolore ed ipertiroidismo).
Si consiglia una frequente valutazione dello stato funzionale tiroideo nei primi mesi (30 giorni dopo il trattamento e poi ogni 2-3 mesi in base ai risultati) e una volta all’anno dopo i primi 12 mesi, anche nei pazienti eutiroidei. Il monitoraggio della funzione tiroidea, almeno una volta l’anno, deve continuare indefinitamente per la possibile comparsa di ipotiroidismo anche molti anni dopo la terapia (8).
E’ opportuno eseguire una TC del collo di controllo dopo 6-12 mesi, per verificare l’effetto citoriduttivo e la decompressione locale, valutando il diametro traverso della trachea, ed eventualmente pianificare un successivo trattamento, consigliabile nel caso in cui non si verifichino riduzione clinicamente significativa del volume dopo 6 mesi.
Controindicazioni
Le uniche controindicazioni alla terapia con 131I sono la gravidanza e l’allattamento.
La presenza di noduli sospetti per malignità è una precisa indicazione alla tiroidectomia totale.
Limiti della terapia citoriduttiva medico-nucleare
Al momento della dimissione i pazienti avranno una residua attività circolante di 131I e dovranno seguire scrupolosamente istruzioni radioprotezionistiche per limitare l’esposizione a radiazioni ionizzanti al pubblico e ai familiari; ciò può comportare limitazioni dell'attività sociale e/o lavorativa. La terapia medico-nucleare non può essere eseguita in pazienti non in grado di seguire tali raccomandazioni (vedi tutto sul radioiodio).
Poichè gli effetti della terapia medico nucleare si ottengono dopo vari mesi, la terapia con 131I non è consigliabile nei pazienti con gravi effetti compressivi, in cui sia indicato un effetto decompressivo rapido.
L’efficacia di questo tipo di terapia, infine, è limitata dalla captazione del radioiodio: solo le aree tiroidee captanti subiscono gli effetti dell’irraggiamento; l’efficacia, pertanto, sarà minore nei gozzi disomogenei, con estese aree non captanti, e limitata alle sole aree captanti.
CON UTILIZZO DI rhTSH
Per superare i limiti della terapia citoriduttiva con 131I, è stato recentemente proposto l’impiego del rhTSH perchè la somministrazione del rhTSH aumenta la captazione del 131I, anche nelle aree scarsamente captanti.
A tutt’oggi l’uso del rhTSH per questa indicazione è off label e deve essere impiegato in studi sperimentali dopo autorizzazione del comitato etico, o nel singolo paziente, dopo consenso informato sotto la responsabilità del medico che effettua la somministrazione.
Vantaggi
L’impiego del rhTSH, consente il trattamento medico-nucleare in regime ambulatoriale anche di pazienti che, a causa della scarsa captazione avrebbero necessitato di ricovero protetto per le elevate dosi necessarie. Esempio: se un paziente ha una bassa captazione del 131I a 24 ore (20%) e la sua tiroide pesa 60 g, per ottenere una concentrazione di 131I pari a 100 µCi/g è necessario somministrare 30 mCi di 131I (il 20% di 30 mCi è pari a 6 mCi, dose captata dalla tiroide, che, per 60 g di tiroide corrispondono a 100 µCi/g). Per somministrare 30 mCi di 131I è necessario il ricovero ospedaliero in ambiente protetto. Se il paziente viene pre-trattato con rhTSH, si ottiene un aumento della captazione del 131I di circa il 100%; dopo stimolo, pertanto, la captazione del 131I sarà di circa il 40%; per ottenere la stessa concentrazione intra-tiroidea del radioiodio, pertanto, sarà possibile somministrare al paziente solo 15 mCi, compatibili con il trattamento ambulatoriale. La riduzione dell'attività somministrata, infine, determina una netta riduzione dell'esposizione alle radiazioni ionizzanti, con riduzione del rischio e semplificazione delle norme radioprotezionistiche.
La riduzione di volume complessiva ottenuta dopo somministrazione di rhTSH, inoltre, è maggiore, in quanto rispondono al trattamento anche i noduli che, di base, sono scarsamente captanti. L’uso del rhTSH determina una riduzione di volume dal 35 al 56% maggiore rispetto all’uso del 131I senza stimolo con rhTSH. (3,9,10). In contrasto con quanto avviene con il solo 131I, l’effetto citoriduttivo dopo rhTSH aumenta all’aumentare delle dimensioni del gozzo.
Effetti collaterali
L’effetto collaterale più temuto è il transitorio aumento di volume tiroideo, che si può verificare 24-48 ore dopo la somministrazione di rhTSH in circa il 20% dei pazienti. Tale effetto è dose-dipendente: pari al 35% per 0.9 mg rhTSH, 24% per 0.3 mg rhTSH, e 10% for 0.1 mg rhTSH (9,11).
L'aumento di volume, dovuto a edema tiroideo, è sensibile alla somministrazione di cortisone, che può essere somministrato preventivamente nei pazienti a maggior rischio (betametasone 4 mg per via e.v. prima della terapia, da ripetere 24 e 48 ore dopo).
Un altro effetto che si verifica frequentemente è un transitorio ipertiroidismo, conseguente alla stimolazione della produzione di ormoni tiroidei indotta dal rhTSH. Inizia 4-8 ore dopo la somministrazione, raggiunge il massimo 24-48 ore dopo, per normalizzarsi entro 3 settimane. Dosi di rhTSH pari a 0.1 mg determinano un aumento della produzione di ormoni tiroidei contenuta entro i limiti della norma nella maggior parte dei pazienti (12), in assenza di significativi effetti cardiovascolari (13).
Note metodologiche
Nonostante non esista un protocollo riconosciuto e condiviso, sono stati ottenuti numerosi dati. Una dose di rhTSH tra 0.1 e 0.03 mg aumenta la captazione di circa il 100%; l’impiego di 0.1 mg sembra dare risultati maggiormente riproducibili. Dosi superiori, fino a 0.3 mg, sono state impiegate ma con scarso incremento della captazione tiroidea del 131I, a scapito di un significativo aumento degli effetti collaterali (14).
Il rhTSH somministrato 24-48 ore prima della dose terapeutica di 131I consente il massimo aumento della captazione. Il protocollo attualmente più consigliabile si basa sulla somministrazione di 0.1 mg di rhTSH seguito, 24 ore dopo, dalla somministrazione di una dose diagnostica di 131I per scintigrafia e captazione e, 48 ore dopo, dalla somministrazione di una dose terapeutica di 131I, tipicamente calcolata per ottenere una concentrazione di 100-120 µCi/g di tessuto tiroideo.
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Nodulo tiroideo in età pediatrica
Marco Cappa & Carla Bizzarri
Unità Operativa Complessa di Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento Pediatrico Universitario-Ospedaliero, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma
Epidemiologia
I noduli tiroidei in età pediatrica ed adolescenziale sono globalmente rari, con una prevalenza stimata tra 0.05% e 1.8%. Essi risultano però maligni in una percentuale significativamente maggiore rispetto all’età adulta (fino al 25% dei casi); di conseguenza, richiedono una valutazione attenta e un iter diagnostico più aggressivo di quello proposto di solito nell'adulto.
Ipotesi diagnostiche da considerare in caso di nodulo tiroideo in un bambino
- Carcinoma tiroideo differenziato
- Carcinoma midollare sporadico o familiare (isolato o nel contesto nella sindrome MEN 2A)
- Adenoma follicolare ("Gozzo uninodulare tossico" o non funzionante)
- Nodulo nel contesto di una tiroidite
- Cisti del dotto tireoglosso
- Cisti colloide
- Teratoma della tiroide (nel neonato)
- Incluso timico
La caratterizzazione clinica ed eziologica dei noduli tiroidei esorditi in età pediatrica manca di studi ampi e controllati e la maggior parte dei lavori si sono focalizzati sulle due patologie maligne più frequenti: i carcinomi differenziati (papillare e follicolare), mentre esistono pochi dati sugli altri istotipi.
L'irradiazione del collo (es. l'irradiazione a mantellina utilizzata nel linfoma di Hodgkin) predispone sia ai noduli benigni che al cancro della tiroide.
Il nodulo dolente ad insorgenza improvvisa deve far pensare alla tiroidite subacuta o acuta suppurativa o al sanguinamento intra-lesionale di una lesione cistica.
L'incluso timico all'interno della tiroide appare come una lesione nodulare. Esso è in genere un rilievo occasionale nei bambini sottoposti a ecografia del collo, non richiede di per sè alcun trattamento, nè un monitoraggio specifico, ma per la diagnosi differenziale è spesso rischiesto l'agoaspirato.
Il teratoma della tiroide è una lesione rara, di solito si riscontra nel neonato e ha un comportamento benigno, anche se sono stati segnalati foci di cellule maligne all'interno della lesione.
Tiroidite autoimmune e noduli tiroidei
I dati sull’incidenza di noduli tiroidei e cancro della tiroide nei pazienti con tiroidite autoimmune riguardano quasi esclusivamente l’età adulta, con una prevalenza riportata nei diversi studi variabile tra l’1% e il 30%. Uno studio recente (1) ha preso in esame la relazione tra tiroidite autoimmune, cancro e noduli tiroidei in un'ampia casistica pediatrica. La presenza di noduli tiroidei veniva riscontrata in 115 su 365 patienti con tiroidite autoimmune (31.5%): 69 soggetti (60%) presentavano un nodulo solitario e 46 soggetti (40%) avevano noduli multipli, 38 noduli erano palpabili (33%). Undici casi di carcinoma papillare venivano diagnosticati mediante esame istologico, dopo aver eseguito la tiroidectomia totale, 5 di essi erano associati a metastasi linfonodali. Otto pazienti presentavano un cancro multifocale e 3 pazienti un cancro unifocale. La prevalenza del sesso maschile era significativamente più elevata nei pazienti con cancro, rispetto a quelli con tiroidite autoimmune (odds ratio: 2.95). Il rilievo di linfoadenopatia ed incremento del volume nodulare in corso di terapia con levotiroxina era significamente più frequente nei pazienti con cancro della tiroide, rispetto ai pazienti con una lesione benigna. La multinodularità all'ecografia era significativamente più frequente dell'uninodularità nei pazienti con cancro.
Diagnosi
Le indagini di primo livello sono le stesse proposte nell’età adulta (TSH, FT4, Ab anti-tireoperossidasi, Ab anti-tireoglobulina, ecocolordoppler della ghiandola tiroidea). Anche i criteri anamnestici, clinici ed ecografici di sospetta malignità sono sostanzialmente simili (tabella).
Fattori di rischio per malignità del nodulo tiroideo | |
Anamnestici | Accrescimento rapido del volume nodulare Pregressa esposizione del collo a radiazioni Età < 6 anni Storia familiare positiva per carcinoma midollare o per MEN |
Clinici | Nodulo solitario Linfoadenomegalia associata Consistenza dura Aderenza ai tessuti circostanti |
Un nodulo tiroideo in un bambino va sempre sottoposto ad ago-aspirato anche se non è ancora stata definita la dimensione minima che renda tecnicamente possibile l’esame. Ci si attiene in generale alle stesse indicazioni/linee guida proposte per l’età adulta. In caso di bambini piccoli o comunque non collaboranti può essere necessario effettuare l’esame in sedazione.
La scintigrafia tiroidea è invece scarsamente utilizzata, in quanto noduli benigni possono non concentrare il radioisotopo (essere cioè freddi), mentre alcuni carcinomi papilliferi possono risultare ipercaptanti (caldi)(2,3).
Bibliografia essenziale
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Overview sulla formazione dei noduli tiroidei
Carlo Cappelli
Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Interna, Spedali Civili di Brescia
Gozzo multinodulare
Il TSH è il principale, anche se non unico, fattore che regola la proliferazione e funzione delle cellule tiroidee. Nei paesi iodio-carenti il deficit di iodio rappresenta la principale causa predisponente allo sviluppo di gozzo multinodulare. Il meccanismo principale attraverso il quale la carenza iodica porta alla formazione del gozzo è legato ad una iniziale riduzione della sintesi degli ormoni tiroidei che causano una maggiore increzione di TSH. Il cronico stimolo tireotropinico indurrà ipertrofia e iperplasia dei follicoli.
Un complesso network di vie TSH-dipendenti ma anche indipendenti dirette sulla crescita e funzione delle cellule follicolari tiroidee svolge un ruolo nel processo di goitrogenesi, qualunque sia la causa della diminuita concentrazione di iodio intra-ghiandolare. In particolare, numerosi fattori di crescita, derivanti sia dal circolo sanguigno sia da secrezioni autocrine e paracrine, regolano la proliferazione e differenziazione delle cellule tiroidee (1). A questo proposito è stata dimostrata la presenza sulle cellule follicolari di recettori per fattori stimolanti la crescita, come l’epidermal growth factor (EGF), l’insulin-like growth factor (IGF-1 e IGF-2), o di fattori inibenti quale il transforming growth factor ß (TGF ß) (1). Mutazioni somatiche monoclonali di cellule ad elevata capacità di metabolizzare lo iodio daranno origine a formazioni funzionanti (noduli “caldi”), mentre l’espansione di cloni a bassa o nulla capacità daranno origine a noduli non funzionanti (noduli “freddi”) (2).
Mutazioni genetiche del recettore per TSH
Mutazioni somatiche per il recettore del TSH (TSH-R) si riscontrano nel 30-80% dei pazienti affetti da adenoma autonomo (M. di Plummer):
- mutazioni attivanti il gene del TSH-R causano una sua attivazione costitutiva con proliferazione clonale
- mutazioni del gene Gs-alfa causano una attivazione costitutiva dell’adenilato-ciclasi con conseguente proliferazione clonale.
Adenomi follicolari
Mutazioni puntiformi dei proto-oncogeni H-ras, K-ras e N-ras sono stati identificati sia negli adenomi che carcinomi follicolari (3-7).
La teoria del gozzo nodulare come patologia delle cellule staminali
Cellule staminali totipotenti sono state recentemente individuate nel tessuto tiroideo, indipendentemente dall’età del soggetto (8).
In vitro si è evidenziato come la loro potenziale proliferazione e sdifferenzazione sia sotto stretto controllo ed in equilibrio tra processi di apoptosi e fattori di crescita. L’aumento dei processi apoptotici o l’eccessivo stimolo proliferativo può alterare la fine regolazione di questo equilibrio, così da indurre proliferazione delle cellule staminali e trasformazione in cellule progenitrici differenziate, base per lo sviluppo di formazioni nodulari (9).
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La terapia soppressiva con ormone tiroideo per la patologia nodulare benigna
Enrico Papini, Roberta Rinaldi, Lucilla Petrucci, Irene Misischi
UOC di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Ospedale Regina Apostolorum Albano Laziale, Roma
La gestione clinica dei noduli della tiroide è guidata dai risultati della ecografia e/o dell’esame citologico per aspirazione. La maggior parte dei noduli non mostra caratteri di sospetto e, in assenza di sintomi compressivi locali o di iperfunzione tiroidea, può essere seguita regolarmente nel tempo senza interventi terapeutici (1-2). Tuttavia, anche se molti noduli e gozzi rimangono sostanzialmente stabili nel tempo, una parte di essi mostra crescita progressiva ed è causa di preoccupazione o fastidio locale per i pazienti. E’ nozione comune che maggiore è l’età del paziente e la durata del gozzo e più rilevanti sono le dimensioni che esso raggiunge (3-5). La tendenza all’accrescimento, inoltre, è più marcata nelle donne pluripare e appare attenuarsi con la menopausa (6).
Nei modelli animali e nell’uomo l'assenza protratta di secrezione del TSH è seguita da graduale ipotrofia della tiroide (7). Il TSH, inoltre, è un fattore necessario per lo sviluppo del gozzo secondario a deficit di iodio o a tiroidite di Hashimoto. Al contrario, i noduli solitari, in ghiandole normali, in assenza di deficit iodico o di autoimmunità tiroidea, sono probabilmente espressione di proliferazione clonale o dell’intervento di fattori di crescita indipendenti dal TSH (8). Sulla base delle osservazioni cliniche e dei presupposti fisiopatologici è stata proposta e ampiamente utilizzata, a partire dalla metà del secolo scorso, la “terapia soppressiva” con ormone tiroideo per la patologia nodulare tiroidea (9).
Noduli tiroidei solitari
I dati presenti in letteratura sui noduli non iperfunzionanti sono controversi (10). Numerosi trial clinici non randomizzati (11-13) avevano dimostrato la riduzione del volume dei noduli tiroidei dopo terapia con ormone tiroideo ma, nel 1987, un trial clinico randomizzato nordamericano ha escluso l’efficacia della terapia soppressiva con levotiroxina nei noduli tiroidei solitari (14). Fra il 1989 e il 1999 altri tre trial clinici randomizzati hanno confermato l’assenza di efficacia della terapia soppressiva nei noduli solitari della tiroide (15-17). E’ tuttavia necessario ricordare i limiti di questi trial: il cut-off per un decremento clinicamente significativo era posto al 50% del volume iniziale, la durata dei trial era breve, il numero dei pazienti era ridotto e in alcuni studi erano presenti evidenti limiti metodologici.
Tre successivi trial randomizzati di 12, 12 e 18 mesi, condotti in aree con deficit iodico borderline (18-20) hanno al contrario mostrato una riduzione clinicamente significativa. Un decremento del volume pari al 50% si osservava solo in una parte dei pazienti trattati (17–39%), ma la riduzione media nel gruppo in trattamento attivo risultava statisticamente significativa rispetto al gruppo di controllo, che era caratterizzato da una moderata tendenza all’accrescimento. Risultava evidente un'eterogeneità nella risposta alla terapia soppressiva, che è apparsa correlabile ad alcuni caratteri iniziali: noduli con maggior diametro < 1.7 cm (volume < 2.4 mL), noduli con componenti degenerative e senza caratteri fibrotici e presenza di abbondante colloide all’esame citologico (21).
Il solo studio prospettico randomizzato di lunga durata (cinque anni) ha confermato che la terapia soppressiva è in grado di ridurre il volume dei noduli tiroidei solo in una parte dei casi trattati (22). Il gruppo trattato, tuttavia, mostrava dopo cinque anni un'efficace prevenzione dell’incremento di volume sia dei noduli sia della ghiandola nel suo complesso e la comparsa meno frequente di nuovi noduli rispetto al gruppo in trattamento con placebo (22).
E’ interessante rilevare che in uno studio di un anno su pazienti randomizzati a una terapia pienamente (TSH < 0.01 mU/L) o parzialmente soppressiva (TSH 0.4-0.6 mU/L) la riduzione del volume nodulare non mostrava differenze statisticamente significative (36 vs 45%) (23). La sospensione della terapia era, in questo come in altri trial, seguita dalla ripresa dell’accrescimento.
Nel 1998, 2001 e 2005 sono state effettuate tre successive meta-analisi (comprendenti 7, 6 e 9 trials) (24-26). L’ultima di esse, condotta soltanto sui trial caratterizzati da maggior rigore metodologico, ha dimostrato che la terapia soppressiva è statisticamente più efficace del placebo nell’indurre una riduzione del volume dei noduli > 50% (26). Veniva inoltre confermato che solo una parte dei pazienti trattati (15% circa) appare pienamente responsiva alla soppressione del TSH e che la sospensione della terapia è seguita dalla ripresa dell’accrescimento.
Gozzo normofunzionante
Sette trial non randomizzati hanno mostrato una riduzione del volume del gozzo nel 60% dei casi trattati (11). La riduzione appariva più probabile nei soggetti più giovani, con gozzo diffuso, di entità moderata e più recente insorgenza.
Due studi prospettici randomizzati in pazienti con gozzo non tossico hanno confermato una riduzione clinicamente significativa del volume ghiandolare (determinato ecograficamente) nel 48% e, rispettivamente, nel 58% dei pazienti trattati con levotiroxina (27,28).
La terapia soppressiva appare particolarmente efficace nel ridurre le dimensioni del gozzo e la tendenza all’accrescimento nel tempo nei pazienti con tiroidite di Hashimoto, anche se ancora eutiroidei (29).
Effetti collaterali della terapia soppressiva
La condizione di ipertiroidismo subclinico, sia endogeno che iatrogeno, appare associata nelle donne in post-menopausa (ma non in quelle in pre-menopausa) a un decremento della densità ossea (30).
Nei pazienti anziani con livelli di TSH soppresso la prevalenza di fibrillazione atriale appare aumentata di tre volte rispetto ai soggetti eutiroidei, anche se la mortalità cardiovascolare non è significativamente accresciuta (31). Nei soggetti con protratto ipertiroidismo subclinico (come in caso di terapia soppressiva a lungo termine per carcinoma tiroideo) sono, inoltre, evidenziabili alterazioni del ritmo e della struttura cardiaca di rilievo ecocardiografico (32).
Gli effetti sfavorevoli della terapia soppressiva protratta sono ben documentati. Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, alcune osservazioni retrospettive su ampie casistiche di pazienti con patologia nodulare hanno suggerito un possibile ruolo protettivo dei bassi livelli di TSH nei confronti dell'insorgenza del carcinoma differenziato tiroideo (33). Questo dato, che potrebbe essere correlabile con la minore insorgenza di nuove lesioni tiroidee dimostrata nei pazienti in terapia soppressiva (22), necessita di ulteriore conferma.
Suggerimenti per la pratica clinica
La terapia soppressiva con ormone tiroideo ha efficacia soltanto parziale nel ridurre il volume dei noduli tiroidei citologicamente benigni. Essa tuttavia appare rallentare la crescita del gozzo nodulare non iperfunzionante e la comparsa di ulteriori lesioni tiroidee. Poiché la cessazione della terapia è seguita dalla ripresa della storia naturale della malattia, il trattamento dovrebbe essere condotto per periodi di tempo molto lunghi. Una condizione di ipertiroidismo subclinico così protratta appare associarsi a effetti collaterali rilevanti, particolarmente importanti nelle donne in post-menopausa e nei soggetti di età avanzata (34).
Sulla base di queste considerazioni, possono essere formulati i seguenti suggerimenti:
- il trattamento con ormoni tiroidei non dovrebbe essere impiegato di routine nella patologia nodulare tiroidea
- dovrebbe comunque essere condotto a dosi semi-soppressive (portando i livelli di TSH ai limiti inferiori della normalità)
- deve essere preso in considerazione in soggetti giovani, con noduli tiroidei < 2 cm, soprattutto se associati a iperplasia tiroidea diffusa e se viventi in aree a bassa endemia gozzigena
- in aree di endemia gozzigena deve essere sempre condotta una parallela supplementazione con iodio (150 µg/die), soprattutto nei soggetti giovani con gozzo nodulare senza note di autonomia funzionale
- la presenza di autonomia funzionale tiroidea deve essere sempre esclusa in via preliminare con il dosaggio del TSH
- non vi è indicazione al trattamento con ormone tiroideo nei noduli voluminosi (> 3 cm) e nei gozzi di grandi dimensioni e di lunga durata
- la terapia soppressiva è controindicata nelle donne in postmenopausa, negli uomini di età superiore a 60 anni e in presenza di comorbilità internistiche, malattie cardiovascolari e osteoporosi
- nei soggetti con noduli benigni in accrescimento o sintomatici che non sono candidati alla terapia soppressiva deve essere considerato il ricorso alla chirurgia o a procedure terapeutiche non chirurgiche, quali la sclerosi percutanea con etanolo, l’ablazione con ipertermia o il trattamento con radioiodio (7,34).
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