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Rossella Mazzilli
Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, “Sapienza” Università Roma, Unità di Andrologia, AO Sant’Andrea, Roma

 

DEFINIZIONE

La fecondazione, o singamia, è un processo che consiste nell’unione di due gameti con corredo cromosomico aploide (ovocita e spermatozoo) e nella fusione dei loro nuclei. Il risultato della fecondazione è una nuova cellula diploide, diversa dai gameti d’origine, che prende il nome di zigote (1).

 

LE TAPPE DELLA FECONDAZIONE

1. L’ovocita
Al momento dell’ovulazione, l’ovocita viene immesso nel fluido peritoneale. Viene quindi avviato, mediante le fimbrie tubariche, verso l’ostio addominale della tuba e raggiunge in pochi minuti il tratto ampollare di quest’ultima, ossia la sede dove avviene la fecondazione.

 

2. Lo spermatozoo
Nella fecondazione per via naturale, gli spermatozoi eiaculati risalgono dalla vagina al canale cervicale. In questa sede gli spermatozoi si depositano nelle cripte cervicali, da dove, per assicurare una presenza continua nelle vie genitali femminili, vengono dismessi in ondate sequenziali nell’utero, per poi colonizzare le tube e quindi il fluido peritoneale; in questa sede possono sopravvivere anche per 5-7 giorni. Il loro transito è influenzato da diversi fattori, quali le proprietà intrinseche degli spermatozoi, la contrattilità del tratto genitale e il movimento delle ciglia lungo la superficie dell’endometrio.

 

3. La fecondazione
La fecondazione si realizza a seguito di collisioni casuali tra l’ovocita, trasportato passivamente nell’ampolla della tuba, e gli spermatozoi che si muovono nelle vicinanze. Perché una collisione sia efficace, e permetta la penetrazione nella zona pellucida, è necessario che lo spermatozoo possieda una velocità adeguata (fattore energetico) e un’angolazione d’urto idonea (fattore casualità). Queste proprietà cinetiche vengono acquisite dallo spermatozoo mediante il processo di “capacitazione”, che inizia nell’epididimo (dove avviene anche il completamento della compattazione della cromatina) e si completa durante il transito nelle vie genitali femminili (2). Si tratta di una serie di modificazioni biochimiche che determinano tra l’altro la cosiddetta “motilità attivata” dello spermatozoo, che è caratterizzata da una maggiore frequenza e ampiezza del battito flagellare, quindi in grado di attraversare gli strati protettivi dell’ovocita.
Il riconoscimento, il legame e l’attraversamento della zona pellucida, che è specie-specifica, rappresentano un aspetto essenziale nella fecondazione (3). Perché ciò possa avvenire, è indispensabile che lo spermatozoo subisca un’ulteriore modificazione, costituita dalla “reazione acrosomiale”. Essa consiste in un evento di tipo esocitosico, che comporta la formazione, inizialmente a livello della regione acrosomiale anteriore, di numerosi punti di fusione tra la membrana acrosomiale esterna e il plasmalemma. Conseguentemente, avviene il rigonfiamento e la frammentazione dell’acrosoma e il rilascio della matrice acrosomiale. Essa contiene enzimi proteolitici, tra cui l’acrosina e la ialuronidasi, che facilitano la penetrazione dello spermatozoo attraverso la digestione della matrice glico-proteica delle cellule del cumulo ooforo, il cui insieme prende il nome di corona radiata. In tal modo lo spermatozoo si fa strada attraverso le cellule follicolari e raggiunge la zona pellucida, alla quale aderisce. Superata la zona pellucida, lo spermatozoo viene a trovarsi nello spazio peri-vitellino, tra l’oolemma e la zona pellucida (figura 1) (4-5).

 

Figura 1: rappresentazione schematica dell’incontro Spermatozoo – Ovocita.

 

L’ultimo atto che lo spermatozoo deve compiere per completare la fecondazione, è quello di penetrare nel citoplasma ovocitario, processo denominato “fusione dei gameti”. A questo punto, vi è un aumentato flusso intra-cellulare di sodio e calcio, che determina una variazione di polarità della membrana ovocitaria; questo evento biochimico è responsabile del “blocco rapido” della polispermia, che consiste nell’impedire l’ingresso di altri spermatozoi attraverso la zona pellucida e prende il nome di reazione corticale.
Nella specie umana sia il nucleo che il flagello dello spermatozoo entrano nel citoplasma ovocitario. Subito dopo la penetrazione, il nucleo dello spermatozoo perde la sua membrana e la cromatina va incontro a un processo di decondensazione. Successivamente, le vescicole del reticolo endoplasmatico dell’ovocita si disperdono attorno alla cromatina del gamete maschile per ricostituire la membrana nucleare. Si forma così il “pronucleo maschile”.
Contemporaneamente, anche il gamete femminile va incontro ad un processo di attivazione. Infatti, l’ovocita, che fino a quel momento era rimasto bloccato allo stadio di metafase II, completa la seconda divisione meiotica ed emette il 2° globulo polare; i cromosomi ovocitari ritornano allo stadio di interfase: si forma così il “pronucleo femminile”. Questo processo si completa dopo circa 12 ore dall’inizio della fecondazione.
L’ultima fase dell’attivazione, che è anche il primo evento dello sviluppo embrionale, è rappresentato dall’unione dei due corredi cromosomici aploidi per formare lo zigote diploide, ossia con 46 cromosomi.

 

4. La determinazione del sesso
Il sesso cromosomico dell’embrione è determinato al momento della fecondazione: uno spermatozoo con corredo cromosomico 22+X determinerà un embrione femminile, 22+Y determinerà un embrione maschile (1).

 

5. La segmentazione e la formazione della blastocisti
Poco dopo la fecondazione, lo zigote va incontro a una serie di divisioni mitotiche (segmentazione) e nell’arco di 3-4 giorni discende lungo la tuba di Falloppio fino alla cavità uterina. A circa 72 ore dalla fecondazione, l’embrione è costituito da 12-16 cellule (o blastomeri) e prende il nome di morula.
Nelle successive 48 ore (in 5° giornata) all’interno della morula continua la replicazione cellulare e si forma una cavità piena di liquido circondata da uno strato di cellule: stadio della blastocisti. Alla periferia della blastocisti è presente un aggregato di cellule (embrioblasti), detto massa cellulare interna; da queste cellule si svilupperà il feto, dalla massa cellulare esterna (trofoblasto) avrà invece origine la placenta (1,6).

 

6. L’impianto
L’impianto nella cavità uterina ha inizio in 5°-6° giornata, quando l’epitelio trofoblastico aderisce all’epitelio dell’endometrio, il quale, dopo aver proliferato nei giorni precedenti l’ovulazione, cambia rapidamente aspetto, divenendo di tipo secretorio sotto l’influenza degli estrogeni e del progesterone, che sono prodotti in quantità crescente dal corpo luteo (6).
La blastocisti viene a contatto diretto con lo stroma dell’endometrio e l’epitelio la riveste completamente.
Successivamente, si formano delle lacune a livello della massa di cellule trofoblastiche e, grazie a un processo di erosione delle arteriole spirali da parte del trofoblasto stesso, è assicurata l’irrorazione sanguigna.
Al 14° giorno dopo la fecondazione la blastocisti è completamente inclusa nello stroma dell’endometrio e l’impianto è completo.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Sadler TW. Embriologia medica di Langman. 2nd Ed. Masson 2004.
  2. Bailey JL. Factors regulating sperm capacitation. Syst Biol Reprod Med 2010, 56: 334-48.
  3. Avella MA, Xiong B, Dean J. The molecular basis of gamete recognition in mice and humans. Mol Hum Reprod 2013, 19: 279-89.
  4. Ciotti PM, Fabbri R, Notarangelo L, et al. Atlante di ovociti ed embrioni umani. Carocci 2011.
  5. Lenzi A, Jannini EA, Foresta C, et al. Guida allo studio dell’andrologia. Società Editrice Universo 2012.
  6. Mastroianni L, Coutifaris C. Fisiologia della riproduzione. In: The F.I.G.O. manual of human reproduction. Rosenfield A, Fathala MF (Eds), Parthenon Publishing Co, Carnforth, Lancs, UK, 1991.
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Ricciarda Raffaelli & Elena Lavarini
UO Ginecologia e Ostetricia, Policlinico GB Rossi, Università di Verona

(aggiornato al 14 aprile 2017)

 

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è stata definita nel 1990 durante la consensus conference statunitense tenutasi presso i National Institutes of Health (NIH). In questa occasione è stata stilata la prima linea guida sulla PCOS, la quale non considerava l’aspetto ecografico delle ovaie tra i criteri proposti per la diagnosi. L’ecografia ovarica viene menzionata per la diagnosi di PCOS nel 2003, durante la consensus conference di Rotterdam organizzata dalla Società Europea per la Riproduzione e l’Embriologia umana (ESHRE) e dalla Società Americana per la Medicina della Riproduzione (ASRM), che revisionava le linee guida del NIH. Le conclusioni di questo convegno prendono il nome di 'criteri di Rotterdam' e sostengono che la PCOS è una sindrome che deve essere valutata dopo avere escluso altri disordini secondari e non è sufficiente un singolo criterio diagnostico per definirla. Deve essere caratterizzata da almeno due dei tre parametri seguenti: oligo o anovulazione cronica, segni clinici o biochimici di iperandrogenismo e riscontro ecografico di ovaio policistico (1). La maggior parte dei partecipanti alla conferenza riteneva, infatti, che fosse necessario aggiungere la valutazione ecografica delle gonadi femminili ai criteri stabiliti dal NIH (anovulazione cronica ed iperandrogenismo). In accordo con la letteratura del tempo, venivano definite le caratteristiche ecografiche necessarie a identificare con maggior sensibilità e specificità la morfologia dell’ovaio policistico.
Gli elementi da valutare sono il numero di follicoli antrali misurati durante la fase follicolare, che deve essere di 12 o più follicoli in almeno un ovaio, con diametro compreso tra 2 e 9 mm e/o presenza di volume ovarico aumentato (> 10 mL) (2), calcolato usando la formula: lunghezza x larghezza x profondità x 0.5 (3). La distribuzione dei follicoli può essere omessa, mentre l’aumento del volume ovarico è una caratteristica tipica dell’ovaio policistico. Viene specificato inoltre che nel caso in cui l’ecografia venga eseguita in presenza di un follicolo dominante > 10 mm o di una cisti ovarica, l'esame deve essere ripetuto nel corso del ciclo mestruale seguente.
Nel 2009 la Androgen Excess-PCOS Society (AE-PCOS) ha proposto la propria revisione dei criteri diagnostici, puntando sull’iperandrogenismo (clinico o/e biochimico) e sulle disfunzioni ovariche (oligo-anovulazione e/o PCO). Il quadro ecografico secondo AE-PCOS non è un fattore indispensabile nella diagnosi (4). Storicamente, infatti, l’ecografia ovarica veniva effettuata quando la PCOS era già diagnosticata, in qualità di ulteriore accertamento e non per stabilire una diagnosi de novo (5). Questo è dovuto al fatto che in passato non c’era un consenso unanime sulle caratteristiche ecografiche necessarie per definire un ovaio policistico, né tale unanimità è stata raggiunta attualmente. Con il tempo, tuttavia, si è ottenuto il miglioramento delle tecnologie, dei software e l’introduzione di nuove sonde ecografiche, come quella da 8 MHz, migliorando sia la capacità di visualizzazione dei dettagli dell’ovaio, che la precisione delle misurazioni volumetriche dello stesso, permettendo così di revisionare i parametri precedentemente stabiliti.
Nel 2013 una revisione della letteratura ad opera dell’AE-PCOS (6) propone come criterio ecografico una soglia più alta del numero di follicoli (≥ 25 per ovaio), poiché, utilizzando la nuova sonda da 8 MHz, i 12 follicoli menzionati dai precedenti criteri di Rotterdam rappresentano un cut-off troppo basso, che indurrebbe a includere donne sane nel gruppo affetto da ovaio policistico. Per chi non è dotato di tale sonda ad alta frequenza invece, rimangono validi i precedenti criteri di Rotterdam.
Per la valutazione dell’ovaio policistico, la letteratura specifica propone altri parametri ecografici, che non hanno ancora ottenuto un consenso tale da essere inseriti tra i criteri diagnostici, quali la distribuzione dei follicoli, il rapporto tra area stromale e area totale dell’ovaio e la vascolarizzazione ovarica. Questi parametri sarebbero utili soprattutto nelle adolescenti non sessualmente attive, dove l’ecografia pelvica trans-addominale è preferibile all'approccio trans-vaginale, nonostante essa fornisca delle immagini a risoluzione minore soprattutto in caso di obesità.
Silfen et al (7) riportano che la distribuzione dei follicoli in pazienti con PCOS è periferica nel 100% delle obese e nel 75% delle non obese, rispetto al 31% dei controlli. Secondo Panchal et al (8), gli androgeni provocherebbero una proliferazione delle cellule stromali e della teca, provocando un aumento dello stroma, con conseguente spostamento dei follicoli in periferia. Il verificarsi di tale evento richiede del tempo, per cui il riscontro di una morfologia ovarica a distribuzione periferica dei follicoli è suggestivo di una malattia più severa.
Lo stroma ovarico viene maggiormente studiato con l’introduzione delle sonde 3D, che permettono di effettuare il calcolo del rapporto tra area dello stroma e area totale dell’ovaio, significativamente aumentato nella PCOS per il fenomeno spiegato in precedenza. L’aumento di questo rapporto è presente nel 20% delle donne nella popolazione generale ed è significativamente correlato con irsutismo e alti livelli di androgeni. Anche questo parametro rimane controverso in letteratura per la diagnosi di PCOS.
Un altro parametro che viene discusso in letteratura è la vascolarizzazione del parenchima ovarico. Alcuni studi, infatti, hanno dimostrato come sia comune un aumento del flusso sanguigno nelle pazienti con PCOS (10). Per la valutazione della vascolarizzazione vengono utilizzati la metodologia Doppler e la sonda 3D. Attualmente sono pochi gli studi che valutano i valori di riferimento dei parametri Doppler dell’arteria ovarica, per definire una morfologia ovarica policistica. Si è visto che gli indici di flusso e la vascolarizzazione sono significativamente più alti nelle pazienti con PCOS normopeso, rispetto a quelle in sovrappeso. Inoltre, tali parametri sembrano avere molta importanza nella risposta clinica alle terapie per l’infertilità. I risultati dell’indagine Doppler-flussimetrica di pazienti con PCOS potrebbero essere utili per comprendere l'eziologia della malattia e attuarne il follow-up clinico.

 

Bibliografia

  1. Rotterdam ESHRE/ASRM Sponsored PCOS Consensus Worshop Group. Revised 2003 consensus on diagnostic criteria and long-term healt risks related to polycystic ovary syndrome. Fertil Steril 2004, 81: 19-25.
  2. Balen AH, Laven JSE, Tan SL, Dewailly D. Ultrasound assessment of polycystyc ovary: international consensus definition. Hum Reprod Update 2003, 9: 505-14.
  3. Swanson M, Sauerbrei EE, Cooperberg PL. Medical implication of ultrasonically detected polycystic ovaries. J Clin Ultrasound 1981, 9: 219-22.
  4. Azziz R, Carmina E, Dewailly D, et al. The Androgen Excess and PCOS Society criteria for polycystic ovary sindrome: the complete task force report. Fertil Steril 2009, 91: 456-8
  5. Senaldi L, Gopi RP, Milla S, Shan B. Is ultrasound useful in the diagnosis of adolescents with polycystic ovary sindrome? J Pediatr Endocr Met 2015, 28: 608-12.
  6. Dewailly D, Lujan ME, Carmina E, et al. Definition and significance of polycystic ovarian morphology: a task force report from the Androgen Excess and Polycystyc Ovary Syndrome Society. Hum Reprod Update 2014, 20: 334-52.
  7. Silfen ME, Denburg MR, Manibo AM, et al. Early endocrine, metabolic, and sonographic characteristics of polycystic ovary syndrome (PCOS): comparison between non obese and obese adolescents. J Clin Endocrinol Metab 2003, 88: 4682-8.
  8. Panchal S, et al. Baseline scan and ultrasound diagnosis of PCOS. J Ultrasound Obstet Gynecol 2012, 6: 290-9.
  9. Pan HA, Wu MH, Cheng YC, et al. Quantification of Doppler signal in polycystic ovarian syndrome using 3D power Doppler ultrasonography. Hum Reprod 2002, 17: 2484.
  10. Shresta SM, Costello MF, Sjoblom P, et al. Power Doppler ultrasound assessment of follicular phase and its relationship with outcome of in vitro fertilisation. J Assist Reprod Genet 2006, 23: 161-9.