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Roberto Cesareo1, Ilaria Terrinoni1, Fabio Vescini2 e Michele Zini3
1Endocrinologia, Ospedale S. Maria Goretti, Latina
2SOC Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, AOU S. Maria della Misericordia, Udine
3Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova IRCCS, Reggio Emilia

(aggiornato al 16 gennaio 2020)

 

Vengono qui di seguito riportati i più importanti studi clinici sull'osteoporosi che hanno mostrato risultati significativi sulla riduzione delle fratture.

 

CALCIO E VITAMINA D

Due importanti studi, condotti negli anni ’90, dimostrarono che l’associazione di calcio e colecalciferolo era in grado di ridurre il rischio di frattura in pazienti anziani (età > 65 anni) istituzionalizzati, sia a livello vertebrale, sia non-vertebrale (1,2).
Negli anni seguenti sono stati pubblicati molti altri studi, che hanno valutato sia l’associazione di calcio e vitamina D, sia la somministrazione singola di ciascuno di essi. I risultati prodotti sono stati contrastanti, anche se alcune metanalisi hanno fornito dati chiaramente interpretabili: la somministrazione del solo calcio non riduce significativamente il rischio di frattura, mentre in associazione al colecalciferolo riduce il rischio del 13% (RR 0.87, IC95% 0.77-0.97). Questo risultato è strettamente dipendente dall'aderenza al trattamento: con una compliance > 80% la riduzione del rischio relativo di frattura arriva al 24% (RR 0.76, IC95% 0.67-0.86), mentre per aderenze inferiori il dato perde significatività (3).
Un’altra metanalisi ha evidenziato che anche la sola somministrazione di vitamina D è in grado di ridurre il rischio di frattura, ma solo per dosi giornaliere > 400 UI; a queste posologie il rischio relativo di frattura non-vertebrale era 0.80 (IC95% 0.72-0.89), mentre quello relativo alla frattura del femore risultava pari a 0.82 (IC95% 0.69-0.97) (4).
Un recente studio randomizzato della durata di 9 mesi, condotto su 689 donne di età > 70 anni, afferma che l’efficacia del colecalciferolo a dosaggi intermittenti (150.000 UI ogni 3 mesi) non riduce significativamente l’incidenza di fratture (5). A fronte di ciò, vi sono recenti studi di tipo metanalitico, che pongono il sospetto che l’assunzione di calcio e vitamina D, singolarmente o in associazione, possa aumentare il rischio cardio-vascolare e quello di caduta nei pazienti anziani. Bolland e collaboratori in una metanalisi del 2011 osservano, infatti, un aumento del rischio di infarto del miocardio e ictus in donne in menopausa trattate con integratori di calcio con o senza vitamina D (6). I ricercatori, analizzando i dati di 16178 pazienti, riscontrano un rischio cardio-vascolare più elevato nelle pazienti non trattate con calcio prima della randomizzazione. Al contrario, la supplementazione con calcio e vitamina D nelle pazienti già in terapia non sembra modificare il rischio cardio-vascolare. Gli autori ipotizzano che il brusco aumento dei livelli di calcio dopo la supplementazione possa essere responsabile dell’aumentato rischio cardio-vascolare. Secondo i calcoli dei ricercatori, l’analisi rischio/beneficio depone a sfavore degli integratori: su 1000 pazienti trattati per cinque anni con integratori di calcio, potrebbero verificarsi sei casi di infarto del miocardio o ictus (NNH 178), con la prevenzione di tre sole fratture (NNT 302). Al contrario, una metanalisi condotta da Mao e collaboratori nel 2013 (8), raccoglie dati su 11 studi, con una popolazione totale di 50252 pazienti, evidenziando in pazienti che assumono calcio con o senza vitamina D un non significativo aumento del rischio cardio-vascolare (OR 1.03, IC95% 0.94-1.12; P = 0.54) e di eventi cardio-vascolari maggiori: infarto del miocardio (OR 1.08, IC95% 0.96-1.22; P = 0.21) o ictus (OR 1.01, IC95% 0.91-1.13; P = 0.80). Il rischio sembra essere maggiore nella popolazione di sesso maschile (8). Seppure non significativi dal punto di vista statistico, i dati riportati sul rischio di eventi cardio-vascolari (es. rischio di infarto del miocardio 28% maggiore rispetto al placebo) lasciano aperta la discussione sull’effettiva sicurezza del calcio.
Le metanalisi risultano comunque invalidate da alcuni importanti bias metodologici (diversi dosaggi di calcio, diverse formulazione di vitamina D, assunzione di integratori prima della randomizzazione), per cui sarebbero necessari ulteriori studi per la definizione del rischio cardio-vascolare associato al calcio.
Oggi non si può ritenere che la sola terapia con calcio e vitamina D rappresenti una forma di trattamento efficace per l'osteoporosi, anche se a tutti i pazienti deve essere garantito un adeguato apporto di calcio e vitamina D. È ben dimostrato che livelli plasmatici sufficienti (> 30 ng/mL) di 25OHD sono in grado di migliorare la risposta ai farmaci per l’osteoporosi (8). Mentre un apporto sufficiente di calcio può essere ottenuto con la dieta, ciò non è possibile per la vitamina D, che se necessario deve essere somministrata dall’esterno.

 

CALCITONINA

È disponibile un solo studio clinico controllato a 5 anni, che evidenzia dati di efficacia sulla riduzione delle fratture vertebrali (9), mentre non vi sono dati di significatività sulle fratture femorali. Nello studio si è rilevato un elevato drop-out, che pone seri dubbi sulla reale efficacia anti-fratturativa di questa molecola che, di fatto, è uscita dall’armamentario farmacologico per l'osteoporosi.

 

TERAPIA ESTRO-PROGESTINICA

Lo studio WHI, effettuato su circa 16600 donne di età compresa tra 50 e 79 anni a cui era stata prescritta terapia con estrogeni coniugati equini e medrossiprogesterone acetato per via orale, ha evidenziato una riduzione delle fratture vertebrali e anche delle fratture di femore (10). Tuttavia, in associazione alla terapia estrogenica, sono stati riscontrati effetti collaterali importanti, in particolare un'aumentata incidenza di carcinoma della mammella, di eventi cardio-vascolari, cerebro-vascolari e trombo-embolici venosi. Il rapporto rischio/benefico è quindi sfavorevole, e la terapia estrogenica non può essere ritenuta un approccio standard quando l’obiettivo primario sia il trattamento dell’osteoporosi. Come criterio generale, l’uso razionale degli estrogeni è oggi limitato alla terapia sostitutiva della menopausa precoce o alla terapia ormonale sostitutiva in corso di sindrome climaterica, quando questa sia clinicamente rilevante con impatto significativo sulla qualità di vita e si sia dimostrata resistente ad altri provvedimenti (es. estrogeni topici, isoflavonoidi della soia).

 

MODULATORI SELETTIVI DEL RECETTORE PER GLI ESTROGENI (SERM)

Lo studio MORE, che ha visto l'utilizzo del raloxifene su circa 7700 donne di età media di 66 anni, ha evidenziato una chiara riduzione delle fratture vertebrali, ma assenza di dati di efficacia sulla riduzione delle fratture non-vertebrali o di femore (11). Anche lo studio CORE, estensione dello studio MORE con utilizzo di raloxifene fino 8 anni, ha confermato l’inefficacia di questo farmaco sulla riduzione del rischio di fratture non-vertebrali (12).
Dei SERM di nuova generazione (bazedoxifene, ospemifene, arzoxifene, lasofoxifene), bazedoxifene in uno studio clinico randomizzato in doppio cieco ha dimostrato sicuri dati di efficacia sulla riduzione sulle fratture vertebrali e anche non-vertebrali, anche se ad una attenta valutazione la significatività sulle fratture non-vertebrali è data dall'efficacia sulle fratture minori (13). Non vi sono ancora chiari dati di efficacia sulla riduzione delle frattura d'anca e persistono, come peraltro per il raloxifene, aumentati rischi di tipo trombo-embolico venoso.

 

BISFOSFONATI

Alendronato
Lo studio FIT, rivolto a pazienti sia in prevenzione primaria che secondaria, ha evidenziato una riduzione del rischio relativo di nuove fratture intorno al 50%, sia per le fratture vertebrali che femorali (14). Lo studio non ha documentato effetti collaterali degni di nota rispetto al placebo, anche se c'è da dire che nella fase di pre-randomizzazione sono stati esclusi pazienti affetti da patologie gastro-intestinali o in terapia con farmaci gastro-lesivi. Il farmaco si è dimostrato efficace in un ampio spettro di condizioni cliniche: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, fratture vertebrali, fratture non vertebrali, osteoporosi da corticosteroidi. Pur con end-point secondari, l’uso del farmaco è validato anche per periodi di trattamento prolungati. Compatibilmente con la tollerabilità del farmaco (che è complessivamente buona, soprattutto se viene assunto con le modalità corrette) e l'aderenza del paziente al piano di cura, è da perseguire l’obiettivo di un trattamento protratto nel tempo. A tutt’oggi, l’alendronato rimane uno dei farmaci di prima scelta per il trattamento dell’osteoporosi.

 

Risedronato
Anche l'utilizzo del risedronato ha evidenziato riduzione delle fratture vertebrali e non vertebrali, con dati sovrapponibili a quelli dell'alendronato (15). Inoltre, gli effetti del risedronato sulla riduzione dell'incidenza delle fratture d'anca sono stati valutati nello studio HIP, che ha documentato una riduzione del rischio relativo pari al 40%, ma solo in donne anziane e con bassi valori densitometrici in sede femorale e che avevano una frattura vertebrale al basale (16). Anche il risedronato è stato valutato in uno studio di estensione e l'incidenza delle fratture vertebrali ha dimostrato un trend positivo di riduzione, come nello studio registrativo a tre anni, anche se non ci sono dati di significatività sulla riduzione delle fratture non-vertebrali (17).

 

Ibandronato
Lo studio multicentrico registrativo, della durata di 3 anni, condotto su 2946 donne in menopausa, di età compresa tra 55 e 80 anni, ha documentato una chiara efficacia sulla riduzione delle fratture vertebrali, ma assenza di significatività sulle fratture non-vertebrali (18). Studi successivi, che hanno previsto dosi cumulative differenti della molecola, sia dal punto di vista della posologia che nella modalità di assunzione, sembrerebbero evidenziare dati di efficacia anche sulle fratture non vertebrali (19); mancano tuttavia dati di sicura efficacia sulla riduzione di frattura dell'anca. Nonostante questa importante limitazione, il farmaco risulta utile nelle forme di osteoporosi a prevalente localizzazione vertebrale, anche per la mono-somministrazione mensile, che favorisce la compliance e l’aderenza al trattamento.

 

Zoledronato
Già noto per il trattamento delle metastasi ossee e del mieloma, lo zoledronato è stato valutato per la terapia dell’osteoporosi nello studio HORIZON, alla dose di 5 mg ev una volta all’anno (20). Le credenziali di efficacia del farmaco dimostrate dallo studio HORIZON sono molto buone, anche se il farmaco paga una lieve, ma significativa, tossicità cardiaca (episodi di fibrillazione atriale) e renale (insufficienza renale acuta reversibile). Pur non essendo stati dimostrati nello studio episodi di osteonecrosi della mandibola (ONJ), lo zoledronato rimane pur sempre il farmaco principalmente responsabile di questo effetto collaterale. La particolare modalità di somministrazione (endovenosa annuale) impone nuove considerazioni sulla nicchia di appropriatezza dell’uso di questo farmaco, che non è ancora definita, e sul setting assistenziale (necessariamente ospedaliero).

 

Clodronato
I dati di efficacia di questa molecola sono derivati solo dall'impiego della formulazione orale (800 mg/die per os) e dimostrano una riduzione significativa delle fratture vertebrali incidenti (21).

 

Il problema dell'osteonecrosi della mandibola
L’ONJ è un effetto collaterale ben noto in ambito onco-ematologico, ove si è verificata la grande maggioranza dei casi. Si tratta di una necrosi del tessuto osseo, che si può manifestare nei pazienti trattati con bisfosfonati (ma anche con farmaci attivi sull’osso appartenenti ad altre classi) a seguito di manovre odontoiatriche invasive. Nei pazienti in trattamento con bisfosfonati orali per osteoporosi, i casi segnalati sono estremamente scarsi e aneddotici, tuttavia, anche in questi soggetti è opportuno seguire alcuni criteri:

  • nei pazienti non ancora in trattamento, le procedure odontoiatriche vanno completate prima di iniziare la terapia;
  • nei pazienti già in trattamento e con procedure odontoiatriche differibili, il bisfosfonato deve essere sospeso per 3-6 mesi. In questo tempo non ci si può aspettare la scomparsa del farmaco dal tessuto osseo (data la lunghissima emivita ossea dei bisfosfonati), ma un periodo di clearance è comunque consigliato;
  • nei pazienti già in trattamento e con procedure odontoiatriche non differibili, l’odontoiatra presterà particolare attenzione ad operare con la massima asepsi e il minimo traumatismo possibili, procedendo a un’adeguata profilassi antibiotica (amoxicillina + acido clavulanico) e a uno stretto follow-up (22).

 

Le fratture atipiche e la "drug holiday"
Dal 2005 un numero crescente di segnalazioni ha descritto casi di fratture femorali localizzate distalmente al piccolo trocantere (sotto-trocanteriche o diafisarie, ST/DF) in pazienti in terapia con bisfosfonati. La task force dell’American Society for Bone and Mineral Research sulle fratture atipiche ST/DF del femore ha definito le caratteristiche principali e secondarie della frattura atipica del femore. Queste fratture sono state inizialmente denominate “atipiche” prevalentemente in relazione alla sede, alle caratteristiche radiologiche e all'età di insorgenza, che le distinguono dalle classiche fratture da fragilità dei pazienti anziani osteoporotici (23).
Le fratture ST/DF atipiche di femore sono un evento raro, che può presentarsi sia in pazienti in terapia con bisfosfonati sia in soggetti mai esposti a questi farmaci, che presentano altre condizioni morbose o fattori di rischio. Sulla base dei dati disponibili, il rapporto rischio/beneficio nell’uso dei bisfosfonati nella prevenzione delle fratture da fragilità è decisamente a favore del beneficio, considerato l’elevato numero di fratture che si eviterebbero nel produrre un’“ipotetica” frattura ST/DF atipica. Inoltre, sulla base delle prove disponibili, principalmente derivanti dagli studi epidemiologici e dalle segnalazioni post-immissione in commercio, il rischio di questa tipologia di fratture del femore sembra correlarsi con l'utilizzo a lungo termine dei bisfosfonati. Pertanto, sia per questo motivo, sia per le evidenze cliniche ancora non del tutto dirimenti in merito all'efficacia dei bisfosfonati in termini di riduzione delle fratture a lungo termine, vengono a tutt'oggi proposte delle raccomandazioni in merito all'eventuale sospensione dell'assunzione in tali pazienti ("drug holiday") (tabella 1).

 

Tabella 1
Pazienti candidabili o no alla "drug holiday"
È opportuno sospendere i bisfosfonati dopo 3-5 anni

Pazienti che assumono bisfosfonati senza indicazione:

  • T-score non basso;
  • nessuna frattura prevalente vertebrale o femorale.

Pazienti senza frattura vertebrale incidente o prevalente, che hanno iniziato il trattamento per osteoporosi al collo femorale, e che, dopo 5 anni di terapia, non hanno fratture incidenti e presentano un T-score al collo femorale > -2.0.
Pazienti senza storia di frattura, nei quali il trattamento con glucocorticoidi è stato sospeso e nei quali si riscontra un T-score > -2.0.
Pazienti nei quali insorge ONJ, o con evidenza di frattura atipica (in qualunque momento).

È opportuno proseguire il trattamento con bisfosfonati anche dopo 3-5 anni Pazienti con frattura vertebrale all’inizio del trattamento.
Pazienti senza frattura vertebrale incidente o prevalente, che hanno iniziato il trattamento per osteoporosi al collo femorale, e nei quali persiste un T-score < -2.5 dopo 5 anni di terapia.
Pazienti in trattamento cronico con glucocorticoidi.

 

Pertanto, dopo 3-5 anni di trattamento andrà rimodulato in ogni singolo paziente il rapporto rischio-beneficio, per valutare l'eventuale sospensione della terapia o invece un suo proseguimento. Al momento non ci sono raccomandazioni forti e studi di elevata evidenza clinica in grado di stabilire la durata dell'eventuale "drug holiday". Tuttavia, la rivalutazione del rischio andrebbe effettuata dopo 1 anno dalla sospensione per il risedronato, dopo 1-2 anni per l'alendronato e dopo 2-3 anni per lo zoledronato (24,25).

 

RANELATO DI STRONZIO

Lo studio SOTI, condotto su 1640 pazienti in menopausa con osteoporosi e almeno una frattura vertebrale, ha rilevato una riduzione di circa il 40% delle fratture vertebrali alla fine del terzo anno di trattamento (26). Lo studio TROPOS ha evidenziato una riduzione del 16% delle fratture non-vertebrali (27), mentre analisi post-hoc hanno evidenziato, su una sotto-popolazione a più alto rischio, anche una riduzione delle fratture di femore, che è stata confermata persistere anche su studi di estensione che hanno previsto l'utilizzo di questa molecola.
Il riscontro di effetti collaterali, peraltro in parte già segnalati in questi studi, ma recentemente documentati anche al di fuori degli studi registrativi, con aumentata incidenza di trombo-embolia venosa, porta alla contro-indicazione all'assunzione di tale molecola in pazienti che hanno diatesi trombofilica. Studi post-marketing hanno riportato un’aumentata incidenza di sintomi e segni clinici della sindrome da ipersensibilità definita DRESS (Drug Rash with Eosinophilia and Systemic Symptoms), in seguito al cui riscontro è obbligatoria l'immediata sospensione del farmaco.
In ultimo, sempre analisi di tipo post-marketing hanno rilevato il riscontro di complicanze cardio-vascolari anche severe in seguito all’assunzione di tale farmaco, per cui ad aprile 2013 l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) aveva raccomandato la restrizione d’uso per ridurre il rischio di problemi cardiaci e a gennaio del 2014 Il Comitato di valutazione dei Rischi per la Farmaco-vigilanza (PRAC) ha raccomandato che il ranelato di stronzio non debba più essere usato per il trattamento dell’osteoporosi (28). Al momento, anche se i dati (in particolar modo in merito agli eventuali effetti di tipo ischemico) non sono concordanti e conclusivi, il ranelato di stronzio è contro-indicato in pazienti con ipertensione non correttamente controllata e in coloro che risultino affetti da cardiopatia ischemica, arteriopatie periferiche e/o vasculopatie cerebrali; il suo utilizzo è esclusivamente ristretto a pazienti che siano intolleranti all'assunzione di altri presidi farmacologici utili per il trattamento dell'osteoporosi (29,30).

 

TERIPARATIDE

È il frammento comprendente i primi 34 aminoacidi dell'ormone paratiroideo, ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante. Esplica un effetto anabolizzante, con spiccato aumento dei parametri densitometrici e riduzione sull'incidenza delle fratture vertebrali e non vertebrali, nella prevenzione secondaria dell’osteoporosi post-menopausale. Si somministra quotidianamente per via sotto-cutanea, per un periodo massimo di 24 mesi.
Teriparatide ha mostrato dati di efficacia, ma solo dal punto di vista densitometrico, in corso di osteoporosi maschile ed è risultato efficace nel ridurre il rischio di fratture vertebrali su pazienti in terapia cortisonica (31). La grandezza dell’effetto riportata negli studi registrativi è elevata. La dispensazione del farmaco a carico SSN è riservata a:

  • pazienti con 3 o più fratture vertebrali e/o femorali;
  • pazienti che incorrono in una nuova frattura vertebrale o in una frattura di femore in corso di trattamento con uno degli altri farmaci della nota 79 (alendronato, alendronato + vit. D3, risedronato, zoledronato, denosumab, raloxifene, ibandronato, ranelato di stronzio) da almeno un anno;
  • pazienti con 1 frattura vertebrale e/o femorale e T-score ≤ -4 a livello del rachide e/o del femore;
  • pazienti con una frattura vertebrale e/o femorale, in trattamento da più di 12 mesi con dosi > 5 mg/die di prednisone (o dosi equivalenti di altri corticosteroidi).

Il teriparatide è quindi destinato al trattamento delle forme più severe di osteoporosi, specie nei pazienti non responsivi agli altri farmaci.

 

PTH 1-84

Questa molecola non è più utilizzata nella terapia dell'osteoporosi. Attualmente è stata approvata sia da FDA che da EMA per la terapia sostitutiva nei pazienti con ipoparatiroidismo.

 

DENOSUMAB

È un anticorpo monoclonale umano, inibitore reversibile del RANKL.
Uno studio registrativo della durata di 3 anni ha documentato significativi dati di efficacia sui parametri densitometrici e soprattutto sulla riduzione delle fratture vertebrali, non-vertebrali e femorali (32).
Gli effetti collaterali riportati sono poco rilevanti (aumentata incidenza di infezioni, in particolare cellulite). Le indicazioni AIFA per la dispensazione del farmaco a carico del SSN sono:

  • trattamento dell’osteoporosi in donne in post-menopausa e in uomini ad aumentato rischio di fratture;
  • trattamento della perdita ossea associata a terapia ormonale ablativa in uomini con cancro alla prostata e in donne con cancro della mammella ad aumentato rischio di fratture;
  • trattamento della perdita ossea associata a terapia sistemica con glucocorticoidi a lungo termine in pazienti adulti ad aumentato rischio di frattura.

Denosumab viene somministrato alla posologia di 60 mg per via sotto-cutanea una volta ogni 6 mesi.
Uno studio di estensione ha rilevato la persistenza dell'efficacia, con un progressivo aumento densitometrico sia in sede lombare che femorale dopo 10 anni di terapia (33). Un altro studio ne ha validato l'efficacia in termini di aumento densitometrico anche nell'osteoporosi maschile (34). Infine, a conferma dell'efficacia in termini di compliance, un recente studio ha dimostrato l'efficacia del farmaco in termini di aderenza e persistenza se raffrontato con la somministrazione settimanale di alendronato (35).
Il farmaco può essere assunto anche in corso di insufficienza renale senza modificazioni posologiche. Denosumab a tutt'oggi occupa un importante ruolo come efficace farmaco nel trattamento dell'osteoporosi, sia in soggetti intolleranti all'assunzione di bisfosfonati sia in pazienti in pluri-terapia farmacologica o altri per i quali si sospetti che l'aderenza farmacologica possa risultare ridotta.
Dagli studi registrativi è emerso che i pazienti trattati con denosumab possono sviluppare infezioni cutanee (principalmente cellulite, 0.4% dei casi trattati). Studi di post-marketing hanno segnalato alcuni casi di ONJ e fratture di femore atipiche, con incidenza sovrapponibile a quella rilevata per i bisfosfonati. Sono stati riportati anche casi di anafilassi e ipocalcemia severa, per cui è raccomandata sempre la titolazione dei livelli di calcio prima e in corso di assunzione di tale trattamento farmacologico e un adeguato apporto di calcio e vitamina D (33).

 

Tabella 2
Efficacia di diversi trattamenti sul rischio di frattura nell’osteoporosi post-menopausale
Farmaco Vertebrali Non-vertebrali Femorali
Alendronato x x x
Risedronato x x x
Ibandronato x no no
Zoledronato x x x
Clodronato x no no
Ranelato di Stronzio x x x
Denosumab x x x
Raloxifene x no no
Bazedoxifene x no no
Lasofoxifene x x no
Teriparatide x x no

 

 

ABALOPARATIDE

È un anabolizzante analogo del PTHrp.

 

ROMOSOZUMAB

È un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro sclerostina, una glicoproteina secreta dagli osteociti, che riveste un ruolo fondamentale come inibitore dell’attività osteoblastica. Il suo effetto principale è quello di aumentare l’attività degli osteoblasti e la neo-formazione ossea; gli studi prodotti, tuttavia, hanno anche dimostrato un effetto inibitorio sugli osteoclasti e, di conseguenza, un’attività anti-riassorbitiva. Nello studio registrativo romosozumab si è dimostrato in grado di ridurre l’incidenza di fratture vertebrali e di aumentare significativamente la BMD, già dopo un solo anno di terapia (35,36).

 

LA NOTA AIFA 79

Il dato saliente che caratterizza la nota 79 è la soglia diagnostica in base alla quale stabilire l'eventuale trattamento farmacologico e la categorizzazione dei farmaci in prima, seconda e terza scelta.

 

Soglia diagnostica
Nella nota viene sottolineato il concetto in base al quale i maggiori dati di efficacia, intesi in termini di NNT (number needed to treat), siano presenti nei pazienti in prevenzione secondaria, cioè soggetti con pregresse fratture da fragilità ossea. In questi soggetti il grado di rischio è ritenuto più elevato, conformemente ai dati della letteratura, in coloro che:

  • presentano fratture multiple;
  • hanno marcata riduzione della densità ossea;
  • sono in terapia cortisonica;
  • vanno incontro a nuove fratture (vertebrali e/o femorali) nonostante l’assunzione di terapia farmacologica adeguata.

Per i pazienti in prevenzione primaria (cioè senza pregressi eventi fratturativi), visto il limitato numero di evidenze scientifiche per questa categoria di soggetti, viene giustificata una terapia farmacologica solo se presentano una marcata alterazione densitometrica in sede vertebrale e femorale, oppure se a un'alterazione densitometrica meno rilevante su questi siti ossei si associa la presenza di dati anamnestici positivi quali familiarità per fratture vertebrali e/o femorali o la comorbilità di artrite reumatoide o altre connettiviti, diabete mellito, BPCO, malattia infiammatoria cronica intestinale, morbo di Parkinson, sclerosi multipla e grave disabilità motoria.
Infine, nei pazienti in terapia cortisonica (trattamento previsto per più di 3 mesi con almeno 5 mg/die di prednisone o equivalenti) o in corso di blocco ormonale adiuvante (carcinoma mammario o prostatico) è posta indicazione al trattamento indipendentemente dal dato densitometrico.

 

Trattamenti farmacologici
Con la nota 79 sia in prevenzione primaria che secondaria i trattamenti farmacologici sono stati suddivisi in livelli di efficacia. In base a questa arbitraria classificazione, i livelli vengono così ripartiti (tabella 3).

 

Tabella 3
Prevenzione primaria Pazienti in terapia cortisonica (da almeno 3 mesi, vedi sopra) I scelta: alendronato, risedronato, zoledronato.
II scelta: denosumab.
Pazienti in corso di blocco ormonale (K mammella/prostata) I scelta: alendronato, risedronato, zoledronato, denosumab.
Pazienti con T-score femorale e/o colonna < -4 I scelta: alendronato (± vitamina D), risedronato.
II scelta: denosumab, zoledronato, ibandronato,  raloxifene,  bazedoxifene.
III scelta: stronzio ranelato.
Prevenzione secondaria Pazienti con 1 o 2 fratture I scelta: alendronato (± vitamina D), risedronato, zoledronato.
II scelta: denosumab, ibandronato, raloxifene,  bazedoxifene.
III scelta: stronzio ranelato.
Pazienti con 3 o più fratture vertebrali e/o femorali I scelta: teriparatide.
II scelta: denosumab, zoledronato.
III scelta: alendronato (± vitamina D), risedronato, ibandronato,  stronzio ranelato.
Pazienti con almeno 1 frattura vertebrale e/o femorale e T-score ≤ -4.
Pazienti con almeno 1 frattura e trattamento cortisonico per almeno 12 mesi con prednisone o equivalente (5 mg/die).
Pazienti con nuova frattura vertebrale o femorale nonostante trattamento con farmaci in nota 79 da 1 anno
I scelta: teriparatide.
II scelta: denosumab, zoledronato.
III scelta: alendronato (± vitamina D), risedronato, ibandronato, stronzio ranelato.
Pazienti con fratture non vertebrali e non femorali con un T-score femorale e/o vertebrale ≤ -3 I scelta: alendronato, risedronato, zoledronato.
II scelta: denosumab, ibandronato, raloxifene, bazedoxifene.
III scelta: stronzio ranelato.

 

L’utilizzo contemporaneo di diversi farmaci potrebbe avere un razionale, ma sono ancora molto pochi i dati disponibili sulla loro evidenza. In ogni caso non sono rimborsabili in Italia e e quindi per ora il loro uso sarebbe assolutamente limitato e off-label.
 
La corretta sequenza dei farmaci da impiegare in momenti successivi nello stesso paziente sarà oggetto di un prossimo capitolo di Endowiki.

 

BIBLIOGRAFIA

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Stampa

Fabio Vescini, Antonio Stefano Salcuni & Alessandro Brunetti
SOC Endocrinologia, Azienda Sanitaria Universitaria – Friuli Centrale

(aggiornato al 20 dicembre 2023)

 

Meccanismo d’azione
È un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro la sclerostina, una glicoproteina secreta dagli osteociti che agisce prevalentemente come inibitore dell’osteoblastogenesi. L’inibizione della sclerostina determina un potente effetto anabolico, ma romosozumab ha dimostrato anche un effetto anti-riassorbitivo, inibendo l’attivazione degli osteoclasti da parte di osteoblasti ed osteociti. Pertanto, romosozumab è attualmente l’unico farmaco disponibile nella pratica clinica dalla duplice azione anabolica ed anti-riassorbitiva. Nello studio clinico randomizzato FRAME (Fracture Study in Postmenopausal Women with Osteoporosis), effettuato su circa 7200 donne con osteoporosi post-menopausale, il trattamento per 12 mesi con romosozumab ha ridotto del 73% le fratture vertebrali e del 36% le fratture cliniche in qualsiasi sede rispetto al placebo (1). Sulla base di tale studio, il farmaco è stato approvato nel 2019 sia dalla Food and Drug Administration (FDA) che dalla European Medicines Agency (EMA) per il trattamento dell’osteoporosi nella donna in post-menopausa.

 

Indicazioni
Attualmente l’uso del farmaco è approvato solo nelle donne in post-menopausa, nonostante alcuni studi evidenzino risultati promettenti anche nella popolazione maschile (2,3).

 

Modalità di somministrazione
La somministrazione è sottocutanea al dosaggio di 210 mg mensili, indipendentemente del peso corporeo. Attualmente il farmaco è commercializzato in penne pre-riempite da 105 mg (Evenity); è necessario, pertanto, effettuare due somministrazioni simultanee ogni mese. Il periodo di trattamento previsto è di massimo 12 mesi, poiché non è stato dimostrato un aumento significativo della BMD per un periodo più prolungato. Al termine del trattamento, è necessario avviare una terapia anti-riassorbitiva per mantenere l’incremento della BMD e ridurre ulteriormente il rischio fratturativo.

 

Effetti avversi e controindicazioni
Gli effetti avversi comunemente riportati sono per lo più lievi (reazioni nel sito d‘iniezione, artralgie, cefalea, reazioni cutanee). Tuttavia, due importanti trial clinici, BRIDGE (Study to Compare the Safety and Efficacy of Romosozumab  Versus Placebo in Men With Osteoporosis) e ARCH (Active-Controlled Fracture Study in Postmenopausal Women With Osteoporosis at High Risk), hanno dimostrato un incremento degli eventi cardio-vascolari e cerebro-vascolari, rispettivamente negli uomini trattati con romosozumab vs placebo e nelle donne trattate con romosozumab vs alendronato (2,4). Pertanto, il farmaco è attualmente controindicato nei pazienti con storia di infarto del miocardio o ictus ischemico, o comunque ad alto rischio CV.

 

Limitazioni prescrittive
Con l’ultimo aggiornamento della nota AIFA 79 del 7/2/2023, romosozumab è stato incluso nei trattamenti per l’osteoporosi rimborsabili da parte del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). La rimborsabilità a carico del SSN dipende dalle seguenti condizioni:

  • T-score colonna o femore < -2.5 DS associato ad almeno una condizione tra:
    • ≥ 1 frattura vertebrale moderata o grave;
    • ≥ 2 fratture vertebrali lievi;
    • ≥ 2 fratture non vertebrali;
    • frattura di femore;
  • T-score colonna o femore < -2.0 DS associato ad almeno una condizione tra:
    • 2 fratture vertebrali moderate o gravi;
    • frattura di femore nei 2 anni precedenti.

In aggiunta le pazienti devono soddisfare questi ulteriori requisiti:

  • rischio di frattura a 10 anni ≥ 20% (determinato con calcolatore validato);
  • impossibilità a eseguire altri trattamenti efficaci (intolleranza, inefficacia o scadenza del periodo di impiego autorizzato).

 

Bibliografia

  1. Cosman F, et al. Romosozumab treatment in postmenopausal women with osteoporosis. N Engl J Med 2016, 375: 1532–43.
  2. Lewiecki EM, et al. A phase III randomized placebo-controlled trial to evaluate efficacy and safety of romosozumab in men with osteoporosis. J Clin Endocrinol Metab 2018, 103: 3183–93.
  3. Padhi D, et al. Multiple doses of sclerostin antibody romosozumab in healthy men and postmenopausal women with low bone mass: a randomized, double-blind, placebo-controlled study. J Clin Pharmacol 2014, 54: 168–78.
  4. Saag KG, et al. Romosozumab or alendronate for fracture prevention in women with osteoporosis. N Engl J Med 2017, 377: 1417–27.
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Fabio Vescini, Antonio Stefano Salcuni & Alessandro Brunetti
SOC Endocrinologia, Azienda Sanitaria Universitaria – Friuli Centrale

(aggiornato al 20 dicembre 2023)

 

Meccanismo d’azione
Abaloparatide è un analogo sintetico della Parathyroid Hormone-related Protein (PTHrP), in grado di attivare la via di segnale del recettore 1 del paratormone, esercitando sull’osso un effetto anabolico. L’efficacia di abaloparatide è stata dimostrata nello studio Abaloparatide Comparator Trial in Vertebral Endpoints (ACTIVE), un RCT di fase 3 di confronto fra abaloparatide e teriparatide in circa 2000 donne in post-menopausa. Dopo 18 mesi di trattamento, la riduzione delle fratture vertebrali e l’aumento della BMD era simile nelle pazienti dei due bracci, mentre l’efficacia sulla BMD femorale è risultata maggiore con abaloparatide rispetto a teriparatide (+4.2% vs +3.3%, p < 0.01) (1). Sulla base di tali risultati, nel 2017 il farmaco è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento dell’osteoporosi. Tuttavia, la European Medical Agency (EMA) ha inizialmente negato l’approvazione a causa della mancata riduzione significativa delle fratture non vertebrali e del riscontro di aumento della frequenza cardiaca (3). Studi successivi e analisi post-hoc sulle pazienti dello studio ACTIVE hanno comunque confermato l’efficacia di abaloparatide nella riduzione sia delle fratture vertebrali che non-vertebrali e la sostanziale sicurezza dal punto di vista CV (3).

 

Indicazioni
Il farmaco è stato approvato per il trattamento dell’osteoporosi dall’EMA nel 2022 e successivamente dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) all’inizio del 2023.

 

Modalità di somministrazione
La dose consigliata di Eladynos è di 80 μg/die somministrata mediante iniezione sottocutanea, per un periodo massimo di 18 mesi, al termine del quale è consigliato avviare un trattamento anti-riassorbitivo.

 

Effetti avversi
Sono per lo più sovrapponibili a quelli di teriparatide, anche se per abaloparatide è stata documentata una minore incidenza di ipercalcemia (1).

 

Limitazioni prescrittive
Attualmente non è ancora prevista la rimborsabilità a carico del Sistema Sanitario Nazionale.

 

Bibliografia

  1. Miller PD, et al. Effect of abaloparatide vs placebo on new vertebral fractures in postmenopausal women with osteoporosis: a randomized clinical trial. JAMA 2016, 316: 722–33.
  2. Miller PD, et al. Bone mineral density response rates are greater in patients treated with abaloparatide compared with those treated with placebo or teriparatide: results from the ACTIVE phase 3 trial. Bone 2019, 120: 137–40.
  3. Brent MB. Abaloparatide: a review of preclinical and clinical studies. Eur J Pharmacol 2021, 909: 174409.