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Marco Faustini Fustini
Endocrinologia, Ospedale Bellaria, Bologna

 

I “disruptors” sono sostanze introdotte dall’uomo nell’ambiente, in grado di interferire con i normali processi di sviluppo, crescita e omeostasi degli organi e dei tessuti animali.
Il termine “endocrine disruptors” fu coniato nel 1991 in una conferenza intitolata ”Chemically Induced Alterations in Sexual Development: The Wildlife/Human Connection”, in cui furono discusse le conclusioni di alcuni studi che mostravano alterazioni nella progenie di animali sani che vivevano nella regione dei Grandi Laghi e in altri ecosistemi. In anni più recenti, l’Agenzia statunitense di protezione ambientale (US Enviromental Protection Agency) ha definito i “disruptors” endocrini (Endocrine-Disrupting Chemicals, EDC) come “agenti esogeni che interferiscono con la sintesi, la secrezione, il trasporto, il metabolismo, il legame al recettore, o l’eliminazione di ormoni naturali circolanti, che sono presenti nel corpo e sono responsabili dell’omeostasi, della riproduzione e dei processi di sviluppo”.
Queste sostanze esogene possono agire legandosi ai recettori ormonali nucleari (ad esempio, degli androgeni, degli estrogeni, del progesterone, degli ormoni tiroidei, dei retinoidi) oppure ai recettori non-nucleari degli ormoni steroidei, ai recettori non steroidei (dopamina, serotonina, epinefrina), ai recettori orfani, a diversi sistemi enzimatici.
Molte sostanze chimiche sintetiche, usate come lubrificanti o solventi, plastiche, pesticidi, fungicidi, compaiono nell’elenco, in continua crescita, degli EDC. Tuttavia, anche sostanze farmaceutiche (dietil-stilbestrolo) e naturali (fito-estrogeni) possono essere considerate, per certi versi, potenziali EDC. Si stima che circa 80.000 sostanze chimiche siano comunemente impiegate negli USA e che ogni anno ne siano immesse in commercio per la prima volta da 1000 a 2000, ma che la US Enviromental Protection Agency non sia in grado di valutarne completamente la sicurezza. Non raramente, le segnalazioni giungono nella fase di post-marketing a distanza di molti anni. Peraltro, il danno potenziale all’organismo esposto a EDC spesso non è dose-correlato e non raramente dipende dalla finestra temporale di esposizione, che, nel caso avvenga nella vita fetale o neonatale, può creare le basi di sviluppo di malattie che compaiono poi nell’età adulta.
Nel 2012, la World Health Organization (WHO) indicava circa 800 sostanze xenobiotiche (sostanze naturali o sintetiche che si trovano all’interno di un organismo, ma che non sono da questo prodotte) sicuramente o potenzialmente in grado di interferire con le funzioni del sistema endocrino. Tali sostanze, definite interferenti endocrini (“endocrine disruptors” o "endocrine disrupting chemicals: EDCs)", sono di natura quanto mai eterogenea e comprendono composti di derivazione industriale, agricola o domestica e metalli pesanti. Alcuni di questi hanno emivita breve ma sono molto diffusi, altri hanno emivita molto lunga e persistono a lungo nell'ambiente.
L’esempio più noto - ma probabilmente anche uno dei più controversi - di EDC è rappresentato dal bisfenolo A, una plastica utilizzata per molti decenni nella costruzione di bottiglie per biberon e altri oggetti usati nell’alimentazione (da alcuni anni il suo impiego è stato vietato in Europa e in USA). È stato dimostrato che il bisfenolo A, legandosi ai recettori degli estrogeni, svolge attività estrogenica, pur avendo una struttura chimica diversa dagli estrogeni naturali. Inoltre, sopprime l’attività aromatasica e funge da antagonista del recettore degli androgeni in molti modelli animali. Infine, sembra in grado di svolgere effetti biologici negativi anche sullo sviluppo delle ß-cellule pancreatiche.
Date queste premesse, non stupisce che sia stato lanciato un allarme per quanto concerne il potenziale effetto favorente di malformazioni uro-genitali maschili, infertilità, pubertà precoce femminile, obesità infantile e in età adulta, neoplasie correlate al sistema endocrino, come il cancro mammario e quello prostatico. Da alcuni anni il bisfenolo A è stato sostituito nell’industria di preparati plastici per l’alimentazione con il bisfenolo S, che tuttavia presenta numerose analogie di struttura con il bisfenolo A, sollevando alcune perplessità da parte di ricercatori che ne avevano valutate le caratteristiche in linee cellulari umane e in colture di cellule ipofisarie di ratto, assai sensibili a concentrazioni molto basse di estrogeni.

 

Bibliografia

  • Anway MD, Skinner MK. Epigenetic transgenerational actions of endocrine disruptors. Endocrinology 2006, 147: S43-9.
  • Diamanti-Kandarakis E, Bourguignon J-P, Giudice LC, et al. Endocrine-disrupting chemicals: an Endocrine Society scientific statement. Endocr Rev 2009, 30: 293-342.
  • Gore AC, Balthazart J, Bikle D, et al. Policy decisions on endocrine disruptions should be based on science across disciplines: a response to Dietrich et al. Endocrinology 2013, 154: 3957-60.
  • Melzer MB.  Bisphenol A and adult disease: making sense of fragmentary data and competing inferences. Ann Intern Med 2011, 155: 392-4.
  • Soto AM, Sonnenschein C. Shining a light on sunscreens. Endocrinology 2005, 146: 2127-9.
  • Vandenberg LN, Maffini MV, Sonnenschein C, et al. Bisphenol A and the great divide: a review of controversies in the field of endocrine disruption. Endocr Rev 2009, 30: 75-95.
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Ernesto de Menis
Medicina Interna, Montebelluna

 

I fattori ambientali legati agli Endocrine Disrupting Chemicals (EDC) sono stati studiati soprattutto per i loro effetti sulle ghiandole periferiche; tuttavia, possono essere influenzati anche i sistemi di regolazione ipotalamo-ipofisari. A questo livello gli EDC agiscono non solo attraverso i classici bersagli endocrinologici (recettoriali e post-recettoriali), ma anche attraverso un’azione sui neuro-modulatori.
L’organismo risulta molto sensibile agli EDC, soprattutto nel periodo di sviluppo e differenziazione dell’ipotalamo/ipofisi, quindi durante la vita fetale e neonatale precoce. Anche a livello neuroendocrino l’effetto dei disruptor può essere trasmesso alle generazioni successive attraverso effetti non genomici, per un effetto epigenetico dovuto ad esempio a processi di metilazione del DNA.
Il sistema più studiato è quello gonadotropo. Gli EDC agiscono sui neuroni GnRH-secernenti e anche su kisspeptin, determinando alterazioni dei fisiologici differenti pattern di secrezione di gonadotropine di maschi e femmine. Inoltre gli EDC alterano lo sviluppo delle aree cerebrali dimorfe, cioè differenti nei maschi e nelle femmine, alterando i normali comportamenti sessuali e riproduttivi. Infatti, l’esposizione dell’animale a specifici disruptor durante la vita fetale o neonatale ha dimostrato che possono venire alterate l’età di insorgenza della pubertà, la capacità riproduttiva e i comportamenti sessuali.
Riguardo la tiroide, sono stati studiati soprattutto gli effetti periferici dei disruptor; in realtà può venire alterata anche la secrezione tireotropa ipofisaria.
Esistono invece dati limitati riguardanti disruptor e secrezione di GH e prolattina, dove è stato però dimostrato che AHR (Aryl Hydrocarbon Receptor, recettore per diversi EDC, il cui tipico ligando è la diossina) interviene nella secrezione di PRL e GH in vitro.
Infine, è stato ipotizzato che l’esposizione a disruptor durante lo sviluppo fetale possa influenzare per azione a livello ipotalamico il metabolismo basale e il rischio di sviluppo di obesità nell’adulto.
Importante sottolineare che esistono differenze specie-specifiche negli effetti dei disruptor; inoltre, esiste anche una suscettibilità individuale all’interno della stessa specie, per esempio legata a polimorfismi di recettori per i disruptor come dimostrato per AHR.
I dati sperimentali in vitro e in vivo nell’animale sono molto numerosi, tuttavia non possono essere trasferiti direttamente nell’uomo. Nell’uomo, in assenza di evidenze certe, un possibile ruolo degli EDC è stato ipotizzato soprattutto sulla funzione riproduttiva, in particolare una correlazione con alterazione dell’età di insorgenza della pubertà e menopausa (1).
Ha ricevuto molta attenzione la possibilità che i disruptor intervengano anche nello sviluppo dei tumori ipofisari. AIP è un gene responsabile di alcune forme familiari di tumori ipofisari (FIPA, Familial Isolated Pituitary Adenoma). La proteina codificata da AIP interagisce con AHR (vedi sopra). I dati attuali indicano che lo sviluppo degli adenomi ipofisari nei soggetti con mutazioni inattivanti di AIP risulta verosimilmente legato a meccanismi diversi dall’interazione di AIP con AHR, ma esistono altri dati epidemiologici che non escludono un ruolo dei disruptor nella patogenesi degli adenomi ipofisari. Sebbene l’incidenza di tumori ipofisari non risulti apparentemente aumentata dopo la massiva esposizione alla diossina dopo l’incidente di Seveso (2), i dati epidemiologici nella provincia di Messina hanno dimostrato che la prevalenza di acromegalia risulta strettamente correlata all’inquinamento ambientale industriale (3). Inoltre, i polimorfismi di AHR sono risultati associati a maggior rischio di sviluppo di alcuni tumori in generale. Specificamente, nel caso degli adenomi è stato osservato che un particolare polimorfismo di AHR risulta più frequente nei pazienti acromegalici rispetto alla popolazione di controllo, e risulta anche correlare con le concentrazioni di IGF-I e con l’invasione del seno cavernoso (4).

 

Bibliografia

  1. Gore AC, et al. Neuroendocrine targets of endocrine disruptors. Hormones (Athens) 2010, 9: 16-27.
  2. Pesatori AC, et al. Aryl hydrocarbon receptor-interacting protein and pituitary adenomas: a population-based study on subjects exposed to dioxin after the Seveso, Italy, accident. Eur J Endocrinol 2008, 159: 699-703.
  3. Cannavò S, et. al. Increased prevalence of acromegaly in a highly polluted area. Eur J Endocrinol 2010, 163: 509-13.
  4. Cannavò S, et. al. Increased frequency of the rs2066853 variant of aryl hydrocarbon receptor gene in patients with acromegaly. Clin Endocrinol 2014, 81: 249-53.
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Maurizio Merico
UOS Endocrinologia - Ospedale S. Giacomo - Castelfranco Veneto (TV) - ULSS 8

 

I disruptor tiroidei interferiscono con sintesi, metabolismo, distribuzione, azione e meccanismi di feed-back degli ormoni tiroidei, sia nei modelli animali che nell'uomo (1).
Nell'uomo esistono diversi campi di studio relativi all’effetto dei disruptor tiroidei.

 

Modificazione della funzione (ipotiroidismo e ipertiroidismo)
I dati più consistenti nell'uomo riguardano i policloro-bifenili (PCB), che riducono i livelli circolanti degli ormoni tiroidei (T3 e/o T4) e possono interferire direttamente con il recettore per gli ormoni tiroidei o con la sua espressione.
Numerosi altri disruptor endocrini, a cui l'uomo è peraltro cronicamente esposto in modo combinato, hanno effetto sulla funzione tiroidea, con diversi meccanismi (2,3):

  • gli eteri di difenile polibromurato (PDBE) inibiscono il legame dell'ormone tiroideo alle proteine leganti, si legano direttamente al recettore per l'ormone tiroideo e diminuiscono l'emivita della T4 (attraverso l'induzione della glucoronidazione epatica della T4);
  • il perclorato è un inibitore competitivo della captazione dello iodio da parte del symporter Na/Iodio e viene usato come terapia delle forme di ipertiroidismo iodio-indotto;
  • il bisfenolo A si lega al recettore dell'ormone tiroideo;
  • alcuni alchil-fenoli (4-nonil-fenoli, 4-octil-fenoli) e alcuni pesticidi (prochloraz, iprodion) interferiscono con la proliferazione delle cellule ipofisarie mediata dagli ormoni tiroidei;
  • altri disruptor (il 4-nonil-fenolo, l'octil-metossi-cinnamato e il 4-metil-benzil-idenecanfora) inibiscono la 5'-deiodinasi di tipo I.

L'effetto di PCB e PDBE in termini di diminuzione di fT3 ed fT4 è documentato anche in gravidanza (4).

 

Tumorigenesi
Uno studio svedese ha documentato la tumorigenesi tiroidea per esposizione diretta a solventi in un gruppo di lavoratrici di scarpe (5).
La tumorigenesi si potrebbe espletare anche attraverso alterazione dei meccanismi di detossificazione dei disruptor: sono stati identificati alcuni polimorfismi dei geni della famiglia del citocromo (epossido-idrossilasi e glutatione-idrossilasi) che determinano alterazione nei meccanismi di detossificazione di PBDE e altri idrocarburi aromatici poli-alogenati.
Secondo alcuni studi, infine, la presenza della mutazione BRAF V600E nel tumore differenziato della tiroide potrebbe essere correlata all'esposizione ad alcuni agenti ambientali (2).

 

Alterazioni epigenetiche trasmissibili alla progenie
I dati sulle mamme esposte durante la vita fertile a 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina nell'incidente di Seveso del 1976 dimostrano un'aumentata incidenza di tireopatie nella progenie, postulando un effetto epigenetico indotto dai disruptor endocrini (6).

 

Ruolo nell'autoimmunitá
La patogenesi dell'autoimmunità tiroidea è legata per il 70% ai polimorfismi dei geni tiroidei e dei geni immuno-regolatori e per il 30% a fattori ambientali (iodio, fumo, infezioni, parità). Il ruolo eventuale dei disruptor endocrini è ancora argomento di discussione. Secondo alcuni autori, PCB e altri disruptor potrebbero avere un ruolo come co-fattore dello iodio nella patogenesi dell'autoimmunità tiroidea in soggetti predisposti (7).

 

Bibliografia

  1. WHO. State of the science of endocrine disrupting chemicals. 2012.
  2. Marcelo MA, et al. The influence of the environment on the development of thyroid tumors: a new appraisal. Endocr Related Cancer 2014, 21: T235-54.
  3. Schmutzler C, et al. Endocrine disruptors and the thyroid gland—A combined in vitro and in vivo analysis of potential new biomarkers. Environm Health Persp 2007, 115 suppl 1: 77-83.
  4. Abdelouahab N, et al. Maternal and cord-blood thyroid hormone levels and exposure to polybrominated diphenyl ethers and polychlorinated biphenyls during early pregnancy. Am J Epidemiol 2013, 178: 701-13.
  5. Lope V, et al. Occupational exposure to chemicals and risk of thyroid cancer in Sweden. Int Arch Occup Environ Health 2009, 82: 267-74.
  6. Baccarelli A, et al. Neonatal thyroid function in Seveso 25 years after maternal exposure to dioxin. PLOS Med 2008, 5: e161.
  7. Langer P, et al. Thyroid volume, iodine intake, autoimmune thyroid disorders, inborn factors, and endocrine disruptors: twenty-year studies of multiple effects puzzle in Slovakia. Endocr Regul 2012, 46: 191-203.
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Costanza Santini
UOS Endocrinologia e Diabetologia, Ospedale Bufalini, Cesena

 

Il rimodellamento osseo è un processo complesso, regolato da molteplici fattori ormonali sistemici e locali. Alcuni tossici ambientali (endocrine disruptors – EDC - ossei) possono modulare l'attività degli osteoblasti ed osteoclasti, alterando la formazione dell'osso a seguito dell’esposizione in utero o neonatale e il turn-over osseo a seguito dell'esposizione in età adulta. Composti di vario tipo interferiscono anche a basse concentrazioni con i fattori fisiologici regolatori del metabolismo osseo, attraverso meccanismi molecolari complessi indirizzati verso obiettivi multipli. Possono:

  • influenzare in vario modo l'attività degli ormoni sessuali, di cui modificano sintesi, degradazione, trasporto, effetto sul tessuto bersaglio, legame con le proteine;
  • agire mediante modulazione di segnali a cascata, in particolare correlati al recettore per gli aril-idrocarburi (AhR) e ad altri recettori coinvolti nel metabolismo di molte sostanze esogene;
  • interferire con  i meccanismi chiave della differenziazione ossea, ad es. Runx2 e osteocalcina.

L'esposizione combinata a più EDCs aumenta l'effetto sui mediatori chiave dell'osteogenesi e osteclastogenesi.

 

Composti organo-stannici
Ampiamente utilizzati in agricoltura e nell'industria come biocidi, anti-vegetativi del legno delle barche e reti da pesca, stabilizzatori dei polimeri del PVC, tribul-tiltin (TBT) e trifeniltin (TPTH) sono contaminanti diffusi in particolare nell'ambiente marino, possono essere ingeriti attraverso il consumo di pesce ed esercitano un effetto tossico su molti organi.
Nel ratto si è evidenziato che l'esposizione al TBT nei primi 19 giorni di gravidanza riduce la formazione ossea di sterno, pelvi, cranio e arti del feto, oltre ad interferire con la funzionalità della tiroide materna; in altri studi si è riscontrata riduzione dell’attività di fosfatasi alcalina (ALP) e osteocalcina e del deposito di calcio, oltre a interferenze sul metabolismo e l'attività degli osteoclasti, sullo sviluppo dei denti (dentina, smalto) attraverso l'interazione con le cellule epiteliali e mesenchimali. TBT sembra interferire con la differenziazione delle cellule stromali totipotenti nell'uomo e nel topo, favorendone la differenziazione ad adipociti piuttosto che ad osteociti attraverso il PPARγ. Nel topo, TPTH determina malformazioni di cranio, palato e vertebre.

 

Alchil-fenoli etossilati (APE)
Sono agenti surfactanti non ionici usati nella manifattura della plastica, in detergenti, pitture e pesticidi, spesso presenti nei sedimenti e nell'acqua dei fiumi. In varie specie animali selvatiche possono esercitare effetti simil-estrogenici, interferendo pesantemente con omeostasi e sviluppo dell'osso.
I più importanti prodotti di degradazione degli APE (OP, NP) in vitro sopprimono la formazione degli osteoclasti; in vivo nel topo gravido di 10-14 giorni accelerano l'ossificazione dello sterno, nel periodo peri e post-natale bassi dosaggi riducono lo sviluppo dell'osso corticale delle diafisi, interferendo forse con l'espressione di ALP, mentre alte dosi riducono l'osso trabecolare delle metafisi distali, specie nella femmina. Ancora, alte dosi modificano l'architettura ossea attraverso la down-regulation dei fattori critici per la differenziazione degli osteoblasti ed osteoclasti, verosimilmente attraverso l'interazione con le cellule staminali dell'osso. Tali composti, legandosi ai recettori degli estrogeni, esplicano un debole effetto estrogenico e possono interferire con l'espressione genica regolata via ER e AR e quindi con i processi intra-cellulari indispensabili per rimodellamento ed omeostasi ossea, quali conversione del testosterone ad estradiolo da parte di aromatasi, e funzione dell’AhR coinvolto nella sintesi degli steroidi e quindi degli estrogeni. Nell'uomo è ipotizzabile che possano influenzare lo sviluppo osseo del lattante, considerate le concentrazioni presenti sia nel latte materno che in quello dell'industria.

 

Bisfenolo A
Si tratta di una classe di monomeri sintetici utilizzati per la produzione di policarbonati, costituenti delle resine epossidiche e polistireniche, in uso nell'industria alimentare e in odontoiatria.
Si lega a ER con affinità 10.000 volte inferiore rispetto agli estrogeni, ma sembra avere la stessa affinità per i recettori della membrana cellulare. Se somministrato al feto di ratto ad alto dosaggio, ritarda l'ossificazione di vari distretti, nel topo maschio favorisce l'allungamento ma non la forza del femore. Gli effetti sull'osso umano non sono ancora noti.

 

Dietil-stilbestrolo
Composto ampiamente utilizzato negli anni '50 per prevenire l'aborto e ridurre l'allattamento post-parto e quindi in agricoltura fino al 1970.
Nel topo, aumenta la formazione di osso trabecolare femorale, anche con sviluppo di iperostosi ed osteofibrosi a significato precanceroso. Dosi elevate sembrano favorire la geometria delle vertebre lombari, mentre dosi basse favoriscono l'allungamento ma non la forza del femore. Complessivamente rendono l'osso più fragile e predispongono alle fratture, in misura maggiore nelle femmine rispetto ai maschi. Anche nel primate l'esposizione in età peri-puberale comporta lo sviluppo di ossa più piccole e con ridotta densità minerale, effetto ipotizzabile ma ancora non dimostrato nell'uomo.

 

Diossina e analoghi
Si tratta di inquinanti ambientali molto diffusi e stabili, altamente tossici, che provocano alterazioni dell'autoimmunità e del metabolismo, neoplasie, alterazioni della fertilità e soprattutto dello sviluppo nell'animale da esperimento.
Nell'uomo, l'assunzione avviene attraverso la catena alimentare in dosi medie di 1-3 pg/kg/die TEQ (equivalenti tossici), l'eliminazione richiede tempi lunghi a causa dell’elevata lipofilia (T 1/2 pari 7 anni).
Gli effetti del composto più potente, TCDD, sono mediati dall’AhR espresso negli osteoblasti ed osteoclasti, specie dopo la maturazione della matrice e prima della fase di mineralizzazione, fase in cui esercita un effetto negativo su osteogenesi, differenziazione e rimodellamento osseo, nonchè riduzione della mineralizzazione nel ratto. Si è evidenziata riduzione della lunghezza, sezione, area corticale e peso dell'osso. Gli effetti a lungo termine sembrano collegati ad alterazione di vari meccanismi regolatori, piuttosto che ad effetto anti-estrogenico. L'esposizione più potente avviene a causa dell'allattamento materno, ma gli effetti negativi su BMD e lunghezza della tibia e del femore risultano reversibili fino ad un anno di età. Nei primati, sono stati descritti effetti sull'osso positivi simil-estrogenici nella femmina e negativi anti-estrogenici nel maschio.
L'idrocarburo aromatico 3MC influenza la formazione dell'osso riducendo l'attività di ALP, osteocalcina e i depositi di calcio attraverso l'espressione dei geni cruciali per la differenziazione degli osteoblasti e l’attività degli osteoclasti. Nel topo, sono stati descritti ritardi dell'ossificazione di vari segmenti corporei.
Il benzopirene, idrocarburo aromatico presente nel fumo di sigaretta e nel catrame, nel topo inibisce l'osteoclastogenesi e il riassorbimento osseo, con effetto AhR-dipendente che si esercita su tutte le linee cellulari.
Gli oltre 200 PCB, idrocarburi aromatici alogenati utilizzati come diluenti, anti-fiamma e liquidi per trasformatori, sono dotati di attività biologiche diverse. Il più tossico, PCB 126, che presenta elevata affinità per AhR, ha effetti estrogenici e anti-estrogenici correlabili allo stato ormonale dell'individuo: in particolare, effetti estrogenici quali riduzione della lunghezza della tibia ed aumento della densità minerale nei tessuti privi di estrogeni ed effetti opposti in quelli ricchi di estrogeni. Le alterazioni dell'attività della vitamina D dovuta al PCB comportano aumento del riassorbimento osseo e inibizione della formazione.

 

Esteri degli ftalati
Diffusi nell'ambiente e presenti nel cibo a basse concentrazioni, possono causare varie malformazioni scheletriche, quali deformità della colonna vertebrale, sterno, palato e ossa lunghe nei feti di ratto, forse attraverso l'interferenza con i segnali intra-cellulari, FGF-2 ed i regolatori dell'apoptosi. Tali effetti sembrerebbero rilevanti anche per l'uomo.

 

Bibliografia

  1. Agas D, Sabbieti MG, Marchetti L. Endocrine disruptors and bone metabolism. Acta Toxicol 2013, 87: 735-51.
  2. Hwang JK, Min KH, Choi KH, et al. Bisphenol A reduces differentiation and stimulates apoptosis of osteoclasts and osteoblasts. Life Sci 2013, 93: 367-72.
  3. Diamanti-Kandarakis E, Bourguignon JP, Giudice LC, et al. Endocrine-disrupting chemicals: an Endocrine Society scientific statement. Endocr Rev 2009, 30: 293-342.
  4. Kopras E, Potluri V, Bermudez ML, et al. Action of endocrine – disrupting chemicals on stem/progenitor cells during development and disease. Endocr Relat Cancer 2014, 21: T1-12.
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Giuseppe Reimondo & Marcella Coletta
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Medicina Interna 1 a Indirizzo Endocrinologico, AOU San Luigi di Orbassano, Università di Torino

 

Vari prodotti chimici presenti nell’ambiente sono potenziali “disturbatori” del sistema endocrino. I “glucocorticoid disruptors” possono interferire con vari step della funzionalità ormonale: sintesi, legame con le proteine plasmatiche, funzionalità recettoriale, degradazione. Diverse sostanze sono state indicate come possibili interferenti nell’attività del surrene.

 

Policlorobifenili (PCB)
Sono una classe di composti organici usati come fluidi dielettrici per condensatori e trasformatori, fluidi per scambio termico, fluidi per circuiti idraulici, lubrificanti e oli da taglio. I PCB erano usati anche come additivi in vernici, pesticidi, carte copiative, adesivi, sigillanti, ritardanti di fiamma e fissanti per microscopia. Sembrano aumentare l’espressione di geni coinvolti nella steroidogenesi, con eccessiva produzione di aldosterone, cortisolo e androgeni (1).

 

Pesticidi
Il DDT interferisce con la biosintesi degli steroidi. Colpisce selettivamente la zona fascicolata, dove inibisce la 11ß-idrossilasi e l’attività di clivaggio della catena laterale del colesterolo, riducendo in questo modo la produzione dei glucocorticoidi.
I composti organici dello stagno (stannani) alterano l’attività dei glucocorticoidi, modificando fattori che regolano l’espressione della 11β-HSD di tipo 2 (2). Questa regola l’attività dei glucocorticoidi, catalizzando la conversione del cortisolo attivo in cortisone inattivo nei tessuti bersaglio degli steroidi surrenalici. L’inibizione di tale enzima generalmente comporta un accumulo locale di cortisolo, con sintomi da apparente eccesso di mineralcorticoidi, difetti nello sviluppo fetale e bassi livelli di testosterone nell’uomo (3).

 

Nonifenolo
È un composto organico di sintesi appartenente alla famiglia degli alchil-fenoli. Viene utilizzato industrialmente per la produzione di tensio-attivi, oli lubrificanti, resine, plastificanti. Nel modello animale questi composti si accumulano a livello del tessuto adiposo e del fegato e agiscono legando il recettore degli estrogeni. I dati di un recente studio indicano un incremento del livello di steroidi surrenalici con iper-attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (4).

 

Acido glicirretico
È un acido organico triterpenico estratto dalla liquirizia, utilizzato comunemente come dolcificante. Tale molecola risulta essere un inibitore dell’11β-HSD di tipo 2, con conseguente sviluppo di ipertensione arteriosa (5).

 

Bibliografia

  1. Xu Y, Yu RM, Zhang X, et al. Effects of PCBs and MeSO2-PCBs on adrenocortical steroidogenesis in H295R human adrenocortical carcinoma cells. Chemosphere 2006, 63: 772-84.
  2. Odermatt A, Gumy C, Atanasov AG, Dzyakanchuk AA. Disruption of glucocorticoid action by environmental chemicals: potential mechanisms and relevance. J Steroid Biochem Mol Biol 2006, 102: 222-31.
  3. Heidrich DD, Steckelbroeck S, Klingmuller D. Inhibition of human cytochrome P450 aromatase activity by butyltins. Steroids 2001, 66: 763-9.
  4. De Falco M, Sellitti A, Sciarrillo R, et al. Nonylphenol effects on the HPA axis of the bioindicator vertebrate, Podarcis sicula lizard. Chemosphere 2014, 104: 190-6.
  5. van Gelderen CE, Bijlsma JA, van Dokkum W, Savelkoul TJ. Glycyrrhizic acid: the assessment of a no effect level. Hum Exp Toxicol 2000, 19: 434-9.
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Mauro Schiesaro
UOC Medicina Interna, Villafranca di Verona (VR)

 

Con l’avvento della società industriale, dello sviluppo economico e dell’urbanizzazione delle aree rurali, lo stile di vita è rapidamente e drasticamente cambiato, ma anche l’ambiente si è modificato, come risultato della produzione intensiva di prodotti sicuramente utili, ma con potenzialità dannose. Molte delle sostanze usate nel ciclo produttivo vengono, infatti, rilasciate nell’ambiente, tanto che ne diventa inevitabile l’esposizione, anche a quantità allarmanti, sia per l’uomo che per gli animali. È stato quindi dimostrato nell’arco degli anni il ruolo patogenetico di molti di questi “inquinanti” nello sviluppo di varie affezioni, ivi comprese le patologie neoplastiche.

 

Maschio
È proprio di questi ultimi anni l’osservazione di una tendenza al declino della fertilità, sia nella specie umana che negli animali. Una meta-analisi pubblicata da Carlsen nel 1992 (1), che concludeva per una riduzione di circa il 50% della concentrazione nemaspermica tra il 1940 e il 1990, ha ottenuto una crescente attenzione da parte del mondo scientifico, per la possibile correlazione tra alterazioni della fertilità e ampio utilizzo di prodotti chimici. In effetti, numerosissimi prodotti chimici sono in grado di “aggredire” il sistema endocrino e di causare anche disordini riproduttivi; in particolare, centinaia di questi sono in grado di interferire con la funzione testicolare, alterando il rapporto tra pro-ossidanti (ROS, Reactive Oxygen Species) e anti-ossidanti delle cellule del testicolo, producendo alla fine fenomeni nocivi quali l’apoptosi (2). In ogni caso, il testicolo possiede meccanismi di difesa anti-ossidanti nei confronti dei ROS, ovvero proteine della famiglia del glutatione, superossido-dismutasi, catalasi e molti altri agenti non enzimatici (3).
Il testicolo ha due principali funzioni rappresentate dalla spermatogenesi e dalla steroidogenesi. I due processi avvengono in zone anatomicamente diverse, ma funzionalmente correlate, rispettivamente nei tubuli seminiferi e nell’interstizio.
La spermatogenesi, oltre a possedere una regolazione ormonale che coinvolge l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, viene anche regolata da numerosi processi sia intra- che extra-testicolari. I ROS svolgono un fondamentale ruolo di regolazione. Sebbene possano avere effetti nocivi, una loro ridotta concentrazione svolge un ruolo benefico nella funzionalità testicolare; partecipano, infatti, al processo di capacitazione, alla maturazione nemaspermica e alla reazione acrosomiale (4). I processi maturativi avvengono all’interno del tubulo seminifero e le cellule del Sertoli favoriscono lo sviluppo delle cellule della linea germinale e una loro funzione fondamentale è quella di contribuire a formare la barriera emato-testicolare. Questa barriera è fondamentale non solo per il controllo dell’entrata e dell’uscita di nutrienti, ormoni e sostanze chimiche dal sangue al compartimento luminale del tubulo seminifero, ma soprattutto per la difesa delle cellule durante le fasi della spermatogenesi.
Molti sono i tossici ambientali in grado di indurre apoptosi delle cellule germinali. Il metossicloro (MTX), anti-parassitario, è in grado di indurre stress ossidativo, riducendo la quota di enzimi anti-ossidanti sia nel testicolo che nell’epididimo (5) e aumentando il livello delle proteine apoptotiche (6). L’esposizione a questa sostanza durante le prime fasi del periodo gestazionale è in grado di ridurre il numero delle cellule germinali e di incrementare la percentuale di quelle in apoptosi; l’esposizione perinatale, invece, consente al tossico di ledere la cellula del Sertoli, in particolare il suo nucleo, alterando così i processi della spermatogenesi (7). Sia MTX che i suoi metaboliti possiedono una debole attività estrogenica e anti-androgenica ed esercitano la loro azione attraverso l’attivazione dei 2 tipi di recettori. È stata anche dimostrata inibizione dell’attività di 3ß-HSD e 17ß-HSD, sia nel testicolo umano che di animali da esperimento (8).
Anche l’esposizione a un altro pesticida, catabolita del DDT, cioè 1,1-dicloro-2,2-bis(p-clorofenil)etilene (p,p’-DDE) comporta incremento dei fenomeni apoptosici, il cui bersaglio è rappresentato anche dalle cellule del Sertoli (9). Invece, la vinclozolina, anti-fungino utilizzato su piante e frutti, il cui effetto anti-androgenico è ben noto da tempo, è in grado, se l’esposizione avviene durante  il periodo gestazionale, di condizionare negativamente il volume prostatico, la conta nemaspermica e di incrementare i fenomeni apoptosici (10).
Un altro pesticida, quale il lindano, viene utilizzato nel trattamento delle sementi, dei suoli, degli alberi da frutta e del legname, oltre che come anti-parassitario nel trattamento degli animali domestici ed è utilizzato anche come componente di lozioni, creme e shampoo nel trattamento dell’uomo per pediculosi e scabbia. L’esposizione a questo tossico avviene principalmente attraverso l’alimentazione, tramite carni bovine, di pollo, pesce, frutta, ortaggi, olio. La sua assunzione è in grado di determinare riduzione del peso e del volume testicolare, oltre che effetti citotossici su spermatociti e spermatidi e sulle cellule del Leydig, alterando quindi la spermatogenesi e la biosintesi androgenica, sia alterando i processi metabolici a livello mitocondriale, che attraverso fenomeni di stress ossidativo (11).
L’atrazina, erbicida utilizzato soprattutto nel grano, risulta essere il pesticida maggiormente rilevato come contaminante nelle falde idriche, nelle acque superficiali, nella pioggia. È in grado di indurre stress ossidativo negli animali da esperimento. Lo stesso fenomeno è stato osservato per quanto riguarda il dinitro-benzene, la cui esposizione comporta riduzione del peso del testicolo, alterazioni della spermatogenesi e riduzione dei parametri qualitativi dei nemaspermi e riduzione della capacità fecondante del seme (12). La stessa atrazina inibisce la produzione ormonale del testicolo, determinando riduzione del testosterone, sia endo-testicolare che plasmatico, attraverso la riduzione dell’espressione dei geni che presiedono alla steroidogenesi (13).
Il bisfenolo A (BPA) è il principale costituente delle resine epossidiche e delle più comuni forme di policarbonato. Il policarbonato è usato per un gran numero di prodotti per bambini, bottiglie, attrezzature sportive, ecc. Le resine epossidiche sono, invece, utilizzate come rivestimento interno nella maggior parte delle lattine per alimenti e bevande. Il BPA è in grado di attraversare il rivestimento in plastica di prodotti alimentari in scatola ed è stato dimostrato che la maggior parte di questo composto viene assorbito dall’uomo tramite la dieta. L'esposizione a BPA durante la fase gestazionale è in grado di ridurre il peso testicolare del prodotto del concepimento, di ridurre la produzione giornaliera di spermatozoi e l’efficienza della spermatogenesi. Inoltre, studi sperimentali dimostrerebbero come possa alterare la funzionalità delle cellule del Sertoli, limitandone soprattutto le funzioni di barriera. Inoltre, come per altri “disruptor”, anche il BPA è in grado di modificare la steroidogenesi testicolare, inducendo apoptosi delle cellule del Leydig e inibendo l’attività dell’enzima P-450c17, oltre che consentendo l’espressione del gene di Nur 77, un recettore nucleare orfano, coinvolto nelle alterazioni della steroidogenesi; risulta inoltre in grado di agire sull’ipofisi, determinando riduzione dei livelli di LH (14,15). Come conseguenza di queste osservazioni, l’utilizzo del BPA è stato vietato dal 2011 in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone, nella fabbricazione dei biberon, mentre è consentito nei materiali e negli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con gli alimenti. Nel 2014 l’Agenzia Europea per le sostanze chimiche ha classificato il BPA nella categoria 1b per la funzione riproduttiva, cioè come sostanza in grado di danneggiare la stessa funzione. Tale valutazione pone il BPA tra i “composti particolarmente preoccupanti”. Molti prodotti chimici identificati come endocrine disruptor sono in grado di incrementare la produzione dei ROS all’interno del testicolo. Ciononostante, pochi studi hanno analizzato l’apoptosi indotta dai tossici all’interno del testicolo. In ogni caso, i target delle sostanze tossiche, universalmente riconosciuti all’interno del testicolo, sono rappresentati da StAR, citocromomo p-450 17idrossilasi/17,20 liasi, 17,20 desmolasi, 3ß-idrossi-steroido-deidrogenasi e 17ß-idrossi-steroido-deidrogenasi.
I policlorobifenili, utilizzati nei trasformatori, negli inchiostri da stampa, nelle vernici e nei plastificanti, oltre che nelle carte da copiatrici, non vengono praticamente più utilizzati in conseguenza della loro tossicità. Nondimeno, in considerazione dell’emivita estremamente lunga e del fatto che un trasformatore industriale ha una vita media di 15-20 anni, e può contenere anche quintali di questi tossici, ben si comprende la necessità di monitorarne l’esposizione, dal momento che è stato dimostrato come siano in grado di comportare un incremento dell’apoptosi delle cellule del Leydig (16).
Il TCDD, composto simile alla diossina, è in grado di inibire la steroidogenesi testicolare. Lo stesso risultato viene ottenuto, attraverso meccanismi diversi, da insetticidi a base di piretro, quali la permetrina, o da altri insetticidi organo-clorati, come l’aldrina; quest’ultima si è anche dimostrata in grado di alterare la secrezione ipofisaria di gonadotropine (17).
Il fumo di sigaretta, che contiene più di 4000 sostanze chimiche, può anche comportare alterazioni della fertilità. Considerando che circa il 35% dei maschi in età fertile fuma, si può comprendere quale possa essere l’importanza del problema. I fumatori tendono ad avere un ridotto numero di spermatozoi, ridotta motilità, maggior percentuale di forme dismorfiche, riduzione dell’attività mitocondriale che comporta anche ridotta capacità di fecondazione. Vi sono anche osservazioni riguardanti alterazioni dell’integrità del DNA causate da eccesso di leucociti nel liquido seminale e conseguente accumulo di ROS. Tutte le alterazioni seminologiche osservate nei fumatori sono reversibili dopo interruzione del fumo per almeno 90 giorni.
Anche l’alcool etilico può essere annoverato tra i “disruptor”: se il consumo supera i 40 g/die, è in grado di svolgere un effetto negativo sulla secrezione del  GnRH, oltre a bloccare i processi di clivaggio che dal pre-pro-GnRH portano alla formazione di GnRH attivo. L’azione tossica dell’alcool si sviluppa anche a livello ipofisario con inibizione della sintesi di LH. A livello della spermatogenesi, i danni prodotti dall’alcool, sono dose-dipendenti e per consumi > 40 g/die possono comparire arresti maturativi e deplezione cellulare, che può arrivare anche alla sindrome a sole cellule del Sertoli.
La marijuana contiene il cannabinoide THC, in grado di alterare la secrezione di GnRH e direttamente anche di LH, con conseguente riduzione della produzione di testosterone, che anche in questo caso richiede almeno tre mesi di sospensione del consumo prima di ritornare alla normalità. Più di un terzo dei consumatori cronici della droga sono oligospermici, in conseguenza di un blocco maturativo che avviene sia a livello di meiosi che di mitosi, oltre a presentare un aumento delle forme dismorfiche e riduzione della motilità, ma anche inibizione della reazione acrosomiale.
Effetti simili sulla spermatogenesi sono stati recentemente dimostrati come conseguenza dell’uso di filtri solari contenuti nelle creme protettive o di triclosano contenuto nei dentifrici.
Anche l’ampia diffusione dei telefoni cellulari ha portato a numerosi studi che hanno rilevato come le radiazioni elettromagnetiche prodotte sono in grado di alterare la spermatogenesi, i principali parametri seminali e anche la secrezione di testosterone. I danni sono diretta conseguenza della frequenza d’utilizzo, della durata dell’accensione del telefono, ma anche della sede nella quale viene tenuto (tasche dei pantaloni).
Anche l’esposizione a fonti di calore sembra essere in grado di alterare la spermatogenesi. È stato infatti dimostrato come patologie che comportino un incremento della temperatura scrotale, quali varicocele, criptorchidismo e malattie acute febbrili, modifichino profondamente la produzione testicolare di spermatozoi; analogamente è stato ipotizzato che ciò possa accadere anche durante attività quotidiane, quali la guida automobilistica, in particolare se prolungata, la frequentazione delle saune, la posizione assunta durante il sonno, l’uso di coperte elettriche o di altri sistemi di riscaldamento del letto, o ancora il fatto di indossare biancheria intima eccessivamente stretta. In realtà non è stato ben definito quale sia il reale ruolo dell’aumento della temperatura scrotale nel modificare la spermatogenesi, e nemmeno quantificato di quanto questa debba aumentare per produrre un danno; in ogni caso sembra assolutamente indicato suggerire a tutti i maschi in età fertile di evitare condizioni che possano comportare aumento della temperatura dello scroto (18).

 

Femmina
Nella donna sono stati condotti numerosi studi riguardanti gli effetti dannosi del fumo di sigaretta: nelle fumatrici è ridotta la riserva ovarica e l’età della menopausa  è anticipata di circa 2 anni; i livelli di fattore anti-mulleriano sono ridotti se paragonati con quelli di non fumatrici con valori sovrapponibili di FSH e di estradiolo. Negli animali da esperimento sono state osservate riduzione della sintesi di progesterone e di estradiolo, riduzione del volume e del peso ovarico, del corpo luteo, alterazioni della crescita endometriale e della funzionalità dell'epitelio tubarico. Anche nella donna sono state osservate alterazioni della steroidogenesi, associate a elevati livelli di FSH e valori più alti di testosterone. Anche se i risultati degli studi non sono assolutamente concordi, è stata osservata una riduzione del tasso di impianto embrionale nelle fumatrici sottoposte a procedure di fecondazione medicalmente assistita. L'effetto dell'interruzione dell'abitudine al fumo di sigaretta non è stato chiarito con precisione, anche se le ex fumatrici vengono equiparate a donne che non hanno mai fumato, non essendo mai stata dimostrata con certezza l’irreversibilità dei danni creati (19).
Negli animali da esperimento il BPA è in grado di alterare espressione e pulsatilità del GnRH, aumentandone la frequenza dei picchi, con conseguente down-regulation recettoriale a livello ipofisario e alterazioni della secrezione di LH (20). I pochi studi condotti sulla donna, conducono a risultati contrastanti. In uno studio longitudinale condotto su 1151 ragazze, Wolff et al (21) hanno valutato infatti l’associazione tra esposizione a BPA, ftalati e fito-estrogeni. Gli autori hanno escluso un ruolo di BPA nello sviluppo puberale, mentre è stata evidenziata solo una debole associazione delle altre due classi di disruptors con modifiche dello sviluppo puberale. Altri autori hanno osservato che le ragazze con pubertà precoce hanno livelli più elevati di BPA rispetto ai controlli. Per quanto riguarda la funzione ovarica, il BPA produce effetti diversi a seconda dell’età di esposizione: in utero porta ad alterazioni dell’ovogenesi nell’ovaio fetale, con possibilità di difetti meiotici che condurranno nell’età adulta a una maggiore probabilità di sviluppo di embrioni con difetti cromosomici. Nei ratti adulti, invece, vengono incrementati i fenomeni di atresia follicolare e di regressione luteale. Il BPA è anche in grado di alterare, in animali da esperimento, la secrezione di estradiolo, riducendola, tramite down-regulation dell’aromatasi; il target del BPA sembra essere rappresentato dalla proteina StAR (steroidogenic acute regulatory protein) e dal citocromo P450 aromatasi (22).
È stato anche dimostrato come l’esposizione a BPA comporti una riduzione della sintesi di progesterone, DHEA, androstenedione, estrone, testosterone ed estradiolo (23). Negli animali da esperimento esposti al BPA sembra esistere la possibilità di sviluppo di patologie endometriali e della cervice, quali polipi stromali, iperplasia endometriale atipica, sarcoma dell’utero e della cervice, ma tale reperto non è stato confermato nella donna (24).
La patologia endometriosica è stata associata all’esposizione fetale agli estrogeni. È stato ipotizzato un ruolo del BPA nello sviluppo della patologia, anche se i dati disponibili sono discordanti.
È stato recentemente proposto che il BPA possa giocare un ruolo nella patogenesi della PCOs, poiché numerosi studi ne hanno osservato livelli più alti nelle donne affette rispetto a quelle con regolare ovulazione (25). Inoltre, l’esposizione dei ratti al BPA durante la gestazione o il periodo neonatale, induce un aumento della possibilità di sviluppare durante l’età adulta una sindrome simile alla PCOs (26). Il meccanismo ipotizzato sarebbe la capacità del BPA di indurre insulino-resistenza e incremento della secrezione androgenica. Alcuni studi hanno, infatti, dimostrato una correlazione positiva e statisticamente significativa tra livelli di BPA e di testosterone e androstenedione nelle pazienti affette da PCOs. Inoltre, BPA è in grado di alterare il metabolismo epatico degli androgeni e di spiazzare gli androgeni dal legame con SHBG, con conseguente aumento delle quote libere (25). In contrasto con questi dati, altri studi hanno ipotizzato come i livelli più elevati di BPA osservati nelle donne con PCOs siano conseguenza e non causa dell’incremento della secrezione androgenica, in quanto i livelli elevati di testosterone, caratteristici delle pazienti con PCOS, riducono la clearance di BPA (26).
Il ruolo sul sistema riproduttivo femminile di pesticidi quali dicloro-difenil-dicloroetano e MTX come disruptor endocrini, è noto da almeno un trentennio: sia in animali da esperimento che nella donna sono stati osservati riduzione degli steroidi sessuali, modificazioni della concentrazione di progesterone, condizionata da dose e durata dell'esposizione, aumento dell'attività aromatasica. Non è da trascurare anche l'interazione del MTX con il recettore per gli estrogeni, che ne provoca l'ipermetilazione.
Anche i composti diossinici, esemplificati dal TCDD, alterano la steroidogenesi, riducendo la sintesi degli steroidi sessuali e determinando un'ipercatabolismo dell'estradiolo (27).
L'abuso di cannabis determina nella donna modifiche nella pulsatilità delle gonadotropine, con conseguenti alterazioni mestruali, aumento della testosteronemia, riduzione del recupero di ovociti nelle pazienti che si sottopongono a procedimenti di fecondazione assistita, deficit fetali di crescita, maggiore incidenza di parti pretermine e basso peso fetale alla nascita (28).
Il consumo di alcool è stato associato a una riduzione della fertilità femminile, sebbene siano poco definiti i livelli di consumo che portano a un aumento dei rischi. I meccanismi per i quali l’alcool può nuocere al concepimento sono poco chiari. Si ipotizzano: aumento degli estrogeni con riduzione della secrezione di FSH e successiva alterazione della follicologenesi e dell’ovulazione, aumento della PRL per riduzione del tono dopaminergico, effetti diretti negativi sulla maturazione ovocitaria, sull’ovulazione e sullo sviluppo della blastocisti. Donne con elevato introito di alcool hanno alti tassi di disturbi mestruali, dall'oligomenorrea, all'amenorrea e alla dismenorrea. In realtà anche livelli molto bassi di consumo alcoolico (1 bevanda alcolica/settimana) sembrano associati a ridotta fertilità: infatti, i tassi di gravidanza si riducono proporzionalmente all'aumentare del consumo alcoolico, anche per quanto riguarda i programmi di fecondazione assistita (29).
Altro argomento “caldo” è rappresentato dal consumo di caffè ed i dati sono decisamente poco conclusivi: bere più di 3 tazze di caffè decaffeinato sembrava essere associato ad un  maggiore rischio di abortività rispetto allo stesso quantitativo di caffè normale (30), ma era anche stato dimostrato l’esatto contrario (31). In realtà una revisione di 15 studi sull’argomento non è stata in grado di produrre dati significativi riguardo le fecondazioni avvenute per via naturale (32); invece un solo studio ha dimostrato una correlazione statisticamente significativa, di tipo negativo,  tra consumo di caffeina, anche prima del concepimento, e gravidanze portate a termine, in coppie che affrontavano programmi di fecondazione medico-assistiti (33).

 

Bibliografia

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Maurizio Nizzoli
UO Endocrinologia e Malattie Metaboliche, OC GB Morgagni, Forlì

 

Premessa
Nelle ultime decadi si è posta sempre più attenzione ai possibili effetti degli EDCs sull’eziopatogenesi delle malattie metaboliche, anche in considerazione dell'evidente parallelismo fra l’aumento dell'inquinamento da prodotti chimici sintetici e il forte incremento della prevalenza di obesità e diabete.

 

Obesità
È noto che estrogeni, androgeni, glucocorticoidi e ormoni tiroidei giocano un ruolo importante nella regolazione dello sviluppo e del metabolismo del tessuto adiposo e nel controllo dei meccanismi della fame. Nel 2006 Blumberg elaborava l’ipotesi degli “obesiogeni ambientali” per spiegare gli effetti di alcuni EDCs sull’aumento di peso, attraverso interferenze endocrine che vanno ad aggiungersi all’eccessivo apporto calorico alimentare e alla sedentarietà dei moderni stili di vita. Questa ipotesi è sostenuta sia da studi epidemiologici che da ricerche su animali di laboratorio e in vitro.
Se gli studi epidemiologici forniscono evidenze relativamente deboli nell'uomo (la più forte concerne la prediposizione all’obesità dei figli di madri fumatrici durante la gravidanza), gli studi negli animali e in vitro indicano per contro che l’esposizione a determinati EDCs durante le fasi cruciali di sviluppo dell’organismo (vita fetale, infanzia), comporta un’interazione con i geni dell’individuo, determinando la propensione allo sviluppo dell’obesità attraverso modificazioni epigenetiche. Gli EDCs obesiogeni possono agire a livello di uno o più siti specifici, alterando i meccanismi endocrini che controllano lo sviluppo del tessuto adiposo, aumentando il numero delle cellule adipose, condizionando l'apporto del cibo e il metabolismo a livello di taluni centri cerebrali correlati al dimorfismo sessuale e alla libido, inducendo alterazioni della sensibilità all'insulina e del metabolismo lipidico a livello di strutture endocrine o endocrino-correlate, come pancreas, tessuto adiposo, fegato, tratto gastro-intestinale, cervello e muscolo. Una dimostrazione dell’importanza dei periodi “sensibili” della vita in cui avviene il contatto con gli EDCs obesiogeni deriva da vari studi su roditori esposti a diversi EDCs con attività estrogenica: questi durante lo sviluppo agiscono come obesiogeni, mentre negli adulti l’attività estrogenica risulta protettrice contro l’incremento ponderale. Gli EDCs obesiogeni, oltre che nell’età dello sviluppo, possono comportare effetti nocivi anche nel corso della vita, continuando a stressare un sistema metabolico già alterato e favorendo l’incremento delle cellule adipose e la compromissione dei meccanismi omeostatici.
Un elenco di obesiogeni ambientali accertati o sospetti è riportato in tabella 1. I meccanismi attraverso i quali queste sostanze portano all’aumento di peso devono essere ancora largamente chiariti. Una delle poche studiate dettagliatamente è la tributiltina (TBT), un agonista altamente selettivo e potente sia del PPAR γ che degli RXR α,β,γ, recettori nucleari che agiscono in modo combinato consentendo a una varietà di ormoni lipofilici, acidi grassi e loro metaboliti di modulare la differenziazione della cellula adiposa. La TBT nei topi stimola la differenziazione delle cellule adipose in vitro e il tessuto adiposo in vivo. In modo simile, EDC con attività estrogenica, come dietil-stilbestrolo (DES), genisteina e bisfenolo A (BPA), attivano i recettori per gli estrogeni nelle cellule adipose e in cellule del cervello e di altri tessuti coinvolte nella regolazione della massa adiposa e del senso della fame.

 

Tabella 1
Sostanze ambientali obesiogene accertate o sospette

(A = studi animali; C = studi in vitro; H = studi umani)
Da Janesick & Blumberg (2011)
Sostanza Uso commerciale Azione EDC Attività obesiogena
Tributilina Pesticida, protezione del legno Legame PPARy Modifica dei precursori adiposi, aumento dei trigliceridi nel tessuto adiposo (A)
Ftalati Plastificanti Legame PPARy Induzione della differenziazione adipocitaria (C), aumento della circonferenza addominale (H)
PFOA (acido perfluoro-ottanoico) Rivestimenti anti-aderenti Attivazione debole PPARy Induzione della differenziazione adipocitaria (C)
Flavanoni Prodotti vegetali naturali usati come aromatizzanti Legame PPARy Induzione della differenziazione adipocitaria (C)
PCBs (Policlorobifenili) Isolanti termici ed elettrici, in uso nell’industria elettronica Legame AhR negli adipociti Il CB77 stimola la differenziazione adipocitaria e l’obesità (C,A)
Bisfenolo A Plastiche e resine Legame ER, ERRy Induzione dell’adipogenesi (C) e dell’obesità (A)
Esaclorobenzene Fungicida Alterazione segnale TH L’esposizione in gravidanza influenza il BMI (H)
Bisfenolo A diglicidil-etere Resine epossidiche Sconosciuto Induzione adipogenesi  (C)
PBDEs (eteri bifenili polibromurati) Ritardanti di fiamma Riduzione funzione tiroidea Stimolazione produzione adiposa (C)
Dietil-stilbestrolo Estrogeno farmaceutico Legame ER L’esposizione perinatale causa obesità (A)
Aumenta BMI nei bambini (H)
Genisteina Componente naturale della soia Legame ER L’esposizione perinatale causa obesità (A)
Perfluoro-alchilsulfonato Rivestimenti anti-aderenti Legame ER L’esposizione perinatale causa obesità e altera i livelli di insulina e leptina (A)
Nicotina Prodotti del tabacco ... Alterazione dello sviluppo del pancreas e del tessuto adiposo, aumento delle dimensioni delle cellule adipose (A)
DDE Metabolita primario del DDT Legame ER L’esposizione della madre comporta aumento di peso e BMI nei figli femmina

 

 

Diabete di tipo 2
Alcuni EDCs in grado di iniziare, facilitare e/o accelerare la perdita della funzione della ß-cellula pancreatica possono giocare un ruolo importante nell’eziopatogenesi del diabete di tipo 2 (DM2). Dato che, analogamente all’obesità, anche la prevalenza globale del DM2 è più che raddoppiata nelle ultime due decadi e che l’aumento del peso corporeo determina un aumento del 70% del rischio di sviluppare DM2, è ipotizzabile che esista un legame metabolico diretto fra obesità e DM2 e che pertanto gli obesiogeni costituiscano un significativo fattore di rischio anche per il DM2; ciò è in parte dimostrato da vari studi animali, nei quali gli stessi EDC possono causare sia obesità che alterata tolleranza al glucosio (ma anche una riduzione dell’insulino-resistenza, a conferma della complessità dei meccanismi metabolici coinvolti). Altri possibili modalità d’azione degli EDC in grado di favorire l’insorgenza del DM2 sono l’infiammazione tissutale, la riduzione della secrezione di adiponectina, la compromissione dell’inibizione del grasso sull’insulina, l’alterazione della funzione epatica e forse della funzione tiroidea. Esiste una forte evidenza, dagli studi epidemiologici trasversali e prospettici, che l’esposizione a diossina e ad altri inquinanti organici persistenti (POPs) comporta un elevato rischio di DM2 (tabella 2). Alcuni studi preliminari sugli animali dimostrano inoltre una correlazione fra l’esposizione ad alcuni EDC nell’età dello sviluppo ed il manifestarsi più tardi, nel corso della vita, di intolleranza glucidica e insulino-resistenza (tabella 2).

 

Tabella 2
Sostanze ambientali che espongono al rischio di diabete

(sulla base di studi epidemiologici – H – e animali – A) (modificata da 1)
Sostanza Attività diabetogena
Pesticidi Possibile associazione fra esposizione a DDT e diabete dalle schede di morte (H)
Aumentata mortalità per diabete (H)
Aumento valori glicemici (H)
Iperglicemia a digiuno e sindrome metabolica (anche PCBs: policlorobifenili) (H)
Prevalenza del diabete (anche PCBs) (H)
Arsenico OGTT anomala, diagnosi di diabete, uso di farmaci anti-diabetici (H)

TCDD (tetraclorodibenzo-p-diossina)

*HCD (diossine policlorurate)

Glicemie anomale, diagnosi di diabete, uso di farmaci anti-diabetici (H)
Aumento della mortalità da diabete nelle donne (modello di regressione di Poisson) (H)
Insorgenza di diabete (dati di Medicina del lavoro, relativi anche a HCD*) (H)
Glicemie più elevate (H)
Insulinemia a digiuno più elevata (senza correlazione con glicemia, obesità e lipidi totali (H)
Diabete nelle donne dalle schede di morte (H)
Ridotta attività di PEPCK e glucosio-6-fosfatasi (A)
Riduzione AhR-mediata dell’ingresso di glucosio nel tessuto adiposo e nel cervello (A)
Aumentata espressività del CYP1A1 nel fegato e modificazione AhR-mediata dell’espressione genica del metabolismo energetico (A)
Riduzione della glicemia nei ratti diabetici (A)
17 PCDD/Fs (dibenzofurani), diossina, PCBs, 12 PCB Livelli significativamente aumentati di queste sostanze nei pazienti diabetici (H)
7 PCBs, 5 OC pesticidi (pesticidi organoclorinati) Aumentata prevalenza di diabete (H)
PCB-153, DDE (metabolita primario del DDT) Aumentata prevalenza di diabete, soprattutto negli uomini (PCB-153) o nelle donne (DDE) (H)
6 inquinanti organici persistenti (POPs) Prevalenza del diabete associata a diossina, PCBs e organoclorinati (H)
PCBs (policlorobifenili) Aumentata prevalenza di diabete nelle donne e nei pazienti sovrappeso o obesi (anche PBBs: bifenili polibrominati) (H)
Aumentata prevalenza di diabete (H)
Aumentata prevalenza di diabete nelle donne (anche PCDFs: dibenzofurani policlorinati) (H)
Aumentata prevalenza di diabete (da DDE, ma non da PCBs) (H)
OGTT alterata, iperglicemia a digiuno (anche da DDE e DDT) (H)
HxCDD (esacloro-dibenzo-diossina), PCB, DDT Associazione significativa col diabete, e PBC126 e DDT anche con diabete non diagnosticato (HbA1c > 6.1%) (H)
Ftalati Insulino-resistenza (HOMA-IR) associata a MBP, MBzP, MEP
Aumento della circonferenza addominale associata a MBzP, MEHHP, MEOHP, MEP (H)
5 PBDEs (difenil-eteri polibrominati), PBB (polibrominati bifenile) Aumentata prevalenza di diabete
PBDE135 mostra correlazione inversa con sindrome metabolica (H)
Inquinanti organici persistenti (POPs) Non dimostrata associazione con tolleranza glucidica o insulino-resistenza (H)
Insulino-resistenza, accumulo di grasso viscerale, steatosi epatica, alterazioni di geni che regolano il metabolismo epatico, inefficace captazione del glucosio sotto stimolo insulinico negli adipociti 3T3-L1 (A)
DEHP (di-2-etil-esil-ftalato) Calo di insulina e cortisolo ematici e di glicogeno epatico, aumento di glicemia (A)
Penta-BDE (etere di pentabromofenile) Aumento della lipolisi e dell’ossidazione del glucosio negli adipociti (A)
BPA (bisfenolo A) Inizialmente iperinsulinemia e ipoglicemia; dopo 4 giorni riduzione della tolleranza glucidica e dell’effetto ipoglicemico dell’insulina (A)
Aumento del contenuto insulinico della ß-cellula ER-alfa-dipendente (A)
TBT (tributiltina) Aumento di peso corporeo, steatosi epatica, iperinsulinemia, iperleptinemia, riduzione dei livelli epatici di adiponectina (A)

 

 

Diabete di tipo 1 (DM1)
È la più frequente malattia autoimmune dei bambini. Nelle ultime decadi si è assistito ad una sempre maggiore precocità dell’età di insorgenza e a un aumento dell’incidenza al di sotto dei 15 e soprattutto dei 5 anni di età. Come il DM2 e l’obesità, la predisposizione sembra avere origine durante la vita intra-uterina o nei primissimi anni. I dati epidemiologici sono limitati, ma dimostrerebbero un’aumentata incidenza dovuta all’esposizione degli adulti a EDC quali nitrati, nitriti, nitrosi, ozono, solfati e policlorobifenili (PCBs). Gli studi sugli animali non forniscono evidenze dirette, tuttavia dimostrano che alcuni EDC aventi un ruolo patogenetico nel DM2 (BPA, PCBs, diossina, arsenico, ftalati) possono compromettere la funzione ß-cellulare e che alcuni di questi, quali BPA, DES, clordecone, diossina, ftalati e tricloroetilene, sono anche immuno-tossici e potrebbero pertanto condurre alla produzione di auto-anticorpi in grado di distruggere le ß-cellule già in sofferenza.

 

Sindrome metabolica
Stabilito che gli EDC giocano un ruolo patogenetico nell’insorgenza dell’obesità e del diabete, è stato ipotizzato che questi possano anche favorire l’insorgenza della sindrome metabolica. Tuttavia, non ci sono al momento dati che dimostrino quale sia il loro impatto sulla sindrome metabolica in quanto tale: in particolare, occorrerebbero studi volti a dimostrare il ruolo degli EDC sull’assetto lipidico e sulla pressione arteriosa.

 

Bibliografia

  • Neel BA, Sargis RM. The paradox of progress: environmental disruption of metabolism and the diabetes epidemic. Diabetes 2011, 60: 1838-48.
  • Alonso-Magdalena P, Quesada I, Nadal A. Endocrine disruptors in the etiology of type 2 diabetes mellitus. Nature Rev Endocrinol 2011, 7: 346-53.
  • Janesick A, Blumberg B. Endocrine disrupting chemicals and the developmental programming of adipogenesis and obesity. Birth Defects Res C Embryo Today 2011, 93: 34-50.
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Sodio

Calcio

Potassio

Magnesio

Fosforo

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Paolo Zuppi1, Francesca Rota1 & Gisella Marino2
1UOSD Endocrinologia, 2ex UO Medicina Interna, Ospedale San Camillo-Forlanini, Roma

(aggiornato al 18 marzo 2020)

 

SALEMECUM
Premessa
Il sodio è indispensabile alla vita. È il principale elemento che regola l’osmolalità plasmatica e il metabolismo dell’acqua.
La sua introduzione nell’organismo avviene per la maggior parte come sale da cucina (cloruro di sodio, NaCl). In 1 grammo di NaCl ci sono 604 mg di cloro e 396 mg di sodio. 23 mg di sodio equivalgono a 1 mmol o 1 mEq di sodio.
Consumo giornaliero consigliato: 6 g di NaCl (un cucchiaino da tè).
Consumo giornaliero medio in Italia: 10 g (di cui solo 1-3 g sono discrezionali).
[Na] plasmatica è il rapporto fra Na e H2O (varia per variazioni del solvente e del soluto) Valore normale: 135-145 mEq/L
Calcolo osmolarità plasmatica Osmolarità plasmatica (mOsm/L) = [Na (mEq/L) x 2] + [glicemia (mg/dL)/18] + [azotemia (mg/dL)/2.8]
Classificazione iposodiemie
In base al grado Lieve: [Na] plasmatica 130-135 mEq/L.
Moderata: [Na] plasmatica 125-129 mEq/L.
Severa: [Na] plasmatica < 125 mEq/L.
In base alla durata (se non sono disponibili dati, va considerata cronica) Acuta: se è insorta da meno di 48 h.
Cronica: se è insorta da più di 48 h.
In base all’osmolarità Ipo-osmolare: è l’iposodiemia vera.
Normo-osmolare: artefatto di laboratorio, dovuto alla presenza di concentrazioni patologicamente elevate di proteine o lipidi.
Iper-osmolare: presenza nel siero di osmoli addizionali, quali glucosio e mannitolo.
In base alla volemia Con ipervolemia (ritenzione di H2O libera) Dispnea, edemi, incremento ponderale, giugulari ben visibili, versamenti. Scompenso cardiaco congestizio, cirrosi epatica, sindrome nefrosica, insufficienza renale grave con VFG < 5 mL/min.
Con normovolemia (inadeguata escrezione di H2O libera) Ridotto apporto alimentare e contemporanea escrezione urinaria di sodio. Polidipsia psicogena, ipotiroidismo, iposurrenalismo, SIAD (neoplasie maligne, malattie polmonari, patologie del SNC; farmaci*)
Con ipovolemia (perdita di Na e di H2O) Astenia, cefalea, vertigini, sete, oliguria, cute pallida e secca, ipotensione, tachicardia, ipotonia globi oculari, calo ponderale. Vomito o diarrea profusa, disidratazione da esercizio fisico, sudorazione profusa, ustioni, creazione di un terzo spazio, deficit di mineralcorticoidi, salt-wasting syndrome secondaria a danno cerebrale, diuretici*.
Orientamento diagnostico
Escludere le iposodiemie normo-osmolari
Escludere le iposodiemie iper-osmolari Fattore di correzione per glicemie elevate (mg/dL) da sommare alla natriemia (mEq/L): [(glicemia attuale – 100)/100] x 2.4
Valutare sintomatologia
La gravità clinica è legata al grado e alla rapidità di insorgenza dell’iposodiemia
Iposodiemia apparentemente asintomatica Alterazioni dell’andatura, cadute, difficoltà di concentrazione, deficit cognitivi, osteoporosi.
Iposodiemia moderatamente severa Inappetenza, nausea, cefalea, crampi muscolari, irritabilità, confusione, sonnolenza più o meno profonda.
Iposodiemia severa Astenia intensa, letargia, vomito, distress cardio-respiratorio, convulsioni, coma.
Elementi da ricercare nell’anamnesi del paziente con iposodiemia Indagare malattie cardio-vascolari, epatiche, insufficienza renale nota, anamnesi farmacologica approfondita (molecole* e durata del trattamento), lesioni cranio-cerebrali acute e croniche, irradiazione cerebrale, chirurgia della testa e ipofisaria, traumatismi cerebrali, patologie neurologiche, neoplastiche, respiratorie.
Pazienti a rischio: anziani, stato di malnutrizione, disagio sociale, alcoolismo, disturbi psichiatrici, demenza, diabete mellito. In particolare, nei pazienti anziani l’iposodiemia è spesso multi-fattoriale: alterazione del senso di sete, riduzione clearance acqua libera, riduzione capacità di concentrare le urine, malnutrizione, comorbilità cardio-vascolare, alterazioni del SNC, terapia poli-farmacologica. Il basso apporto di sale con la dieta combinato ad alta assunzione di acqua può determinare iposodiemia.
Esami da richiedere per iposodiemia Na, Cl, K, Ca, creatininemia, azotemia, glicemia, equilibrio acido-base, protidogramma, colesterolo totale, trigliceridi, calcolare osmolarità plasmatica, cortisolemia, ACTH, FT4, TSH, uricemia, sodiuria spot, osmolarità urinaria.
Orientamento terapeutico
Attenzione: l’iposodiemia cronica e pauci-sintomatica necessita di una correzione lenta. In presenza di iposodiemia, la conseguente riduzione dell’osmolarità extra-cellulare provoca processi adattativi delle cellule (fuoriuscita di K e sostanze osmotiche organiche), che si realizzano lentamente. Poiché l’acqua attraversa liberamente la membrana cellulare, una risalita del sodio (e quindi dell’osmolarità extra-cellulare) troppo rapida può causare grave disidratazione cellulare.
A domicilio: se possibile, interrompere i farmaci ed eliminare gli altri fattori che facilitano l’iposodiemia. Nelle forme iper- e normo-volemiche dare indicazione alla riduzione dell’apporto di acqua.
Se possibile, effettuare terapia causa-specifica.
Inviare in ambiente specialistico: pazienti con [Na] plasmatica compresa tra 125 e 130 mEq/L, ad eccezione dei casi in cui è indicato il ricovero in PS.

Inviare in PS pazienti con:

  • gravità clinica moderatamente severa e severa;
  • [Na] plasmatica < 125 mEq/L.
*Farmaci e sostanze che causano iposodiemia
Frequentemente Diuretici: tiazidici, indapamide, amiloride, diuretici dell’ansa, spironolattone.
Anti-depressivi: triciclici, SSRI, IMAO, venlafaxina.
Anti-psicotici: tioridazina, trifluoperazina, aloperidolo.
Anti-epilettici: carbamazepina, oxcarbazepina, valproato di sodio, lamotrigina.
Anti-neoplastici: vincristina, vinblastina, cisplatino, carboplatino, ciclofosfamide, melfalan, ifosfamide.
Altri: metotrexate, interferon α e ϒ, levamisolo, pentostatina, anticorpi monoclonali, oppiacei, clorpropamide, tolbutamide, FANS.
Raramente Anti-ipertensivi: ACE-inibitori, amlodipina.
Antibiotici: trimetroprim-sulfametossazolo, ciprofloxacina, cefoperazone-sulbactam, rifabutina.
Anti-aritmici: amiodarone, lorcainide, propafenone.
Altri: ecstasy, teofillina, inibitori di pompa protonica, bromocriptina, terlipressina, duloxetina, bupropione.
Bibliografia Spasovski G, et al. Clinical practice guideline on diagnosis and treatment of hyponatraemia. Eur J Endocrinol 2014, 170: G1-G47

 

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Micaela Pellegrino
Endocrinologia, Ospedale S. Croce & Carle, Cuneo

 

È acuta l’iposodiemia intercorsa nelle ultime 48 ore o in presenza di farmaci e condizioni che si associano a iposodiemia acuta (tabella 1).

 

Tabella 1
Farmaci e condizioni associati a iposodiemia acuta
Esercizio fisico
Polidipsia
Fase post-operatoria (soprattutto resezione prostatica, chirurgia uterina endoscopica)
Preparazione per colonscopia
Recente prescrizione di tiazidici o di desmopressina
Assunzione di metanfetamine
Ciclofosfamide ev
Ossitocina

 

È severa in relazione all’entità dei sintomi (moderati/severi). L'iposodiemia non è mai asintomatica: a un’attenta valutazione anamnestica, il paziente con iposodiemia anche lieve presenta sempre un corredo sintomatologico, per quanto aspecifico. Il corredo sintomatologico che accompagna l’iposodiemia è tanto più grave quanto più rapidamente si riducono i livelli di Na. Le manifestazioni cliniche sono prevalentemente neurologiche (cefalea, nausea, vomito, anoressia, algie crampiformi addominali, agitazione, sonnolenza, stupor, fino al coma), a indicare un quadro più o meno importante di edema cerebrale, con o senza ipertensione endocranica. Eventuali comorbilità, quali, in particolare, stato febbrile, ipossia e ipercapnia, amplificano l’espressione clinica della disionemia.
Anche in presenza di iposodiemia acuta e/o sintomatica che richiede un trattamento tempestivo, è utile (e richiede poco tempo) un inquadramento clinico e diagnostico che facilita le successive decisioni terapeutiche (tabella 2 e 3)

 

Tabella 2
Approccio al paziente con iponatremia acuta
Confermare l’esistenza di ipo-osmolarità (pOsm < 280 mOsm/kg H2O) controlla osmolalità sierica
Valutare la situazione dei fluidi extra-cellulari esame obiettivo ed esami urgenti (sodiuria spot e uricemia)
Vedere se le urine sono diluite in maniera appropriata valuta l'osmolalità urinaria (appropriata se < 100 mOsm/kg)
Ricercare le cause sottostanti di iponatremia in particolare quelle rapidamente correggibili (ad esempio, iponatremia da diuretici tiazidici)

 

In riferimento all'osmolarità, si classifica in iponatriemia ipertonica, isotonica, ipotonica.
L'iponatremia ipotonica si classifica in: ipovolemica, euvolemica, ipervolemica (tabella 3).

 

Tabella 3
Classificazione delle iposodiemie ipotoniche
  Clinica Sodiuria
< 20 mEq/L > 40 mEq/L
Ipovolemica ↓ PAOS in ortostatismo
Normotensione in iperteso
↓ peso e diuresi
↑ sete
Perdite gastro-intestinali, mucose
Pancreatite
Diuretici
Morbo di Addison
Nefropatie “sodio-disperdenti”
Euvolemica Non edemi, non ipotensione ortostatica (clinical euvolemia) Ipotiroidismo SIAD
Deficit di ACTH
Ipervolemica Edemi declivi, ascite, dispnea Cirrosi
Scompenso cardiaco
Sindrome nefrosica
Polidipsia primaria
Scompenso cardiaco in trattamento diuretico

 

La valutazione dell'osmolarità urinaria (uOsm) e della sodiuria spot affianca la valutazione clinica nella definizione di volemia:

  • uOsm < 100 mOsm/kg suggerisce un eccesso relativo di introito idrico e AVP soppresso;
  • uOsm > pOsm indica AVP non soppresso;
  • u-Na < 30 mmol/L indica ipovolemia, anche in presenza di diuretici “sodio-disperdenti” (nell’ordine tiazidici, risparmiatori di potassio, amiloride, diuretici dell’ansa).

In generale l’iposodiemia acuta è frequentemente iatrogena o post-traumatica (SIADH) o legata a esercizio fisico intenso (aumentata secrezione di ADH accoppiata ad aumentato introito idrico e perdita minima con la sudorazione), ed è solitamente euvolemica.

 

Trattamento
L’iposodiemia acuta severa sintomatica richiede la somministrazione di soluzione salina ipertonica 3% (tabella 4), a una velocità oraria correlata al peso corporeo, che consente di aumentare la sodiemia di 1 mmol/L/h (2 mmol/L/h se in associazione con diuretico dell’ansa).

 

Tabella 4
Costituzione di soluzione salina ipertonica 3% (= 30 g/L = 15 g/500 mL)
1.    Soluzione fisiologica 0.9% NaCl 500 mL (0.9 g/100 mL contiene 4.5 g Na in 500 mL)
2.    Togliere 100 mL (4.5 – 0.9 = rimangono 3.6 g Na in 400 mL)
3.    Aggiungere 10 fl da 10 mL di soluzione salina ipertonica all’11.7% (in totale 11.7 g Na)
4.    Nella soluzione ricostituita, in 500 mL ci saranno 3.6 g + 11.7 g = 15.3 g NaCl (3.06%)

 

Nelle forme eu e ipervolemiche, in caso di sintomi neurologici severi, la correzione dell’iposodiemia deve essere più rapida nelle prime due ore, per ridurre più velocemente l’edema cerebrale (4-5 mEq/L/kg peso corporeo in un’ora). La soluzione salina ipertonica va proseguita almeno fino alla scomparsa dei sintomi e avendo ripristinato livelli di sodio > 120-130 mEq/L.
L’aggiunta di diuretici dell’ansa, stimolando l’escrezione di acqua libera, può contribuire al recupero della sodiemia. La correzione dell’iposodiemia deve però essere graduale (< 12 mEq/L/24 ore, < 18 mEq/L/48 ore) per evitare la mielinolisi osmotica, potenzialmente letale. Fattori di rischio per la mielinolisi pontina sono:

  • iponatremia < 105 mEq/L
  • alcolismo
  • epatopatie gravi (cirrosi, epatiti)
  • malnutrizione
  • recente uso di diuretici (tiazidici)
  • ipokaliemia.

La nota formula di Adroguè-Madias (tabella 5) utilizzata per l’impostazione della velocità di infusione della salina ipertonica tende a sottostimare l’incremento di sodio in corso di trattamento e va utilizzata con le dovute cautele.

 

Tabella 5
Management pratico dell'iposodiemia (formula di Adroguè-Madias)
Aumento in mEq/L del sodio sierico = [(mEq Na infuso – sodiemia)/(acqua corporea*)] + 1

*l’acqua corporea è pari a:

  • bambini, uomo adulto = 0.6 x peso (kg)
  • donne, uomo anziano = 0.5 x peso (kg)
  • donna anziana = 0.45 x peso (kg)

Esempio: uomo di 75 anni  e 70 kg con sodiemia 112 mEq/L:
{[513 mEq (contenuto di Na di 1 L di soluzione ipertonica 3%) - 112 mEq (sodiemia attuale)]/[70 (peso) x 0.5 (coefficiente per calcolare acqua corporea nell'anziano)]} + 1 = incremento di 11 mEq/L di sodio per ogni litro di soluzione salina 3%

 

Nelle forme ipovolemiche è fondamentale correggere il bilancio idrico mediante infusione di soluzione salina isotonica.
Nelle forme secondarie a ipotiroidismo e iposurrenalismo va intrapresa una terapia ormonale sostitutiva.
Nelle forme di potomania o polidipsia psicogena è di solito sufficiente la somministrazione di soluzione fisiologica (1-2 litri), se la sola restrizione idrica non è in grado di normalizzare i livelli di sodio.

 

Voci bibliografiche

  1. Decaux G, Soupart A. Treatment of symptomatic hyponatremia. Am J Med Sci 2003, 326: 25-30.
  2. Verbalis JG, et al. Hyponatraemia treatment guidelines 2007: expert panel recommendations. Am J Med 2007, 120 (11 suppl 1): S1-21.
  3. Adroguè HJ, Madias NE. Hyponatremia. N Engl J Med 2000, 342: 1581-9.
  4. Mohmand HK, et al. Hypertonic saline for hyponatremia: risk of inadvertent overcorrection. Clin J Am Soc Nephrol 2007, 2: 1110-7.
  5. Spasovski G, et al. Clinical practice guideline on diagnosis and treatment of hyponatraemia. Eur J Endocrinol 2014, 170: G1-G47.
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Micaela Pellegrino1, Paolo Zuppi2, Mauro Schiesaro3, Gisella Marino4
1Endocrinologia, Ospedale S. Croce & Carle, Cuneo
2UOSD Endocrinologia, 4ex UO Medicina Interna, Ospedale San Camillo-Forlanini, Roma
3Ospedale Classificato Villa Salus, Mestre (VE)

(aggiornato al 18 marzo 2020)

 

L'iposodiemia (sodiemia < 135 mEq/L) si definisce cronica se insorta da più di 48 ore (in genere alla diagnosi è presente da almeno 6 mesi); inoltre se non è noto da quanto tempo l'iponatriemia è insorta la si deve considerare come cronica.
È riscontro non infrequente nella popolazione generale, in particolare anziana e/o in regime di ricovero e, quando di riscontro occasionale, presenta normalmente una sintomatologia aspecifica, di difficile inquadramento (cefalea, irritabilità, difficoltà di concentrazione, andatura instabile, cadute, confusione, disorientamento) e apparentemente non invalidante. È noto peraltro che l'iposodiemia cronica si associa ad aumentato rischio di morte, di cadute e di fratture.
Va da sé, quindi, che riconoscere l’iposodiemia e sapere quando e come trattarla è di primaria importanza per il clinico e spesso vitale per il paziente.
Per la classificazione dell’iposodiemia si rimanda al capitolo sull’iposodiemia acuta.

 

Trattamento dell'iponatremia cronica sintomatica (vedi anche terapia dell'iposodiemia acuta)
Le forme croniche severe e sintomatiche richiedono la somministrazione di soluzione salina ipertonica (vedi iposodiemia acuta per le modalità di preparazione) per 2-3 ore, proseguendo poi con fisiologica 0.9% (generalmente 2 L), per ottenere un incremento dei livelli di sodio non > 10 mEq/24 ore.
Nell’iponatremia secondaria alla somministrazione di diuretici tiazidici è consigliabile somministrare 1-2 L di fisiologica 0.9% nelle 24 ore + 40 mEq/L KCl, oltre alla sospensione del diuretico.
In ogni caso è importante controllare la sodiemia ogni 1-2 ore all’inizio del trattamento e successivamente ogni 4 ore, soprattutto in presenza di diuresi elevata (> 150 mL/h) indice di una rapida salita dei livelli di sodio.
In caso di sovra-correzione (> 15 mEq/L/24 ore), utile la somministrazione di desmopressina (Minirin 0.4 µg sc), di acqua per os e/o di soluzioni ipotoniche.

 

Trattamento dell'iponatremia cronica pauci-sintomatica

  • Restrizione idrica (assunzione di liquidi nelle 24 ore in quantità pari alla diuresi meno 500 mL, in genere 1000 mL/die) se ipervolemia o se SIAD.
  • Urea galenica (0.25-0.5 g/kg/die in cialde con bicarbonato di sodio, acido citrico e zucchero).
  • Diuretici dell’ansa a bassa dose + cialde di sodio cloruro (da 500 mg).
  • Vaptani (attualmente l’unico vaptano in commercio in Italia per la terapia della SIAD non acuta è il tolvaptan) per sodiemia > 125 mEq/L (come da piano terapeutico AIFA) e con prima somministrazione ospedaliera.

Il trattamento convenzionale soprattutto delle forme eu e ipervolemiche è problematico e non sempre i risultati sono soddisfacenti. Le maggiori criticità sono rappresentate dalla ridotta compliance dei pazienti alla restrizione idrica, dalla relativa efficacia e potenziale tossicità dei trattamenti farmacologici convenzionali. L'urea per esempio è poco palatabile e richiede la sorveglianza dei livelli di azotemia. I vaptani (antagonisti non-peptidici del recettore V2) consentono un approccio terapeutico più specifico e più rapido ed efficace di queste varianti fisiopatologiche di iposodiemia. Queste molecole si differenziano dai diuretici classicamente utilizzati per l’interessante e specifica capacità di determinare esclusiva escrezione di acqua (azione acquaretica). L’EMA ha approvato il tolvaptan in mono-somministrazione orale giornaliera per il trattamento dell’iposodiemia nella SIADH alla dose di 15-60 mg/die. Il tolvaptan è generalmente ben tollerato, con effetti collaterali prevedibili considerato il meccanismo d’azione della molecola, che consistono principalmente in aumentata diuresi, aumento della sete e secchezza della mucosa orale. L'indicazione d'uso del tolvaptan riportata in scheda tecnica è per livelli di sodio > 125 mEq/L e quindi non nell'iponatremia grave. I tempi di incremento della sodiemia sono di 3-7 giorni (come per urea e restrizione idrica). Esiste il rischio di una correzione troppo rapida dell'iposodiemia (peraltro alle dosi di partenza consigliate in scheda tecnica, cioè 15 mg, più alte di quelle utilizzate nella normale pratica clinica).

 

Salemecum
[Na] plasmatica Valore normale: 135–145 mEq/L
Osmolarità plasmatica Valore normale: 285 ± 5 mOsm/L
Calcolo osmolarità plasmatica Osmolarità plasmatica (mOsm/L) = (Na x 2) + (Glicemia/18) + (azotemia/2.8)
Fattore di correzione da sommare al [Na] in caso di iperglicemia [(glicemia attuale – 100)/100] x 2.4(sospettare pseudo-iponatremia se osmolarità normale o aumentata)
Iposodiemia gravità clinica moderata Nausea senza vomito, confusione, cefalea
Iposodiemia gravità clinica severa Vomito, distress cardio-respiratorio, sonnolenza più o meno profonda, convulsioni, coma (GCS < 8); è necessario ricovero in ICU
Preparazione di soluzione al 3%
  1. Prendere 500 mL di soluzione fisiologica e togliere 100 mL
  2. Ai 400 mL che restano, aggiungere 10 fiale da 10 mL di NaCl 2 mEq/mL
mEq di Na da somministrare ([Na] desiderato - [Na] attuale) x TBW (vedi riga sotto)
TBW (total body water) Donna = peso corporeo x 0.5
Uomo = peso corporeo x 0.6
mL di soluzione al 3% da somministrare Na da somministrare/513 (Na della soluzione) x 1000
Correzione massima [Na] Prime 4 ore: 1 mEq/h (max 4 mEq in 4 ore)
Prime 24 ore: 10 mEq
Successive 24 ore altri 8 mEq (max 18 mEq nelle 48 ore)
Forme acute con sintomi neurologici severi in ICU 100 mL soluzione ipertonica al 3% ripetibile x 3 volte, con l’obiettivo di incrementare la [Na] di 4 mEq/L nelle prime 4 ore
Controllo Na ogni 20 minuti
Forme croniche con sintomi lievi-moderati Prime 24 ore: 10 mEq
Successive 24 ore altri 8 mEq (max 18 mEq nelle 48 ore)
Controllo Na ogni 4 ore
Impatto di 1 L di soluzione ([Na] della soluzione – [Na] plasmatico)/(TBW + 1)
Esami da richiedere per iposodiemia Na, Cl, K, Ca, equilibrio acido-base, glicemia, protidogramma, colesterolo totale, trigliceridi (verificare se siero lattescente), osmolarità plasmatica, creatininemia, azotemia, cortisolemia, ACTH, FT4, TSH, uricemia
Sodiuria spot, osmolarità urinaria
Contenuto delle principali soluzioni in uso (per 1000 mL)  Soluzione  Osmolalità (mOsm/L)  Glucosio (g/L)  Potassio (mEq/L)  Cloro (mEq/L)  Sodio (mEq/L)
Glucosata 5% 278 55 0 0 0
NaCl 0.9% (fisiol) 308 0 0 0 154
Ipertonica 3% 1026 0 0 513 513
Ringer lattato 280 0 4 110 132
Ringer acetato 277 0 4 110 132
Darrow 312 0 36 104 120
Reidratante 307 0 10 103 140

 

 

Bibliografia

  1. Decaux G, Soupart A. Treatment of symptomatic hyponatremia. Am J Med Sci 2003, 326: 25-30.
  2. Verbalis JG. Adaptation to acute and chronic hyponatraemia: implications for symptomatology, diagnosis and therapy. Semin Nephrol 1998, 18: 3-19.
  3. Verbalis JG, et al. Hyponatraemia treatment guidelines 2007: expert panel recommendations. Am J Med 2007, 120 (11 suppl 1): S1-21.
  4. Greenberg A, Verbalis JG. Vasopressin receptor antagonists. Kidney Int 2006, 69: 2124-30.
  5. Spasovski G, et al. Clinical practice guideline on diagnosis and treatment of hyponatraemia. Eur J Endocrinol 2014, 170: G1-G47.
  6. Corona G, Giuliani C, Parenti G, et al. Moderate hyponatremia is associated with increased risk of mortality: evidence from a meta-analysis. PLoS One 2013, 8: e80451.
  7. Ayus JC, Negri AL, Kalantar-Zadeh K, Moritz ML. Is chronic hyponatremia a novel risk factor for hip fracture in the elderly? Nephrol Dial Transplant 2012, 27: 3725-31.
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Marco Faustini Fustini
IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna (ISNB), Ospedale Bellaria

(aggiornato al 10 dicembre 2015)

 

Premesse
L’iponatremia (sodiemia < 135 mmol/L) è il disordine elettrolitico più frequente nella pratica clinica. L’inquadramento generale delle condizioni morbose in grado di produrre iponatremia esula dagli scopi di questo paragrafo ed è stata ampiamente considerata in altre parti di Endowiki. Qui s’intende portare l’attenzione su una questione ancora ampiamente dibattuta e non ancora risolta nell’ambito dell’iponatremia: la diagnosi differenziale tra la sindrome da inappropriata antidiuresi (SIAD, nota anche con l’acronimo SIADH, sindrome da inappropriata secrezione di ADH) e la “cerebral salt wasting syndrome” (CSWS). In realtà, il problema è ancora più complesso, dal momento che alcuni autori consigliano di sostituire il termine “cerebral” con “renal”, essendo stati riportati alcuni casi di iponatremia con le caratteristiche della CSWS, ma in pazienti senza patologie del SNC in atto documentabili. Tralasciando le questioni semantiche, dal punto di vista pratico va, comunque, ricordato che tutta questa questione è sorta per la difficoltà di attuare il trattamento più idoneo nei pazienti che sviluppano iponatremia ipotonica associata a patologie del SNC, quali emorragie subaracnoidee, traumi, chirurgia cerebrale, chirurgia trans-sfenoidale, voluminosi tumori cerebrali con o senza idrocefalo. La mancanza di studi prospettici controllati rende ragione della difficoltà a trarre conclusioni basate su solide evidenze scientifiche. Esiste, tuttavia, un accordo quasi unanime nel ritenere la SIAD assai più frequente della CSWS quale causa d’iponatremia di origine “centrale”.

 

Le iponatremie di origine “centrale”
Le iponatremie di origine “centrale” sono essenzialmente riconducibili a due condizioni: la SIAD e la CSWS. Esse si caratterizzano, soprattutto, per il differente stato del volume del fluido contenuto nel compartimento extra-cellulare (CEC), che è lievemente aumentato nella SIAD (in cui, comunque, il paziente rimane clinicamente euvolemico), mentre risulta essere ridotto nella CSWS (in cui si ha anche una riduzione del volume arterioso efficace a stimolare i barocettori dei grandi vasi intra-toracici).

SIAD. Fu inizialmente descritta (nel 1957) come sindrome paraneoplastica in pazienti con carcinoma polmonare in assenza di uno stimolo fisiologico alla secrezione di ormone antidiuretico (aumentata osmolalità plasmatica o ridotta volemia). In generale, si caratterizzata per iponatremia con ipo-osmolalità plasmatica e urine inappropriatamente concentrate (ossia non diluite in maniera massimale: Uosm > 100 mOsm/kg H2O in presenza di normale funzione renale), aumentate concentrazioni di sodio nell’urina (> 40 mmol/L con dieta normosodica) e volume intra-vascolare normale o lievemente aumentato (per lo stato di espansione del volume extra-cellulare, che tuttavia non è evidente dal punto di vista clinico), in assenza di altre cause note di iponatremia ipotonica euvolemica (ipotiroidismo, iposurrenalismo).

CSWS. Come la SIAD, anche la CSWS è caratterizzata dal punto di vista bioumorale dalla triade costituita da iponatremia con ipo-osmolalità plasmatica, urine inappropriatamente concentrate (Uosm > 100 mOsm/kg H2O) e aumentate concentrazioni di sodio nell’urina (> 40 mmol/L). Contrariamente a quanto si rileva nella SIAD, tuttavia, la CSWS si accompagna a uno stato di deplezione del volume extra-cellulare, che solitamente è tale da rendersi evidente anche dal punto di vista clinico con segni d’ipovolemia (caduta della pressione arteriosa e del polso periferico in ortostatismo, mucose secche, vene periferiche appiattite, …). Si tratta, pertanto, di una forma d’iponatremia ipotonica ipovolemica. La presenza d’iponatremia ipotonica e d’ipovolemia clinicamente evidente indica deplezione dei soluti corporei rispetto all’acqua corporea totale. La concentrazione urinaria elevata di sodio suggerisce l’origine renale della perdita di soluti. Nel caso, invece, d’iponatremia ipotonica ipovolemica da perdita extra-renale di soluti, la sodiuria è ridotta. La riduzione del volume intra-vascolare si accompagna a elevazione dell’ematocrito, dell’albuminemia e del rapporto uremia/creatininemia.
Descritta inizialmente nel 1950 da Peters e coll, la CSWS conobbe in seguito un periodo di relativo declino dopo la scoperta della SIADH nel 1957. Negli anni ’80 e sul finire degli anni ’90, tuttavia, l’interesse fu riacceso da alcuni lavori sperimentali, condotti soprattutto in pazienti neurochirurgici affetti da patologie cerebrali a esordio acuto, in cui, a fronte di un quadro biochimico simile a quello riscontrato nella SIADH, si riscontrava uno stato di contrazione del volume extra-cellulare e della volemia, in alcuni casi documentato anche dalla misurazione della pressione venosa centrale.
I meccanismi patogenetici responsabili dell’aumentata escrezione renale di Na+ che si realizza nella CSWS non sono stati completamente chiariti. Alcune evidenze sperimentali (raccolte soprattutto nell’emorragia subaracnoidea) indicano la secrezione di peptidi natriuretici (soprattutto BNP) come maggior responsabile della natriuresi nella CSWS. Questi peptidi riducono il riassorbimento di Na+ a livello della midollare profonda del dotto collettore. Tuttavia, sono stati proposti altri meccanismi. In particolare, sembra poter avere un ruolo importante l’interruzione di fibre simpatiche centrali dirette al rene da parte della noxa patogena acuta. Il ridotto tono simpatico al rene potrebbe causare un ridotto riassorbimento di sodio e urati a livello prossimale. Infatti, poiché questa porzione del nefrone è quella coinvolta nella maggior parte del riassorbimento tubulare del Na+ filtrato, è sufficiente una minima riduzione di efficacia di questo meccanismo per fare giungere grandi quantità di Na+ al nefrone distale, che non sarà in grado di riassorbirle. La natriuresi senza perdita di potassio si spiega anche per la ridotta secrezione di renina e aldosterone che accompagna la CSWS, forse per effetto inibitorio diretto da parte di peptidi natriuretici o forse per azione indiretta mediata dal ridotto tono simpatico. Infatti, la condizione d’ipovolemia che caratterizza la CSWS dovrebbe stimolare sia il sistema renina-angiotensina-aldosterone (che, invece, rimane soppresso), sia - tramite i barocettori - la secrezione di AVP, che in effetti si realizza, ma  in maniera “appropriata” (mentre nella SIAD è “inappropriata”, mancando sia lo stimolo osmotico sia lo stimolo barocettoriale, essendo presente uno stato di espansione del volume extra-cellulare).

 

Quadri clinici e diagnosi differenziale
Le iponatremie di origine “centrale” (SIAD e CSW), come tutte le altre forme di iponatremia ipotonica, determinano uno spostamento di acqua all’interno delle cellule, finchè non viene raggiunto un nuovo equilibrio osmotico. Questo fatto è particolarmente pericoloso per le cellule cerebrali, poiché la rigidità della scatola cranica limita lo spazio per l’espansione. Se l’iponatremia si sviluppa rapidamente, è elevato il rischio di edema cerebrale (encefalopatia iponatremica). D’altra parte, anche l’iponatremia che si sviluppa più lentamente può comportare rischi seri per il paziente, soprattutto nel caso di correzione troppo rapida (sindromi osmotiche demielinizzanti: mielinolisi pontina centrale e mielinolisi extra-pontina).
La sintomatologia può iniziare in maniera subdola con sintomi aspecifici (anoressia, nausea, crampi muscolari). Successivamente, compaiono sintomi da interessamento del SNC, che possono limitarsi a disorientamento, letargia, confusione, atassia, ma che possono anche progredire in un crescendo dall’esito talora fatale (tremori, agitazione, delirio, convulsioni, riflessi profondi iporeattivi, riflessi patologici, deficit focali neurologici, paralisi pseudo-bulbare, respiro di Cheyne-Stokes).
La tabella riassume le principali caratteristiche che differenziano SIAD e CSWS.

 

SIAD vs CSWS: diagnosi differenziale e terapia
Caratteristiche cliniche e biochimiche SIAD CSWS
Stato del volume extra-cellulare Aumentato Ridotto
Volemia Essenzialmente normale Ridotta
Cambiamenti posturali di PA e frequenza Assenti Presenti
Membrane mucose Normali Secche
Vene periferiche Normali Appiattite
Pressione venosa centrale Normale o lievemente aumentata Ridotta
Uricemia Ridotta Normale o ridotta
Azotemia/creatininemia Ridotta Aumentata
Ematocrito Normale Aumentato
Albuminemia Normale Aumentata
Potassiemia Normale Normale o aumentata
Sodiuria > 40 mmol/L
Osmolarità urinaria > 100 mOsm/kg H2O
Bilancio idrico In equilibrio o lievemente positivo Negativo
Bilancio del sodio In equilibrio Negativo
Perdita di peso Assente Presente
Trattamento Restrizione idrica (casi pauci-sintomatici)
Sol. NaCl 3% (sintomi severi)
Vaptani (casi selezionati)
Sol. salina (NaCl 0.9%)
Sol. NaCl 3% (casi selezionati)

 

 

Terapia
Dal momento che SIAD e CSWS si differenziano essenzialmente per il diverso stato del volume extra-cellulare, ne consegue che si rende assolutamente necessario una preventiva diagnosi differenziale tra le due forme di iponatremia “centrale” per impostare la corretta terapia. In entrambi i casi, comunque, prima di iniziare il trattamento, è necessario considerare soprattutto la severità della sintomatologia e la durata dell’iponatremia, mentre l’entità dell’iponatremia costituisce un dato forse meno importante, seppure certamente non secondario. Per il trattamento generale delle forme d’iponatremia acuta e cronica (e in particolare per la SIAD) si rimanda al relativo capitolo di Endowiki. In questa sezione, ci si limita a fornire alcuni ulteriori elementi di discussione nel caso di CSWS.
CSWS. Lo stato di deplezione del volume extra-cellulare richiede l’infusione di abbondante quantità di soluzione salina 0.9%. Il paziente è sintomatico, ma spesso, come nella SIAD, non si conosce la durata dell’iponatremia. In questi casi, il tasso di correzione dell’iponatremia non deve superare 6 mmol/L ogni 24 ore di trattamento. Si tratta di un cut-off ancora più restrittivo di quello che comunemente si utilizza per la SIAD e altre forme d’iponatremia ipotonica euvolemica, poiché, in presenza d’ipovolemia, è maggiore il rischio di sottostimare l’incremento della natremia in seguito alla terapia infusionale (in questo caso di soluzione salina 0.9% NaCl). Infatti, allorchè il volume circolante è ripristinato, lo stimolo fisiologico alla secrezione – appropriata – di AVP viene meno e il rene riacquista prontamente la capacità di eliminare un carico d’acqua, con conseguente rischio di una rapida impennata della natremia.
Per completezza d’informazione, va riferita anche la posizione - forse eccessivamente pragmatica - assunta da alcuni autori, i quali, scettici sulla reale esistenza della CSWS come entità nosologica a sè stante, consigliano di trattare tutti i pazienti con patologia del SNC associata a iponatremia ipotonica con soluzione ipertonica NaCl 3%, senza porsi il problema della diagnosi differenziale tra SIAD e CSWS.
Quando una malattia acuta del SNC si associa a CSWS, questa tende a mantenersi per diverse settimane. Pertanto, una volta ristabilito il volume intra-vascolare con soluzione salina, appena il paziente è in grado di assumere farmaci per via orale, è auspicabile l’uso di tavolette contenenti sale. È stato proposto da alcuni autori l’impiego combinato di fludrocortisone (0.1-0.3 mg/die) per accelerare la risoluzione dell’iponatremia in pazienti affetti da CSWS, ma mancano evidenze in grado di sostenere questa terapia per uso routinario.
Nei pazienti con CSWS è controindicato l’impiego degli antagonisti del recettore V2 di AVP (acquaretici puri), poichè l’ipovolemia peggiora per effetto della perdita renale di acqua libera.

 

Bibliografia

  • Berendes E, Walter M, Cullen P, et al. Secretion of brain natriuretic peptide in patients with aneurismal subarachnoid Haemorrhage. Lancet 1997, 349: 245-9.
  • Sterns RH, Silver SM. Cerebral salt wasting versus SIADH: what difference? J Am Soc Nephrol 2008, 19: 194-6.
  • Palmer BF. Hyponatraemia in a neurosurgical patient: syndrome of inappropriate antidiuretic hormone secretion versus cerebral salt wasting. Nephrol Dial Transplant 2000, 15: 262-8.
  • Maesaka JK, Miyawaki N, Palaia T, et al. Renal salt wasting without cerebral disease: diagnostic value of urate determinations in hyponatremia. Kidney Int 2007, 71: 822-6.
  • Lee P, Jones GRD, Center JR. Successful treatment of adult cerebral salt wasting with fludrocortisone. Arch Intern Med 2008, 168: 325-6.
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Marco Faustini Fustini
Pituitary Unit, IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna

 

Meccanismo d’azione
I vaptani sono molecole di sintesi - antagonisti non peptidici dei recettori della vasopressina – che hanno in comune la capacità di bloccare in maniera competitiva il legame tra l’ormone arginin-vasopressina (AVP) e il suo recettore, situato sulla membrana delle cellule del dotto collettore renale (recettore V2), inibendo la sintesi e il trasporto delle proteine che compongono i canali acquaporina-2 (AQP2), situati nella membrana apicale delle cellule del dotto collettore. Il risultato del blocco recettoriale è l’inibizione dell’assorbimento di acqua libera attraverso i canali AQP2, con conseguente aumento del volume urinario ed emissione di urine ipotoniche e, in ultima analisi, incremento della sodiemia. Pertanto, a differenza dei diuretici, che aumentano anche l’escrezione di elettroliti, i vaptani sono acquaretici puri.
Un particolare vaptano, il conivaptan, per uso ev autorizzato da FDA ma non da EMA, è un antagonista non selettivo dei recettori per AVP, che quindi possiede anche un’attività antagonista sui recettori V1a di AVP, situati soprattutto sulle cellule muscolari lisce del sistema vascolare, il cui blocco parziale può favorire la vasodilatazione.

 

Indicazioni
In considerazione dell’effetto acquaretico dei vaptani, sarebbe ovvio ipotizzarne l’impiego in tutte le condizioni caratterizzate da un eccesso di acqua corporea totale rispetto ai soluti totali dell’organismo – e che si associano, conseguentemente, a iponatremia – qualora si accompagnino a espansione dello spazio extra-cellulare, clinicamente evidente (come avviene, ad esempio, nello scompenso cardiaco congestizio e nella cirrosi epatica con ascite) o no (come nella sindrome da inappropriata antidiuresi, SIAD, nella quale il paziente è clinicamente euvolemico, cioè non ha né edemi nè segni di deplezione del volume extra-cellulare). In realtà, studi clinici controllati hanno confermato l’efficacia e il beneficio dei vaptani soprattutto nella SIAD associata a iponatremia lieve-moderata, mentre rimane qualche dubbio sul reale beneficio – soprattutto in termini di riduzione della mortalità - nelle condizioni in cui l’iponatremia si associa a incremento del volume extra-cellulare clinicamente evidenziabile, ossia con edemi.
In Europa - Italia compresa - l’unico vaptano disponibile è il tolvaptan, che trova indicazione, per il momento, solamente nell’iponatremia ipotonica secondaria a SIAD.

 

Controindicazioni
Iponatremia ipotonica associata a deplezione del volume extra-cellulare (iponatremia ipovolemica) e tutti gli altri stati d’ipovolemia.
Inoltre, il tolvaptan non è indicato nei casi in cui non vi sia la possibilità di un’attiva collaborazione del paziente.
Altre controindicazioni sono: anuria, ipernatremia, ipersensibilità al farmaco, gravidanza, allattamento.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
L’unico vaptano disponibile in Europa è il tolvaptan - un antagonista selettivo del recettore V2 di AVP, per somministrazione orale. Sono disponibili compresse da 15 e 30 mg (Samsca).
La dose iniziale consigliata è di 15 mg/die in unica somministrazione, preferibilmente di mattina. In realtà, in alcuni casi potrebbe essere sufficiente una dose inferiore (7.5 mg/die), ma la scheda tecnica per il momento non prevede una simile posologia, poiché non esistono studi clinici controllati che abbiamo impiegato questa dose giornaliera di farmaco. Pertanto, l’uso di tolvaptan alla dose di 7.5 mg/die è da considerarsi off-label.

 

Precauzioni
Il paziente deve essere vigile e cosciente, collaborare, essere in grado di avvertire il senso della sete e avere libero accesso all’acqua.
Poiché il farmaco determina un aumento del volume urinario, va assunto preferibilmente di mattina.
La titolazione della dose va eseguita con attenzione, soprattutto la prima settimana di trattamento, mediante dosaggi frequenti della sodiemia.
Grande cautela nei pazienti affetti da malattie epatiche, sebbene le segnalazioni di un aggravamento serio della funzione epato-cellulare siano state riportate finora solamente in una categoria particolare di pazienti, che usavano dosaggi elevati di tolvaptan con indicazioni non previste in Europa.

 

Effetti collaterali
Sono stati segnalati incrementi troppo rapidi della sodiemia in corso di trattamento con tolvaptan. Occorre, pertanto, essere particolarmente attenti nella fase iniziale di titolazione della dose.

 

Limitazioni prescrittive
Classe H, prescrizione medica limitativa (RNRL), da rinnovare volta per volta, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti endocrinologo, nefrologo, oncologo.
Sottoposto a monitoraggio AIFA da settembre 2014.

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Marco Faustini Fustini
IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, Ospedale Bellaria, Bologna 

(aggiornato al 10 dicembre 2015)

 

Definizione e fisiopatologia
L’ipersodiemia (sodio sierico > 145 mmol/L) è un disordine iperosmolare caratterizzato da un deficit di acqua rispetto ai soluti corporei ed è sempre sinonimo d’iperosmolalità, poiché lo ione sodio è il principale costituente dell’osmolalità plasmatica (1). Al contrario, la condizione d’iperosmolalità può aversi anche in assenza d’ipersodiemia, quando un eccesso di soluti osmoticamente attivi diversi dal sodio si accumula in circolo, come accade in corso di coma iperglicemico iperosmolare.
Un altro concetto essenziale da ricordare è che l’ipersodiemia si associa sempre a disidratazione, ossia a perdita di acqua dal compartimento interstiziale e intra-cellulare. Infatti, quando si perde acqua dalla cute, dal tratto gastro-enterico o dal rene, l’ipertonicità che si crea nel compartimento extra-cellulare si trasferisce direttamente nel più ampio compartimento intra-cellulare. Se l’ipertonicità non è corretta e progredisce, l’impatto maggiore si avrà proprio sul compartimento intra-cellulare, che rappresenta la maggior riserva d’acqua dell’organismo, e in misura minore sul compartimento interstiziale. In altri termini, disidratarsi significa perdere acqua dalle cellule e stimolare la sete e la secrezione di AVP. Il sistema nervoso centrale è l’organo più sensibile alla disidratazione. Non stupisce, pertanto, che la confusione, le convulsioni e lo stato di coma rappresentino i sintomi e i segni neurologici più gravi cui può andare incontro il paziente.

 

Cause
La tabella evidenzia le cause, fra cui la perdita d’acqua corporea totale è certamente la più frequente.

 

Tabella 1
Cause di ipersodiemia
Da perdita d’acqua Pura Ridotto senso della sete (ipodipsia)
Perdita insensibile (da cute e vie respiratorie)
Diabete insipido Centrale (congenito o acquisito)
Nefrogenico (congenito o acquisito)
Perdita di fluidi ipotonici Cause renali Diuretici dell’ansa
Diuresi osmotica
Fase poliurica della necrosi tubulare acuta
Diuresi post-ostruttiva
Cause gastro-intestinali Vomito
Diarrea
Sondino naso gastrico
Fistola entero-cutanea
Uso di agenti catartici osmotici
Cause cutanee Ustioni estese
Iperidrosi marcata non bilanciata
Da aumento di sodio totale corporeo rispetto all’acqua (aumento di sodio “ipertonico”) Infusione di soluzioni ipertoniche di bicarbonato di sodio
Infusione di soluzioni saline ipertoniche
Preparazioni ipertoniche per alimentazione artificiale
Ingestione di acqua di mare
Ingestione di cloruro di sodio in eccesso
Emetici ricchi di cloruro di sodio
Iniezioni intra-uterine di soluzioni ipertoniche
Clistere con soluzione salina ipertonica
Dialisi ipertonica
Aumentata attività mineralcorticoide Iperaldosteronismo primario
S. di Cushing

 

 

Clinica, diagnostica e trattamento
La velocità d’insorgenza dell’ipernatremia – acuta se < 48 ore - può avere un ruolo nella scelta del trattamento appropriato e caratterizzare il quadro clinico, il quale, tuttavia, risente maggiormente dell’età del paziente.
Il bambino ipernatremico mostra debolezza muscolare, è spesso polipnoico, agitato, insonne, presenta non raramente un pianto stridulo con tonalità alta, per divenire poi letargico, convulsivante (raramente) e, infine, entrare in coma. La trombo-embolia è stata riportata come una rara ma temibile complicanza dell’ipernatremia, soprattutto nei bambini.
Il paziente anziano - probabilmente la maggior parte dei soggetti ipernatremici appartiene a questa categoria - spesso non presenta sintomi evidenti finchè la natremia non raggiunge 160 mmol/L. La sete, che costituisce il sintomo principale nel paziente ipernatremico cosciente, è talora poco evidente, soprattutto nel momento in cui l’ipernatremia progredisce e il paziente diviene debole e confuso. La riduzione acuta del volume cerebrale per disidratazione può comportare la rottura di vasi cerebrali e la conseguente emorragia subaracnoidea. Come nel bambino, l’ipernatremia non corretta può portare allo stato di coma e alla morte anche il paziente adulto. Nell’anziano la sintomatologia neurologica iniziale (debolezza muscolare, confusione mentale) può confondersi con la vasculopatia cerebrale cronica sottostante.
Nella gestione del paziente con ipernatremia sono potenzialmente utili parametri quali l’osmolalità urinaria, il bilancio idrico giornaliero e, seppure con alcune limitazioni, la secrezione urinaria giornaliera (24 ore) di sodio, quale indicatore indiretto dello stato di idratazione e del volume extra-cellulare. In realtà, dovrebbero essere considerate anche altre variabili, non sempre facili da acquisire al letto del malato, che, soprattutto se anziano, talora giunge in ospedale in stato confusionale e non accompagnato da familiari in grado di fornire informazioni utili: la temperatura corporea nei giorni antecedenti il ricovero, il tipo di dieta abituale (in particolare l’apporto idrico e di soluti), i farmaci assunti.
La ricerca della possibile causa dell’ipernatremia, la severità del quadro clinico e biochimico e la valutazione clinica dello stato del volume extra-cellulare sono i principi fondamentali che guidano la scelta del trattamento. Non esistono farmaci per il trattamento dell’ipernatremia e, quando ciò sia possibile, è preferibile utilizzare l’idratazione per bocca e riservare le soluzioni ipotoniche in infusione endovenosa solo ai casi severi, senza superare le 8-10 mmol/L di riduzione media della natremia nelle 24 ore, stante il rischio d’indurre edema cerebrale. La formula di Adrogue-Madias può essere utilmente impiegata, con cautela, allo scopo (2).

Deficit di acqua (in litri) = acqua totale corporea * [1–(140/sodiemia)]

L’acqua corporea è pari a una frazione del peso corporeo:

  • bambino, uomo adulto = 0.6 * peso corporeo
  • donna, uomo anziano = 0.5 * peso corporeo
  • donna anziana = 0.45 * peso corporeo

(Esempio: donna di 70 anni e 60 kg con sodiemia di 158 mM/L, il deficit di acqua è pari a (0.45 * 60) * [1- (140/158)] = 3.1 L)

Variazione della sodiemia = [(sodio infuso + eventuale potassio infuso) – sodiemia]/(acqua totale corporea + 1)

 
Tabella 2
Sodio infuso
Soluzione Na (mM/L) Distribuzione extra-cellulare (%)
Glucosata 5% 0 40
0.2% NaCl in glucosata 5% 34 55
Ipotonica (NaCl 0.45%) 77 73
Ringer lattato 130 97
Fisiologica 0.9% 154 100

 

(Esempio: se nella stessa donna infondo glucosata 5%, la variazione della sodiemia è (0 – 158)/(0.45*60 + 1) = 5.6 mM/L)

Si possono poi distinguere 4 situazioni particolari, che comportano differenze nella gestione clinica.

  1. Paziente sintomatico che ha sviluppato l’ipernatremia in poche ore (ad esempio nelle forme iatrogene per infusione di soluzione salina ipertonica): la riduzione della natremia può essere più rapida (4-6 mmol/L nelle prime 4-6 ore di trattamento).
  2. Paziente ipernatremico che presenta anche segni clinici di deplezione del volume extra-cellulare: è verosimile che la causa sia una perdita di acqua libera e, in misura minore, di sodio, ossia una perdita di fluidi ipotonici (diuretici dell’ansa, vomito, diarrea, fistole entero-cutanee, …). In questo caso, è preferibile impiegare anche la soluzione salina 0.9% NaCl - oltre all’acqua libera per os o ev – allo scopo di stabilizzare rapidamente i segni vitali.
  3. Paziente ipernatremico senza segni clinici di alterato volume extra-cellulare: è probabile che la causa sia da ricercare nella perdita di acqua libera (ipodipsia, diabete insipido). In questo caso, il trattamento si limiterà a introdurre acqua libera (per bocca o ev).
  4. Paziente ipernatremico con segni clinici di espansione del volume extra-cellulare (edema): conviene pensare a un aumento di acqua libera e, in maggior misura, di sodio, come avviene nell’impiego di soluzioni ipertoniche. In questo caso, è utile utilizzare diuretici dell’ansa assieme all’acqua libera e, se questo trattamento combinato non sortisce effetti, considerare l’emodialisi.

 

Bibliografia

  • Verbalis JG. Disorders of body water homeostasis. Best Pract Res Endocrinol Metab 2003, 17: 471-503.
  • Adrogue HJ, Madias NE. Hypernatremia. N Engl J Med 2000, 342: 1493-9.
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Le alterazioni dei livelli ematici di calcio possono presentarsi sia in forma acuta che cronica. In particolare le ipocalcemie possono essere un riscontro laboratoristico asintomatico o essere una condizione clinicamente significativa con necessità di trattamento immediato.

Ipocalcemie acute

Ipocalcemie croniche

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Maurizio Poggi
UOC Endocrinologia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma


Le ipocalcemie acute, per la natura della loro rapida insorgenza, sono caratterizzate da un corteo sintomatologico che riconosce l’aspetto più caratterizzante nell’irritabilità neuro-muscolare. I pazienti, infatti, lamentano la comparsa di disturbi tipici, che consistono in parestesie a carico delle estremità e della regione peri-orale, insieme ad astenia e ansia. L’irritabilità neuro-muscolare può essere così importante da condurre a veri e propri spasmi, con forte dolorabilità. Nelle situazioni di maggiore depressione dei valori di calcio si può assistere a vere e proprie crisi tetaniche, caratterizzate da broncospasmo, laringospasmo e difficoltà respiratorie gravi, con necessità di intervento immediato ed efficace.
La condizione di irritabilità neuro-muscolare può essere evidenziata, ai fini diagnostici, attraverso la ricerca dei segni di Trousseau (spasmo carpale evocabile gonfiando il bracciale dello sfigmomanometro 20 mmHg sopra il valore della pressione sistolica e tenendolo gonfio per 1-3 minuti, interrompendo in tal modo l’afflusso di sangue all’arto superiore -  cosiddetta “mano da ostetrico”) e di Chvostek, meno sensibile e specifico (contrazione della muscolatura facciale omolaterale indotta dalla percussione della regione pre-auricolare, lungo il tragitto del nervo facciale), così come può essere rilevata al tracciato ECGrafico, dove possono evidenziarsi prolungamenti del tratto QT e anomalie delle onde T.

 

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Figura 1. Sopra segno di Chvostek, sotto segno di Trousseau

 

 

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Figura 2. Ritmo sinusale (76 bpm) con inversione delle onde T in V4-V6 (frecce) e prolungamento del QTc (0.615 sec.) caratteristico delle ipocalcemie severe, a carico prevalentemente del segmento ST, più che delle onde T (invertite, ma di ampiezza relativamente normale); la paziente, al momento dell’ECG, aveva un calcio ionizzato di 0.71 mmol/L

 

Fondamentale, per il potenziamento che può risultarne soprattutto a carico della conducibilità della fibra cardiaca, è il controllo contestuale di eventuali ipomagnesemie, così come particolare attenzione andrà prestata a quei pazienti con pre-esistente cardiopatia o in trattamento con digitale (può verificarsi insensibilità all’azione della stessa). Sempre ai fini diagnostici vanno guardati con attenzione stati di alterazione dello stato di coscienza (possibili stati di confusione, disorientamento, fino a vere e propri stati psicotici). I sintomi più gravi tendono a comparire solitamente per livelli di calcio totale < 7.0 mg/dL (1.8 mmol/L).
È importante inoltre ricordare che, ai fini di una corretta diagnosi, i valori di calcio sierico andrebbero sempre corretti per i livelli di albumina con la formula,

calcemia corretta = calcemia misurata (in mg/dL) + [0.8 x (4 - albuminemia (in g/dL)],

perché i valori del calcio totale possono essere falsati in presenza di alterazioni dei livelli di albumina. Va ricordato come di solito la diminuzione di 1 g di albumina sierica diminuisce i livelli di calcio totale sierico di circa 0.8 mg/dL (0.2 mmol/L), senza alterazione dei livelli del calcio ionizzato (senza quindi che si abbiano segni o sintomi dell’ipocalcemia stessa).
Le condizioni cliniche che possono essere causa di ipocalcemia acuta sono prevalentemente:

La sintomatologia dell’ipocalcemia acuta sarà tanto più importante quanto maggiore sarà la diminuzione dei livelli di calcio e quanto più veloce sarà stata questa diminuzione.

La terapia di scelta sarà ovviamente la correzione dei livelli sierici e a tal fine va ricordato che non esistono linee guida ma solo raccomandazioni coniugate da esperienze cliniche. L’approccio prevede ovviamente l’uso di Calcio.
Nei casi più gravi con necessità di ricorrere all’infusione endovenosa, si utilizza calcio gluconato: 1–2 g di calcio gluconato (corrispondenti a 90–180 mg di calcio elementare), da diluire preferibilmente in 50–100 mL di soluzione glucosata al 5%, da ripetere dopo 3–4 ore se non vengono raggiunti livelli di calcemia sopra i limiti inferiori di normalità e se non scompare la sintomatologia. La somministrazione deve essere effettuata con cautela, lentamente (in 10–20 minuti), per evitare aritmie cardiache e irritazione vascolare locale.
Una volta raggiunti livelli di calcemia sopra i limiti inferiori di normalità e laddove possibile, andrebbe iniziata una terapia orale, con integrazione anche, dove indicato, di vitamina D. Fondamentale anche il monitoraggio dei livelli di magnesio, procedendo all’eventuale correzione di ipomagnesiemia (laddove questa non avvenga, può instaurarsi una condizione di resistenza all’azione del PTH, con importante difficoltà alla correzione dell’ipocalcemia stessa).
Fondamentale, nei pazienti con condizioni predisponenti alla recidiva della crisi (per esempio nei soggetti con ipoparatiroidismo post-chirurgico), un’adeguata informazione per il riconoscimento e il pronto trattamento della problematica già al domicilio.

 

Bibliografia

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  5. Savica V, Bellinghieri G, Monardo P, Muraca U, Santoro D. An update on calcium metabolism alterations and cardiovascular risk in patients with chronic kidney disease: questions, myths and facts. J Nephrol 2013, 26: 456–64.
  6. French S, Subauste J, Geraci S. Calcium abnormalities in hospitalized patients. South Med J 2012, 105: 231-7.
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Maurizio Poggi
UOC Endocrinologia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma

 

Le ipocalcemie croniche sono caratterizzate da esordio subdolo e insidioso e talvolta possono essere un riscontro incidentale in esami di laboratorio effettuati per altri motivi. Pur con queste differenze, rispetto alle ipocalcemie acute, la loro sintomatologia riconosce sempre l’aspetto più caratteristico nell’irritabilità neuro-muscolare. I pazienti, infatti, quando è presente una sintomatologia, lamentano disturbi caratterizzati da parestesie a carico delle estremità e della regione peri-orale insieme a comparsa di astenia e ansia. Anche in questo caso, pur se le diminuzioni dei livelli di calcio sono più sfumate, si può a fini diagnostici ricercare i segni di Chvostek o di Trousseau, così come possono essere rilevati, al tracciato ECGrafico, segni quali prolungamento del tratto QT e anormalie delle onde T. Fondamentale, per il potenziamento che può esserci a carico della conducibilità della fibra cardiaca, il controllo contestuale di eventuali ipomagnesiemie. È importante inoltre ricordare che, ai fini di una corretta diagnosi, i valori di calcio sierico andrebbero sempre corretti per i livelli di albumina, perché i valori del calcio totale possono essere falsati in presenza di alterazioni dei livelli di albumina. Va ricordato come di solito la diminuzione di 1 g di albumina sierica diminuisce i livelli di calcio totale sierico di circa 0.8 mg/dL (0.2 mmol/L), senza alterazione dei livelli del calcio ionizzato (senza quindi che si abbiano segni o sintomi dell’ipocalcemia stessa).

Le condizioni cliniche che possono essere causa di ipocalcemia cronica sono:

La valutazione di laboratorio adeguata dovrà quindi comprendere:

  • calcemia totale, albuminemia, creatininemia, magnesiemia, fosforemia, PTH, vitamina D;
  • fosfatasi alcalina, amilasemia, calciuria e magnesiuria (solo in casi selezionati).

 

Il trattamento di una ipocalcemia cronica deve essere istituito sempre, anche nei casi con sintomatologia molto sfumata. A differenza delle situazioni acute, nelle croniche spesso i pazienti si abituano a tollerare la diminuzione sierica del calcio. In questi soggetti è comunque sempre indicata una supplementazione orale di calcio e/o vitamina D.
Il calcio carbonato per os è sicuramente la formulazione più utilizzata e di solito si somministra in dosi refratte (2–3 volte al giorno), in associazione con i pasti per un migliore assorbimento. L’obiettivo della terapia è ovviamente il raggiungimento di livelli di calcemia ai limiti inferiori della norma. Quando questi sono stati raggiunti, è sufficiente un controllo ogni 3–6 mesi. Insieme al controllo della calcemia è utile anche verificare l’eventuale presenza di ipercalciuria e un controllo oculistico regolare per verificare l’insorgenza o la progressione di un’eventuale cataratta.
Spesso è necessario associare la vitamina D, nelle sue forme D2 o D3, specie nell’ipoparatiroidismo e negli stati carenziali. I dosaggi usualmente prescritti sono 0.25–0.50 µg di calcitriolo per 2-3 volte al giorno. Per migliorare la compliance, sono state sviluppate formulazioni long-acting, con la possibilità di somministrazioni settimanali, mensili e trimestrali.

 

Bibliografia

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