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Francesco Tassone
Endocrinologia, Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo

 

Le dislipidemie, malattie metaboliche dovute a disordini del trasporto dei lipidi plasmatici, rappresentano uno dei più importanti fattori causali dell’arteriosclerosi e delle sue complicanze d’organo, come l’infarto miocardico, l’ictus cerebri e l’arteriopatia periferica. Tali entità cliniche rappresentano le cosiddette malattie cardiovascolari (CVD), cause principali di mortalità e morbilità in Europa, ma anche nei paesi in via di sviluppo. Se da un lato le cause di aterosclerosi e CVD sono multifattoriali e possono essere messe in relazione a stili di vita (come fumo, sedentarietà, dieta), dall’altro è dimostrato come anche alcune patologie quali il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e le dislipidemie abbiano un ruolo fondamentale nel loro determinismo.
Per quanto attiene alle dislipidemie, comprendenti un ampio spettro di anormalità lipidiche, l’appropriato trattamento di alcune di esse rappresenta la base degli interventi di prevenzione primaria e anche secondaria delle CVD su base ischemica.

L’elevazione della colesterolemia totale e di quella LDL è stata oggetto di particolare studio negli ultimi decenni, anche perchè può essere modificata con interventi mirati sullo stile di vita e con terapie farmacologiche. Numerosi trial randomizzati e controllati (RCT) hanno fornito l’evidenza scientifica che riducendo la colesterolemia totale e/o LDL si può prevenire la CVD, pertanto colesterolemia totale e LDL rappresentano i target principali della terapia delle dislipidemie.

Negli ultimi anni si è inoltre chiarito come altri tipi di disordine lipidico, oltre all’elevazione della colesterolemia totale e/o LDL, possono predisporre alla CVD precoce, in particolare la relativamente frequente “dislipidemia aterogena”, caratterizzata da aumentati livelli di lipoproteine a bassissima densità (VLDL) e di conseguenza aumentati livelli di trigliceridi, incremento delle lipoproteine a bassa densità (LDL) “piccole e dense” e ridotti livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL). Tuttavia, sono al momento limitati i dati di evidenza sulla riduzione del rischio di CVD impiegando terapie ipolipemizzanti in questo particolare “setting clinico” e pertanto trigliceridemia e colesterolemia-HDL rappresentano  al momento target opzionali nella prevenzione CVD.

La possibilità di intervento positivo sulla prevenzione della CVD grazie alla disponibilità di terapie ipolipemizzanti sicure, efficaci e ben tollerate, ha contribuito alla diffusione dell’interesse per il medico clinico nell’ambito della lipidologia. Pertanto, l’appropriata diagnosi e il trattamento dei disordini lipidici affrontata nei capitoli successivi rivestono un ruolo importante nella pratica clinica dello specialista che deve misurarsi con queste patologie.

 

Bibliografia

  1. Harrison’s Principles of Internal Medicine – 18° edition - Chapter 356. Disorders of Lipoprotein Metabolism. The McGraw-Hill Companies, Inc. 2012.
  2. The Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Atherosclerosis Society (EAS). ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias. Eur Heart J 2011, 32: 1769-818.
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Francesco Tassone
Endocrinologia, Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo

 

L’identificazione delle dislipidemie (o dislipoproteinemie), patologie caratterizzate da alterazioni di una o più frazioni lipoproteiche, ha assunto progressivamente maggior importanza dal momento in cui ne è stato evidenziato un ruolo come fattore di rischio cardiovascolare, presente nella maggior parte dei casi sia per le forme primitive sia per quelle secondarie.
Dal punto di vista classificativo si possono distinguere in iperlipoproteinemie, patologie caratterizzate dall’incremento prevalente (se non esclusivo) di una frazione lipoproteica, e ipolipoproteinemie, in cui vi è la riduzione prevalente o esclusiva di una frazione lipoproteica.
Le forme primitive sono essenzialmente dovute ad alterazioni genetiche (sempre più identificate negli ultimi anni), le forme secondarie a comorbilità, farmaci, stili di vita, fattori ambientali.
Per l’identificazione delle dislipidemie il laboratorio clinico esegue di esami di primo e di secondo livello; in casi selezionati è necessaria la tipizzazione genetica. La diagnostica di primo livello, fondamentale sia per l’inquadramento clinico iniziale sia per il follow-up terapeutico, si basa sull’osservazione del siero a 4°C dopo 24 ore e sulla misurazione dei parametri lipidici comuni: colesterolo totale, colesterolo HDL e trigliceridi, e, dove disponibile, lipidogramma elettroforetico.
Una forma classificativa più semplice delle dislipidemie consiste nel distinguerle in ipercolesterolemie, ipertrigliceridemie e forme miste.
I dati di primo livello permettono l’identificazione del fenotipo del paziente secondo la classificazione di Fredrickson (tabella 1) che riconosce 6 fenotipi:

  • I: chilomicronemia; ipertrigliceridemia marcata;
  • IIa: incremento delle LDL; ipercolesterolemia;
  • IIb: incremento di LDL e VLDL; dislipidemia mista;
  • III: presenza di elevati livelli di IDL; dislipidemia mista severa;
  • IV: incremento delle VLDL; ipertrigliceridemia;
  • V: chilomicronemia ed incremento delle VLDL; ipertrigliceridemia marcata.

 

Tabella 1
Classificazione delle dislipidemie secondo Fredrickson
Lipoproteine plasmatiche elevate Fenotipo OMS Nome generico Forme
Primitive Secondarie
Chilomicroni I Chilomicronemia Deficit di LPL
Deficit di Apo C-II
Paraproteinemie
LES
LDL IIa Ipercolesterolemia Ipercolesterolemia familiare
Ipercolesterolemia poligenica
Iperlipidemia a fenotipi multipli
Sindrome nefrosica
Ipotiroidismo
Paraproteinemie
Sindrome di Cushing
Porfiria acuta intermedia
LDL + VLDL IIb Iperlipidemia combinata Iperlipidemia a fenotipi multipli Sindrome nefrosica
Ipotiroidismo
Paraproteinemie
Sindrome di Cushing
ß-VLDL III Malattia della larga banda beta Iperlipoproteinemia di tipo III Ipotiroidismo
LES
VLDL IV Iperlipidemia endogena Iperlipidemia a fenotipi multipli
Ipertrigliceridemia sporadica
Diabete mellito
Glicogenosi tipo I
Lipodistrofia
Paraproteinemie
Uremia
VLDL + chilomicroni V Iperlipidemia mista
Ipertrigliceridemia sporadica
Ipertrigliceridemia familiare Ipotiroidismo
Alcoolismo
Estrogeni
Glucocorticoidi
Stress
Obesità

 

Questa classificazione non consente di distinguere forme primitive da forme secondarie.
La diagnostica di secondo livello è rappresentata dal dosaggio dei livelli circolanti di alcune apolipoproteine (ApoA1, ApoB, ApoCII, ApoCIII) e, in alcuni casi, dal dosaggio di frazioni lipoproteiche specifiche (LDL piccole e dense, LDL ossidate, sottofrazioni delle HDL).
La diagnostica di terzo livello permette l’identificazione di:

  • difetti molecolari a carico del recettore di ApoB e/o e delle proteine implicate nella captazione delle lipoproteine LDL circolanti;
  • genotipi specifici di apolipoproteine, associati a determinate forme morbose (es. genotipo ApoE2/E2 per l’iperlipoproteinemia di tipo III).

La combinazione di esami di secondo e terzo livello permette, per ora non in tutti i pazienti, la diagnosi genetica più accurata con l’identificazione di forme monogeniche e poligeniche.
Le principali forme di iperlipidemia monogenica sono:

  • l’ipercolesterolemia familiare (FH)
  • l’iperlipidemia familiare combinata (FCHL)
  • l’iperlipoproteinemia di tipo III
  • l’iperchilomicronemia
  • l’ipertrigliceridemia familiare (FHTG).

Le prime tre sono sicuramente associate ad aumentato rischio aterogeno.
Sono state identificate anche condizioni caratterizzate da incremento dei valori delle HDL che spesso presentano un rischio cardiovascolare ridotto.

 

Tabella 2
Iperlipoproteinemie primitive causate da mutazioni di un singolo gene noto
Alterazione Genetica Difetto genico Lipoproteine elevate Segni clinici Trasmissione Incidenza stimata
Deficit di lipasi lipoproteica LPL (LPL) Chilomicroni Xantomi eruttivi, epato-splenomegalia, pancreatiti AR 1/1.000.000
Deficit familiare di apolipoproteina C-II ApoC-II (APOC2) Chilomicroni Xantomi eruttivi, epato-splenomegalia, pancreatiti AR <1/1.000.000
Deficit di ApoA-V ApoA-V (APOA5) Chilomicroni, VLDL Xantomi eruttivi, epato-splenomegalia, pancreatiti AD <1/1.000.000
Deficit di GPIHBP1 GDIHBP1 Chilomicroni Xantomi eruttivi, pancreatiti AD <1/1.000.000
Deficit familiare di lipasi epatica Lipasi epatica (LIPC) Residui VLDL Aterosclerosi precoce, pancreatiti AR <1/1.000.000
Dis-beta-lipoproteinemia familiare ApoE (APOE) Chilomicroni e residui VLDL Xantomi palmari e tuberoeruttivi, CHD, PVD AR/AD 1/10.000
Ipercolesterolemia familiare Recettore per le LDL (LDL-R) LDL Xantomi tendinei, CHD AD 1/500
ApoB-100 difettiva familiare apoB-100 (APOB) LDL Xantomi tendinei, CHD AD <1/1000
Ipercolesterolemia autosomica dominante PCSK9 (PCSK9) LDL Xantomi tendinei, CHD AD <1/1.000.000
Ipercolesterolemia autosomica recessiva LDLRAP LDL Xantomi tendinei, CHD AR <1/1.000.000
Sitosterolemia ABCG5 o ABCG8 LDL Xantomi tendinei, CHD AR <1/1.000.000
ABCG: ATP-binding cassette G; AD: autosomica dominante; AR: autosomica recessiva; ARH: Ipercolesterolemia autosomica recessiva; CHD: malattia coronarica; GDIHBP1: glycosylphosphatidylinositol-anchored high density lipoprotein binding protein1; LDL: low-density lipoprotein; LDLRAP: LDL receptor associated protein; LIPC: lipasi epatica; LPL: lipoprotein-lipasi; PCSK9: proprotein convertase subtilisin/kexin type 9; PVD: vasculopatia periferica; VLDL: very low density lipoprotein

 

Per quanto riguarda le ipolipoproteinemie, sono state identificate condizioni caratterizzate da bassi livelli delle lipoproteine LDL (ipobetaliproteinemia familiare, abetalipoproteinemia) o da bassi livelli delle lipoproteine HDL (ipoalfalipoproteinemia).

 

Bibliografia

  1. Anfossi G. Le dislipidemie – Aspetti biochimici e clinici. Edizioni Internazionali, EDIMES, Pavia 2010.
  2. Disorders of Lipoprotein Metabolism. In Harrison’s Principles of Internal Medicine – 18th edition - Chapter 356. The McGraw-Hill Companies, Inc. 2012.
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Alessandro Scorsone
UOC Medicina Interna, Centro di riferimento regionale Diabetologia e Impianto Microinfusori, Presidio Ospedaliero Civico Partinico, ASP 6 Palermo

(aggiornato al 22 gennaio 2016)

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Nella valutazione di una dislipidemia è necessario integrare l'anamnesi familiare e personale del paziente con l’esame obiettivo orientato verso la definizione del rischio cardiovascolare (CV) (1-8), con la condizione metabolica presente e con la diagnostica di laboratorio.
Alla nascita i livelli circolanti di colesterolo (circa 70-80 mg/dL) sono per il 40-50% circa costituiti da colesterolo HDL. È solo successivamente (all'incirca dopo il primo semestre di vita) che i valori di colesterolemia totale raddoppiano e la quota di HDL-colesterolo diventa circa 1/3 del totale (50 mg/dL). Il colesterolo non HDL è di 100 mg/dL e la trigliceridemia passa da 35 a 80 mg/dL. Il profilo lipoproteico non si modificherà sino all’adolescenza. La maturazione sessuale riduce il livello di colesterolo HDL e nei soggetti di sesso maschile incrementa quello di LDL (tab 1).

 

Tabella 1
Limiti di normalità per i lipidi plasmatici nell’adulto
Colesterolemia totale < 180 mg/dL
Colesterolemia LDL < 130 mg/dL
Colesterolemia HDL maschi ≥ 40 mg/dL
femmine ≥ 50 mg/dL
Trigliceridemia 2-9 anni < 100 mg/dL
10-19 anni < 130 mg/dL
> 19 anni < 150 mg/dL

 

Su questi parametri di normalità si basa la classificazione fenotipica delle dislipidemie (tab 2) (9).

 

Tabella 2
Classificazione fenotipica delle dislipidemie
    I IIa IIb III IV V
Fenotipo Siero Cremoso con infranatante limpido Limpido Limpido o leggerm torbido Torbido con piccolo strato cremoso Torbido Cremoso con infranatante torbido
Lipidi
 
Colesterolo N o ↑ ↑ o ↑↑ N o ↑ N o ↑
Tg ↑↑ N ↑ o ↑↑ ↑↑
Rapporto CT/Tg < 0.1 < 1.5 1-2.7 0.3-1 0.2-1 < 0.4
Lipo-proteine KM ++ Assenti Assenti ++ Assenti ++
VLDL N o ↑↑ N ß VLDL ↑ o ↑↑ ↑↑
LDL N o ↑ ↑ o ↑↑ N o ↑ N o ↑ N o ↑
HDL N o ↓ N o ↓ N o ↓ N o ↓

 

Valori di colesterolo LDL ≥ 130 mg/dL con trigliceridemia < 150 mg/dL configurano un aumento isolato di LDL circolanti con VLDL normali, in accordo con la diagnosi di fenotipo II A.
Un pattern caratterizzato da colesterolo LDL ≥ 130 mg/dL con trigliceridemia > 150 mg/dL configura un aumento combinato di LDL e di VLDL caratteristico del fenotipo II B.
Un aumento isolato della trigliceridemia > 150 mg/dL con colesterolo LDL < 130 mg/dL è dovuto a un aumento isolato delle VLDL e si accorda con la diagnosi di fenotipo IV.
Nei casi con ipertrigliceridemia (tab 3) ≥ 1000 mg/dL si configura la diagnosi di fenotipo V, caratterizzato da un aumento delle VLDL circolanti con la presenza contemporanea di chilomicroni a digiuno.

 

Tabella 3
Definizione laboratoristica di ipertrigliceridemia
Trigliceridi Livello (mg/dL)
Normali < 150
Border-line 150-199
Elevati 200-499
Molto elevati ≥ 500

 

Le cause di ipertrigliceridemia (tab 4) severa possono essere ambientali (comportamento alimentare in associazione con altre malattie metaboliche come diabete, ipotiroidismo, ecc.) o rappresentare la manifestazione fenotipica di rari difetti congeniti del metabolismo (fenotipo I), caratterizzati, sul piano clinico, da epato-splenomegalia e, su quello laboratoristico, da aspetto limpido del siero nell’infranatante, con sopranatante simile al grasso per la presenza di chilomicroni flottanti spontaneamente in superficie.
I trigliceridi (10), anche se in quantità differente tra loro, sono contenuti in tutte le lipoproteine. Solo alcune di esse sono tuttavia correlate all’aterosclerosi e solo le frazioni di trigliceridi contenute in quelle lipoproteine giocano un ruolo per il rischio CV. Sono infatti rilevanti le piccole VLDL e le IDL che non vengono rilevate nei normali laboratori e non sono quindi disponibili nell’ambito della normale pratica clinica. I soggetti con iperlipidemia combinata familiare e con sindrome metabolica sono caratterizzati da livelli elevati di IDL e piccole VLDL.
I trigliceridi legati alle grandi VLDL e ai chilomicroni non hanno invece un ruolo per i processi aterosclerotici, ma predispongono all'insorgenza di pancreatite; le forme familiari relativamente più comuni in questi casi sono l’ipertrigliceridemia familiare e il deficit familiare di lipoprotein-lipasi o di apo CII. La riduzione dell’ipertrigliceridemia ha quindi lo scopo di diminuire gli eventi CV o il rischio di pancreatite.

 

Tabella 4
Cause principali di ipertrigliceridemia
Border-line Sovrappeso e obesità
Inattività fisica
Fumo di sigaretta
Eccessivo consumo di alcolici
Diete molto ricche di carboidrati (> 60% dell’energia totale)
Altre malattie: diabete, insufficienza renale cronica, sindrome nefrosica
Farmaci: corticosteroidi, inibitori delle proteasi, ß-bloccanti, estrogeni per via orale, tamoxifene, retinoidi
Fattori genetici (polimorfismi)
Elevata Come per border-line tranne fattori genetici
Iperlipidemia familiare combinata
Ipertrigliceridemia familiare
Disbetalipoproteinemia familiare
Molto elevata Come per elevata, spesso con associazione fra le componenti genetiche e fattori legati a terapie, malattie concomitanti o abitudini di vita errate
Deficit familiare di lipoprotein-lipasi
Deficit familiare di apolipoproteina CII

 

Il dosaggio della lipoproteina (a), Lp(a), caratterizzata dall’unione di una molecola di LDL con una di apoproteina (a), Apo(a) (valore normale < 30 mg/dL) aggiunge ben poco alla definizione diagnostica e andrebbe effettuato nei casi di ipercolesterolemia resistente alle statine.
Nella tabella 5 sono rappresentate le principali combinazioni clinico-laboratoristiche che consentono di effettuare un primo inquadramento della dislipidemia in esame.

 

Tabella 5
Inquadramento clinico-diagnostico delle dislipidemie primarie
Tipo di dislipidemia Assetto lipidico Clinica
Ipercolesterolemia pura
Ipercolesterolemia poligenica comune Colest totale 250-350 mg/dL Molto comune
Asintomatica sino a comparsa di evento CV
Xantomi assenti
Ipercolesterolemia familiare eterozigote Colest totale 275-500 mg/dL Prevalenza 1/500
Elevato rischio CV
Xantomi nell'adulto
Ipercolesterolemia familiare omozigote Colest totale > 500 mg/dL Prevalenza 1/1.000.000
Malattie vascolari e xantomi nell'infanzia
Ipertrigliceridemia pura
Ipertrigliceridemia familiare Tg 250-750 mg/dL Prevalenza 1/1000
Rischio aumentato di vasculopatie
Rischio di pancreatite
Deficit familiare di lipoprotein-lipasi o apo C II Tg > 750 mg/dL (plasma lattescente) Prevalenza 1-2/1.000.000
Possibile associazione con pancreatite ed epato-splenomegalia
Ipercolesterolemia + ipertrigliceridemia
Iperlipemia familiare combinata Tg 250-750 mg/dL
Colest totale 250-500 mg/dL
Molto comune (prevalenza 1/100)
Rischio elevato di cardiopatia ischemica
La forma familiare può manifestarsi anche con aumento isolato di Tg o di colesterolo-LDL

 

La valutazione dei livelli lipidici (colesterolo totale e HDL) è necessaria per stimare il rischio CV globale dai 35 anni per uomini e donne (7,8). Questa età consente un’identificazione relativamente precoce delle forme familiari. I familiari dei pazienti con eventi CV precoci (prima dei 55 e dei 60 anni rispettivamente per uomini e donne) o con diagnosi di dislipidemia familiare vanno sottoposti a screening. Sono facilmente riconoscibili/ipotizzabili in base ai soli valori di colesterolo e trigliceridi (sempre da ricontrollare almeno una volta). Sia l’ipercolesterolemia familiare omozigote che il deficit familiare di lipoprotein-lipasi o di apo C II sono facilmente riconoscibili. Esse comportano un rischio CV elevato nei pazienti affetti e richiedono terapie complesse.
 Negli altri casi, intermedi e non eclatanti,  la diagnosi è più difficile.
Nell’adulto, riscontrati almeno una volta valori di colesterolo totale > 250 mg/dL e/o di trigliceridi > 250 mg/dL, ricontrollare il profilo lipidico completo dopo un periodo di dieta adeguata, eventuale calo ponderale e lo svolgimento di un’attività fisica regolare. È inoltre necessaria l’esclusione di forme secondarie (11).

 

DISLIPIDEMIE PRIMITIVE

Ipertrigliceridemia familiare
Criteri diagnostici: conferma dei valori elevati di trigliceridi nel paziente e almeno in un familiare di primo grado (10,12,13).

 

Ipercolesterolemia familiare eterozigote
È dovuta a mutazioni del gene che codifica il recettore delle LDL (9,14-17).
I valori di riferimento per il colesterolo-LDL variano con l’età dei pazienti (tab 6).

 

Tabella 6
Valori di riferimento di colesterolo LDL per età
Età (anni) 95° percentile (mg/dL)
< 18 135
18-40 176
40-60 195
> 60 202

 

Esiste consenso internazionale sull’utilizzo di criteri biochimici, clinici e anamnestici ai fini diagnostici (8,18-21). La diagnosi viene sospettata in presenza di colesterolemia LDL > 190 mg/dL più trasmissione verticale, documentata dalla presenza di tale alterazione biochimica nei familiari del paziente. In assenza di informazioni sul profilo lipidico dei familiari, il sospetto è molto forte se, insieme alla colesterolemia LDL > 200 mg/dL, ci sono xantomatosi tendinea nel paziente oppure un’anamnesi positiva nei familiari di I grado per cardiopatia ischemica precoce (< 55 anni negli uomini, < 60 anni nelle donne) oppure grave ipercolesterolemia in bambini prepuberi.
L’analisi genetica permette di ottenere un’indicazione certa della presenza di questa forma familiare. Le metodiche di biologia molecolare hanno specificità intorno all’80%. I principali geni che possono essere correntemente analizzati (in centri altamente specializzati) per la diagnosi di ipercolesterolemia familiare sono quelli codificanti per recettore delle LDL, apo B e PCSK9 (16,20-23).
Posta la diagnosi d’ipercolesterolemia familiare, è sempre necessario accertarsi dello stato CV del paziente.

 

Iperlipemia familiare combinata
È la forma familiare più frequente, spesso misconosciuta (13,24).
È un’espressione fenotipica collegata a molte variazioni genetiche, con meccanismi fisiopatologici legati al metabolismo delle VLDL; l’eziologia non è del tutto nota e non esistono criteri univoci per la diagnosi.
Criteri diagnostici secondo la nota AIFA 13:

  1. colesterolemia LDL > 160 mg/dL e/o trigliceridemia > 200 mg/dL 
più
  2. documentazione nella stessa famiglia (I grado) di più casi di 
ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia (fenotipi multipli).

In assenza di dati sui familiari, la dislipidemia è fortemente sospetta in presenza anamnestica o clinica o strumentale di arteriosclerosi precoce.
È necessario escludere le famiglie in cui siano presenti unicamente ipercolesterolemia o ipertrigliceridemia e le forme di iperlipidemie secondarie.
Il fenotipo è variabile (variazione nel tempo, a parità di condizioni cliniche, dei livelli di ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e HDL) e almeno un familiare presenta fenotipo variabile con eventi CV precoci (compresa la patologia aterosclerotica periferica e le procedure di rivascolarizzazione) e/o rapporto colesterolo-LDL/apoB < 1.3.

 

Disbetalipoproteinemia familiare
È una patologia molto rara, che si manifesta nei soggetti portatori dell’isoforma apoE2 in modo omozigote (18,19,22,24).
Criteri diagnostici secondo la nota AIFA 13:

  • valori di colesterolemia e trigliceridemia intorno ai 400 mg/dL per entrambi più
  • presenza di banda larga (broad band) all’elettroforesi.

La presenza di uno di questi fattori aumenta la validità della 
diagnosi:

  • xantomi tuberosi,
  • xantomi striati palmari (strie giallastre nelle pieghe inter-digitali 
o sulla superficie palmare delle mani), da considerare molto specifici.

 

Ipercolesterolemia poligenica comune
Non può essere considerata strettamente una forma familiare, ma poiché è molto frequente deve essere presa in considerazione nella diagnosi differenziale.
 Si tratta di una forma caratterizzata da aumentato rischio CV, verosimilmente dovuta alla contemporanea presenza di un genotipo suscettibile, di fattori alimentari e ambientali favorenti. Non sono disponibili criteri diagnostici specifici.

 

 

DISLIPIDEMIE SECONDARIE (tab 7)

 

Tabella 7
Dislipidemie secondarie
Fenotipo Cause
Ipercolesterolemia Epatopatie ostruttive
Ipotiroidismo
Porfiria acuta intermittente
Sindrome nefrosica
Farmaci: estroprogestinici, ciclosporina, tiazidi
Ipertrigliceridemia Alcool
Gravidanza
Diabete mellito
Obesità
Epatite acuta
Gammopatie monoclonali: mieloma, linfomi
Insufficienza renale cronica
Glicogenosi
By-pass ileale
Lipodistrofia
LES
Sepsi
Stress
Farmaci: estrogeni, isotretinoina, ß-bloccanti, glucocorticoidi, resine chelanti acidi biliari, tiazidi
Riduzione HDL Fumo
Malnutrizione
Obesità
Farmaci: ß-bloccanti, steroidi anabolizzanti

 

Tra queste, quella del paziente diabetico, soprattutto di tipo 2, riveste un ruolo importante per il suo impatto sulla mortalità CV. Le alterazioni lipidiche in corso di diabete mellito sono variabili, in relazione al tipo di diabete (21).

 

Diabete mellito tipo 1
Le alterazioni lipidiche sono in relazione al grado di compenso glicemico:

  • in fase di scompenso glicemico severo, è tipico il riscontro di ipertrigliceridemia (aumento di VLDL e a volte chilomicroni), con aumento di LDL e decremento di HDL;
  • il quadro lipidico torna alla normalità con il ripristino del compenso glicemico.

 

Diabete mellito tipo 2
Il quadro lipidico predominante è quello dell’ipertrigliceridemia, per aumentata produzione epatica di VLDL e ridotta rimozione da parte della LPL, con riduzione dei livelli di HDL e spesso elevati valori di colesterolo non HDL (LDL + VLDL). Nei soggetti con DM2, in maniera del tutto indipendente dai livelli circolanti, le LDL sono piccole e dense, con un profilo aterogeno di notevole impatto sull’endotelio. Le loro piccole dimensioni e l’aumentata permanenza in circolo, a causa del loro ridotto legame con il recettore per le LDL, favoriscono inoltre la loro penetrazione nella parete arteriosa. L’alterata composizione lipidica è responsabile della loro maggiore suscettibilità all’ossidazione, processo che favorisce la loro captazione da parte dei recettori dei macrofagi e la loro deposizione all’interno della placca ateromasica.
L’ipercolesterolemia è scarsamente influenzata dall’iperglicemia e va considerata come alterazione primaria, escludendo l’ipercolesterolemia familiare (eterozigote), la poligenica (rappresenta una forma frequente di ipercolesterolemia isolata) e la combinata (con ipertrigliceridemia).
Nella maggior parte dei casi di DM2 (85-90%) i livelli di trigliceridemia sono < 400 mg/dL, con valori in genere < 200 mg/dL. Questo pattern lipidico può essere alterato, come nei soggetti non diabetici, dalla presenza di nefropatie e ipotiroidismo.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Assmann G, Cullen P, Schulte H. Simple scoring scheme for calculating the risk of acute coronary events based on the 10-year follow up of the prospective cardiovascular Munster (PROCAM) study. Circulation 2002, 105: 310-5.
  2. Cooney MT, Dudina A, D'Agostino R, Graham IM. Cardiovascular risk-estimation systems in primary prevention: do they differ? Do they make a difference? Can we see the future? Circulation 2010, 122: 300-10.
  3. Cooney MT, Kotseva K, Dudina A, et al. Determinants of risk factor control in subjects with coronary heart disease: a report from the EUROASPIRE III investigators. Eur J Prev Cardiol 2012, 20: 686-91.
  4. The Fifth Joint Task Force of the European Society of Cardiology and Other Societies on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical Practice. European Guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice (version 2012). Eur Heart J 2012, 33: 1635–701.
  5. ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: the Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Atherosclerosis Society (EAS). Eur Heart J 2011, 32: 1769-818.
  6. Perk J, De Backer G, Gohlke H, et al. European Guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice (version 2012). The Fifth Joint Task Force of the European Society of Cardiology and Other
Societies on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical Practice (constituted by representatives of nine societies and by invited experts). Atherosclerosis 2012, 223: 1-68.
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  8. Reiner Z, et al. ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias. Eur Heart J 2011, 32: 1769–818.
  9. Soutar AK, Naoumova RP. Mechanisms of disease: genetic causes of familial hypercholesterolemia. Nat Clin Pract Cardiovasc Med 2007, 4: 214-25.
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  11. Goodman and Gilman's The Pharmacological Basis of Therapeutics, 1996 
“Guidelines on statin prescribing in the prevention of cardiovascular disease” NHS Foundation Trust (2006).
  12. Ferns G, Keti V, Griffin B. Investigation and management of hypertriglyceridaemia. Clin Pathol 2008, 61: 1174-83.
  13. Suviolahti E, Lilja HE, Pajukanta P. Unraveling the complex genetics of familial combined hyperlipidemia. Ann Med 2006, 38: 337-51.
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  24. Porkka KV, Nuotio I, Pajukanta P, et al. Phenotype expression in familial combined hyperlipidemia. Atherosclerosis 1997, 133: 245–53.
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Francesco Logoluso
Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Dipartimento dell'Emergenza e dei Trapianti di Organi, Università degli Studi di Bari, Policlinico di Bari

 

La diagnosi di laboratorio delle dislipidemie è fondamentale per la caratterizzazione fenotipica del paziente e per la corretta gestione della sua alterazione metabolica.
La maniera più precisa per definire il profilo lipidico è la determinazione dopo digiuno di 9-12 ore dei livelli di Colesterolo Totale (CT), Colesterolo—LDL (LDL-C), Trigliceridi (TG) e Colesterolo–HDL (HDL-C).

 

Screening
L’AACE raccomanda1 lo screening per tutti i soggetti di età < 75 anni, indipendentemente dal rischio cardiovascolare di base:

  • per i giovani-adulti (> 20 anni) è raccomandato di eseguire uno screening ogni 5 anni; controlli più frequenti sono consigliabili in caso di familiarità per cardiopatia ischemica prematura, diabete mellito o elevato rischio cardiovascolare;
  • per gli uomini da 45 a 65 anni e le donne da 55 a 65 anni è raccomandato uno screening per dislipidemia ogni 1-2 anni, anche in assenza di fattori di rischio cardiovascolare; nei pazienti con diabete mellito o con molteplici fattori di rischio è consigliato uno screening più frequente;
  • per gli anziani (> 65 anni) è raccomandato uno screening annuale, anche in assenza di fattori di rischio cardiovascolare.

Nei pazienti con diabete mellito o con molteplici fattori di rischio cardiovascolare è consigliato uno screening più frequente. Ad esempio è consigliabile aumentare la frequenza di screening in caso di diabete o ipertensione non controllate, incremento ponderale, segni di progressione di malattia aterosclerotica (es: ischemia periferica o cerebrale o riscontro ecografico di lesioni ateromasiche)1.

 

LDL-C
È la lipoproteina con maggiori proprietà aterogeniche, identificata come il principale obiettivo della terapia ipocolesterolemizzante. Rappresenta il 60-70% del colesterolo totale nel siero e contiene una singola apoliporoteina (ApoB100)1.
Generalmente il livello di LDL-C viene calcolato con l’equazione di Friedewald:

LDL-C = (CT)-(HDL-C)-(TG/5).

Questo calcolo diviene però progressivamente inaccurato per livelli di TG > 200 mg/dL e non valido per livelli di TG > 400 mg/dL1, 4.La raccomandazione è quindi quella di eseguire il dosaggio diretto di LDL-C in tutti i pazienti diabetici o con rischio cardiovascolare noto e nei soggetti con livelli di TG a digiuno > 250 mg/dL1.I metodi di dosaggio diretto di LDL-C sono estremamente precisi e accurati, anche in pazienti con livelli di TG sino a 2000 mg/dL.

 

HDL-C
Rappresenta il 20-30% del colesterolo totale ed è comunemente ritenuto un indicatore di protezione dallo sviluppo di aterosclerosi. Le principali apolipoproteine delle HDL sono Apo A-I e Apo A-II.
Il dosaggio di HDL-C è raccomandato già nella determinazione iniziale del profilo lipidico, in quanto livelli di HDL-C < 40 mg/dL rappresentano un fattore di rischio indipendente per malattia cardiovascolare (CVD)1. I dati di diversi studi epidemiologici mostrano che una riduzione dell’1% di HDL-C si associa a un aumento del rischio cardiovascolare del 2-3%2. Tuttavia la correlazione tra bassi valori di HDL-C e rischio cardiovascolare è di tipo continuo e pertanto non è possibile identificare un valore di cut-off universalmente accettabile. La consensus ATP-III3 raccomanda di considerare come “basso” un valore di HDL-C < 40 mg/dL, sia negli uomini che nelle donne.
Al contrario, alti valori di HDL-C sembrano proteggere dall’aterogenesi. Studi in vitro dimostrano, infatti, che l’HDL promuove l’efflusso del colesterolo dalle cellule schiumose nelle lesioni aterosclerotiche (trasporto inverso del colesterolo). Inoltre, siccome è noto che, al contrario, alti livelli di HDL-C sono un fattore di rischio negativo per CVD, la loro determinazione è utile per la determinazione individuale del rischio cardiovascolare.
In molte persone, bassi livelli di HDL-C correlano con un aumento di TG e con la presenza di LDL piccole e dense, in una condizione che è stata definita con il termine di “triade lipidica”3.

 

Colesterolo non-HDL
La triade lipidica, indicata anche come fenotipo aterogenico di dislipidemia, è frequente in persone affette da obesità addominale, insulino-resistenza, diabete mellito tipo 2 e con CVD prematura3. Sebbene ci siano evidenze che ciascun componente della triade (basso HDL, LDL piccole e dense e TG) sia individualmente aterogenico, non può essere determinato il contributo quantitativo relativo di ognuna di esse; inoltre, l’identificazione con metodiche di laboratorio delle particelle LDL piccole e dense non è di esecuzione routinaria. Per questo motivo è ragionevole identificare la triade lipidica per se come un fattore di rischio.
La determinazione del colesterolo non-HDL (= CT-HDL-C) viene quindi usata come espressione del numero totale di particelle aterogeniche nel plasma. Il non-HDL-C è un predittore di rischio più forte di LDL-C in gruppi di pazienti con elevati livelli di TG (200-500 mg/dL), diabete mellito, insulino-resistenza e CVD.I target per il colesterolo non-HDL sono 30 mg/dL più alti di quelli stabiliti per il LDL-C1, 4.

 

TG
Sebbene il ruolo di LDL-C e HDL-C nella determinazione del rischio cardiovascolare abbia portato in secondo piano quello dei TG, numerose evidenze cliniche trovano nell’ipertrigliceridemia un fattore di rischio indipendente. Due grossi studi recenti (Women’s Health Study e Copenhagen City Heart Study) hanno entrambi riscontrato che i livelli post-prandiali di TG erano associati indipendentemente allo sviluppo di infarto miocardico. Inoltre l’ipertrigliceridemia è comunemente considerata un marcatore di insulino-resistenza.
Il dosaggio dei TG è eseguito di routine nella gran parte dei laboratori con metodiche poco costose. I livelli rilevati sono influenzati dal digiuno e pertanto è consigliato di eseguirne il dosaggio dopo almeno 12 ore di digiuno.
E’ doveroso segnalare comunque che due grossi studi recenti (Women’s Health Study5 e Copenhagen City Heart Study6) hanno entrambi riscontrato che i livelli di trigliceridi post-prandiali erano indipendentemente associati allo sviluppo di infarto miocardico.

 

ApoB
L’ApoB è la principale lipoproteina delle LDL. Sulla superficie di ogni particella di LDL è presente una sola ApoB, quindi il dosaggio delle ApoB una fornisce una buona stima del numero di particelle di LDL in circolo.
L’ApoB non è stata considerata come un obiettivo primario del trattamento negli studi clinici che hanno valutato l’efficacia delle statine, però le analisi post-hoc di questi studi suggeriscono che ApoB possa essere non soltanto di per sè un marcatore di rischio ma anche un obiettivo di terapia migliore di LDL-C4. Quando i valori di trigliceridi sono > 150 mg/dL e i valori di HDL-C < 40 mg/dL, l’AACE consiglia1 di usare il dosaggio dell’apoB o il rapporto apoB/apoAI per valutare l’entità del rischio residuo nel singolo paziente. Il maggior svantaggio per l’ApoB è che il suo valore non è incluso negli algoritmi per il calcolo del rischio globale.
L’ApoB-100 è sintetizzata dal fegato ed è quindi espressa solo sulle particelle di LDL-C prodotte dal fegato.

 

ApoAI
L’ ApoAI è la principale apoliporoteina delle HDL. Quando i livelli di trigliceridi sono maggiori di 150 mg/dl o i livelli di HDL-C minori di 40 mg/dl, la determinazione del rapporto ApoB/ApoAI è utile ai fini della determinazione del rischio cardiovascolare residuo1. Un valore normale di ApoAI in concomitanza con bassi valori di HDL, indica la presenza di un numero adeguato di particelle HDL ciascuna contenente un quantitativo ridotto di colesterolo ed è pertanto indice di minor rischio cardiovascolare1.

 

Bibliografia

  1. Jellinger PS et al. American Association of Clinical Endocrinologists' Guidelines for Management of Dyslipidemia and Prevention of Atherosclerosis. Endocr Pract 2012, 18 (Suppl 1): 1-78.
  2. Brewer HB Jr. Increasing HDL Cholesterol Levels. N Engl J Med. 2004, 350: 1491-4.
  3. National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection Evaluation and Treatment of High Blood Cholesterol in Audults (Adult Treatment Panel III). Third Report of the National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III) final report. Circulation 2002, 106: 3143-421.
  4. European Association for Cardiovascular Prevention & Rehabilitation, Reiner Z, et al, ESC Committee for Practice Guidelines (CPG) 2008-2010 and 2010-2012 Committees. ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: the Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Atherosclerosis Society (EAS). Eur Heart J 2011, 32: 1769–818.
  5. Mazer NA, et al. A Comparison of the Theoretical Relationship between HDL Size and the Ratio of HDL Cholesterol to Apolipoprotein A-I with Experimental Results from the Women's Health Study. Clin Chem 2013, 59: 949-58.
  6. Nyboe J, et al. Risk factors for acute myocardial infarction in Copenhagen. I: Hereditary, educational and socioeconomic factors. Copenhagen City Heart Study. Eur Heart J 1989, 10: 910-6.
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Francesco Calcaterra
UO Territoriale Diabetologia-Endocrinologia-Dietetica, ULSS n. 4 Alto Vicentino- Regione Veneto

 

È comunemente accettato che una corretta alimentazione rappresenti il cardine della terapia delle iperlipidemie, il cui scopo principale è la riduzione del colesterolo LDL (1,2), principale fattore di rischio cardiovascolare. Tuttavia, continua a esserci, da parte degli operatori sanitari, molto scetticismo sulle reali possibiltà che una corretta alimentazione possa effettivamente essere efficace, in considerazione dell’eterogeneità osservata tra individui in risposta allo stesso intervento dietetico. A tal proposito bisogna considerare che la distribuzione dei lipidi plasmatici nella popolazione è il risultato di effetti combinati ed interattivi di fattori genetici, fattori ambientali e dell’impatto di fattori casuali. L'ipotesi più accreditata correla l'eterogeneità della risposta con la diversità genetica dei soggetti, in relazione ai geni coinvolti nel metabolismo delle lipoproteine, apolipoproteine, enzimi e recettori (3).
Le influenze genetiche, comunque, non cambiano l'approccio di prevenzione primaria rivestito dalla dieta. A tal proposito, sono stati proposti vari tipi di diete, di cui le più utilizzate sono:

  • dieta ipoglucidica
  • dieta ipolipidica
  • dieta mediterranea
  • raccomandazioni dietetiche di società scientifiche come la National Cholesterol Education Program (NCEP) ATP III Step 1 e Step 2; Therapeutic Lifestyle chenges (TLC); American Heart Association (AHA).

Ciascuna di queste ha diversi risvolti sul quadro lipidico.

 

Dieta ipoglucidica
La dieta ipoglucidica (dieta Atkins)(4) consiste di quattro fasi: con la prima vi è una forte restrizione dell'introito di carboidrati a 20 g/die; le successive fasi prevedono un aumento progressivo di 5-10 g/die di glucidi a settimana, fino a un massimo di 120 g/die. Non vi è limitazione nell'introito delle calorie totali, nè per le proteine, nè per i grassi; si raccomandano fonti vegetali di proteine e grassi e di evitare gli acidi grassi trans. Gli obiettivi vengono raggiunti attraverso la perdita di peso.

 

Dieta ipolipidica
La dieta ipolipidica (5) prevede una riduzione dell'introito di grassi (< 30% delle calorie totali), con una quantità di acidi grassi saturi < 10% e di colesterolo alimentare < 300 mg/die. La riduzione degli acidi grassi saturi dovrà essere controbilanciata dall'aumento di degli acidi grassi poli-insaturi (PUFA) e mono-insaturi (MUFA).
I PUFA vengono distinti in omega-6 e omega-3. Essi esplicano il loro effetto attraverso la riduzione della sintesi delle VLDL e quindi anche della loro conversione in LDL, tuttavia determinano una riduzione delle HDL. Inoltre, un elevato consumo di omega-6 può determinare colelitiasi. Gli omega-3 hanno dimostrato effetti positivi sia su alcuni parametri della coagulazione, sia sui lipidi plasmatici, soprattutto sui trigliceridi.
I MUFA determinano una riduzione del colesterolo totale e delle LDL con gli stessi meccanismi dei PUFA, ma senza gli effetti negativi che un elevato consumo può comportare. Inoltre, difficilmente possono andare incontro a processi di perossidazione, in cui facilmente incorrono i PUFA. Questo tipo di dieta può essere estremizzata riducendo l'apporto di grassi ad un massimo del 10% delle calorie totali.

 

Dieta mediterranea
La dieta mediterranea (6) comporta un'assunzione di grassi pari al 35% delle calorie totali, ma con un consumo prevalente di olio di oliva (MUFA). Altre caratteristiche di questa dieta sono date da un consumo:

  • elevato di legumi, cereali integrali, frutta, noci, vegetali, pesce;
  • moderato di derivati del latte e vino;
  • basso di carne.

 

Dieta da linee guida-raccomandazione
Il NCEP ATP III (7) si propone come obiettivo:

  • step 1: diminuzione delle LDL del 7-9%, riducendo l'introito di grassi alimentari a < 30%, con grassi saturi a < 10% e con colesterolo alimentare a < 300 mg/die;
  • step 2: riduzione di grassi saturi a < 7%, con l'obiettivo di ridurre le LDL del 10-20%.

Le diete TLC e AHA (8,9), al fine di ridurre le LDL del 20-30%, propongono un approccio globale, associando ulteriori modifiche dello stile di vita a quanto proposto dal NCEP.

 

Confronto fra diete
Nel 2007 uno studio ha comparato quattro tipi di diete (10):

  • dieta Atkins (fortemente ipoglucidica 18%, iperlipidica 55% e iperproteica 27%);
  • dieta a Zona (iperproteica 24%, moderatamente ipoglucidica 42% a basso indice glicemico, iperlipidica 34%);
  • dieta LEARN (Lifestyle, Exercise, Attitudes, Relationship and Nutrition) basata su una riduzione di grassi al 30%, glucidi 49%, proteine 21%;
  • dieta Ornish (ipolipidica 21%, iperglucidica 63%).

L'apporto calorico in tutte le diete, rispetto al basale, era inferiore di 500 Kcal/die a due mesi e di 250 Kcal/die a dodici mesi. La perdita di peso maggiore (kg 4.7) si è ottenuta con la dieta Atkins. Le concentrazioni di HDL e trigliceridi erano risultate significativamente aumentate le prime e ridotte le seconde, con la dieta Atkins. A due mesi veniva rilevata diminuzione delle LDL con le dieta Ornish e LEARN rispetto alle Atkins e Zona, ma queste differenze diminuivano a dodici mesi.
Nel 2008 un ulteriore studio condotto in Israele con un follow-up a due anni ha comparato tre tipi di dieta (11):

  • ipolipidica (lipidi 30% con grassi saturi 10% e 300 mg/die di colesterolo, carboidrati 50%, proteine 20%);
  • mediterranea (lipidi 33% con 30-45 g/die di olio di oliva e 5-7 noci/die, carboidrati 50%);
  • ipoglucidica tipo Atkins.

Con tutte e tre le diete l'HDL è aumentato e i trigliceridi sono diminuiti, ma l’ipoglucidica è risultata la più efficace, con anche il calo ponderale più importante. LDL è diminuito maggiormente con la dieta mediterranea rispetto alla ipolipidica, mentre era rimasto invariato con l’ipoglucidica.

Al di là delle diete proposte, quello che risulta veramente efficace, almeno nei soggetti sovrappeso o obesi, è un regime alimentare moderatamente ipocalorico. Un calo di peso di soli 5 kg riduce significativamente la colesterolemia dell'8%, la trigliceridemia del 19%, il colesterolo LDL del 9% e aumenta l'HDL del 5%. Uno dei meccanismi con cui si ottengono questi risultati è il miglioramento dell'insulino-resistenza di cui questi soggetti soffrono. Inoltre, è da tenere in considerazione come numerosi nutrienti presenti nelle varie diete, in particolare nella mediterranea, sono efficaci nel ridurre colesterolemia totale e LDL. Tali nutrienti, per lo più presenti come fonti alimentari naturali, sono elencati in tabella.

 

Efficacia ipolipemizzante di alcuni alimenti
Alimento Fonti Effetti Raccomandazioni
Fitosteroli Olii vegetali (es. mais), frutta senza guscio, yogurt, latte, margarine ↓ 10% LDL 2-2.5 g/die
Soia Soia secca, latte di soia, tofu, ecc. ↓ LDL 25 g/die di proteine della soia
Fibra solubile Legumi, frutta, verdura ↓ LDL
↓ Colesterolo totale
30-35 g/die
Cioccolato Cioccolato fondente, cacao ↓ 10-12% LDL
↑ 4-13% HDL
↓ Ossidazione LDL
50-75 g
Alcool Vino rosso ↑ HDL
↓ Ossidazione LDL
↓ Aggregazione piastrinica
Attività anti-infiammatoria
1-2 bicchieri/die
Noci Noci ↓ LDL 5-7 noci, < 20 g

 

 

Conclusioni
Al momento non esiste una dieta ideale, ma esistono approcci dietetici che vanno sempre più personalizzati e ritagliati sul singolo soggetto. Solo così si può sperare di ottenere una migliore aderenza alla dieta proposta e raggiungere l'obiettivo prefissato.

 

Bibliografia

  1. National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and treatment of High Blood Cholesterol in Adults. Third Report of the National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults final report. Circulation 2002, 106: 3143-421.
  2. American Association of Clinical Endocrinologists' Guidelines for Management of Dyslipidemia and Prevention of Atherosclerosis. Endocr Pract 2012, 18 (Suppl 1): 1-78.
  3. Masson LF, McNeill G, Avenel A. Genetic variation and the lipid response to dietary intervention: a systematic review. Am J Clin Nutr 2003, 77: 1098-111.
  4. Atkins RC. Dr Atkins' new diet revolution. New York: Avon, 2002.
  5. Nordmann AJ, et al. Effects of low-carbohydrate vs low-fat diets on weight loss and cardiovascular risk factors: a meta-analysis of randomized controlled trials. Arch Intern Med 2006, 166: 285-93.
  6. Trichopoulou A, et al. Adherence to a Mediterranean diet and survival in a Greek population. N Engl J Med 2003, 348: 2559-608.
  7. Yu-Poth S, et al. Effects of the National Cholesterol Education Program's Step I and Step II dietary intervention programs on cardiovascular disease risk factors: a meta-analysis. Am J Clin Nutr 1999, 69: 632-46.
  8. www.nhlbi.nih.gov/guidelines/cholesterol
  9. Lichtenstein AH, et al. Diet and lifestyle recommendations revision 2006: a scientific statement from the American Heart Association Nutrition Committee. Circulation 2006, 114: 82-96.
  10. Gardner CD, et al. Comparison of the Atkins, Zone, Ornish, and LEARN diets for change in weight and related risk factors among overweight premenopausal women: the ATOZ Weight loss Study: a randomized trial. JAMA 2007, 297: 969-77.
  11. Shai I, et al. Weight loss with a low-carbohydrate, mediterranean, or low-fat diet. N Engl J Med 2008, 359: 229-41.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

(aggiornato al 17 febbraio 2021)

 

La terapia delle dislipidemie è volta essenzialmente alla prevenzione della patologia cardio-vascolare (CVD) e, per le forme di grave ipertrigliceridemia, alla prevenzione della pancreatite acuta.
Prima di discutere l’intervento farmacologico, va ricordata la necessità di escludere sempre le forme secondarie e sottolineato l’insostituibile beneficio di uno stile di vita corretto.
Linee guida (LG) complete e aggiornate (1-4) danno supporto alle scelte terapeutiche, che per la rimborsabilità in Italia sono comunque vincolate dalla nota 13 e da disposizioni particolari con attivazione dei registri AIFA per gli inibitori di PCSK9 (PCSK9I). Quanto segue farà prevalentemente riferimento alle LG ESC/EAS 2019 (1).

 


VALUTAZIONE DEL RISCHIO CARDIO-VASCOLARE (CV) TOTALE

È essenziale per guidare il trattamento.
Lo screening per fattori di rischio (FR) comprendente il profilo lipidico viene consigliato:

  • dalle LG europee (1) negli uomini > 40 anni e nelle donne > 50 anni o in post-menopausa;
  • da AACE in tutti gli adulti dopo i 20 anni, ogni 5 anni; negli adulti di mezza età (uomini di 45-60 anni e donne di 55-65 anni) almeno ogni 1-2 anni; una volta all’anno negli anziani (2);
  • da ACC e AHA come routine per adulti fra 40 e 70 anni, ogni 4-6 anni per adulti fra 29 e 39 anni (4).

La valutazione del rischio CV può giovarsi di diversi sistemi, fra i quali si citano:

  • il sistema SCORE (Systematic Coronary Risk Estimation), adottato dalle LG ESC/EAS e dalla nota 13, che fornisce carte del rischio per stimare il rischio di primo evento aterosclerotico fatale entro 10 anni, per soggetti di età fra 40 e 70 anni, sulla base di età, genere, fumo, pressione arteriosa sistolica e colesterolo totale. Il rischio di eventi totali, fatali e non fatali, va considerato circa 3 volte maggiore per gli uomini e circa 4 volte maggiore per le donne (qualcosa meno nelle persone più anziane).
    Vengono fornite anche carte che tengono conto di HDL-C e una versione elettronica che utilizza HDL come variabile continua.
    Va precisato che il rischio di malattia CV aterosclerotica (ASCVD) sembra aumentato per valori di HDL-C > 90 mg/dL e che pertanto HDL-C a quei livelli non può essere usato come predittore di rischio (1);
  • il sistema CUORE, che stima il rischio di primo evento CV maggiore entro 10 anni. Fornisce carte del rischio per soggetti di età fra 40 e 69 anni, calcolate in base a categorie di FR (età, sesso, diabete, fumo, pressione sistolica e colesterolemia totale).
    Viene messo a disposizione anche un sistema di calcolo on line del punteggio individuale, utilizzabile per una fascia di età più ampia, dai 35 ai 69 anni, che considera valori continui per le stesse categorie (età, colesterolemia totale, pressione sistolica), e include in più i livelli di HDL e l’eventuale terapia anti-ipertensiva.

Il calcolo del rischio CV secondo le carte del rischio va effettuato solo per i pazienti senza evidenza di malattia ed escludendo i casi con (1):

  • malattia CV documentata, placche carotidee o femorali, punteggio di calcio coronarico (Coronary Artery Calcium, CAC) > 100;
  • diabete mellito;
  • ipercolesterolemia familiare (FH);
  • livelli di Lp(a) estremamente elevato (> 180 mg/dL);
  • singoli FR marcatamente elevati, in particolare colesterolo totale > 310 mg/dL, LDL > 190 mg/dL, PAO ≥ 180/110 mmHg;
  • insufficienza renale cronica.

Tutti questi vanno automaticamente nelle categorie di rischio alto o molto alto, salvo pazienti diabetici da meno di 10 anni, con diabete mellito tipo 1 di età < 35 anni o diabete mellito tipo 2 con età < 50 anni, senza altri FR, che possono essere considerati a rischio moderato.
Per i giovani con elevati livelli di FR va ricordato che, a fronte di un basso rischio di eventi a 10 anni, è invece elevato il rischio relativo, con una probabile riduzione dell’aspettativa di vita. Per loro è possibile usare tabelle di rischio relativo o calcolare l’età di rischio CV, cioè l’età di un soggetto ipotetico con livelli ideali di FR che abbia un rischio stimato sulle carte uguale a quello del nostro paziente. Il rischio nell’arco della vita è un altro approccio per illustrare l’impatto dei FR, che può essere utile nei soggetti più giovani: maggiore è il carico dei FR, maggiore è il rischio nell’arco della vita. Questo approccio produce nei più giovani dati di rischio maggiori per il maggiore tempo di esposizione.
Nelle persone di età più avanzata occorre ricordare che, a causa del solo dato anagrafico, la maggior parte di loro, specie se maschi, avrà una probabilità di morte CV > 5-10%, nonostante altri livelli di FR relativamente bassi, e che il sistema SCORE sovrastima il rischio sopra i 65 anni. Questo potrebbe portare a un eccessivo uso di farmaci nei pazienti più anziani. Prima di iniziare una terapia negli anziani bisognerà pertanto valutare attentamente i pazienti, anche per evitare gli effetti collaterali di una terapia farmacologica eccessiva.
Come riportato dal documento ESC/EAS 2019, il rischio è aumentato rispetto alla valutazione SCORE da:

  • deprivazione sociale e stress psico-sociale;
  • obesità e obesità centrale (misurate da BMI e circonferenza addominale);
  • inattività fisica;
  • storia familiare di CVD precoce (uomini < 55 anni, donne < 60 anni);
  • malattie infiammatorie croniche immuno-mediate;
  • patologie psichiatriche maggiori;
  • terapia per infezione da HIV;
  • fibrillazione atriale;
  • ipertrofia ventricolare sinistra;
  • insufficienza renale cronica;
  • sindrome delle apnee ostruttive del sonno;
  • steatosi epatica non alcolica.

Secondo le stesse indicazioni, pazienti apparentemente a rischio moderato possono essere:

  • riclassificati a un livello più alto sulla base di:
    • livelli aumentati di ApoB, lipoproteina (a) [Lp(a)], trigliceridi (TG), PCR, o presenza di albuminuria;
    • presenza di placche aterosclerotiche carotidee o femorali, CAC, indice caviglia-braccio (Ankle-Brachial Index, ABI);
  • riclassificati a un livello più basso sulla base di:
    • livelli elevati di HDL (fino a 90 mg/dL);
    • storia familiare di longevità.

Per quanto riguarda Lp(a), negli studi epidemiologici e di randomizzazione mendeliana fatti su popolazioni seguite dalla medicina di base, senza precedenti di patologia CV, il rischio CV inizia ad aumentare da livelli di 25-30 mg/dL (1,17-20). Nelle popolazioni in prevenzione secondaria, costituite da pazienti con precedente patologia CV in terapia ottimale con statine e anti-aggreganti, le recidive di eventi sembrano iniziare a livelli > 50 mg/dL (21-23). Infine, da uno studio di randomizzazione mendeliana emerge che persone con livelli di Lp(a) estremamente elevati, > 180 mg/dL, potrebbero avere un aumento del rischio di patologia CV nell’arco della vita simile a quella di soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare eterozigote (1,24). Questa caratteristica potrebbe rappresentare una nuova alterazione ereditaria del metabolismo lipidico, determinante un rischio estremamente alto di patologia CV nel corso della vita, con prevalenza doppia rispetto all’ipercolesterolemia familiare eterozigote.

I documenti AACE (2,3), in parte in accordo con indicazioni anche di altre società scientifiche, citano alcuni ulteriori fattori di rischio, fra i quali:

  • policistosi ovarica (PCOS), che comporta una condizione di insulino-resistenza;
  • aumento di fosfolipasi A2 associata alle lipoproteine (Lp-PLA2) come indicatore di infiammazione vascolare non influenzato dall’obesità;
  • iperuricemia.

Inoltre, sottolineano l’importanza come FR aggiuntivo di livelli elevati di LDL piccole e dense e della triade dislipidemica che associa ipertrigliceridemia, basso HDL-C e eccesso di LDL piccole e dense.
In merito agli esami strumentali, occorre sottolineare che, rispetto ai modelli tradizionali, una valutazione prognostica migliore è consentita dalla TC con il rilievo di stenosi coronarica > 50% e della composizione della placca (1). Individui asintomatici apparentemente a rischio moderato potranno essere riclassificati in una categoria di rischio maggiore con l’identificazione di calcificazioni coronariche con TC o di ateromasia carotidea o femorale con eco-doppler (meno rilevante la misura dello spessore intima-media a livello carotideo). Sul versante opposto, nello studio MESA (Multi Ethnic Study on Atherosclerosis) è stato dimostrato un basso tasso di eventi CV a 10 anni in presenza di punteggio CAC = 0, in individui che sarebbero stati candidabili a terapia con statine. Alla luce di queste considerazioni, nei pazienti asintomatici, a rischio basso o moderato e potenzialmente candidabili a terapia con statine, punteggio CAC ed eco-doppler arterioso dovrebbero essere considerati come potenziali modificatori del profilo di rischio ASCVD con impatto sulla scelta terapeutica. Bisogna però ricordare il punteggio CAC è spesso molto basso in persone di età < 45 anni con severa FH, compresi quelle con forma omozigote (HoFH), e ha una bassa specificità in questa popolazione. Secondo le recenti indicazioni ACC/AHA, anche in presenza di punteggio CAC = 0 non bisognerebbe comunque soprassedere a terapia con statine, se indicata dagli altri criteri di valutazione del rischio, in presenza di diabete, storia familiare di cardiopatia ischemica prematura, fumo di sigarette (4).

Si segnala infine che l’uso di tecniche di imaging per determinare presenza ed estensione di danno vascolare aterosclerotico non è giustificato in pazienti a basso rischio per i quali non sia presa in considerazione la terapia con statine. Dopo terapia con statine il punteggio CAC è aumentato e dovrebbe essere interpretato con cautela (1).

 

Tabella 1
Categorie di rischio
(1)
Molto alto

Malattia CV aterosclerotica (ASCVD):

  • documentata clinicamente: precedenti sindromi coronariche acute (IMA o angina instabile), angina stabile, rivascolarizzazione coronarica (angio-plastica, by-pass, altre procedure), ictus e TIA, arteriopatia periferica;
  • documentata in modo inequivoco all’imaging: include i reperti noti per essere predittivi di eventi clinici, come placca significativa alla coronarografia o alla TC (malattia coronarica multi-vasale con due arterie epicardiche maggiori con stenosi > 50%) o all’eco-doppler carotideo.

Diabete mellito (DM) con danno d’organo o almeno tre fattori di rischio maggiori, o esordio precoce di DM tipo 1 di lunga durata (> 20 anni).
Severa insufficienza renale cronica (IRC) (eGFR < 30 mL/min/1.73 m²).
Rischio di CVD fatale a 10 anni ≥ 10% calcolato con SCORE.
Ipercolesterolemia familiare (FH) con ASCVD o altro FR maggiore.

Alto Singoli FR marcatamente elevati: in particolare, colesterolo totale > 310 mg/dL, LDL > 190 mg/dL, PA ≥ 180/110 mm Hg.
FH senza altri FR maggiori.
DM senza danno d’organo, con durata di DM ≥ 10 anni o altro FR associato.
IRC moderata (eGFR 30-59 mL/min/1.73 m²).
Rischio di CVD fatale a 10 anni 5-10% calcolato con SCORE.
Moderato Diabetici giovani (DM tipo 1 < 35 anni, DM tipo 2 < 50 anni) con DM di durata < 10 anni, senza altri FR.
Rischio di CVD fatale a 10 anni 1-5% calcolato con SCORE.
Basso Rischio di CVD fatale a 10 anni < 1% calcolato con SCORE.

 

 


OBIETTIVI TERAPEUTICI

Il target principale è il colesterolo LDL (LDL-C): numerosissimi studi e grandi metanalisi hanno dimostrato in modo indiscutibile l'efficacia della diminuzione della colesterolemia, con una riduzione dose-dipendente di patologia CV legata all’abbassamento di LDL-C, senza evidenza di un livello al di sotto del quale il beneficio cessi o si verifichi un danno (1). Alla luce di queste considerazioni, le linee guida ESC/EAS 2019 sottolineano come sembri appropriato ridurre LDL-C il più possibile, almeno nei pazienti a rischio CV molto alto.

 

Obiettivo primario: LDL-C (1)
Rischio molto alto:

  • in prevenzione primaria e secondaria: riduzione ≥ 50% rispetto al basale e LDL-C < 55 mg/dL (raccomandazioni di classe I e livello A per la prevenzione secondaria, classe I e livello C per la prevenzione primaria per persone senza FH, classe IIa e livello C per persone con FH);
  • in prevenzione secondaria per pazienti già affetti da ASCVD, che presentino il secondo evento entro due anni e in corso di terapia con statine alla massima dose tollerata: può essere considerato LDL-C < 40 mg/dL (raccomandazione di classe IIb e livello B).

Rischio alto: riduzione ≥ 50% rispetto al basale e LDL-C < 70 mg/dL (raccomandazione classe I, livello A).
Rischio moderato: LDL-C < 100 mg/dL (raccomandazione classe IIa, livello A).
Rischio basso: LDL-C < 116 mg/dL (raccomandazione classe IIb, livello A).

 

Obiettivi secondari

  • Non HDL-C:
    • rischio molto alto: < 85 mg/dL;
    • rischio alto: < 100 mg/dL;
    • rischio moderato: < 130 mg/dL.
  • ApoB:
    • rischio molto alto: < 65 mg/dL;
    • rischio alto: < 80 mg/dL;
    • rischio moderato: < 100 mg/dL.
  • Trigliceridi: non sono indicati obiettivi, ma livelli < 150 mg/dL indicano un rischio più basso, mentre valori più alti indicano la necessità di ricercare altri FR.
  • HDL-C: non sono stati determinati obiettivi specifici negli studi clinici, ma viene sottolineato che un aumento di HDL-C è predittivo di regressione dell’aterosclerosi e che un basso livello di HDL-C è associato con un eccesso di eventi e mortalità in pazienti con coronaropatia, anche con bassi livelli di LDL-C.

 

 


STRATEGIE DI INTERVENTO (1)

  1. Consigli sullo stile di vita in prevenzione primaria se:
  • rischio basso e LDL-C < 116 mg/dL (classe I, livello C);
  • rischio moderato e LDL-C < 100 mg/dL (classe IIa, livello A);
  • rischio alto e LDL-C < 70 mg/dL (classe IIa, livello A);
  • rischio molto alto e LDL-C < 55 mg/dL (classe IIa, livello B).

 

  1. Intervento sullo stile di vita, considerando aggiunta di farmaci se controllo insufficiente, in caso di:
  • prevenzione primaria se:
    • rischio basso e LDL-C 116-190 mg/dL (classe IIa, livello A);
    • rischio moderato e LDL-C 100-190 mg/dL (classe IIa, livello A);
    • rischio alto e LDL-C 70-100 mg/dL (classe IIa, livello A);
    • rischio molto alto e LDL-C 55-70 mg/dL (classe IIa, livello A);
  • prevenzione secondaria e LDL-C < 55 mg/dL (classe IIa, livello A).

 

  1. Intervento sullo stile di vita e concomitante intervento farmacologico in caso di:
  • prevenzione primaria se:
    • rischio basso e LDL-C ≥ 190 mg/dL (classe IIa, livello A);
    • rischio moderato e LDL-C ≥ 190 mg/dL (classe IIa, livello A);
    • rischio alto e LDL-C ≥ 100 mg/dL (classe I, livello A);
    • rischio molto alto e LDL-C ≥ 70 mg/dL (classe I, livello A);
  • prevenzione secondaria e LDL-C ≥ 70 mg/dL (classe I livello A).

 

 


TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELL’IPERCOLESTEROLEMIA

 

FARMACI DISPONIBILI IN ITALIA (1)

 

Statine
Farmaci di prima scelta, di efficacia ormai indiscutibile.

Meccanismo d’azione: sono potenti inibitori competitivi di HMGCoA-reduttasi, enzima chiave della biosintesi del colesterolo, e per questo in grado di ridurre la sintesi epatica di colesterolo. Promuovono così un’aumentata espressione del recettore per LDL (LDL-R) sulla superficie degli epatociti, portando ad aumentata estrazione dal sangue e quindi diminuzione della concentrazione plasmatica di LDL-C e di altre lipoproteine contenenti apoB, comprese le particelle ricche di trigliceridi.

Effetti su LDL-C: il grado di riduzione di LDL-C è dose-dipendente e diverso per le diverse statine (tabelle 2 e 3), con possibilità di notevoli differenze inter-individuali nell’efficacia a parità di dose. La scelta del tipo e dosaggio di statina va fatta tenendo conto della riduzione di LDL-C ritenuta ottimale sulla base delle caratteristiche del paziente, come sopra indicato. Per ottenere una riduzione almeno del 50% bisogna comunque utilizzare atorvastatina o rosuvastatina ad alte dosi.

 

Tabella 2
Equivalenza approssimativa fra le diverse statine
(modificata da 6)

Pitavastatina 1 mg
Rosuvastatina 5 mg
Atorvastatina 10 mg
Simvastatina 20 mg
Pravastatina 40 mg
Lovastatina 40 mg
Fluvastatina 80 mg

 

Tabella 3
Intensità di terapia con statine (mg/die) e riduzione di LDL-C (modif da 5)
Molecola Bassa intensità (riduzione < 30%) Moderata intensità (riduzione 30-49%) Alta intensità (riduzione ≥ 50%)
Atorvastatina   10-20 40-80
Rosuvastatina   5-10 20-40
Simvastatina 10 20-40  
Pravastatina 10-20 40-80  
Lovastatina 20 40-80  
Fluvastatina 20-40 40 x 2/die; XL 80  
Pitavastatina   1-4  

 

 

Effetti su HDL-C: le statine sono in grado di aumentarne i livelli dall’1 al 10% (8):

  • simvastatina (20-40 mg/die) può essere più efficace di atorvastatina (20-40 mg/die) nell'aumentare le concentrazioni di HDL-C e apoA1;
  • rosuvastatina può essere anche più efficace, in grado di aumentare HDL-C fino al 10%;
  • in pazienti con sindrome metabolica, rosuvastatina (10-20 mg) può essere più efficace di atorvastatina (10-20 mg) nell'aumentare le particelle HDL grandi. Non è comunque chiaro se questo abbia rilevanza clinica (6).

Effetti su Lp(a): gli studi hanno riportato assenza di effetti o un modesto aumento di Lp(a) dopo terapia con statine.

Effetti su trigliceridi: questi farmaci di solito riducono i livelli dei TG del 10-20% rispetto ai valori basali, ma le statine più potenti (atorvastatina, rosuvastatina, pitavastatina) usate ad alte dosi hanno un robusto effetto in pazienti con livelli elevati di TG. Il meccanismo di riduzione dei TG sembra essere parzialmente indipendente dalla via di LDL-R, e può coinvolgere sia una aumentata captazione di VLDL da parte degli epatociti che una riduzione del tasso di produzione di VLDL. Questi effetti sembrano dipendenti dalle concentrazioni di VLDL pre-terapia.

Prevenzione del rischio CV. Grandi studi clinici e metanalisi hanno confermato l’efficacia delle statine. In particolare, nella metanalisi CTT con i dati di oltre 170.000 soggetti in 26 studi randomizzati e controllati (30), per ogni mmol/L (= 39 mg/dL) di riduzione di LDL-C con le statine si otteneva una riduzione del 22% di eventi CV maggiori (IMA, morte da malattia coronarica, ictus di qualunque genere o rivascolarizzazione coronarica), del 23% di eventi coronarici maggiori, del 20% di morte da coronaropatia, del 17% di ictus totali, del 10% di mortalità totale a 5 anni.
Le statine non sono efficaci solo in pochi gruppi specifici di pazienti, in particolare quelli con scompenso cardiaco o in dialisi. Tutte le statine richiedono un aggiustamento del dosaggio nell’insufficienza renale cronica, tranne atorvastatina e fluvastatina (7).
Vi è comunque una risposta inter-individuale variabile, su base genetica, riguardante efficacia e effetti collaterali: le popolazioni asiatiche sembrano avere una sensibilità maggiore alle statine rispetto alle caucasiche, per differenze nella farmaco-cinetica (6).
Alcuni studi hanno anche dimostrato che, al di là della riduzione del colesterolo, le statine avrebbero effetti aggiuntivi, comprendenti proprietà anti-infiammatorie e anti-ossidanti, i cosiddetti effetti pleiotropici. Questi sono stati evidenziati in vitro e in sistemi sperimentali, ma la loro rilevanza clinica rimane non provata.

Modalità di somministrazione e monitoraggio: prima di iniziare un trattamento, è opportuna l’esecuzione di alcuni esami di laboratorio di routine, fra cui ALT e CK. Di solito è raccomandata la somministrazione serale. La risposta alla terapia può essere valutata a 6-8 settimane dopo l’inizio.

Eventi avversi: per quanto siano di solito ben tollerate, possono avere alcuni specifici effetti avversi su muscolo, omeostasi glucidica, ictus emorragico (cfr scheda).

 

Ezetimibe
Meccanismo d’azione:
inibisce l'assorbimento di colesterolo a livello della mucosa intestinale, interferendo con Niemann Pick C1-like receptor 1; la conseguente riduzione dell’apporto di colesterolo al fegato determina un’aumentata espressione del recettore per LDL-C a livello epatico e quindi un’aumentata clearance di LDL dal sangue.
È utilizzato prevalentemente in associazione con una statina, per l’azione complementare. Infatti, le statine inibiscono la sintesi endogena di colesterolo e questo comporta, come per un meccanismo di compenso, un aumento dell’assorbimento del colesterolo intestinale, che può anche raddoppiare, attenuando l’azione ipocolesterolemizzante della statina. Quando, invece, si inibisce l’assorbimento intestinale di colesterolo con ezetimibe, si verifica un aumento compensatorio della sintesi epatica di colesterolo (10). L’inibizione contemporanea dell’assorbimento degli steroli e della sintesi di colesterolo ha, quindi, un effetto complementare, che si oppone alla fisiologica reazione dell’organismo alle due azioni.

Effetti su LDL-C: in mono-terapia ezetimibe 10 mg/die riduce LDL-C del 15-22%, in aggiunta a una statina di un ulteriore 15-27%.

Effetti su HDL-C: in mono-terapia aumento del 3%.

Effetti su TG: in mono-terapia riduzione dell’8%.

Prevenzione del rischio CV: ne è stata dimostrata l’efficacia nel ridurre gli eventi CV.

Modalità di somministrazione: può essere somministrato al mattino o alla sera, indipendentemente dai pasti. Non sono necessari aggiustamenti della dose in caso di lieve insufficienza epatica o insufficienza renale anche severa.

Eventi avversi: sono stati osservati aumenti delle transaminasi in studi clinici controllati con ezetimibe + statina. In caso di tale co-somministrazione, eseguire test di funzionalità epatica all’inizio del trattamento e secondo quanto raccomandato per la statina. L'aggiunta di ezetimibe alla terapia con statine non sembra aumentare l'incidenza di livelli elevati di CK, al di là quanto osservato con la sola statina.

 

Inibitori di PCSK9

Meccanismo d’azione: PCSK9 si lega a LDL-R sulla superficie degli epatociti, promuovendone la degradazione all’interno del fegato. Gli inibitori di PCSK9 sono anticorpi monoclonali, che impediscono il legame di PCSK9 con LDL-R e quindi ne inibiscono la degradazione. I risultati migliori sono stati dimostrati in combinazione con le statine, perchè queste aumentano i livelli circolanti di PCSK9.

Effetti su LDL-C: riduzione di circa il 60%, con differenze dipendenti dai dosaggi. In combinazione con statine ad alta intensità o alla massima dose tollerata hanno ridotto LDL-C del 46-73% più del placebo e del 30% più dell’ezetimibe. Per il meccanismo d’azione, sono efficaci nel ridurre LDL-C in tutti i pazienti capaci di esprimere LDL-R a livello epatico, compresi quelli con FH eterozigote e, anche se in misura minore, in quelli con FH omozigote con residua espressione di LDL-R (dimostrato per evolocumab).

Effetti su HDL-C e ApoA-1: aumento in funzione del dosaggio.

Effetti su Lp(a): a differenza delle statine, riduzione anche del 30-40%.

Effetti su TG: riduzione.

Prevenzione del rischio CV: in combinazione con statine ad alte dosi possono ridurre eventi CV e mortalità per tutte le cause in pazienti con ASCVD clinica (11,12). La riduzione del rischio CV appare in linea con la riduzione di LDL-C.

Modalità di somministrazione: ogni due settimane o una volta al mese, a dosi diverse a seconda del farmaco utilizzato.

Eventi avversi: lievi e relativamente non frequenti, soprattutto prurito nel sito di iniezione e sintomi simil-influenzali.
Si segnala che il costo di questi farmaci è particolarmente elevato.

 

Resine sequestranti gli acidi biliari

Meccanismo d’azione: non sono assorbite in circolo, né alterate dagli enzimi digestivi. Legano gli acidi biliari, riducendone il ricircolo entero-epatico e determinando così una deplezione di bile a livello epatico. Il conseguente aumento della sintesi di acidi biliari a partire dal colesterolo porta a un aumento compensatorio dell'attività del LDL-R a livello epatico, con aumentato sequestro di LDL-C dal circolo. Riducono anche i livelli di glucosio nei pazienti iperglicemici.

Effetti su LDL-C: riduzione del 18-25% con 24 g di colestiramina.

Prevenzione del rischio CV: riduzione degli eventi CV proporzionale al grado di diminuzione di LDL-C.

Modalità di somministrazione: quattro ore prima o un’ora dopo altri farmaci.

Eventi avversi: possono aumentare i livelli di TG in pazienti predisposti e ridurre l'assorbimento di vitamine liposolubili; causano effetti collaterali di tipo intestinale (flatulenza, stipsi, dispepsia e nausea), presentano importanti interazioni con molti altri farmaci. Sono ritenuti contro-indicati se TG > 500 mg/dL (7).

 

Lomitapide

Meccanismo d’azione: inibisce la proteina microsomiale di trasporto dei TG, che facilita l’incorporazione di esteri colesterilici e trigliceridi nelle VLDL a livello epatico e nei chilomicroni a livello intestinale, attraverso l’interazione rispettivamente con apoB-100 e apoB-48. Ha indicazione solo per pazienti adulti affetti da FH omozigote.

Effetti su LDL-C: riduzione del 44-50%, con effetto indipendente da LDL-R.

Modalità di somministrazione: orale.

Eventi avversi: aumento delle transaminasi, steatosi epatica, scarsa tollerabilità gastro-enterica.

 

 

NUOVI FARMACI PER L’IPERCOLESTEROLEMIA (approvati dall’EMA nel 2020, saranno disponibili a breve in Italia)

 

Acido bempedoico

Meccanismo d’azione: inibisce a livello epatico l’enzima ATP-citrato liasi, coinvolto nel processo di sintesi del colesterolo a monte del bersaglio delle statine.

Efficacia: in uno studio clinico di fase 3 in 269 pazienti già in terapia con ezetimibe 10 mg/die, dopo 12 settimane si osservava una riduzione di LDL-C rispetto al basale del 23.5% con acido bempedoico (180 mg/die) vs un aumento del 5% nel braccio ezetimibe + placebo (13). Un altro studio di fase 3 in 382 pazienti che assumevano la dose massima tollerata di statina, ha evidenziato dopo 3 mesi una riduzione di LDL-C rispetto al basale del 36.2% nei pazienti che oltre alla statina assumevano acido bempedoico 180 mg + ezetimibe 10 mg in associazione fissa, del 23.2% con solo ezetimibe, del 17.2% con solo acido bempedoico. Negli studi di fase 3 si è osservata anche una diminuzione significativa di PCR (14).

Indicazioni: approvato da EMA negli adulti affetti da ipercolesterolemia primaria (FH eterozigote e non familiare) o dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta:

  • in mono-terapia:
    • in associazione a una statina o con una statina in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti nei pazienti non in grado di raggiungere gli obiettivi di LDL-C con la dose massima tollerata di una statina;
    • in mono-terapia o in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti in pazienti intolleranti alle statine o nei quali ne è contro-indicato l’uso;
  • in associazione fissa con ezetimibe (180 mg/10 mg):
    • in combinazione con una statina nei pazienti non in grado di raggiungere gli obiettivi di LDL-C con la dose massima tollerata di una statina oltre a ezetimibe;
    • in mono-terapia in pazienti intolleranti alle statine o nei quali ne è contro-indicato l’uso, e che non sono in grado di raggiungere gli obiettivi di LDL-C solo con ezetimibe;
    • nei pazienti già in trattamento con l’associazione di acido bempedoico ed ezetimibe sotto forma di compresse distinte con o senza statina.

Modalità di somministrazione: orale, 180 mg/die.

Eventi avversi: aumenta le concentrazioni plasmatiche delle statine. Segnalati come “comuni” (1/10-100) aumento di transaminasi e di uricemia, gotta, anemia; “non comuni” (1/100-1000) aumento di creatinina e riduzione della velocità di filtrazione glomerulare.

 

Inclisiran

Meccanismo di azione: è uno small-interfering RNA, che inibisce la sintesi di PCSK9, attivando una via naturale di silenziamento selettivo dell’espressione genica. La molecola è stata legata a una N-acetil-galattosamina sintetica, che ne permette l’aumentata adesione alla membrana cellulare degli epatociti con specificità di azione. Negli epatociti riduce contemporaneamente i livelli di PCSK9 sia intra- che extra-cellulari, causando una diminuzione sostanziale e protratta di LDL-C.

Efficacia: sono stati pubblicati i risultati di 3 RCT (ORION-9, ORION-10, ORION-11) (15,16) su pazienti adulti con LDL-C elevato nonostante il trattamento con la dose massima tollerata di statina, con o senza terapia ipolipemizzante addizionale ma non in terapia con anticorpi anti-PCSK9. Dimostrata riduzione di LDL-C di circa il 50%, simile a quella ottenuta con anti-PCSK9. Rispetto al placebo, risultavano migliorati oltre a LDL-C, anche colesterolo totale, non HDL-C e apoB, TG e Lp(a) ed erano aumentati i livelli di HDL-C. È attualmente in corso uno studio per gli esiti CV (29).

Indicazioni: approvato da EMA per il trattamento di adulti con ipercolesterolemia primaria (FH eterozigote e non familiare) o dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta:

  • in combinazione con una statina o con una statina e altre terapie ipolipemizzanti nei pazienti incapaci di raggiungere gli obiettivi di LDL-C con la dose massima tollerata di una statina;
  • da solo o in combinazione con altre terapie ipolipemizzanti nei pazienti che siano intolleranti alle statine, o per i quali una statina sia contro-indicata.

Modalità di somministrazione: sottocutanea alla dose iniziale di 284 mg, con una seconda somministrazione a tre mesi e poi ogni sei mesi.

Eventi avversi: generalmente simili al placebo, tranne disturbi nel sito di iniezione, di solito lievi o moderati, non persistenti.

 

 

RACCOMANDAZIONI ESC/EAS 2019 PER LA TERAPIA FARMACOLOGICA DELL’IPERCOLESTEROLEMIA (1)

  1. Prescrivere una statina ad alta intensità fino alla massima dose tollerata, per raggiungere l’obiettivo definito per lo specifico livello di rischio (raccomandazione classe I, livello A).
  2. Se l’obiettivo non è raggiunto alla massima dose di statina tollerata, è raccomandata la combinazione con ezetimibe (raccomandazione classe I, livello B).
  3. In prevenzione primaria per pazienti ad alto rischio ma senza FH, se non raggiunto l’obiettivo di LDL-C alla massima dose tollerata di statina ed ezetimibe, può essere considerata la combinazione con inibitore di PCSK9 (raccomandazione classe IIb, livello C).
  4. In prevenzione secondaria per pazienti a rischio molto alto che non raggiungano il loro obiettivo alla massima dose tollerata di statina ed ezetimibe, è raccomandata la combinazione con inibitore di PCSK9 (raccomandazione classe I, livello A).
  5. Per pazienti con FH a rischio molto alto (cioè con ASCVD o con un altro FR maggiore) che non raggiungano il loro obiettivo con la massima dose tollerata di statina ed ezetimibe, è raccomandata la combinazione con inibitore di PCSK9 (raccomandazione classe I livello C).
  6. Se una terapia con statina non è tollerata a qualunque dosaggio (anche dopo rechallenge), da considerare l’ezetimibe (raccomandazione classe IIa, livello C).
  7. Se una terapia con statina non è tollerata a qualunque dosaggio (anche dopo rechallenge), può essere considerato anche un inibitore di PCSK9 aggiunto a ezetimibe (raccomandazione classe IIb, livello C).
  8. Se l’obiettivo non è raggiunto, può essere considerata la combinazione di statina con un sequestrante degli acidi biliari (raccomandazione IIb, livello C).

 

 

Tabella 4
Intensità della terapia ipolipemizzante
(mod. da 1)
Terapia Riduzione media di LDL-C
Statina intensità moderata ≈30%
Statina alta intensità ≈50%
Statina alta intensità + ezetimibe ≈65%
Inibitore PCSK9 ≈60%
Inibitore PCSK9 + statina alta intensità ≈75%
Inibitore PCSK9 + statina alta intensità + ezetimibe ≈85%

 

 

Anziani
Negli anziani ≤ 75 anni è raccomandata la terapia con statine in prevenzione primaria, in accordo con il livello di rischio (raccomandazione di classe I, livello A).
Negli anziani > 75 anni può essere considerato l’inizio di una statina in prevenzione primaria, se a rischio alto o molto alto (raccomandazione di classe IIb, livello B).
Si consiglia di iniziare con la dose più bassa di statina nei pazienti con compromissione della funzionalità renale o a rischio di interazioni farmacologiche.
Rimborsabilità secondo nota AIFA 13 dopo gli 80 anni: non è prevista in prevenzione primaria, mentre non ci sono limiti in prevenzione secondaria.

 

Sindrome coronarica acuta
Per i pazienti che presentino una s. coronarica acuta (SCA) e livelli di LDL-C non a target nonostante terapia alla massima dose tollerata con statina ed ezetimibe, dovrebbe essere considerata precocemente dopo l’evento (se possibile durante l’ospedalizzazione per SCA) l’associazione con un inibitore di PCSK9 (raccomandazione di classe IIa, livello C).

 

Pazienti a rischio CV molto alto sottoposti a intervento percutaneo sulle coronarie (PCI)
Nei pazienti con programmazione di PCI, sia in caso di SCA che in elezione, deve essere considerato di routine un pre-trattamento o un carico con statine ad alte dosi (su un background di terapia cronica).

 

Pazienti in dialisi
Per coloro che al momento dell’inizio della dialisi siano già in terapia con statine e/o ezetimibe deve essere considerata la prosecuzione di questi farmaci, soprattutto se affetti da ASCVD (classe IIA, livello C).
Per pazienti con nefropatia in dialisi liberi da ASCVD non è raccomandato l’inizio di una statina.

 

Donne
Valgono in genere le stesse indicazioni sia per il genere maschile che per quello femminile, ma i farmaci ipolipemizzanti non dovrebbero essere somministrati in caso di:

  • gravidanza pianificata;
  • gravidanza in atto;
  • allattamento in corso.

In pazienti con severa FH, in questi casi possono essere considerati sequestranti degli acidi biliari (che non sono assorbiti) e/o aferesi delle LDL.

 

 


TRATTAMENTO DELL’IPERTRIGLICERIDEMIA

 

FARMACI DISPONIBILI IN ITALIA (1)

Sono disponibili fibrati, omega-3, volanesorsen (sono stati già descritti sopra gli effetti sui TG di statine, ezetimibe, inibitori di PCSK9).

 

Fibrati

Meccanismo d’azione: sono agonisti di peroxisome proliferator-activated receptor-alfa (PPAR-α), che fra l’altro regola vari passaggi del metabolismo di lipidi e lipoproteine, agendo attraverso fattori di trascrizione.

Efficacia: Abbassano i livelli di TG sia a digiuno che post-prandiali e i remnant ricchi di TG. L’impatto clinico varia fra i diversi membri della classe dei fibrati, arrivando a una riduzione del 50% dei livelli di TG, con una riduzione fino al 20% di LDL-C (anche se si può osservare un piccolo aumento paradosso di LDL-C per elevati livelli di TG) e un aumento di HDL-C fino al 20%. L’entità dell’effetto dipende molto dai livelli lipidici basali. Gli effetti sia su HDL-C che sui TG sono risultati molto minori (rispettivamente circa del 5% e 20%) in studi di intervento a lungo termine in pazienti con DM2 ma senza livelli elevati di TG. L’efficacia dei fibrati nel ridurre gli eventi CV è molto meno robusta di quella delle statine e richiede ulteriori conferme.

Eventi avversi: sono di solito ben tollerati, con modesti eventi avversi, in particolare miopatia, aumento degli enzimi epatici, colelitiasi, sintomi gastro-enterici (< 5% dei pazienti) ed eruzione cutanea (< 2%). Il rischio di miopatia è 5.5 volte maggiore con un fibrato in mono-terapia (soprattutto gemfibrozil) che con una statina.

 

Acidi grassi omega-3

Meccanismo d’azione: influenzano le concentrazioni di lipidi sierici e lipoproteine, in particolare VLDL, con meccanismi ancora poco chiari, almeno in parte legati a interazione con PPAR e ridotta secrezione di apoB.

Efficacia: acido eicosapentaenoico (EPA) e docosaenoico (DHA) possono essere usati a dosi farmacologiche (2-4 g/die) per ridurre i TG fino al 45% in modo dose-dipendente. Fino al 2018 trial e metanalisi non avevano fornito chiare evidenze di efficacia sulla riduzione degli eventi CV indotta da omega-3, peraltro spesso utilizzati negli studi alla dose di 1 g/die, troppo bassa per influenzare in modo importante i lipidi plasmatici. Lo studio JELIS (25), in cui 18645 pazienti giapponesi con colesterolemia di almeno 6.5 mmol/L (circa 250 mg/dL) erano stati randomizzati a ricevere 1800 mg/die di EPA con statina o solo statina, ha dimostrato una riduzione relativa del 19% degli eventi coronarici maggiori nei pazienti in EPA più statina, con un follow-up medio di 4.6 anni. L’RCT REDUCE-IT (26) ha dimostrato una riduzione del rischio relativo di eventi avversi CV maggiori del 25% con icosapent etile (estere etilico di EPA altamente purificato, alla dose di 2 g x 2/die) rispetto al placebo in pazienti affetti da ASCVD accertata o DM e almeno un altro FR e già in terapia con statine, con LDL 41-100 mg/dL e TG 150-499 mg/dL. L’RCT STRENGTH, che valutava una formulazione di acidi carbossilici omega-3 (EPA e DHA 4 g/die) in pazienti con dislipidemia, ipertrigliceridemia (180-500 mg/dL), bassi livelli di HDL-C e alto rischio CV (70% diabetici) già in terapia con statina, è stato sospeso prima del termine previsto dopo un’analisi intermedia che indicava una bassa probabilità di benefici clinici degli omega-3, eventi avversi CV maggiori simili nei due gruppi, ma maggiore frequenza di fibrillazione atriale e eventi avversi gastro-intestinali (27). Continua pertanto a rimanere incerto il beneficio della terapia con omega-3 sul rischio CV (28).

Eventi avversi: gli omega-3 sono considerati sicuri e privi di interazioni cliniche, ma per effetti anti-trombotici possono aumentare i rischi di sanguinamento in associazione a aspirina/clopidogrel (1).

 

Volanesorsen

Meccanismo d’azione: è un oligonucleotide anti-senso, progettato per inibire la formazione di apoC-III, nota per regolare sia il metabolismo dei TG che la clearance epatica dei chilomicroni e di altre lipoproteine ricche di TG. Il legame selettivo di volanesorsen con l'mRNA di apoC-III causa la degradazione dell'mRNA e impedisce la traduzione della proteina, rimuovendo così un inibitore della clearance dei TG e consentendo il metabolismo attraverso una via LPL-indipendente.

Efficacia: nello studio clinico di fase 3 APPROACH, in pazienti con sindrome da chilomicronemia familiare, volanesorsen ha ridotto TG (-77%), colesterolo totale, colesterolo non-HDL, apoC-III (-84%), apoB-48, e i livelli di TG nel chilomicrone (-83%); inoltre ha aumentato i livelli di LDL-C, HDL-C e apoB (31).

Indicazione: unicamente come coadiuvante della dieta in pazienti adulti affetti da sindrome da chilomicronemia familiare, confermata geneticamente e ad alto rischio di pancreatite, in cui la risposta alla dieta e alla terapia di riduzione dei TG sia stata inadeguata.

Modalità di somministrazione: 285 mg sc ogni 1-2 settimane sotto il controllo di un medico esperto nel trattamento di questo tipo di pazienti.

Eventi avversi: è molto spesso associato a piastrinopenia. Risultano molto comuni anche reazioni cutanee nel sito di iniezione. Sono segnalati inoltre tossicità renale e aumenti degli enzimi epatici.

 

RACCOMANDAZIONI ESC/EAS 2019 PER LA TERAPIA FARMACOLOGICA DELL’IPERTRIGLICERIDEMIA PER RIDURRE IL RISCHIO CV (1)

Anche se il rischio di malattia CV è aumentato per livelli di TG a digiuno > 150 mg/dL, l’uso di farmaci per ridurre i TG può essere considerato solo in pazienti ad alto rischio, con trigliceridemia > 200 mg/dL che non possa essere ridotta con variazioni dello stile di vita. In questo contesto:

  1. la terapia con statine è raccomandata come prima scelta per ridurre il rischio di malattia CV in individui ad alto rischio con ipertrigliceridemia (> 200 mg/dL) (raccomandazione di classe I, livello B);
  2. nei pazienti a rischio alto o molto alto con TG di 135-499 mg/dL nonostante terapia con statina, dovrebbero essere considerati omega-3 (icosapent etile 2 g x 2/die) in combinazione con una statina (raccomandazione di classe IIa, livello B);
  3. nei pazienti in prevenzione primaria, che hanno raggiunto l’obiettivo di LDL-C, con TG > 200 mg/dL, possono essere considerati fenofibrato o bezafibrato in combinazione con statine (raccomandazione di classe IIb, livello B);
  4. nei pazienti ad alto rischio, che hanno raggiunto l’obiettivo di LDL-C, con TG > 200 mg/dL, possono essere considerati fenofibrato o bezafibrato in combinazione con statine (raccomandazione di classe IIb, livello C).

La nota 13 prevede la prescrizione a carico del SSN di fibrati (prima scelta fenofibrato) per  pazienti già in trattamento con statine che presentino HDL basse (< 40 mg/dL nei M e < 50 mg/dL nelle F) e/o trigliceridi elevati (> 200 mg/dL).

 

Donne: valgono in genere le stesse indicazioni sia per il genere maschile che per quello femminile, ma i farmaci ipolipemizzanti sono controindicati in gravidanza e allattamento.

 

Pazienti con compromissione renale: le dosi dei fibrati vanno quantomeno ridotte. In particolare (come risulta dalle schede tecniche dei farmaci):

  • eGFR 30-59 mL/min/1.73 m2: la dose/die di fenofibrato non deve superare i 100 mg standard o i 67 mg micronizzati;
  • creatininemia > 1.5 mg/dL o clearance < 60 mL/min: il bezafibrato è controindicato;
  • eGFR < 30 mL/min/1.73 m2: l’uso di questi farmaci non è raccomandato.

In caso di insufficienza renale cronica moderata o grave, la nota 13 prevede la prescrivibilità SSN dei soli omega-3 per livelli di trigliceridi ≥ 500 mg/dL.

 

Pazienti ≥ 65 anni: non è richiesto un aggiustamento della dose se la funzione renale è integra. Il bezafibrato non dovrebbe essere utilizzato poiché la clearance della creatinina dopo i 70 anni è solitamente < 60 mL/min. I pazienti anziani presentano più spesso comorbilità e necessità di politerapie, con conseguente maggiore probabilità di interazioni ed eventi avversi, di cui tener conto nella pianificazione delle terapie.

 

 

PREVENZIONE DELLA PANCREATITE ACUTA (1)
Per livelli di TG molto alti l’obiettivo della terapia è prevenire l’insorgenza di una pancreatite acuta. A questo scopo, oltre a dieta ipocalorica e ipolipidica e astinenza dagli alcoolici, iniziare un fibrato (fenofibrato) + eventuali omega-3 come terapia aggiuntiva.
Nei diabetici iniziare anche terapia insulinica per ottenere un buon controllo glicemico.
In situazioni di acuzie la plasmaferesi è rapidamente efficace.
Volanesorsen ha indicazione in aggiunta alla dieta in pazienti adulti con chilomicronemia familiare confermata geneticamente, che siano ad alto rischio di pancreatite.

 

 


TERAPIA IPOLIPEMIZZANTE IN BAMBINI E ADOLESCENTI CON IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE

L’ipercolesterolemia familiare (FH) è un’alterazione genetica ereditata in modo autosomico dominante (con una eccezione recessiva), caratterizzata da concentrazioni elevate di LDL-C, che causano patologia CV prematura (32-34). È dovuta a mutazioni che interessano (33):

  • nella maggioranza dei casi il recettore LDL;
  • nel 5% dei casi l’ApoB;
  • in < 1% dei casi PCSK9;
  • in una forma recessiva molto rara il gene LDLRAP (LDL receptor adaptor protein) 1.

La condizione di eterozigosi (HeFH) interessa 1/200 – 1/300 persone nel mondo, nella maggior parte dei casi con livelli di LDL-C di 190-500 mg/dL. La forma omozigote (HoFE), molto più rara, interessa da 1/160.000 a 1/300.000 persone, con livelli di LDL-C abitualmente > 500 mg/dL (34).

 

Criteri per la diagnosi di FH in età pediatrica (1,33)
La diagnosi può essere su base fenotipica o genetica.

Diagnosi fenotipica:

  • alta probabilità di FH:
    • LDL-C ≥ 5 mmol/L (> 190 mg/dL) in due occasioni successive dopo 3 mesi di dieta;
    • LDL-C ≥ 4 mmol/L (> 150 mg/dL) associato a storia familiare di cardiopatia ischemica (CHD) prematura in parenti stretti e/o ipercolesterolemia in un genitore;
  • possibile presenza di FH: LDL-C ≥ 3.5 mmol/L (135 mg/dL) nel bambino con un genitore con una diagnosi genetica.

 

Tappe diagnostiche
Considerare la diagnosi di FH nei bambini in presenza di LDL-C > 150 mg/dL.
Escludere cause secondarie di LDL-C elevato: ipotiroidismo, sindrome nefrosica, malattie colestatiche, obesità, anoressia, terapie farmacologiche (per es. isoretinoidi). Andrebbero considerate anche la sitosterolemia e la malattia da accumulo di esteri del colesterolo, per quanto estremamente rare.
In caso di genitore deceduto per CHD, un bambino con ipercolesterolemia anche moderata andrebbe sottoposto a indagine genetica per FH e per aumento su base ereditaria di Lp(a).
Se disponibile l’indagine genetica, è raccomandato lo screening a cascata della famiglia, usando sia la strategia fenotipica che genotipica. Se non è disponibile l’indagine genetica, deve essere usata una strategia fenotipica basata su livelli di LDL-C specifici per regione, età e genere.
I bambini con sospetto di HeFH dovrebbero essere sottoposti a screening dall’età di 5 anni.
Lo screening per HoFH dovrebbe essere iniziato al momento del sospetto clinico (due genitori affetti o presenza di xantomi) o appena possibile. Può essere considerato anche lo screening universale nell’infanzia.

 

Obiettivi di LDL-C

  • Bambini da 8 a 10 anni: riduzione del 50% rispetto ai livelli pre-terapia, soprattutto in quelli con condizioni ad alto rischio o con altri fattori di rischio maggiori.
  • Dai 10 anni: LDL-C < 3.5 mmol/L (< 135 mg/dL) (consenso di esperti, in assenza di evidenze per un target assoluto in bambini con FH).

 

Farmaci utilizzabili per la terapia dell’FH in età pediatrica (1,33)

Statine. Sono il cardine della terapia ipolipemizzante. Approvate in Europa per l’uso nei bambini:

  • dai 6 anni: rosuvastatina;
  • dagli 8 anni: pravastatina;
  • dai 10 anni: simvastatina, lovastatina, atorvastatina, fluvastatina.

In pazienti con insufficienza renale cronica andrebbero utilizzate statine non escrete dal rene, come atorvastatina o simvastatina.
È necessario tener conto delle potenziali interazioni farmacologiche con le statine:

  • simvastatina e atorvastatina: farmaci metabolizzati dal citocromo P450 (CYP) 3A4;
  • rosuvastatina e fluvastatina: farmaci metabolizzati dal CYP 2C9.

Pravastatina è una statina debole, ma non ha interferenze significative con gli enzimi CYP ed è quindi un farmaco sicuro per iniziare il trattamento nei bambini.

Ezetimibe. Approvato per l’uso nei bambini > 10 anni e molto ben tollerato.

Alimenti arricchiti con steroli/stanoli vegetali. L’uso non è raccomandato per bambini < 6 anni.

Alirocumab ed evolocumab. Non hanno indicazione per l’età pediatrica, con l’eccezione di evolocumab in caso di HoFH in adolescenti di età ≥ 12 anni.

 


BIBLIOGRAFIA

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Stampa

Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

(aggiornamento al 18 febbraio 2021)

 

Meccanismo di azione
Potenti inibitori competitivi dell’enzima limitante la sintesi del colesterolo, 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA (HMG-CoA) reduttasi, che converte l’HMG-CoA in mevalonato. Con questo meccanismo riducono la concentrazione cellulare epatica di colesterolo e determinano l’attivazione dei meccanismi che portano a una maggiore espressione dei recettori delle LDL sulla superficie degli epatociti, con conseguente maggior captazione di colesterolo LDL (LDL-C) dal sangue e riduzione delle concentrazioni plasmatiche di LDL-C e delle lipoproteine contenenti apo-B (comprese le particelle ricche di trigliceridi).
Differiscono fra loro per assorbimento, biodisponibilità, legame alle proteine plasmatiche, escrezione e solubilità. Lovastatina e simvastatina sono pro-farmaci, mentre le altre statine sono somministrate nella loro forma attiva. Il loro assorbimento varia dal 20 al 98%. La biodisponibilità è relativamente bassa, per un effetto di primo passaggio nel fegato. Molte statine vengono metabolizzate a livello epatico con gli isoenzimi del citocromo P450, eccetto pravastatina, rosuvastatina, pitavastatina, che hanno una clearance almeno parzialmente renale. Il grado di riduzione di LDL-C è dose-dipendente e diverso per le diverse statine. La tabella mostra l’equivalenza approssimativa fra le diverse molecole.

 

Equivalenza approssimativa fra le diverse statine
Pitavastatina 1 mg
Rosuvastatina 5 mg
Atorvastatina 10 mg
Simvastatina 20 mg
Pravastatina 40 mg
Lovastatina 40 mg
Fluvastatina 80 mg

 

Indicazioni
Trattamento dell’ipercolesterolemia primaria o della dislipidemia mista, quando la risposta alla dieta e alle modificazioni dello stile di vita si dimostrano inadeguate.
Ipercolesterolemia familiare omozigote in associazione con altri trattamenti (es. LDL aferesi).
Riduzione della mortalità e morbilità cardiovascolare in pazienti con malattia aterosclerotica cardiovascolare manifesta o diabete mellito, con livelli di colesterolo normali o aumentati, in aggiunta alla correzione di altri fattori di rischio o di altre terapie cardioprotettive.

 

Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
Epatopatia in fase attiva o innalzamenti persistenti delle transaminasi sieriche, non riconducibili a causa evidente (esempio steatosi epatica).
Gravidanza e allattamento.
Per simvastatina inoltre: somministrazione concomitante di potenti inibitori del CYP3A4 (agenti che aumentano la AUC di circa 5 volte o più) (es. itraconazolo, ketoconazolo, posaconazolo, voriconazolo, inibitori della proteasi dell'HIV (es. nelfinavir), boceprevir, telaprevir, eritromicina, claritromicina, telitromicina e nefazodone). Somministrazione concomitante di gemfibrozil, ciclosporina o danazolo.
Per rosuvastatina inoltre: pazienti con grave compromissione della funzionalità renale (clearance della creatinina < 30 mL/min), o con miopatia o trattati contemporaneamente con ciclosporina. La dose da 40 mg è controindicata nei pazienti con fattori predisponenti alla miopatia/rabdomiolisi, come:

  • compromissione della funzionalità renale moderata (clearance della creatinina < 60 mL/min);
  • ipotiroidismo;
  • storia personale o familiare di malattie muscolari ereditarie;
  • storia pregressa di tossicità muscolare con altri inibitori della HMG-CoA reduttasi o fibrati;
  • abuso di alcool;
  • condizioni che possono determinare un aumento dei livelli plasmatici del farmaco;
  • pazienti asiatici;
  • uso concomitante di fibrati.

Per pitavastatina inoltre: pazienti sottoposti a terapia concomitante con ciclosporina.

 

Preparazioni, vie di somministrazione, posologia

 

Modalità di somministrazione e monitoraggio
Prima di iniziare un trattamento, è opportuna l’esecuzione di alcuni esami di laboratorio di routine, fra cui ALT e CK.
Di solito è raccomandata la somministrazione serale.
La risposta alla terapia può essere valutata a 6-8 settimane dopo l’inizio.

 

Effetti collaterali
L’esperienza, che si è accumulata in ormai tre decenni di uso su parecchi milioni di pazienti trattati per vari anni in modo continuativo, lascia pochi dubbi sull’effettiva sicurezza di questa classe di farmaci. Sono di solito ben tollerate, ma sono possibili eventi avversi di cui è importante tenere conto nella prescrizione.
A livello muscolare: sintomi muscolari sono i più comuni fra gli eventi avversi clinicamente rilevanti. La forma più seria è la rabdomiolisi, caratterizzata da dolore, necrosi muscolare, con aumento di CK di almeno 10 volte rispetto al massimo valore normale, e mioglobinuria. La vera rabdomiolisi (con CK ≥ 10 volte il valore massimo normale), è rara (stimata in 1-3 casi/100 000 pazienti-anno), ma potenzialmente grave, potendo portare, per il rilascio di mioglobina in circolo, a insufficienza renale e morte; di solito, tuttavia, si risolve rapidamente sospendendo la statina. Negli studi randomizzati in cieco la frequenza di sintomi muscolari nei gruppi in statina è analoga o solo lievemente maggiore rispetto ai gruppi in placebo. In contrasto con queste osservazioni, negli studi osservazionali non randomizzati il 10-15% dei pazienti che assumevano statine riportava sintomi muscolari, cosiddetti statin-associated muscle symptoms (SAMS), senza alterazioni di CK o perdite significative di funzione. Questo potrebbe essere, almeno in parte, attribuibile a un effetto nocebo (1).
La combinazione di statine e gemfibrozil aumenta il rischio di miopatia e deve essere evitata. Il motivo è da ricercare nella competizione per il processo di glicuronazione, che rappresenta una via metabolica comune per i due farmaci. Il rischio sembra essere piccolo con altri fibrati.
A livello epatico: una moderata elevazione di ALT si osserva nello 0.5-2% dei pazienti trattati, più spesso con le statine più potenti o ad alte dosi. Si ritiene clinicamente rilevante un aumento di tre volte rispetto al massimo valore normale in due occasioni. Una moderata alterazione di ALT non si è dimostrata associata a vera epatotossicità o alterazioni nella funzionalità epatica. Nei pazienti con steatosi epatica e con una moderata alterazione di ALT non ci sono evidenze di un peggioramento dell'epatopatia.
Diabete: il rischio relativo di diabete aumenta del 9% rispetto al placebo, e il rischio assoluto dello 0.2% (corrispondenti a un caso di diabete ogni 255 trattati per 4 anni). Il rischio è più alto con le statine più potenti ad alte dosi, nell'anziano e in presenza di altri fattori di rischio per diabete (sovrappeso o insulino-resistenza). Tuttavia, il beneficio sulla probabilità di malattia cardio-vascolare nei pazienti a rischio elevato si ritiene che sia sufficiente a controbilanciare questo possibile evento avverso. Considerare comunque un controllo regolare di HbA1c nei pazienti a rischio elevato di sviluppare diabete mellito in corso di statina ad alta dose.
È da rilevare che mentre la comparsa di tossicità epatica clinicamente rilevante (ALT ≥ 3x ULN) e/o muscolare minore impone la sospensione della statina, tuttavia non controindica in modo assoluto un tentativo di ripresa della terapia a basso dosaggio con una statina diversa. In questo caso è d’obbligo, naturalmente, un’attenta sorveglianza dei segni clinici e dei parametri biochimici di tossicità, che è comunque sempre da effettuare in tutti i pazienti in terapia cronica.
Il rischio di miopatia e rabdomiolisi è aumentato nelle statine metabolizzate dal citocromo P450 3A4 per possibili interferenze da parte di altri farmaci potenzialmente in grado di interferire con l’isoenzima del citocromo P450 CYP3A:

  • agenti anti-infettivi: itraconazolo, chetoconazolo, posaconazolo, eritromicina, claritromicina, telitromicina, inibitori delle proteasi per l’HIV;
  • calcio-antagonisti: verapamil, diltiazem, amlodipina;
  • altri farmaci: ciclosporina, danazolo, amiodarone, ranolazina, nefazodone, gemfibrozil;
  • succo di pompelmo.

In caso di insufficienza renale cronica (stadi 3-5), è importante l’adeguamento delle dosi per evitare concentrazioni plasmatiche eccessive. Si segnala che fluvastatina, atorvastatina, pitavastatina presentano un metabolismo prevalentemente epatico. Cautela è necessaria nei pazienti in poli-terapia e con comorbilità, nei pazienti più anziani (spesso caratterizzati da comorbilità, poli-terapie, alterazioni di farmaco-cinetica e farmaco-dinamica), nei pazienti asiatici: in questi casi le statine dovrebbero essere iniziate a bassa dose e poi titolate per raggiungere il livello ottimale di LDL-C. Attenzione anche a un possibile modesto effetto di potenziamento degli anti-coagulanti cumarinici.

 

Limitazioni prescrittive
Nota AIFA 13: la rimborsabilità dopo gli 80 anni non è prevista in prevenzione primaria, mentre non ci sono limiti in prevenzione secondaria.
Tutte rimborsabili dal SSN in classe A, tranne pitavastatina

 

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  • Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. 2019 ESC/EAS guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk. Eur Heart J 2020, 41: 111-88.
  • Egom EE, Hafeez H. Biochemistry of statins. Adv Clin Chem 2016, 73: 127-68.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

(aggiornamento al 18/2/2021)

 

Meccanismo di azione
Inibisce l'assorbimento di colesterolo, sia proveniente dalla dieta che dalla secrezione biliare, a livello della mucosa intestinale, interferendo con Niemann Pick C1-like receptor 1 a livello dell'orletto a spazzola dell'intestino tenue, senza determinare interferenze con l'assorbimento dei nutrienti liposolubili. In risposta al ridotto apporto di colesterolo, il fegato reagisce aumentando l'espressione di LDL-R, aumentando la clearance di LDL dal sangue.
Ezetimibe è utilizzato prevalentemente in associazione con una statina. Infatti, questi due farmaci svolgono un’azione che risulta complementare: le statine inibiscono la sintesi endogena di colesterolo e questo determina, come per un meccanismo di compenso, un aumento dell’assorbimento del colesterolo intestinale, che può anche raddoppiare. Questo fenomeno attenua l’effetto dell’azione ipocolesterolemizzante della statina. Al lato opposto, quando si inibisce l’assorbimento intestinale di colesterolo con l’ezetimibe, si verifica un aumento compensatorio della sintesi epatica di colesterolo. La contemporanea inibizione dell’assorbimento degli steroli e la riduzione della sintesi di colesterolo ha dunque un effetto complementare, che si oppone alla fisiologica reazione dell’organismo alle due azioni.
In monoterapia riduce LDL-C del 15-22%, mentre in aggiunta a una statina determina un'ulteriore diminuzione di LDL-C del 15-20%. Nel 2015 il trial IMPROVE-IT ha dimostrato che, rispetto alla sola statina, ezetimibe + simvastatina riducevano in modo significativo gli eventi cardiovascolari maggiori del 7%, quando iniziati entro 10 giorni da una sindrome coronarica acuta, con una maggiore diminuzione di LDL-C di circa 16 mg/dL. Sempre nel 2015 il trial PRECISE-IVUS ha dimostrato una maggiore regressione del volume della placca coronarica con ezetimibe + atorvastatina rispetto alla sola atorvastatina. Un'ulteriore conferma dell'effetto benefico di ezetimibe è venuta da studi genetici delle mutazioni di NPClL1: mutazioni spontanee inattivanti la proteina sono risultate associate con livelli plasmatici ridotti di LDL-C e con rischio ridotto di coronaropatia. 

 

Indicazioni
In monoterapia è indicato come terapia aggiuntiva alla dieta nei pazienti intolleranti alle statine, nei pazienti in cui le statine sono controindicate e nei pazienti affetti da sitosterolemia familiare omozigote.
Somministrato con una statina, è indicato come terapia aggiuntiva alla dieta, nei pazienti con ipercolesterolemia primaria.

 

Controindicazioni
Insufficienza epatica moderata e grave, gravidanza.

 

Preparazioni, vie di somministrazione, posologia

In associazione con statina:

 

Modalità di somministrazione
Può essere somministrato al mattino o alla sera, indipendentemente dai pasti.
Non sono necessari aggiustamenti della dose in caso di lieve insufficienza epatica o insufficienza renale anche severa.

 

Effetti collaterali
Il farmaco in monoterapia è in genere ben tollerato.
Sono stati osservati aumenti delle transaminasi in studi clinici controllati con ezetimibe + statina. In caso di tale co-somministrazione, eseguire test di funzionalità epatica all’inizio del trattamento e secondo quanto raccomandato per la statina. L'aggiunta di ezetimibe alla terapia con statine non sembra aumentare l'incidenza di livelli elevati di CK, al di là quanto osservato con la sola statina.
Cautela deve essere usata nell’uso in associazione con ciclosporina.

 

Limitazioni prescrittive
Nota AIFA 13.

 

Bibliografia

  • Phan BAP, Dayspring TD, Toth PP. Ezetimibe therapy: mechanism of action and clinical update. Vasc Health Risk Manag 2012, 8: 415-27.
  • Hegele RA, et al. Nonstatin low-density lipoprotein. Lowering therapy and cardiovascular risk reduction-statement from ATVB Council. Arterioscl Thromb Vasc Biol 2015, 35: 2269-80.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

(aggiornamento al 18 febbraio 2021)

 

Meccanismo di azione
I fibrati agiscono come agonisti del recettore nucleare peroxisome proliferator-activated receptor-alfa (PPAR-α), che regola vari passaggi del metabolismo di lipidi e lipoproteine agendo attraverso fattori di trascrizione; attraverso l'interazione con PPAR-α reclutano differenti cofattori e regolano l'espressione genica. Come conseguenza abbassano i livelli di trigliceridi fino al 50% sia a digiuno che post-prandiali e i remnant ricchi di trigliceridi, con un modesto effetto di aumento di HDL-C.

 

Indicazioni
In aggiunta alla dieta e ad altri trattamenti non farmacologici (esercizio fisico, riduzione ponderale) per:

  • trattamento dell’ipertrigliceridemia grave con o senza bassi livelli di colesterolo HDL;
  • iperlipidemia mista, quando una statina è controindicata o non tollerata;
  • iperlipidemia mista nei pazienti ad alto rischio CV, in aggiunta a una statina, quando i livelli di trigliceridi e di colesterolo HDL non sono adeguatamente controllati.

 

Controindicazioni
Insufficienza renale.
Insufficienza epatica (compresa la cirrosi biliare) e persistenti alterazioni della funzionalità epatica di natura non chiara.
Malattia della colecisti.
Pancreatite acuta o cronica, ad eccezione della pancreatite acuta dovuta a grave ipertrigliceridemia.
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
Foto-allergia nota o reazioni di foto-tossicità durante il trattamento con fibrati o ketoprofene.

 

Preparazioni, vie di somministrazione, posologia

 

Effetti collaterali
Colelitiasi e sintomi gastroenterici < 5%.
Eruzione cutanea 2%.
Miopatia, specie se insufficienza renale cronica. Il rischio di miopatia è 5.5 volte maggiore con un fibrato in mono-terapia (soprattutto gemfibrozil) che con una statina. Gemfibrozil inibisce il metabolismo delle statine per la via della glucuronidazione, portando a marcati aumenti della concentrazione plasmatica delle statine. Il fenofibrato ha vie farmacocinetiche diverse, e presenta un rischio di miopatia minore con questa associazione.
Come effetti di classe, aumentano i livelli di transaminasi, omocisteina e creatinina (questo è completamente reversibile con la sospensione della terapia e non sembra riflettere nessun effetto avverso sulla funzionalità renale); sono inoltre associati a un piccolo aumento del rischio di pancreatite ed embolia polmonare.

 

Precauzioni
Nei pazienti con compromissione renale le dosi vanno quantomeno ridotte. In particolare (come risulta dalle schede tecniche dei farmaci):

  • eGFR 30-59 mL/min/1.73 m2: la dose/die di fenofibrato non deve superare i 100 mg standard o i 67 mg micronizzati;
  • creatininemia > 1.5 mg/dL o clearance < 60 mL/min: il bezafibrato è controindicato;
  • eGFR < 30 mL/min/1.73 m2: l’uso di questi farmaci non è raccomandato.


 

Limitazioni prescrittive
Nota AIFA 13: prescrizione a carico del SSN di fibrati (prima scelta fenofibrato) per  pazienti già in trattamento con statine che presentino HDL basse (< 40 mg/dL nei M e < 50 mg/dL nelle F) e/o trigliceridi elevati (> 200 mg/dL).

 

Bibliografia

  1. Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. 2019 ESC/EAS guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk. Eur Heart J 2020, 41: 111-88.
  2. Hegele RA, et al. Nonstatin low-density lipoprotein. Lowering therapy and cardiovascular risk reduction-statement from ATVB Council. Arterioscl Thromb Vasc Biol 2015, 35: 2269-80.
  3. Gulizia MM, Colivicchi F, Ricciardi G, et al. Documento di consenso intersocietario ANMCO/ISS/ANCE/ARCA/FADOI/GICR-IACPR/SIGI-GISE/SIBioC/SIC/SICOA/ SID/SIF/SIMEU/SIMG/SIMI/SISA. Colesterolo e rischio cardiovascolare: percorso diagnostico-terapeutico in Italia. G Ital Cardiol 2016, 17 (6 suppl 1): 3S-57S.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

 

Meccanismo di azione
Non vengono assorbite in circolo, né alterate dagli enzimi digestivi. Legano gli acidi biliari riducendone il ricircolo entero-epatico epatico e determinando così una deplezione di bile a livello epatico. Di conseguenza il fegato, depleto di acidi biliari, ne sintetizza maggiormente, usando le riserve epatiche di colesterolo. L'aumentato catabolismo epatico del colesterolo in acidi biliari porta a un aumento compensatorio dell'attività del recettore per LDL a livello epatico, con aumentato sequestro di LDL-C dal circolo: 24 g di colestiramina riducono LDL-C del 18-25%.
Riducono anche i livelli di glucosio nei pazienti iperglicemici.

 

Indicazioni
Ipercolesterolemie primarie.
Ipercolesterolemia associata a ipertrigliceridemia quando la prima rappresenta il maggior problema terapeutico, in tutti i casi che non rispondono al solo trattamento dietetico.
Ostruzione parziale delle vie biliari, per il sollievo del prurito associato.

 

Controindicazioni
Trigliceridi > 500 mg/dL.
Ostruzione completa delle vie biliari (non potendo esplicare alcuna attività se la bile non viene secreta nell'intestino).
Gravidanza e allattamento.
Fenilchetonuria, per la presenza fra gli eccipienti di aspartame (30 mg in ogni bustina nelle preparazioni in commercio), fonte di fenilalanina.

 

Preparazioni, vie di somministrazione, posologia

 

Modalità di somministrazione
Quattro ore prima o un’ora dopo altri farmaci.

 

Effetti collaterali
Flatulenza, stipsi, dispepsia e nausea.
Possono aumentare i trigliceridi in pazienti predisposti per l’aumentata attività di 7-α-idrossilasi.
Possono ridurre l'assorbimento di vitamine liposolubili.
Importanti interazioni con molti altri farmaci.

 

Limitazioni prescrittive
Rimborsabile, classe A.

 

Bibliografia

  1. Hegele RA, Gidding SS et al. Nonstatin low-density lipoprotein. Lowering therapy and cardiovascular risk reduction-statement from ATVB Council. Arterioscl Thromb Vasc Biol 2015, 35: 2269-80.
  2. Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. 2019 ESC/EAS guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk. Eur Heart J 2020, 41: 111-88.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

(aggiornamento al 18 febbraio 2021)

 

Meccanismo di azione
Influenzano le concentrazioni di lipidi sierici e lipoproteine, in particolare VLDL, con meccanismi ancora poco chiari, almeno in parte legati a interazione con PPAR e ridotta secrezione di apoB. Acido eicosapentaenoico e acido docosaenoico sono usati a dosi farmacologiche (2-4 g/die) per ridurre i i livelli di trigliceridi. Determinano riduzione dei trigliceridi fino al 45% circa, in misura dose-dipendente, mentre gli effetti sulle altre lipoproteine sono insignificanti.

 

Indicazioni
Ipertrigliceridemia: riduzione dei livelli elevati di trigliceridi quando si sia dimostrata insufficiente la risposta a dieta e altre misure non farmacologiche (il trattamento deve essere sempre associato ad adeguato regime dietetico).
Prevenzione secondaria nel paziente con pregresso infarto miocardico, in associazione ad altre misure terapeutiche quando appropriate, per ridurre il rischio di mortalità.

 

Controindicazioni
Gravidanza e allattamento.

 

Preparazioni, vie di somministrazione, posologia

 

Effetti collaterali
Privi di interazioni cliniche.
Per effetto anti-trombotico possono aumentare i rischi di sanguinamento in associazione a aspirina/clopidogrel.

 

Limitazioni prescrittive
Nota 13 + 94.

 

Bibliografia

  1. Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. 2019 ESC/EAS guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk. Eur Heart J 2020, 41: 111-88.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

 

Meccanismo d’azione
La pro-proteina convertasi subtilisina/kexina tipo 9 (PCSK9) è una proteina di origine prevalentemente epatica e intestinale, che, dopo essere stata secreta in circolo, è in grado di legarsi al recettore per le LDL (LDL-R) sulla superficie degli epatociti. In assenza di PCSK9, quando si verifica il legame fra le LDL e LDL-R, il complesso viene internalizzato all’interno di una vescicola. Qui il complesso viene dissociato e, mentre le LDL vengono trasportate ai lisosomi e degradate, il recettore viene riciclato sulla superficie cellulare. Se invece PCSK9 si lega a LDL-R, questo impedisce che dopo l’internalizzazione LDL-R venga nuovamente riciclato sulla superficie cellulare e viene invece avviato anch’esso alla degradazione. Gli inibitori di PCSK9 costituiscono una nuova classe di farmaci, anticorpi monoclonali che, legando la PCSK9 circolante, la neutralizzano, inibendo così la degradazione del recettore per le LDL e permettendone una maggiore espressione sulla superficie degli epatociti.
Recentemente sono stati sviluppati vari anticorpi monoclonali, fra i quali evolocumab, alirocumab (completamente umani) e bococizumab (umanizzato). In Italia sono attualmente disponibili evolocumab e alirocumab, autorizzate nel 2015 da EMA e FDA. Per entrambe tutti gli studi hanno determinato riduzioni di LDL-C mantenute nel tempo del 40-65%, con effetti indesiderati lievi e relativamente non frequenti. Hanno inoltre modificato altri parametri, con riduzione di apoB, colesterolo non-HDL, trigliceridi, Lp(a). Evolocumab è stato testato anche nelle ipercolesterolemie familiari, dimostrando un’efficacia legata al grado di residua attività di LDL-R. In combinazione con statine ad alte dosi possono ridurre eventi CV e mortalità per tutte le cause in pazienti con ASCVD clinica. La riduzione del rischio CV appare in linea con la riduzione di LDL-C.

 

Indicazioni
Pazienti adulti affetti da ipercolesterolemia primaria (familiare eterozigote e non familiare) o da dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta:

  • in associazione con una statina o una statina con altre terapie ipolipemizzanti in pazienti che non raggiungono livelli di LDL-C target con la dose massima tollerata di una statina;
  • oppure in monoterapia o in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti in pazienti intolleranti alle statine o per i quali l’uso di statine è controindicato.

Evolocumab è indicato anche in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti negli adulti e negli adolescenti di almeno 12 anni di età con ipercolesterolemia familiare omozigote.

 

Contro-indicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
Cautela in pazienti con compromissione renale o epatica severa.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia

  • Alirocumab (Praluent): 75 mg, 150 mg, 300 mg, in penna o in siringa pre-riempita, per uso sottocutaneo. La dose iniziale abituale è 75 mg, somministrata per via sc, una volta ogni 2 settimane. I pazienti che richiedono una riduzione maggiore del C-LDL (> 60%) possono iniziare con una dose di 150 mg, con la stessa temporizzazione.
  • Evolocumab (Repatha): 140 mg, 420 mg, soluzione iniettabile in penna pre-riempita, uso sottocutaneo.
    • Ipercolesterolemia primaria e dislipidemia mista negli adulti: 140 mg ogni due settimane o 420 mg una volta al mese (le due dosi sono clinicamente equivalenti).
    • Ipercolesterolemia familiare omozigote in adulti e adolescenti ≥ 12 anni: la dose iniziale raccomandata è 420 mg una volta al mese. Dopo 12 settimane di trattamento e in assenza di una risposta clinicamente rilevante, è possibile aumentare la frequenza della somministrazione a 420 mg ogni 2 settimane. I pazienti sottoposti ad aferesi possono iniziare il trattamento con 420 mg ogni 2 settimane, facendolo coincidere con lo schema dell’aferesi.

 

Effetti collaterali
Alirocumab: reazioni nel sito di iniezione, segni e sintomi delle alte vie respiratorie, prurito; rari ipersensibilità, vasculite da ipersensibilità, orticaria, eczema nummulare.
Evolocumab: rinofaringite, infezioni delle vie respiratorie superiori, influenza, eruzione cutanea, orticaria, nausea, rachialgia, artralgia, reazioni nel sito di iniezione.

 

Limitazioni prescrittive
Il costo di questi farmaci è particolarmente elevato e sono sottoposti a monitoraggio addizionale. Classe Cnn.

 

Bibliografia

  1. Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. 2019 ESC/EAS guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk. Eur Heart J 2020, 41: 111-88.
  2. Hegele RA, et al. Nonstatin low-density lipoprotein. Lowering therapy and cardiovascular risk reduction-statement from ATVB Council. Arterioscl Thromb Vasc Biol 2015, 35: 2269-80.
  3. Gulizia MM, Colivicchi F, Ricciardi G, et al. Documento di consenso intersocietario ANMCO/ISS/ANCE/ARCA/FADOI/GICR-IACPR/SIGI-GISE/SIBioC/SIC/SICOA/ SID/SIF/SIMEU/SIMG/SIMI/SISA. Colesterolo e rischio cardiovascolare: percorso diagnostico-terapeutico in Italia. G Ital Cardiol 2016, 17 (6 suppl 1): 3S-57S.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

 

Meccanismo di azione
La proteina microsomiale di trasporto dei trigliceridi è essenziale per l’assemblaggio e la secrezione delle lipoproteine epatiche e intestinali. A livello degli epatociti facilita l’incorporazione di esteri colesterilici e trigliceridi nelle VLDL e a livello degli enterociti nei chilomicroni, attraverso l’interazione rispettivamente con apoB-100 e apoB-48. La lomitapide è un inibitore della proteina microsomiale di trasporto dei trigliceridi, in grado di ridurre i livelli di LDL-C con un meccanismo indipendente dal recettore per le LDL. Diminuisce i livelli di LDL-C del 35-50% in soggetti con ipercolesterolemia familiare omozigote.

 

Indicazioni
Trattamento dell’ipercolesterolemia familiare omozigote (età > 18 anni), in associazione a dieta a basso tenore di grassi, altri farmaci ipolipemizzanti, sia nei pazienti che effettuano LDL-aferesi che negli altri.

 

Controindicazioni
Gravidanza, somministrazione concomitante di moderati o forti inibitori di CYP3A4, moderata o severa insufficienza epatica, pazienti con epatopatia attiva, inclusa persistente inspiegata alterazione delle transaminasi.

 

Preparazioni, vie di somministrazione, posologia

  • cps 5 mg, cps 10 mg, cps 20 mg, cps 30 mg, cps 40 mg, cps 60 mg (Lojuxta).

 

Effetti collaterali
Epatotossicità (aumenti delle transaminasi e steatosi epatica), effetti indesiderati gastrointestinali, ridotto assorbimento di vitamine liposolubili e acidi grassi.

 

Limitazioni prescrittive
Erogabile a totale carico del SSN per il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare omozigote (età > 18 anni), in associazione a dieta a basso tenore di grassi, altri farmaci ipolipemizzanti, sia nei pazienti che effettuano LDL-aferesi che negli altri

 

Bibliografia

  1. Hegele RA, Gidding SS, et al. Nonstatin low-density lipoprotein. Lowering therapy and cardiovascular risk reduction-statement from ATVB Council. Arterioscl Thromb Vasc Biol 2015, 35: 2269-80.
  2. Cuchel M, Bruckert E, et al. Homozygous familial hypercholesterolaemia: new insights and guidance for clinicians to improve detection and clinical management. A position paper from the Consensus Panel on Familial Hypercholesterolaemia of the European Atherosclerosis Society. Eur Heart J 2014, 35: 2146–57.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

 

Meccanismo di azione
Volanesorsen è un oligonucleotide anti-senso progettato per inibire la formazione di apoC-III, apolipoproteina nota per regolare sia il metabolismo dei trigliceridi che la clearance epatica dei chilomicroni e di altre lipoproteine ricche di trigliceridi. Il legame selettivo di volanesorsen con l'mRNA di apoC-III all'interno della regione non tradotta 3' alla posizione di base 489-508, causa la degradazione dell'mRNA. Questo legame impedisce la traduzione della proteina apoCIII, rimuovendo così un inibitore della clearance dei trigliceridi e consentendo il metabolismo attraverso una via LPL-indipendente.

 

Indicazioni
Coadiuvante della dieta in adulti affetti da sindrome da chilomicronemia familiare confermata geneticamente e ad alto rischio di pancreatite, in cui la risposta alla dieta e alla terapia di riduzione dei trigliceridi sia stata inadeguata.

 

Controindicazioni
Trombocitopenia cronica o inspiegabile. Il trattamento non deve essere iniziato nei pazienti con conta piastrinica <140 x 109/L).

 

Preparazioni, modalità di somministrazione, posologia
Volanesorsen soluzione iniettabile in siringa pre-riempita (Waylivra).
Ogni mL contiene 200 mg di volanesorsen sodico, pari a 190 mg di volanesorsen.
Ogni siringa pre-riempita monodose contiene 285 mg di volanesorsen in 1.5 mL di soluzione iniettabile.
La dose iniziale raccomandata è di 285 mg iniettati per via sottocutanea una volta alla settimana per 3 mesi. Dopo 3 mesi, la frequenza di dosaggio deve essere ridotta a 285 mg ogni 2 settimane.
Il trattamento deve essere interrotto nei pazienti con riduzione dei trigliceridi sierici < 25% o che non riescono a raggiungere livelli di trigliceridi sierici < 22.6 mmol/L (2000 mg/dL) dopo 3 mesi in trattamento con volanesorsen 285 mg/settimana.
Dopo 6 mesi di trattamento, si deve considerare un aumento della frequenza di dosaggio a 285 mg/settimana se la risposta (valutato dallo specialista esperto) è stata inadeguata in termini di riduzione dei trigliceridi e purché le conte piastriniche siano nel range normale. Bisogna fare nuovamente una riduzione scalare a 285 mg/2 settimane se la dose più alta, di 285 mg/settimana, non fornisce una significativa riduzione aggiuntiva dei trigliceridi dopo 9 mesi.

 

Effetti collaterali
Frequente riduzione della conta piastrinica, che prima del trattamento deve essere ≥ 140 x 10⁹/L, e in seguito va valutata almeno ogni due settimane. I pazienti devono essere istruiti a consultare immediatamente il medico se manifestano segni di sanguinamento.
Risultano molto comuni anche reazioni cutanee nel sito di iniezione. Sono segnalati inoltre tossicità renale e aumenti degli enzimi epatici. È raccomandata la valutazione trimestrale di esame urine, enzimi epatici, bilirubina, VES.

 

Limitazioni prescrittive (AIFA 10/12/2020)
Classe C (nn). Medicinale sottoposto a monitoraggio addizionale.
Regime di fornitura: medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti - internista e gastroenterologo (RRL).

 

Bibliografia

  • Witztum JL, Gaudet D. Volanesorsen and triglyceride levels in familial chylomicronemia syndrome. N Engl J Med 2019, 381: 531-42.
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Filippo Egalini
Divisione di Endocrinologia, Diabete e Metabolismo, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino

(aggiornato al 25 marzo 2024)

 

Meccanismo di azione
Inclisiran è un acido ribonucleico ipocolesterolemizzante, a doppio filamento, interferente breve (siRNA), coniugato a un filamento senso con N-acetilgalattosammina triantennaria (GalNAc) per indirizzare la captazione verso gli epatociti. Negli epatociti, inclisiran utilizza il meccanismo di interferenza dell’RNA e dirige la degradazione catalitica dell’mRNA per la proproteina convertasi subtilisina kexina tipo 9 (PCSK9). Questo aumenta il riciclo del recettore dell’LDL-C e la sua espressione sulla superficie della cellula dell’epatocita, che aumenta la captazione dell’LDL-C e ne diminuisce i livelli circolanti.

 

Indicazioni
Adulti con ipercolesterolemia primaria (eterozigote familiare e non familiare) o dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta:

  • in associazione a una statina o una statina con altre terapie ipolipemizzanti in pazienti non in grado di raggiungere gli obiettivi per l'LDL-C con la dose massima tollerata di una statina;
  • in mono-terapia o in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti in pazienti intolleranti alle statine o per i quali una statina è controindicata.

Criteri rimborsabilità
Adulti di età ≤ 80 anni:

  • in prevenzione primaria con ipercolesterolemia familiare eterozigote e livelli di LDL-C ≥ 130 mg/dL nonostante terapia da almeno sei mesi con statina ad alta potenza alla massima dose tollerata + ezetimibe, oppure con dimostrata intolleranza alle statine e/o all'ezetimibe;
  • in prevenzione secondaria con ipercolesterolemia familiare eterozigote o ipercolesterolemia non familiare o dislipidemia mista e livelli di LDL-C ≥ 70 mg/dL nonostante terapia da almeno sei mesi con statina ad alta potenza alla massima dose tollerata + ezetimibe oppure dopo una sola rilevazione di LDL-C in caso di IMA recente (ultimi dodici mesi) o eventi CV multipli oppure con dimostrata intolleranza alle statine e/o all'ezetimibe.

 

Preparazioni, modalità di somministrazione, posologia
Inclisiran (Leqvio): siringhe pre-riempite contenenti 284 mg di inclisiran sodico in 1.5 mL di soluzione (189 mg/mL). Non sono richieste condizioni particolari di conservazione.
La dose raccomandata è di 284 mg come singola iniezione sottocutanea: all’inizio, dopo 3 mesi e successivamente ogni 6 mesi.
Il farmaco deve essere somministrato in addome; altri possibili siti alternativi sono il braccio e la coscia. La somministrazione deve essere effettuata da un operatore sanitario.
Per mantenere basso l’LDL-C, si raccomanda che inclisiran sia somministrato entro 2 settimane dall’ultima dose di un anticorpo monoclonale inibitore di PCSK9 (ma può essere somministrato immediatamente).

 

Efficacia e sicurezza
Riduzione di LDL-C a 17 mesi del 48% (studio ORION-9 in soggetti con ipercolesterolemia familiare eterozigote), del 52% (studio ORION-10 in soggetti con malattia CV accertata), del 50% (studio ORION-11 in soggetti con malattia CV accertata o soggetti con rischio CV equivalente).
La sicurezza del farmaco è stata dimostrata a seguito di un’analisi post-hoc degli studi ORION, considerando un periodo medio di esposizione al farmaco di 2.8 anni.

 

Controindicazioni e avvertenze
Ipersensibilità al principio attivo o agli eccipienti (sodio idrossido, acido fosforico).
Popolazione pediatrica: non sono disponibili dati.
Gravidanza: evitare l’uso.
Allattamento: non è noto se inclisiran passi nel latte materno, per cui la decisione di assumerlo deve essere presa dopo una valutazione medica del rapporto rischio/beneficio.
Anziani:
non sono necessari aggiustamenti della dose in pazienti con età ≤ 65 anni.
Non si prevedono interazioni con altri farmaci.
Compromissione della funzione renale: non sono necessarie correzioni della dose ma l’esperienza è limitata nel caso di compromissione severa. Nell’emodializzato, considerata l’eliminazione renale del farmaco, l’emodialisi non deve essere praticata per almeno 72 ore dopo la somministrazione.
Compromissione epatica: non sono necessari aggiustamenti della dose in pazienti con compromissione lieve o moderata (Child-Pugh classe A e B), mentre non sono disponibili dati in pazienti con compromissione severa (Child-Pugh classe C), in cui il farmaco deve essere utilizzato con cautela.

 

Effetti indesiderati
Reazioni avverse in sede di iniezione: negli studi registrativi di intensità lieve o moderata, transitorie e risoltesi senza sequele nell’8.2% dei trattati (vs 1.8% con placebo).
Incremento transaminasi: negli studi clinici di fase III, incrementi asintomatici tra 1 e 3 ULN nel 17-20% dei trattati (vs 11-14% con placebo).

 

Regime di fornitura
Classe di rimborsabilità A. Medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti – cardiologo, internista, neurologo, endocrinologo (RRL).

 

Costo (al marzo 2024)

Prezzo ex factory € 2823.39 (IVA esclusa), al pubblico € 4659.82 (IVA inclusa).
È obbligatorio applicare uno sconto sul prezzo ex factory alle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate SSN.

 

Bibliografia

  • Riclassificazione del medicinale per uso umano «Leqvio», ai sensi dell'art. 8, comma 10, della Legge 24 dicembre 1993, n. 537. Determina 13 settembre 2022. Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 231 del 3/10/2022.
  • Raal FJ, et al; ORION-9 Investigators. Inclisiran for the treatment of heterozygous familial hypercholesterolemia. N Engl J Med 2020, 382: 1520-30.
  • Ray KK, et al; ORION-10 and ORION-11 Investigators. Two phase 3 trials of inclisiran in patients with elevated LDL cholesterol. N Engl J Med 2020, 382: 1507-19.
  • Wright RS, et al. Safety and tolerability of inclisiran for treatment of hypercholesterolemia in 7 clinical trials. J Am Coll Cardiol 2023, 82: 2251-61.
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Anna Nelva
SSD Diabetologia e Endocrinologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ASL BI

(aggiornato all'11 marzo 2018)

 

La parola “aferesi” deriva dal greco e significa portare via, rimuovere. La lipido-aferesi consiste nel rimuovere dal sangue specifiche lipoproteine, con una procedura extra-corporea, e poi reinfonderlo.

 

INDICAZIONI A LIPIDO-AFERESI

  • Ipercolesterolemia familiare omozigote.
  • Ipercolesterolemia familiare eterozigote severa e refrattaria alle terapie farmacologiche, con coronaropatia clinicamente significativa e confermata dall’imaging o lesioni aterosclerotiche in altre aree (carotidi, aorta, arterie degli arti inferiori).
  • Iperlipoproteinemia Lp(a) con coronaropatia.
  • Iperchilomicronemia familiare.
  • Ipertrigliceridemia con pancreatite.

 

EFFICACIA DELLA LIPIDO-AFERESI

Tutti i sistemi di lipido-aferesi hanno efficacia equivalente: un singolo trattamento riduce il colesterolo LDL del 65-70%. A causa del lento aumento di LDL che segue il trattamento (1-2 settimane) la colesterolemia media diminuisce con ripetuti trattamenti.

Obiettivo terapeutico è la riduzione della colesterolemia media totale > 50% e di LDL > 60% rispetto al basale: per raggiungerlo, si deve ottenere con ciascuna procedura una diminuzione di colesterolo totale ≥ 65% o di LDL ≥ 70%, di solito con ripetizione ogni 1-2 settimane, e il trattamento va continuato indefinitamente.

Calcolo della colesterolemia media = Cmin + K(Cmax - Cmin)

  • Cmin è la colesterolemia immediatamente dopo l’aferesi
  • K è il coefficiente di rimbalzo (0.65 per la forma omozigote, 0.71 per la forma eterozigote)
  • Cmax è la colesterolemia immediatamente prima del trattamento.

Effetti a breve termine: miglioramento del flusso ematico a livello miocardico e periferico e miglioramento della funzione endoteliale. L’LDL-aferesi altera anche la distribuzione delle sottoclassi di LDL aterogene, riduce l’apoliproteina E4, diminuisce l’espressione di molecole di adesione (VCAM-1, E-selectina, ICAM-1).

Effetti a lungo termine: studi angiografici, ecografici e TC hanno dimostrato stabilizzazione o regressione delle stenosi coronariche, ampliamento del diametro delle coronarie, riduzione dell’area e della calcificazione della placca. Studi di esito a lungo termine hanno dimostrato una significativa diminuzione degli eventi coronarici. In pazienti con ipercolesterolemia familiare è stata osservata anche una significativa diminuzione dell'infiammazione arteriosa.

 

ASPETTI TECNICI DELLA PROCEDURA

Per la rimozione delle lipoproteine si possono utilizzare adsorbimento, precipitazione, filtrazione. Per alcune tecniche prima bisogna procedere a separazione del plasma dal sangue.

  1. Anticorpi anti-apoB 100: il plasma viene veicolato attraverso una colonna contenente gli anticorpi legati alla matrice. Questi interagiscono con le lipoproteine contenenti apoB100, cioè VLDL, IDL, LDL, Lp(a), con reazioni di tipo immunologico (antigene-anticorpo), sottraendole dal circolo.
  2. Colonna contenente destrano-solfato legato a microsfere di cellulosa: il plasma viene veicolato attraverso la colonna, in cui il destrano-solfato, carico negativamente, lega per interazione elettrostatica l’apoproteina B100 carica positivamente. Una variante prevede l’utilizzo di sangue intero, utilizzando colonne di destrano-solfato su matrice cellulosica.
  3. Heparin Extracorporeal LDL Precipitation (HELP): sempre previa separazione del plasma, si utilizza eparina per precipitare le lipoproteine contenenti apo-B in presenza di basso pH. Gli aggregati precipitati vengono trattenuti da un filtro.
  4. Adsorbimento diretto: le lipoproteine ApoB100, cariche positivamente, vengono rimosse dal sangue intero attraverso interazioni elettrostatiche con sfere di poliacrilamide rivestite di poliacrilato, carico negativamente.
  5. Filtrazione a cascata: filtrazione differenziale attraverso membrane per filtrare le proteine aterogene (LDL, VLDL, Lp(a)) dal plasma.

Nella plasmaferesi terapeutica (TPE), il sangue del paziente viene fatto passare attraverso un dispositivo medico che separa il plasma dalle altre componenti. Il plasma è rimosso e sostituito con plasma da donatore, o albumina, o soluzioni elettrolitiche.

Per queste procedure il sangue viene prelevato da una vena del braccio, fatto passare attraverso i necessari dispositivi extra-corporei e, completate le procedure necessarie, reinfuso in vena attraverso l'altro braccio. All'immissione del sangue nel circuito extra-corporeo viene aggiunta una soluzione anti-coagulante per evitare che coaguli. La durata del trattamento per una lipido-aferesi con procedura su sangue intero è in media compresa tra una e due ore, in base a sesso, corporatura e peso del paziente. La durata del trattamento con procedura su plasma è solitamente superiore alla metodica su sangue intero, poiché il sangue viene prima sottoposto a separazione (parte liquida da componenti solide).

 

EFFETTI COLLATERALI E PRECAUZIONI

I più comuni effetti collaterali sono ipotensione (da moderata a severa) e nausea, oltre a problemi di accesso venoso.
L’LDL-aferesi basata sull’adsorbimento non deve essere impiegata in pazienti trattati con ACE-inibitori: le colonne funzionano come una superficie per la generazione plasmatica di callicreina, che converte il bradichininogeno in bradichinina. La bradichinina viene inattivata dalla chininasi II, ma questo è impedito dall’ACE-inibizione: l’effetto non antagonizzato della bradichinina porta a ipotensione e flushing. Questo fenomeno non si verifica con il sistema HELP.
Alcuni sistemi di LDL-aferesi comportano una rimozione significativa di vitamina B12, transferrina, ferritina, causando anemia, e richiedono supplementazione di vitamina B12 e ferro.
Gli inibitori di PCSK9, eventualmente utilizzati in associazione, dovrebbero essere somministrati dopo l’aferesi, perché potrebbero essere adsorbiti nel corso della procedura.

 

ASPETTI PARTICOLARI RELATIVI ALLE PRINCIPALI PATOLOGIE

Ipercolesterolemia familiare omozigote
Indicazione ad aferesi di categoria I secondo l’American Society for Apheresis (ASFA): terapia di prima linea, da sola o in associazione con altri trattamenti. In associazione a dieta, statine, ezetimibe e altre terapie ipolipemizzanti, la lipido-aferesi può essere efficace nel ridurre i livelli di colesterolo LDL e gli eventi cardio-vascolari, prolungando la vita.
Obiettivi terapeutici raccomandati dall'European Atherosclerosis Society: LDL-C < 100 mg/dL, o < 70 mg/dL in adulti con patologia cardio-vascolare aterosclerotica in atto; per i bambini < 135 mg/dL.
La plasmaferesi è in grado di ridurre il colesterolo LDL, ma non è di uso comune per la disponibilità di sistemi di rimozione selettivi, maggiormente efficaci. Può essere l’unica opzione in bambini piccoli per i quali il volume extra-corporeo dei sistemi di rimozione selettiva è troppo grande.
Le nuove terapie ipolipemizzanti possono contribuire ad attenuare il rimbalzo del colesterolo LDL negli intervalli fra le sedute di lipido-aferesi e a migliorare ulteriormente il profilo lipidico. Quando rimane una certa attività residua del recettore delle lipoproteine (LDL-R), possono essere utili gli inibitori di PCSK9. Se non c’è attività residua di LDL-R, gli inibitori di PCSK9 sono inefficaci e la scelta migliore è la lomitapide (negli Stati Uniti è disponibile anche mipomersen).

 

Ipercolesterolemia familiare eterozigote
Indicazione a LDL-aferesi di categoria II secondo ASFA: terapia di seconda linea, sia da sola che in associazione con altre modalità di trattamento. In associazione a dieta, statine, ezetimibe e altre terapie ipolipemizzanti, la lipido-aferesi può essere efficace nel ridurre il colesterolo LDL e il rischio cardio-vascolare.
Le nuove terapie ipolipemizzanti, come gli inibitori di PCSK9, sono indicate nei pazienti che non raggiungono una sufficiente diminuzione dei livelli lipidici. Alcuni preferiscono tentare la terapia con inibitori di PCSK9 prima della lipido-aferesi, anche se per ora questa ha maggiori evidenze di efficacia sulla patologia cardio-vascolare. Dati preliminari sulla combinazione di lipido-aferesi e nuove terapie ipolipemizzanti nell’ipercolesterolemia eterozigote suggeriscono che queste ultime potrebbero ridurre la frequenza dell’aferesi, e in alcun casi anche portare alla sua sospensione.
In gravidanza i livelli di LDL in persone affette da ipercolesterolemia familiare possono raggiungere livelli estremi (1000 mg/dL), che possono compromettere la perfusione placentare. In questi casi la LDL-aferesi può permettere di completare con successo la gravidanza.

 

Iperlipoproteinemia lipoproteina (a)
Costituisce un’indicazione ad aferesi di categoria ASFA II: terapia di seconda linea, sia da sola che in associazione con altre modalità di trattamento.
I livelli di Lp(a) non sono influenzati dalla dieta. Statine, aspirina, L-carnitina, acido ascorbico, neomicina, calcio-antagonisti, ACE-inibitori, androgeni, estrogeni, olio di pesce possono determinare una lieve riduzione di Lp(a) (< 10%). Gli inibitori di PCSK9 (e acido nicotinico e mipomersen, non approvati in Europa) possono ridurre i livelli di Lp(a) di circa il 30%.
Tutti i sistemi di LDL-aferesi sono in grado di ridurre Lp(a) del 40-88%.
I dati disponibili suggeriscono che, almeno in individui a rischio cardiovascolare molto alto, vi sia un beneficio cardio-vascolare abbassando i livelli di Lp(a) con la lipido-aferesi.
Livelli considerati normali: < 30 mg/dL (45 nmol/L). L’European Atherosclerosis Society nel 2010 ha raccomandato la riduzione di Lp(a) al di sotto di 50 mg/dL, sia in prevenzione primaria che secondaria.
Frequenza: ogni 1-2 settimane, trattamento da continuare indefinitamente.

 

Pancreatite da ipertrigliceridemia
Indicazione ad aferesi di categoria ASFA III: ruolo ottimale non stabilito, la decisione di praticarla deve essere individualizzata.
La plasmaferesi può ridurre significativamente i livelli di trigliceridi, diminuire le citochine infiammatorie e potenzialmente integrare carenze di lipoprotein-lipasi o apolipoproteine, utilizzando plasma come fluido di sostituzione. Con una singola procedura sono riportate diminuzioni della trigliceridemia del 49-80%. L’obiettivo del trattamento è ridurre i livelli di trigliceridi al di sotto di 500-1000 mg/dL. L’effetto della plasmaferesi è rapido ma transitorio e per ottenere un effetto persistente è essenziale un trattamento ipolipemizzante adeguato.
Poiché i fibrati sono stati associati a effetti teratogeni, la plasmaferesi è anche stata usata con successo come strategia terapeutica per la pancreatite acuta da ipertrigliceridemia durante la gravidanza.

 

BIBLIOGRAFIA

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  3. Catapano AL, Graham I, De Backer G, et al. 2016 ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias. Eur Heart J 2016, 37: 2999-3058.
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Massimo Procopio
SCDU Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Azienda Ospedaliera S. Giovanni Battista, Torino

 

La terapia della dislipidemia si può avvalere dell’impiego di altri trattamenti, oltre ai farmaci e alla dieta. In questo contesto si possono considerare sia i composti nutraceutici, sostanze che possono essere presenti naturalmente o artificialmente negli alimenti o sottoforma di integratori alimentari, sia l’esercizio fisico.
Gli integratori alimentari sono definiti come “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate” (Direttiva 2002/46/CE, attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169). Sono solitamente presentati in capsule, compresse, bustine, flaconcini e simili, e possono contribuire al benessere dell’organismo, ottimizzando lo stato nutrizionale oppure contribuendo al benessere con l’apporto di nutrienti o sostanze di altro tipo.
L’uso degli integratori alimentari può rappresentare una risorsa nella terapia della dislipidemia in alcune condizioni:

  • rischio cardiovascolare globale basso o moderato;
  • rischio cardiovascolare elevato o molto elevato, in cui non vengono raggiunti i target terapeutici con dieta e farmaci ipolipemizzanti;
  • in caso di intolleranza/allergia ai farmaci ipolipemizzanti;
  • preferenza del paziente.

Le statine, che rappresentano i farmaci di prima scelta nella terapia ipocolesterolemizzante, sono gravate in una non trascurabile percentuale di casi (circa il 10%) di effetti collaterali, quali mialgia o più raramente epatotossicità. Attualmente è disponibile un numero sempre più cospicuo di sostanze con azioni potenzialmente benefiche sulla dislipidemia. Tuttavia, soltanto alcune di queste sono state testate in studi clinici randomizzati controllati che ne hanno provato l’efficacia e la sicurezza d’impiego. Gli integratori alimentari o supplementi dietetici e gli alimenti funzionali di provata efficacia clinica e quindi raccomandabili nelle condizioni sopraindicate sono i seguenti.
Le fibre solubili (pectina, gomma di guar, beta-glucani e Psyllium) alla dose di 5-15 g/die sono in grado di ridurre il colesterolo LDL del 5-20%. Si pensa che le fibre solubili si leghino agli acidi biliari durante la formazione intra-luminale intestinale delle micelle e che questo porti ad un’aumentata conversione del colesterolo epatico in acidi biliari, con aumentata espressione dei recettori per le LDL, presenti sugli epatociti, ed aumentata clearance di questi ultimi.
I fito-steroli/stanoli sono presenti naturalmente negli oli vegetali, come ad esempio l’olio di semi di soia o nelle noci. I fitosteroli, di cui il più diffuso è il sitosterolo, alla dose di 1-3 g/die, riducono l’assorbimento intestinale del colesterolo (il colesterolo LDL si riduce del 4-13%) e in modo trascurabile anche quello di altre sostanze liposolubili, quali vitamina D e carotenoidi. Un raro disordine genetico caratterizzato da aumentato assorbimento di sitosterolo è causa di aterosclerosi precoce.
Le proteine di soia possono essere utilizzate per sostituire le proteine animali contenenti grassi saturi. Alla dose di 25 g/die riducono il colesterolo LDL del 6%. Il fattore responsabile dell’effetto ipocolesterolemizzante sarebbe la mancanza di aminoacidi essenziali, anziché il contenuto in isoflavoni della soia.
Tra gli alimenti funzionali sono comprese le noci, che rappresentano un’ottima fonte di acidi grassi mono- e poli-insaturi (rapporto poli-insaturi:saturi = 7:1). Esse contengono inoltre fibra, fitosteroli e polifenoli, tutti concorrenti all’effetto di riduzione del colesterolo LDL, che è pari al 5-7% quando assunte nella quantità di 50-80 g/die.
Il riso rosso fermentato ha effetto anti-dislipidemico dovuto sia alla monacolina K (nota anche come lovastatina), prodotta dal lievito del riso rosso, in grado di inibire l’enzima idrossi-metil-glutaril-Coenzima A reduttasi, sia al contenuto in steroli e acidi grassi mono-insaturi. Alla dose di 1-2 g/die è in grado di ridurre il colesterolo LDL del 7-25% e i trigliceridi del 7-44% e di aumentare il colesterolo HDL fino al 17%. È stato riportato un contenuto variabile di monacolina K tra i vari prodotti a base di riso rosso fermentato. Nei pazienti che assumono tali integratori sono stati riportati effetti collaterali gastrointestinali, mialgia ed aumento di CK e ALT.
Gli acidi grassi mono-insaturi (pari al 10-20% dell’introito calorico giornaliero), in particolare l’acido oleico contenuto nell’olio di oliva, svolgono un ruolo favorevole, anche se modesto, sul profilo lipidico, aumentando il colesterolo HDL e riducendo il colesterolo LDL e i trigliceridi, spiegando in parte l’effetto di riduzione della dieta mediterranea sulla mortalità cardiovascolare.
Gli acidi grassi poli-insaturi comprendono sia l’acido alfa-linolenico sia l’acido eicosapentaenoico e docosaesanoico, presenti anche rispettivamente sottoforma di olio di semi vegetali e di pesce. Alla dose di 1-2 g/die riducono la trigliceridemia del 3-9%. Il principale meccanismo d’azione è dovuto alla ridotta disponibilità di acidi grassi per l’incorporazione nei trigliceridi per l’aumento della ß-ossidazione e l’inibizione degli enzimi chiave della sintesi di trigliceridi. Sono stati riportati effetti collaterali gastrointestinali, eruzione cutanea e prurito
Altri integratori di cui è stato documentato un effetto anti-dislipidemico e che sono pertanto utilizzabili nella pratica clinica sono:

  • la niacina (vitamina B3, 500-4000 mg/die in dosi refratte), gravata da frequenti effetti collaterali quali arrossamento ed eritema cutaneo, prurito, iperglicemia, iperuricemia, gotta, palpitazioni;
  • il tè verde o l’estratto di tè verde (500-700 mg/die);
  • i gamma/delta tocotrienoli (200 mg/die);
  • la pantetina (900 mg/die in dosi refratte).

Non vi sono studi convincenti circa l’efficacia terapeutica di policosanoli (estratti della canna da zucchero o riso), estratti di aglio, mirra e bergamotto.

L’esercizio fisico regolare ha un effetto favorevole nel management della dislipidemia, mediato da riduzione del peso corporeo, mantenimento della perdita di peso corporeo e riduzione dell’insulino-resistenza. Gli effetti benefici sono direttamente proporzionali a durata e intensità dell’esercizio fisico: si manifestano per soglie corrispondenti a 700-2000 kcal/settimana (ossia 11-32 km/settimana di passeggiata a passo svelto o corsa). L’esercizio è efficace soprattutto su colesterolo HDL (+14%) e trigliceridi (-12%), mentre sono trascurabili le variazioni di colesterolo totale ed LDL. L’attività fisica aerobica, come la passeggiata a passo svelto, la corsa, andare in bicicletta o il nuoto con una spesa energetica totale di 1500-2200 kcal/settimana (ossia 24-32 km/settimana di passeggiata a passo svelto o di corsa), può aumentare il colesterolo HDL di 3.6-6 mg/dL e ridurre i trigliceridi di 7-20 mg/dL. Vengono generalmente consigliati 30 minuti di esercizio fisico moderato per almeno 5 giorni alla settimana, oppure 20 minuti di esercizio fisico intenso per 3 giorni alla settimana.

 

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Maurizio Nizzoli & Micol Lodi
UOC Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Dipartimento Internistico Forlì - Cesena, Ospedale GB Morgagni, Forlì

(aggiornamento al 7 aprile 2022)

 

Definizione ed epidemiologia
La gotta è una malattia caratterizzata da iperuricemia, aumento della quantità di acido urico nell’organismo, precipitazione di micro-cristalli di urato mono-sodico in sede articolare ed extra-articolare. È la più comune delle artropatie infiammatorie e rientra nel gruppo delle artropatie da micro-cristalli.
È più frequente negli uomini (2-4 volte rispetto alle donne), ma il divario si riduce dopo la menopausa. Da malattia in passato di re e papi, è divenuta oggi popolare a seguito del diffondersi del benessere e dell’aspettativa di vita. L’incidenza varia tra 0.6 e 2.9 per 1000 persone/anno e la prevalenza tra 0.68% e 3.9% della popolazione adulta, con ampia variabilità tra le popolazioni: negli USA è meno frequente negli asiatici e negli ispanici rispetto ad afro-americani e caucasici. La prevalenza è più alta nelle popolazioni originarie della Nuova Zelanda e del Pacifico, dove può raggiungere 8.5-13.9%, con esordio più precoce.

 

Eziopatogenesi
L’ipeuricemia è il più importante fattore di rischio, con rapporto diretto tra concentrazione e rischio di malattia. Altri fattori di rischio, che incrementano la concentrazione di acido urico, sono dieta ricca in grassi e proteine, bevande zuccherate con fruttosio, abuso di alcool, sindrome metabolica, diabete mellito di tipo 2, obesità, malattia renale cronica, sindromi mielo- e linfo-proliferative, neoplasie solide, diuretici, terapie cito-riduttive ed emolisi.
La progressione della malattia da ipeuricemia a gotta si realizza in 4 stadi:

  1. iperuricemia asintomatica;
  2. deposizione di micro-cristalli di urato mono-sodico;
  3. gotta in fase acuta con episodi di artrite e intervalli inter-critici liberi;
  4. malattia cronica caratterizzata dalla presenza di tofi in sede extra-articolare, artropatia e nefropatia.

L’acido urico è sintetizzato a livello epatico principalmente dall’enzima xantino-deidrogenasi ed è il principale prodotto finale della degradazione delle purine, sia endogene (derivanti dal metabolismo degli acidi nucleici) sia esogene (derivanti dagli alimenti). Nel corso dell’evoluzione l’uomo ha perso l’attività enzimatica dell’uricasi, che converte l’acido urico in allantoina, eliminata con le urine.
L’acido urico è un acido debole che al pH fisiologico si trova nel compartimento extra-cellulare sotto forma di urato ionizzato complessato con il sodio; in tale forma viene filtrato dal glomerulo e riassorbito principalmente nel segmento S1 del tubulo contorto prossimale, mentre in quello S2 avviene la secrezione. Solo il 10% dell’acido urico filtrato viene eliminato con le urine e solo un terzo dell’acido urico complessivo viene eliminato con le feci. Quando la concentrazione di acido urico supera il limite di solubilità nel sangue, pari a 6.8 mg/dL a 37°C, si creano le condizioni per la formazione di cristalli di acido urico e la loro precipitazione nei tessuti. Altre condizioni favorenti sono basse temperature, pH tra 7 e 10, alte concentrazioni di ioni sodio, alcune componenti del liquido e delle cartilagini sinoviali. Una volta precipitati, i cristalli di mono-urato di sodio sono fagocitati dai monociti e dai macrofagi, che stimolano la via dell’immunità innata: l’attivazione dell’inflammosoma NALP3, tramite molteplici segnali intra-cellulari, induce la maturazione del precursore della interleuchina IL-1 e la conseguente attivazione e produzione di chemiochine e mediatori pro-infiammatori, che si accumulano a livello articolare e sono responsabili dell’attacco acuto di artrite gottosa. L’attivazione dell’inflammosoma NALP3 si realizza in due fasi, non sempre contestuali, per cui a volte è possibile ritrovare cristalli di urato mono-sodico in assenza della clinica del processo artritico acuto. L’attivazione dell’inflammosoma NALP3 può essere innescata da acidi grassi liberi (conseguenti ad abbondante introito di carni grasse e alcol), condizioni di insulino-resistenza, microbiota intestinale, componenti microbiologiche, tutte situazioni che possono scatenare un episodio acuto di gotta. I neutrofili che inizialmente partecipano al processo infiammatorio, successivamente attivano una risposta anti-infiammatoria tramite IL-1ra, IL-10, TGF-β e IL-37 e partecipano attivamente alla risoluzione dell’infiammazione acuta, nonostante il persistere dei cristalli di mono-urato di sodio nell’articolazione.

 

Artrite gottosa acuta
Interessa tipicamente un'unica articolazione, nell’85-90% dei casi negli arti inferiori: classicamente la prima articolazione metatarso-falangea (podagra), ma possono essere coinvolte le articolazioni del tarso, la caviglia, il ginocchio, il collo del piede, il polso, la borsa dell’olecrano; è raro l’interessamento dello scheletro assiale.
L’episodio acuto insorge più frequentemente di notte e l’articolazione si presenta arrossata, calda, tumefatta, e raramente può associarsi a febbre, astenia e sintomi sistemici. Raggiunge la sua massima intensità in 12-24 ore e si risolve entro 5–7 giorni. In un terzo dei casi l’uricemia è normale in corso di attacco acuto. Gli attacchi successivamente hanno una durata maggiore e interessano più articolazioni.

 

Periodo inter-critico
La distanza temporale tra il primo e il secondo attacco è variabile, solitamente inferiore ai due anni, e tende ad accorciarsi con il susseguirsi degli attacchi, sino a che si manifestano i segni clinici della gotta cronica. Nel periodo inter-critico il paziente è assolutamente asintomatico.

 

Gotta cronica
La gotta cronica si caratterizza per la deposizione di cristalli di urato mono-sodico a livello dei tessuti molli; dal punto di vista istologico è presente un infiltrato infiammatorio cronico granulomatoso (tofi).
I tofi si localizzano più frequentemente a livello dell’elice del padiglione auricolare, del processo olecranico, del tendine di Achille e delle articolazioni inter-falangee; più raramente sono coinvolte le articolazioni del rachide, occhio, cuore, mammelle e colon. I tofi misurano da pochi mm a diversi cm, sono duri e indolenti. La cute può ulcerarsi e causare la fuoriuscita di materiale biancastro simile al gesso.
Nei pazienti anziani l’insorgenza della gotta è più insidiosa, con interessamento poli-articolare e solo nel 50% dei casi l’esordio è acuto.

 

Coinvolgimento renale

Calcolosi uratica. Il 5-10% dei calcoli renali è costituito da acido urico. Giocano un ruolo determinante nella genesi della malattia l’eccessiva escrezione renale di acido urico e il pH (a pH basso l’acido urico è in forma non ionizzata e quindi insolubile). È più frequente negli obesi con sindrome metabolica e nei diabetici di tipo 2. I calcoli di acido urico sono radio-trasparenti alla radiografia diretta dell’addome. Inoltre, l’acido urico, fungendo da “nucleo”, gioca un ruolo nella formazione di calcoli “misti” di ossalato di calcio o fosfato di calcio.

Nefropatia cronica da acido urico. Benchè tardiva, si presenta in genere nei pazienti affetti oltre che da gotta anche da sindrome metabolica e aterosclerosi. Il quadro istologico è caratterizzato da focale deposizione intra-tubulare di cristalli di mono-urato di sodio e significativa reazione infiammatoria, che evolve verso l’atrofia tubulare e la fibrosi interstiziale. La clinica è caratterizzata da una graduale perdita della capacità di concentrazione urinaria, dovuta al danno tubulo-interstiziale, e insufficienza renale. Oggi si ritiene che la nefropatia cronica da acido urico non sia una entità nosografica distinta e l’acido urico debba essere considerato come un fattore di rischio indipendente, ma modificabile, di malattia renale cronica.

 

Diagnosi morfologica
Il riscontro di cristalli di urato mono-sodico nel liquido sinoviale o nei tofi è considerato il gold standard per la diagnosi di gotta, sia durante l’attacco acuto sia nel periodo inter-critico. L’analisi al microscopio a luce polarizzata permette di visualizzare i cristalli di urato come sottili aghi a margini netti, birifrangenti, con sensibilità dell’85% e specificità del 100%.

 

Diagnostica per immagini
La radiografia diretta è di scarso aiuto nelle fasi precoci di malattia.
All’ecografia il segno suggestivo per coinvolgimento gottoso è il “doppio contorno”, una iperecogenicità lineare al di sopra della superficie della cartilagine articolare. I depositi tofacei appaiono come area iperecogena nebulare, circondata da materiale ipoecogeno.

 

Esami di laboratorio
È presente leucocitosi neutrofila con indici di infiammazione elevati, mentre i livelli di acido urico possono essere normali o addirittura ridotti in corso di attacco acuto di gotta.

 

Criteri classificativi
La diagnosi di gotta si basa frequentemente sui dati clinici e il trattamento viene intrapreso spesso in maniera empirica. È possibile ricorrere a un punteggio clinico che comprende vari parametri (sesso maschile, attacco artritico anamnestico, esordio in un giorno, arrossamento articolare, interessamento dell’articolazione metatarso-falangea, ipertensione o malattia cardio-vascolare, iperuricemia): un punteggio complessivo ≥ 8 permette di porre diagnosi di gotta, mentre è poco probabile con un punteggio < 4.

 

Diagnosi differenziale
Artrite settica, artrite infiammatoria, cellulite, osteo-mielite, pseudo-gotta.

 

Terapia
Il trattamento dell’attacco acuto va intrapreso entro poche ore dalla comparsa dei sintomi e sospeso dopo 2-3 giorni dalla risoluzione. Si possono utilizzare diversi farmaci in relazione alle comorbilità:

  • FANS: sarebbero preferibili gli inibitori selettivi della COX-2;
  • corticosteroidi: prednisone al dosaggio iniziale di 25–50 mg/die, con progressiva riduzione nell’arco di 7-10 giorni;
  • colchicina: 1.2 mg al primo segno di attacco acuto, seguito da 0.6 mg dopo un’ora il primo giorno e 0.6–1.2 mg nei giorni successivi. La colchicina è sconsigliata nei pazienti con severa insufficienza renale e/o epatica o che assumono contemporaneamente farmaci che inibiscono la funzione CYP3A4 (inibitori delle proteasi, macrolidi, verapamil, amiodarone, ciclosporina, chetochenazolo). Effetti collaterali rari sono citopenia, rabdomiolisi, o insufficienza d’organo, mentre sono più comuni sintomi gastro-intestinali e neurite assonale reversibile.

Nei casi più gravi con scarsa risposta alla terapia di prima linea è possibile ricorrere agli inibitori di IL-1 (canakinumab 150 mg o anakinra 100 mg, per 5 giorni).

I farmaci utilizzati per il trattamento a lungo termine agiscono riducendo i livelli di acido urico, consentono la dissoluzione dei cristalli di mono-urato di sodio e vanno somministrati a distanza dall’attacco acuto, per evitare fluttuazioni dell’uricemia. L’obiettivo è ottenere uricemia < 6 mg/dL. I farmaci di prima scelta sono gli inibitori della xantino-ossidasi. Il trattamento con allopurinolo prevede di iniziare con 100 mg/die, da incrementare di 100 mg ogni 2-4 settimane sino al raggiungimento dell’obiettivo terapeutico (il dosaggio massimo è di 800 mg/die; non superare i 300 mg/die se insufficienza renale). L’1–2% dei pazienti può presentare una reazione cutanea dopo qualche settimana. Il più grave, ma raro, effetto collaterale è la sindrome da ipersensibilità, che si manifesta con febbre, eosinofilia, epatite, necrolisi epidermica tossica, con exitus nell’80% dei casi. Alcune etnie sono maggiormente a rischio per questa complicanza (coreani, cinesi, thailandesi, afro-americani).
Il febuxostat è un potente inibitore non purinico della xantino-ossidasi. L’utilizzo, alla dose di 40–120 mg/die, è di seconda linea, laddove non è possibile ricorrere ad allopurinolo.
Sono raramente utilizzati i farmaci che favoriscono l’escrezione di acido urico, come il probenecid (non più in commercio in Italia).

 

Prevenzione primaria
Consigliare dieta a basso contenuto di purine e grassi saturi, ridurre l’apporto di alcool e bevande zuccherate con fruttosio.
Evitare se possibile idroclorotiazide e preferire come anti-ipertensivo losartan, come ipolipemizzante fenofibrato e come ipoglicemizzante gliflozine, in quanto hanno dimostrato di ridurre l’uricemia.
È opportuno prendere in considerazione la terapia con allopurinolo o febuxostat a fronte di uricemia > 9 mg/dL, insufficienza renale moderata-severa e urolitiasi.

 

Bibliografia

  • Dalbeth N, et al. Gout. Lancet 2021, 397: 1843–55.
  • American College of Rheumathology guideline for the management of gout. 2020.
  • Ughi N, et al. The Italian Society of Rheumatology clinical practice guidelines for the diagnosis and management of gout. Reumatismo 2019, 71 S1: 50-79.