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Tiziana Greggi
Chirurgia delle Deformità del Rachide, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

(aggiornato al novembre 2022)

 


INTRODUZIONE
Le displasie scheletriche sono un vasto (oltre 400 tipi) ed eterogeneo gruppo di anomalie delle modalità di crescita e sviluppo del tessuto osteo-cartilagineo delle ossa, da causa generalmente genetica. Sono note da numerosi decenni, soprattutto in ambiente ortopedico-pediatrico per la necessità di trattamenti chirurgici.
L’espressività clinica varia dalle forme letali in epoca peri-natale, a bassa statura, talvolta disarmonica, a condizioni di lieve ritardo di crescita. La caratterizzazione clinico-radiologica risulta spesso semplice e ben schematizzabile, mentre la definizione pato-molecolare è molto complessa.
La prevalenza varia molto nei diversi studi (da 2.1 a 4.7/10mila nati), ma quella ritenuta più reale è di 2 casi su 10mila nati vivi e 20 casi su 10mila nati morti (1). Le forme più comuni sono l’acondroplasia, l'acondrogenesi, la displasia tanatofora e l’osteogenesi imperfetta.
Per gli aspetti anatomici, istologici e di struttura del tessuto osseo bisogna fare un breve cenno ai due processi di sviluppo del tessuto osseo e ad alcune fasi dell'embriogenesi. Circa alla 5° settimana di gestazione compaiono gli arti superiori e, qualche giorno dopo, gli arti inferiori; alla 7° appare la cartilagine, alla 12° sono presenti i centri di sviluppo delle ossa lunghe (fig 1).

 

 

Figura 1
Sviluppo del feto: A = 5.5 settimane; B = 7 settimane; C =12 settimane

 

L’osso dello scheletro si genera per:

  • ossificazione diretta membranosa del mesenchima, a formare le ossa della volta cranica e delle clavicole, in cui le cellule progenitrici mesenchimali si differenziano via pre-osteoblasti in osteoblasti;
  • ossificazione indiretta encondrale (cartilaginea) delle ossa lunghe, vertebre e coste, dove le cellule mesenchimali progenitrici si differenziano dapprima in cellule pericondriali e condrociti e successivamente si trasformano in osteoblasti.

Per chiarire lo schema di ossificazione encondrale: alle estremità delle ossa lunghe c’è la cartilagine di accrescimento, dove si distinguono 4 zone cellulari (di riserva, di proliferazione, pre-ipertrofica e ipertrofica), in cui si completa il modello cartilagineo che subirà l’apposizione di tessuto osseo e la sua sostituzione con l’invasione contemporanea dei vasi sanguigni. La crescita in senso latero-laterale è dovuta alle cellule pericondriali, che diverranno cellule del periostio nell’osso maturo (fig 2).

 

Figura 2
Via di segnale che determina la crescita della cartilagine di accrescimento e la formazione del tessuto osseo. Lo sviluppo della cartilagine di accrescimento è determinato dal controllo di diverse vie di segnale, tra cui IIHH e PTHrP, BMPs, WNT. Tutte inducono lo sviluppo della zona di proliferazione dei condrociti e ne inibiscono la maturazione, contrastando l'azione contraria della via FGFs/FGFr. Lo stampo cartilagineo verrà poi riassorbito dall'azione di metallo-proteasi, sostituito da osteoblasti e vasi sanguigni, quindi da tessuto osseo maturo.

 

È importante ricordare che il tessuto osseo è dinamico: grazie all’equilibrio funzionale delle due linee cellulari (osteoblasti e osteoclasti), subisce un continuo e regolare processo di riassorbimento e neoformazione (2).
Cercherò qui di presentare sinteticamente questo vastissimo argomento, puntualizzando le principali caratteristiche di queste condizioni patologiche, facendo riferimento alle forme più comuni e alle classificazioni più attuali.

 


CLASSIFICAZIONE
Ci sono stati numerosi tentativi di portare ordine in questo campo, elaborando una classificazione delle malattie costituzionali dello scheletro, contenente al primo posto il capitolo delle osteo-condro-displasie (3,4). Secondo una recente revisione del 2019 del gruppo di esperti dell’International Skeletal Dysplasias Society, sono classificate 461 condizioni di displasia scheletrica, suddivise in 42 diversi gruppi con specifici criteri clinici, radiografici e/o molecolari (5) (tab 1).

 

Tabella 1
Classificazione delle displasie scheletriche genetiche
(5)
# Gruppo Esempi
1 Condro-displasie correlate a FGF-R3 Acondroplasia, ipocondroplasia
2 Collagene di tipo 2 S. di Stickler
3 Collagene di tipo 11 Fibrocondrogenesia
4 Disordini della solfatazione S. di Ehlers-Danlos
5 Perlecan Condrodistrofia miotonica
6 Aggrecan Ipostaturismo con età ossea avanzata
7 Filamina Displasia fronto-metafisaria
8 TRPV4 Displasia metatropica
9 Ciliopatie Displasia toracica asfissiante
10 Displasie epifisarie multiple e pseudo-acondroplasia Pseudo-acondroplasia
11 Displasie metafisarie S. di Shwachman–Bodian–Diamond
12 Displasie spondilo-metafisarie Spondilo-encondrodisplasia
13 Displasie spondilo-epi-(meta)-fisarie Displasia di Dyggve–Melchior–Clausen
14 Displasie spondilo-displasiche severe Acondrogenesia
15 Displasie acromeliche Acrodisostosi
16 Displasie acro-mesomeliche Displasia acro-mesomeliche di Maroteaux
17 Displasie mesomeliche e rizo-mesomeliche Discondroplasia di Leri-Weill
18 Displasie con incurvamento osseo Displasia camptomelica
19 Nanismi primitivi con ossa sottili S. di Kenny-Caffey, s. IMAGE
20 Displasie con dislocazioni articolari multiple Displasia di Desbuquois
21 Condrodisplasia puntata S. di Keutel
22 Displasie osteosclerotiche neonatali Displasia di Blomstrand
23 Osteopetrosi Osteopetrosi neonatale severa, picnodisostosi
24 Disordini osteosclerosanti Displasia diafisaria di Camurati-Engelman
25 Osteogenesi imperfetta Osteogenesi imperfetta tipi 1-6
26 Anomalie della mineralizzazione Ipofosfatasia, rachitismi ipofosfatemici
27 Malattie da accumulo lisosomiale con coinvolgimento osseo Mucopolisaccaridosi
28 Malattie osteolitiche Progeria di Hutchinson-Gilford
29 Sviluppo disorganizzato delle componenti scheletriche S. di McCune-Albright, neurofibromatosi tipo 1, fibrodisplasia ossificante progressiva
30 Alta statura con coinvolgimento scheletrico S. di Sotos, s. di Marfan
31 Osteoartropatie genetiche infiammatorie simil-reumatiche Displasia pseudo-reumatoide progressiva
32 Displasie cleido-craniche Displasia cleido-cranica
33 Cranio-sinostosi S. di Crouzon
34 Disostosi con coinvolgimento cranio-facciale predominante S. di Treacher-Collins
35 Disostosi con predominante coinvolgimento vertebrale (con e senza coinvolgimento costale) S. di Klippel-Feil
36 Disostosi rotulee S. della rotula piccola
37 Brachidattilie (senza manifestazioni extra-scheletriche) S. di Cooks
38 Brachidattilie (con manifestazioni extra-scheletriche) Pseudoipoparatiroidismo tipo IA
39 Ipoplasie degli arti Sirenomelia
40 Ectrodattilia S. di Hartsfield
41 Polidattilia-sindattilia-trifalangismo S. di Pallister-Hall
42 Difetti della formazione articolare e sinostosi S. di Liebenberg

 

 


CONSIDERAZIONI GENERALI CLINICO-DIAGNOSTICHE E DI TRATTAMENTO
Ciascun tipo di displasia scheletrica è caratterizzato da un insieme diverso di anomalie.
Gli aspetti clinici comuni fondamentalmente sono: bassa statura, braccia e gambe corte, dita corte, testa sproporzionatamente grande, collo corto, mobilità ridotta all’altezza dei gomiti. Alcuni tipi di displasia scheletrica vengono rilevati a circa 20 settimane di gravidanza nel corso di un’ecografia, mentre altri possono non risultare evidenti fino alla prima infanzia. Anche se la displasia scheletrica viene rilevata nel corso della gravidanza, può risultare difficile diagnosticarne il tipo esatto prima del parto, soprattutto per la difficoltà di approfondimenti diagnostico-strumentali, meglio eseguibili quando i problemi della crescita si presentano in età pediatrica o nella prima infanzia (6,7).
Per quel che riguarda la prognosi, non c'è sopravvivenza quando la displasia scheletrica causa crescita ossea particolarmente anomala, che impedisce al torace e ai polmoni di svilupparsi in modo corretto. Tale condizione caratterizza le displasie scheletriche letali e si verifica in circa 1 neonato su 10mila. Si definisce invece non letale la displasia scheletrica in cui i neonati colpiti sopravvivono al parto e al periodo immediatamente successivo. Tra i bambini affetti da displasia scheletrica non letale, le diagnosi più comuni sono l’acondroplasia, spesso indicata con il nome di nanismo, e l'osteogenesi imperfetta detta anche "malattia delle sclere blu".
Il sospetto diagnostico viene posto inizialmente tramite la raccolta dell’anamnesi familiare e personale del bambino e l’esame obiettivo, con particolare attenzione alla valutazione auxologica e alla ricerca di alcuni dismorfismi caratteristici. In particolare, la valutazione clinica deve comprendere la rilevazione dei seguenti parametri: peso, lunghezza e circonferenza cranica alla nascita, valutazione della curva di crescita, sia staturale sia ponderale, e della curva di aumento della circonferenza cranica, rapporto tra segmento corporeo superiore e inferiore, descrizione dell’eventuale accorciamento delle estremità, caratteristiche del cranio, anomalie dentali, scoliosi, lordosi, varismo o valgismo del ginocchio. Dovrebbero essere valutate inoltre le caratteristiche di pelle, unghie e capelli, insieme a disturbi cognitivi e potenziali anomalie dell’udito e/o della vista.
La conferma diagnostica si ottiene tramite test genetici specifici. Dovrebbero essere eseguiti esami ematici generali, oltre a test renali, epatici e cardiaci per valutare l’eventuale presenza di complicanze a carico di tali organi. È necessaria una valutazione radiologica per definire la gravità della patologia e l’eventuale presenza di complicanze (8,9).
Il trattamento delle displasie scheletriche è multi-disciplinare. La gestione del bambino può essere ottimizzata utilizzando un team specialistico che dovrebbe coinvolgere pediatri, genetisti, neurologi e neurochirurghi pediatrici, pneumologi pediatrici e chirurghi ortopedici pediatrici.
L’assistenza preventiva è essenziale e ogni sforzo deve essere diretto a identificare i bambini ad alto rischio di sviluppare complicanze, in modo da mettere in atto interventi terapeutici appropriati e precoci, per prevenire sequele permanenti.
Negli ultimi anni si sono delineate nuove promettenti prospettive terapeutiche, mirate ai meccanismi alla base della malattia e non solo alla correzione chirurgica dei difetti ad essa associati. L’intervento chirurgico è una forma comune di terapia per l’ipostaturismo (nanismo), sia armonico sia disarmonico. Tuttavia, l’indicazione chirurgica rimane controversa, poiché si tratta di una procedura dolorosa e associata a complicanze, che includono infezioni, contratture muscolari e aumento del rischio di fratture (10,11). L’allungamento dell’arto attraverso la procedura di Ilizarov comporta, infatti, la rottura chirurgica delle ossa lunghe, la fissazione esterna e la distrazione graduale per molti mesi durante il processo di guarigione. La lunghezza media ottenuta è di circa 20.5 cm dopo multiple procedure applicate sia al femore sia alla tibia. È necessaria un’attenta valutazione clinica e psicologica pre-operatoria, per valutare l’alto rischio di complicanze rispetto al miglioramento staturale ottenibile. Le recenti innovazioni, come l’uso della fissazione intra-midollare, possono migliorare i risultati e ridurre i rischi (12-14). In futuro, la combinazione dell’allungamento chirurgico dell’arto con le strategie farmacologiche potrebbe condurre a un ulteriore miglioramento della prognosi staturale di questi pazienti.
Attualmente non esistono terapie farmacologiche approvate per le condro-displasie, ad eccezione dell’ormone della crescita, che ha indicazione per l’acondroplasia soltanto in Giappone. Negli ultimi anni sono state proposte e studiate molte strategie non chirurgiche, sfruttando l'impiego di anticorpi monoclonali volti a ridurre l’eccessiva attivazione di FGF-R3, in modo da stimolare la crescita ossea lineare nei pazienti affetti da acondrodisplasia, o di recente la disponibilità di un anticorpo monoclonale, il burosumab, per i pazienti con la forma di rachitismo ipofosfatemico X-linked (11,15,16). Nonostante ci troviamo già in fase di sperimentazione di numerose nuove promettenti terapie farmacologiche (11,16-18), oggi per cercare di migliorare la qualità e la durata della vita di chi è affetto da displasia scheletrica bisogna spesso considerare l'impiego di soluzioni chirurgiche. È tuttora attuale la necessità di correggere chirurgicamente la direzione in cui crescono le ossa o per allungare gli arti, per eseguire osteo-sintesi di fratture ripetute, per correggere la colonna vertebrale, per allargare il canale vertebrale, per inserire uno shunt atto a drenare l’ipertensione endo-cranica.
I trattamenti riabilitativi fisiatrici sono di estrema necessità per rafforzare i muscoli e aumentare l’estensione dei movimenti. Per il trattamento di questi stati patologici è indispensabile la messa a punto e personalizzazione di attrezzature di assistenza e modi alternativi per lo svolgimento delle attività quotidiane. I chirurghi ortopedici pediatrici, i neurochirurghi e i fisiatri non sono gli unici operatori, ma agiscono in collaborazione con genetisti, cardiologi, otorinolaringoiatri, oftalmologi, neurologi, neuropsichiatri infantili, endocrinologi, fisiatri, avvalendosi inoltre di un adeguato counseling e supporto psicologico.

 


SISTEMATICA DELLE DISPLASIE SCHELETRICHE: EZIOLOGIA E DIAGNOSI
Queste patologie possono derivare da difetti genetici, noxae esogene o da sindrome della banda amniotica.
Evitiamo di affrontare la classificazione molecolare molto estesa e accurata, basata sulle diverse alterazioni genetiche presenti nelle displasie scheletriche, che agiscono sulla cartilagine di accrescimento, limitandoci a segnalare che possono essere anomalie genetiche che agiscono nello sviluppo della cartilagine di accrescimento o coinvolgono la sintesi di proteine extra-cellulari (tab 2-4).

 

Tabella 2
Anomalie genetiche che agiscono nello sviluppo della cartilagine di accrescimento
Condizione Geni Trasmissione Segni clinici e radiologici
Segnale FGF
Acondroplasia FGF-R3 Autosomica dominante (AD) Macrocrania, ipoplasia media facies, bozze frontali prominenti. Riduzione rizomelica (parte prossimale) degli arti, limitata estensione del gomito, mano a tridente, ginocchio varo, iperlordosi lombare. Ossa lunghe corte e ricurve, pelvi a tridente, ridotta distanza fra i peduncoli vertebrali lombari.
Displasia tanatofora tipo I e II FGF-R3 AD Forma letale nel periodo peri-natale, arti molto corti, femori a cornetta del telefono, marcata plati-spondilia e ristrettezza del torace, cranio a trifoglio (tipo II).
Ipocondroplasia FGF-R3 AD Ritardo di crescita pre- e post-natale, intelligenza nella norma. Ipoplasia rotulea, iperlassità articolare. Enfisema, tracheo-laringo-bronco-malacia. Difficoltà respiratorie e nell'alimentazione nel primo anno di vita. Anomalie genitali, ipoplasia mammaria.
Segnale BMP
Brachidattilia A1, A2, C IHH, GDF5, BMPR1B, BMP2, CDMP1 AD Anomalie di tutte le falangi medie e fusione con le distali (A1).
Anomalie della falange media dell'indice e del secondo dito del piede (A2).
Anomalie falangi medie II e III dito mano, anomalie solo falange media V dito, II e IV dito più lungo.
Segnale WNT
Sindrome di Robinow WNT5A
DWL1
DWL3
AD RS1
AD RS2
AD RS3

Esordio post-natale, bassa statura, brevità acro-mesomelica degli arti, macrocefalia, bozze frontali, occhi prominenti, ipertelorismo, narici antiverse. Appiattimento della regione media della facies. Anomalie dentali (malocclusione, ipodonzia, ritardo eruzione denti permanenti, denti sovrannumerari).
Ipoplasia genitali:

  • maschio: micro-pene, ipoplasia scrotale, criptorchidismo;
  • femmina: ipoplasia clitoride e grandi labbra.
ROR2 Autosomica recessiva (AR) Possibili anomalie cardiache e renali, labio-palatoschisi, displasie ungueali. Riduzione mesomelica soprattutto degli arti superiori, brachidattilia. Segmentazione vertebrale.
Una variante allelica AD ha brachidattilia con falangi medie corte, falangi distali rudimentali o assenti, deformità del pollice, alluci grandi.
Segnale PTHrO
Displasia acro-capito-femorale IHH AR Bassa statura disarmonica, macrocrania relativa, brachidattilia, epifisi a cono alle mani e femore.
La forma allelica AD (causata non solo da IHH, ma anche da GDF5 e BMPR1B) presenta brachidattilia tipo A1, tipica per le anomalie di tutte le falangi medie fuse con le distali.
Displasia metafisaria tipo Jansen PTH-R1 AD Bassa statura disarmonica grave, faccia prominente con mandibola piccola, arti corti e curvi. Ipercalcemia e iposfatemia.
Condrodisplasia tipo Blornstrand PTH-R1 AD Displasia letale, polidramnios, idrope fetale. Anomalie facciali, arti molto corti. Incremento della densità ossea, con maturazione scheletrica avanzata.
Segnale CNP/NPR2

Displasia acromesomelica tipo Maroteaux

NPR2 AR Bassa statura disarmonica, con riduzione dei segmenti mesomelici ed acromelici dei quattro arti. Fronte prominente, con naso piccolo e largo. Pectus escavatum/carenato, ipercifosi dorsale, iperlordosi lombare. Intelligenza normale.
Bassa statura idiopatica armonica NPR2 AD Bassa statura moderata. Riduzione segmenti mesomelici arti superiori ed inferiori.

 

 

 

Tabella 3
Mutazioni genetiche con ruolo non ancora ben definito nella replicazione del DNA
Condizione Geni Trasmissione Segni clinici e radiologici
Sindrome di Kenny-Caffey FAM11A AD Importante bassa statura, anomalie facciali e oculari, mani e piedi piccoli. Ispessimento della corticale delle ossa lunghe. Stenosi midollare, cranio-stenosi, ritardo chiusura fontanella anteriore. Ipoparatiroidismo, ipocalcemia, possibile ipofosfatemia e anemia. Calcificazioni renali e dei nuclei della base. Possibile epilessia. Intelligenza normale, voce con timbro acuto.
Discondrosteosi (sindrome di Léri-Weill) SH0X Aplo-insufficienza Bassa statura mesomelica (brevità degli arti nella porzione media), anomalia di Madelung (curvatura dell'avambraccio per disallineamento fra radio, ulna e ossa carpali). Intelligenza nella norma.
Displasia mesomelica di Langer SH0X Aplo-insufficienza Bassa statura severa, brevità delle ossa lunghe. Ipoplasia ulna e perone. Anomalia di Madelung assente. Intelligenza normale.

 

 

 

Tabella 4
Difetti delle proteine della matrice extra-cellulare
Condizione Geni Trasmissione Segni clinici e radiologici
Aggrecano
Displasia spondilo-epi-metafisaria tipo aggrecano ACAN AR Bassa statura armonica nell'infanzia, disarmonica nell'età adulta. Macrocefalia relativa. Marcata ipoplasia della regione centrale della faccia, con assenza della cartilagine nasale, prognatismo. Collo corto. Torace a botte. Platispondilia e schisi dei corpi vertebrali cervicali. Scoliosi e iperlordosi lombare. Riduzione rizo-mesomelica degli arti, con epifisi irregolari e metafisi allargate. Brachidattilia mani, con pollici larghi.
Displasia spondilo-epifisaria tipo Kimberley ACAN AD Habitus tarchiato, con bassa statura armonica. Irregolarità delle cartilagini di accrescimento. Sclerosi dei corpi vertebrali e anomalie epifisarie con ritardo dell'età ossea. Artropatia progressiva severa e precoce.
Osteocondrite dissecante familiare ACAN AD Bassa statura disarmonica. Riduzione degli spazi inter-vertebrali. Frammentazione della cartilagine articolare e dell'osso subcondrale, con frammenti liberi intra-articolari, versamento articolare con articolazione a scatto.
Bassa statura con età ossea avanzata ACAN AD Età ossea avanzata con blocco anticipato della crescita staturale.
Collagene tipo 1
Osteogenesi imperfetta  COL1A1 AD

Tipo I lieve: fragilità ossea, sclere blu, ipoacusia. Raramente bassa statura e dentinogenesi imperfetta.
Tipo II letale in epoca neonatale: sclere blu, assenza di mineralizzazione, ossa curve con fratture prenatali. Insufficienza respiratoria.
Tipo III grave progressiva deformante: marcata fragilità ossea con fratture frequenti, sclere blu, dentinogenesi imperfetta, bassa statura.
Tipo IV moderata: bassa statura e lieve fragilità ossea, fratture frequenti, ma meno numerose alle ossa lunghe, non sclere blu.

IFITM5 AD Tipo V moderata: fragilità ossea, iperplasia del callo osseo, calcificazione della membrana inter-ossea, assenza di sclere blu e dentinogenesi imperfetta.
    Collagene tipo 2
Displasia spondilo-epifisaria congenita  COL2A1  AD

Bassa statura disarmonica, con prevalenza di tronco corto. Facies piatta, ponte nasale sottile, talora palatoschisi, miopia. Collo corto, petto carenato, ginocchio valgo. Quadro radiologico diverso in rapporto all'età:

  • nell'infanzia, ritardata ossificazione, assenza dei centri di ossificazione delle ossa pubiche e dell'epifisi del ginocchio;
  • successivamente, plati-spondilia, ipoplasia odontoide, assenza o ritardo ossificazione epifisi superiore femorale, anomalie epimetafisarie ossa lunghe, coxa vara, ritardo ossificazione ossa carpo e tarso.
Displasia di Kneist  COL2A1 AD Faccia mediana piatta, radice nasale infossata, palatoschisi, miopia. Tronco corto, iperlordosi lombare, scoliosi. Arti corti con articolazioni prominenti. Segni radiologici specifici: plati-spondilia, corpi vertebrali con cuneizzazione anteriore, "cleft" coronale lombare. Anomalie epifisarie ossa lunghe, collo femorale corto e largo.
Collagene tipo 9
Displasia epifisaria multipla

COL9A1
COL9A2
MTN3
COMP
SLC26A2
CANT1

AD
AD
AD
AD
AR
AR

Bassa statura disarmonica con arti corti. Dolore e tumefazione articolare. Osteo-artrite a esordio precoce. Deambulazione dondolante (anserina). Coinvolgimento di tutte le epifisi, in particolare anca, ginocchio, caviglia, mani e polsi. Appiattimento delle epifisi con l'età, metafisi normali, lieve riduzione di lunghezza ossa lunghe, vertebre con minime anomalie. Segno particolare: rotula bipartita.
Pseudo-acondroplasia COMP AD Bassa statura disarmonica. ossa lunghe incurvate. Brachidattilia, con iperlassità soprattutto inter-falangea e carpale. Anomalie vertebrali. Osteo-artrite. Assenza delle caratteristiche facciali proprie dell'acondroplasia. Segni radiologici tipici sono i corpi vertebrali biconvessi, con protrusione anteriore linguiforme, corpi vertebrali normali in adolescenza, anomalie epifisarie diffuse, soprattutto del femore prossimale.
Sindrome di Stickler tipo 1 COL2A1
tipo 2 COL1A1
tipo 3 COL1A2
AD

Displasia ossea spondilo-epimetafisaria. Iperlassità articolare. Osteo-artrite progressiva. Micro-retrognatia, con anomalie del palato, sequenza di Pierre Robin. Ipoacusia. Miopia grave, con distacco di retina ed anomalie del corpo vitreo.
La tipo 3 AD non ha anomalie oculari.

COL9A1
COL9A2
COL9A3
AR

 

 


DIAGNOSI PRE-NATALE
Sono fondamentali: l'anamnesi familiare ed ostetrica, con la datazione corretta della gestazione, unite alla misurazione delle ossa lunghe e delle dimensioni del cranio (circonferenza cranica — HC, circonferenza toracica — CC, circonferenza addominale — AC, lunghezza femorale — FL).
L'esame ecografico nelle diverse fasi della gravidanza permette di:

  • I trimestre: identificare gli arti e i diversi segmenti ossei;
  • II trimestre: valutare lunghezza, morfologia, motilità, atteggiamento ed ecogenicità dei quattro arti;
  • III trimestre: valutare lunghezza degli arti e mineralizzazione ossea.

Nel sospetto di ritardo di crescita intra-uterino (IUGR), misurare il rapporto FL/piede (fig 3).

Figura 3
Iter diagnostico per differenziare displasie scheletriche da IUGR

 

La bassa statura è uno degli elementi clinici per cui più frequentemente un paziente viene sottoposto all’attenzione del pediatra. La Società Europea di Endocrinologia Pediatrica (ESPE) ha proposto nel 2007 una classificazione della bassa statura, aggiornata nel 2016, che la suddivide in tre grandi categorie (5):

  1. primaria, che comprende le condizioni sindromiche su base genetica;
  2. secondaria, che comprende i nati piccoli per età gestazionale, con deficit di recupero della crescita;
  3. idiopatica, che comprende le displasie scheletriche.

Le displasie scheletriche si differenziano come gravità fra:

  • forme letali, che si caratterizzano per FL/AC < 0.16, polidramnios, micromelia severa, ipoplasia toracica severa;
  • forme non letali, in cui è comunque fondamentale la comparazione con gli aspetti standard dei segmenti ossei, la valutazione qualitativa dell’osso (demineralizzazione, fratture), la valutazione di mani, piedi e cranio (macrocrania, prominenza delle bozze frontali, ipo-ipertelorismo), liquido amniotico, colonna vertebrale, visceri, ecocardiogramma, movimenti fetali.

Il test molecolare e il counseling genetico completano la diagnosi.

 

 


DISPLASIE SCHELETRICHE LETALI (0.95-1/10mila nati)

Acondrogenesi
Genetica: deriva da una rara mutazione del gene codificante per il collagene tipo II. Ne esistono due sottotipi, il tipo I (AR) e il tipo II (AD).
Clinica: micromelia estrema.
Diagnosi: ossa appena evidenziabili e ricurve, ipoplasia toracica severa, ipomineralizzazione di grado variabile.
Esito: letale nel 100% dei casi.

 

Displasia tanatofora
Genetica
: deriva da una mutazione relativamente frequente del gene codificante per Fibroblast Growth Factor Receptor.
Clinica: rizomelia severa, ipoplasia toracica, cranio a trifoglio (in una delle varianti).
Esito: letale nel 100% dei casi per ipoplasia toracica.

 

Osteogenesi imperfetta
Comprende un gruppo eterogeneo di patologie congenite (tab 5), caratterizzate da estrema fragilità ossea, per mutazione dei geni codificanti per il collagene tipo I.
Dopo le prime descrizioni del 1788, sono stati introdotti vari sinonimi: malattia di Lobstein, malattia di Vrolik, osteosatirosi, fragilitas ossium.

 

Tabella 5
Classificazione clinica e radiografica dell’osteogenesi imperfetta
Tipo Trasmissione Statura Gravità e manifestazioni
I AD Normale Lieve: fragilità ossea, sclere blu, ipoacusia (raramente bassa statura e dentinogenesi imperfetta).
II AD Normale Letale nel periodo peri-natale, sclere blu, assenza di mineralizzazione, ossa curve con fratture pre-natali, insufficienza respiratoria.
III AD Bassa Severa con deformità: scoliosi, spondilo-listesi, schiacciamenti vertebrali, instabilità cervicale C1-C2, invaginazione del dente dell’epistrofeo nella base cranica, con compressione del ponte e manifestazioni neurologiche anche severe (atassia, disfagia), sclere blu, dentinogenesi imperfetta.
IV AD Bassa Da moderata a severa fragilità ossea, con fratture frequenti, ma meno numerose alle ossa lunghe, non sclere blu.
V AD Lievemente diminuita Fragilità ossea da lieve a moderata, formazione di callo ipertrofico dopo frattura e calcificazione della membrana interossea dell’avambraccio, dentinogenesi imperfetta, assenza di sclere blu.
VI AD Normale o lievemente diminuita Alta fragilità ossea con fratture frequenti sin dall’infanzia, fratture vertebrali da compressione, deformità degli arti. Assenza di sclere blu e difetti della dentinogenesi.
VII AR Variabile Fratture intra-uterine, deformità degli arti inferiori, accorciamento rizomelico degli arti inferiori, coxa vara.

 

Le caratteristiche principali sono 4: difetto genetico, collagenopatia, fragilità ossea, fratture frequenti. Oltre all'osso, sono colpiti altri tessuti, di cui il collagene I è il principale costituente: sclere, dentina, ossa dell’apparato acustico, cute, vasi, capillari, valvole cardiache (fig 4,5).

 

 

Figura 4
Caratteristiche cliniche dell'osteogenesi imperfetta

 

Figura 5
Ragazza con osteogenesi imperfetta di tipo III (trattata chirurgicamente per scoliosi a 15 anni), trattata chirurgicamente più volte in età pediatrica e adulta alle mani e agli arti inferiori.

 

Incidenza: relativamente frequente (0.4/10mila), di cui la metà è costituita dal tipo II.
Clinica: fratture spontanee, ipoplasia toracica, ipomineralizzazione, ossa deformate (incurvatura). Interessamento molto severo del rachide, con scoliosi dal 30% al 90% dei casi (aumenta con l’aumentare della severità della patologia). L’alta prevalenza di scoliosi è a sostegno della teoria che collega la collagenopatia con iperlassità dei legamenti della colonna e deformità a carico dei corpi vertebrali e frequenti micro-fratture vertebrali da fragilità, al danno a carico delle cartilagini di accrescimento, al verificarsi di fratture e deformità costali, oltre all'impossibilità di deambulare correttamente e ai problemi legati alla dentinogenesi imperfetta. La scoliosi è meno frequente prima dei 6 anni, ma poi va spesso in rapida progressione. Se la progressione della curva scoliotica non viene arrestata tempestivamente, la deformità può evolvere verso valori molto elevati (oltre i 90°) (fig 6), causando riduzione della funzionalità polmonare e sviluppo di cuore polmonare, con esito infausto.

 

Figura 6
Radiografie in ortostatismo di ragazza di 15 anni con osteogenesi imperfetta di tipo III, con severa scoliosi, precedentemente trattata con bisfosfonati e con ortesi bassa: pre-operatorie antero-posteriore (a) e latero-laterale (b); antero-posteriore (c) e latero-laterale (d), tre mesi dopo correzione ed artrodesi posteriore strumentata mediante viti peduncolari.

 

Diagnosi: può essere effettuata in fase pre-natale (nei casi gravi), clinicamente, radiograficamente o mediante esame biochimico o genetico.
Trattamento medico: bisfosfonati, anche in pazienti di età < 2 anni (tab 2-5).
Trattamento ortesico (busto ortopedico o corsetto in gesso): è controverso, perchè può causare deformità costali severe, con aggravamento secondario della scoliosi (è sicuramente controindicato un corsetto alto con mentoniera, che può causare malocclusione dentale e piaghe da decubito).
Trattamento chirurgico: oltre al trapianto di midollo osseo per aumentare la densità degli osteoblasti, riducendo così la frequenza delle fratture, consiste nell’armatura delle ossa lunghe. Attualmente sono già in uso strumentazioni intelligenti (cioè allungabili) per la correzione della deformità ossea, intra-midollari per le ossa lunghe e sul rachide per la scoliosi (6,8,20-22). Sin dagli anni ‘70 e ’80 c‘è stata indicazione al trattamento chirurgico delle scoliosi severe, mediante artrodesi strumentata posteriore, in particolare nei casi in cui la scoliosi mostra una rapida evoluzione in età precoce e il trattamento conservativo non ha successo. L'alta incidenza di complicanze, dovute alle difficoltà di ancoraggio dello strumentario per la ridotta resistenza meccanica del tessuto osseo, ha reso prudente negli anni l’approccio chirurgico alle deformità della colonna. Solo recentemente, grazie all’evoluzione degli strumentari (fig 6) e delle tecniche chirurgiche e anestesiologiche, gli interventi per scoliosi in questa patologia sono diventati meno rischiosi e con soddisfacente correzione intra-operatoria (6,23-26).

 

Ipofosfatasia
Genetica: mutazione del gene codificante per la fosfatasi alcalina. Ne esistono tre tipi, il III diagnosticabile in utero e con prognosi peggiore.
Incidenza: molto rara.
Clinica: micromelia, ipoplasia toracica, ipomineralizzazione, idrope ed edema nei casi diagnosticati precocemente.

 

SRPS (Short Rib Polydactyl Syndrome)
Eziologia
: sconosciuta.
Incidenza: molto rara.
Clinica: se ne riconoscono due forme, entrambe con le stesse caratteristiche ecografiche, spesso associate a cardiopatia congenita. Micromelia, ipoplasia toracica, esadattilia.
Esito: letale nel 100% dei casi.

 

Displasia camptomelica
Genetica:
mutazione del gene codificante la proteina SRY-box 9, presente nel testicolo e nello scheletro.
Incidenza: rara (0.2/10mila nati).
Clinica: rizomelia, tibia e femore incurvati, ipoplasia delle scapole, micrognazia, sex reversal nei maschi.
Esito: quasi sempre letale.

 

 


DISPLASIE SCHELETRICHE NON LETALI

Displasia distrofica
Genetica
: mutazione del gene DTDST.
Incidenza: molto rara.
Clinica: deformità posturali, micrognazia, contratture degli arti (pollice da “autostoppista”).
Esito: letale nel 25% dei casi, grave handicap fisico per le contratture e la cifoscoliosi in coloro che sopravvivono.

 

Acondroplasia.
Genetica: mutazione del gene codificante per Fibroblast Growth Factor Receptor. Se ne distinguono due sottotipi: omozigote ed eterozigote.
Incidenza: relativamente frequente (1/10mila nati).
Clinica: rizomelia, tendenza alla macrocrania, naso insellato, mano a tridente.
Esito: sopravvivenza e performance mentale nella norma, problematiche ortopediche e polmonari a lungo termine.

 

Distrofia toracica asfissiante
Eziologia
: sconosciuta.
Incidenza: rara.
Clinica: ipoplasia toracica, anomalie renali, rizomelia moderata.
Esito: letale nel 60% dei casi per ipoplasia polmonare.

 

Distrofia condro-ectodermica
Genetica: mutazione locus 4p16 che porta ad anomalia del tessuto di accrescimento cartilagineo tra epifisi e diafisi e a displasia dei tessuti di origine ectodermica.
Incidenza: molto rara (1/60mila nati).
Clinica: acro-mesomelia, ipoplasia toracica di media entità, esadattilia post-assiale, soprattutto delle mani, cardiopatia congenita (difetto inter-atriale).
Esito: letale nel 50% dei casi.

 

Distrofia metatropica
Eziologia: mutazione nel gene TRPV4, che codifica per un canale cationico permeabile al Ca2+ presente in diversi tessuti. Le mutazioni possono provocare un aumento del calcio nei condrociti e, di conseguenza, un'alterazione dell'ossificazione endo-condrale ed i segni clinici.
Incidenza: non nota (ad oggi sono stati descritti circa 81 casi) (1).
Clinica: displasia spondilo-epimetafisaria, caratterizzata da torace lungo e arti corti nel periodo neonatale, successiva cifo-scoliosi grave e progressiva, che esita in inversione delle proporzioni nell'infanzia (torace corto e arti lunghi) e statura finale bassa nell'età adulta. Lo spettro fenotipico è variabile e si associa a forme gravi con esito letale "in utero", o immediatamente dopo la nascita, e a forme che presentano solo lievi alterazioni scheletriche.
Diagnosi: si basa sui segni clinici e radiologici. Questi variano a seconda dell'età e comprendono diafisi corte con metafisi larghe, significativa plati-spondilia, calcificazione precoce della cartilagine ioide e cricoide, bacino a forma di alabarda, grave ipoplasia della parte anteriore delle prime vertebre cervicali, con anomalie e aspetto squadrato delle ossa del calcagno. I test molecolari possono identificare le mutazioni diTRPV4, confermando la diagnosi.
Esito: la prognosi varia a seconda della gravità della malattia. L'attesa di vita non è di solito compromessa, a meno che non vi siano complicazioni respiratorie.

 


CONCLUSIONI
Il percorso diagnostico delle displasie scheletriche è fondamentalmente clinico-radiologico: la valutazione accurata dei segni clinici e radiologici può consentire almeno l’inquadramento in uno dei 42 gruppi o famiglie e indirizzare a eventuali indagini genetiche mirate.
Negli ultimi vent’anni sono stati compiuti notevoli progressi nella comprensione dei disturbi correlati a mutazioni del recettore FGF-R3 e dei meccanismi patogenetici alla base di tali disturbi, in modo da delineare strategie terapeutiche efficaci nel trattamento dei difetti di crescita ossea associati a questo tipo di mutazioni. Sebbene ci sia stato un certo successo nello sviluppo di nuove terapie, il miglioramento ulteriore del trattamento di bambini e adulti affetti rappresenta tuttora una sfida affascinante. Ci sono diverse nuove strategie terapeutiche che potranno essere prese in considerazione in futuro. Inoltre, sarà importante studiare il potenziale sinergismo di due o più inibitori farmacologici dell’FGF-R3 o della via di segnale a valle, che potrebbero aumentare l’efficacia del trattamento. L’eterogeneità clinica e allelica di diverse condizioni, in relazione a mutazioni in domain diversi di uno stesso gene e soprattutto in malattie estremamente rare, può complicare l’iter diagnostico. L’attuale livello di conoscenze ha reso possibile la diagnosi con diversi criteri clinici, radiologici e molecolari della maggior parte delle 461 displasie scheletriche attualmente note. In questi casi, per giungere alla diagnosi è indispensabile ricorrere a un’indagine molecolare con sequenziamento completo dell'esoma, che consente di definire la diagnosi nella quasi totalità dei casi (92%). Nello stesso tempo sono molto migliorate le condizioni di vita dei pazienti grazie ai progressi in campo terapeutico, sia chirurgico, per prevenire le deformità, sia farmacologico con il ricorso a farmaci nuovi o già in uso per altre indicazioni, sia con la terapia enzimatica sostitutiva (ad es. in alcune mucopolisaccaridosi), ma soprattutto con terapie specifiche (trial già conclusi o in itinere nei casi di acondroplasia).

 


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Antonio Radicioni, Antonella Valente, Matteo Spaziani
SMID04 Diagnostica ormonale, Seminologia e Banca del seme
Azienda Policlinico Umberto I – Sapienza Università di Roma

(aggiornato al 21 gennaio 2020)

 

Introduzione
Per ginecomastia, dal greco gynec (donna) e mastos (petto), si intende l’aumento di volume della ghiandola mammaria nel maschio, determinato dalla proliferazione benigna di elementi duttali del parenchima ghiandolare (1). Da questa condizione clinica va distinta l’adipomastia (detta anche lipomastia o pseudo-ginecomastia), caratterizzata da un’eccessiva presenza di tessuto adiposo in regione mammaria, frequentemente, ma non esclusivamente, presente nei soggetti obesi. La ginecomastia può essere bilaterale o monolaterale (2).
Nell’adolescente frequentemente determina un importante senso d’ansia, distress per la propria immagine corporea e riduzione della qualità di vita: un nostro paziente di 14 anni con un promettente futuro nel nuoto nazionale, dopo diversi anni e ottimi risultati agonistici, aveva deciso di abbandonare il nuoto per le difficoltà di mostrarsi in costume.
Prima della pubertà è possibile osservare una forma neonatale abbastanza rara: il passaggio trans-placentare di estrogeni materni e la conversione di DHEA e DHEAS ad estrone (E1) ed estradiolo (E2) da parte del tessuto placentare determinano uno sbilanciamento del rapporto E2/T nel feto. È usualmente una forma benigna, ad evoluzione spontanea dopo qualche settimana dalla nascita. Se la ginecomastia persiste per più di un anno, devono essere indagate altre possibili cause sottostanti.
I meccanismi alla base della ginecomastia includono una diminuzione della produzione di androgeni, l’aumento della produzione di estrogeni o la maggior disponibilità di precursori degli estrogeni per la conversione periferica. Altre possibili cause sono il blocco del recettore degli androgeni e, in pazienti con alterata produzione di testosterone (T), la ridotta concentrazione di T libero (fTe) dovuta all’aumento della SHBG. La stimolazione da parte degli estrogeni determina iperplasia duttale, allungamento e diramazione dei dotti ghiandolari, proliferazione dei fibroblasti peri-duttali e incremento della vascolarizzazione (1). Tutte le condizioni che aumentano la concentrazione di SHBG possono determinare riduzione di fTe.
Molti studi effettuati su maschi in età puberale con ginecomastia non hanno mostrato alterazioni della concentrazione sierica di T, E2, E1 e gonadotropine rispetto a maschi di pari età senza ginecomastia. Tuttavia, in alcuni casi si osserva un transitorio rapido incremento di E2 all’inizio della pubertà nei ragazzi che sviluppano ginecomastia. Questi mostrano talvolta ampie fluttuazioni dei livelli di E2, con aumento della concentrazione di E2 totale nelle 24h, che riflette un aumento della conversione degli androgeni surrenalici in estrogeni. L’incremento della concentrazione di E2 fino a livelli dell’adulto si verifica sempre prima dell’aumento della concentrazione di T: è proprio in questa fase che può generarsi lo squilibrio del rapporto E2/T (3). Leptina e IGF-1 sono aumentati sia nei ragazzi con ginecomastia, sia in quelli senza. Tuttavia, l’evidenza che la ginecomastia puberale si sviluppa in associazione a un rapido raggiungimento del picco di concentrazione di queste due molecole, evidenzia che effettivamente sia la leptina che l’IGF-1 possono essere implicate nello sviluppo della ginecomastia puberale (4).
L’incidenza della ginecomastia, durante l’età evolutiva, nei lavori della letteratura varia notevolmente, fra 4 e 69%, in base al diverso modo di valutare l’incremento ghiandolare e alle diverse età considerate dagli autori. Risulta estremamente rara prima dei 10 anni, aumenta con il progredire della maturazione puberale, con un picco fra 13 e 14 anni nella fase medio avanzata della pubertà (stadio puberale di Tanner G3-G4).

 

Diagnosi
Usualmente il giovane paziente o i genitori riferiscono di aver notato il rigonfiamento in regione mammaria in una fase estremamente critica dello sviluppo puberale, pertanto giungono all’osservazione con molta ansia e preoccupazione.
Nella ginecomastia dell’adolescente l’iter diagnostico prevede il dosaggio di gonadotropine, T, E2, SHBG, PRL, TSH e fT4. Nel caso di una sostanziale normalità di questi dosaggi di primo livello, certamente non si può escludere la possibilità che i ragazzi con ginecomastia potrebbero presentare un più basso rapporto di delta4-androstenedione/E1 e DHEAS/E2, dovuto a un’aumentata aromatizzazione negli adolescenti obesi, quindi con una temporanea alterazione della conversione degli androgeni surrenalici ad estrogeni. Questa condizione potrebbe non essere rilevabile a livello sistemico, se si realizzasse temporaneamente solo a livello locale, con alterato rapporto tra gli effetti stimolatori degli estrogeni e quelli inibitori degli androgeni sul tessuto mammario.
L’obesità o il sovrappeso possono favorire la comparsa della ginecomastia, perché il tessuto adiposo della regione mammaria contiene l’enzima aromatasi, che converte T e delta-4 rispettivamente in E2 ed E1, ma la ginecomastia si può osservare anche in ragazzi normopeso e in rari casi anche sottopeso.
L’ecografia bilaterale della regione mammaria è uno strumento molto utile per valutare il volume della componente ghiandolare e del tessuto adiposo (tab. 1).

 

Tabella 1
Classificazione ecografica
(5)
Tipo Descrizione Risposta alla terapia medica
Florida Iperplasia e proliferazione dei dotti, con aumento ed edema dello stroma Buona
Intermedia Caratteristiche intermedie  
Fibrosa Fibrosi diffusa dello stroma Scarsa/assente

 

 

Ginecomastia patologica o secondaria
In epoca peri-puberale si può sviluppare una ginecomastia secondaria a patologie diverse, come l’ipogonadismo primario e secondario, in particolare la sindrome di Klinefelter, patologie epatiche croniche, tumori testicolari, ipertiroidismo e ipotiroidismo, alterazioni della differenziazione sessuale, e anche all’uso di alcuni farmaci e sostanze che possono aumentare la concentrazione di PRL.
In tutte le forme di ipogonadismo si assiste a un incremento del rapporto E2/T, che favorisce lo sviluppo della ginecomastia, la quale può anche rappresentare il sintomo di esordio. L’ipogonadismo primario è caratterizzato da una ridotta produzione di T, aumentati livelli di LH, con aumentata aromatizzazione del T ad E2. Per contro, nell’ipogonadismo secondario i ridotti livelli di T sono dovuti alla riduzione della secrezione di LH, in presenza di produzione di precursori degli estrogeni da parte del surrene (fig 1). Quindi, in entrambe le condizioni si verifica l’incremento del rapporto E2/T.

 

 

Figura 1. Ginecomastia e adipomastia in paziente di 16.4 anni con ipogonadismo ipogonadotropo

 

La sindrome di Klinefelter (KS) rappresenta la più comune anomalia cromosomica associata ad ipogonadismo. La prevalenza della ginecomastia in questi pazienti è compresa tra 50 e 70% nelle diverse casistiche e merita particolare attenzione del clinico, perché può permettere di sospettare l’alterazione cromosomica e anche per l’aumentato rischio di sviluppare un carcinoma mammario in questa patologia (6) (fig 2).

 

 

Figura 2. Ginecomastia in paziente con s. di Klinefelter di 15.2 anni

 

L’iperprolattinemia può essere implicata nella patogenesi della ginecomastia come causa secondaria di ipogonadismo. Tuttavia, nel tessuto mammario maschile sono stati trovati recettori per PRL (7), che possono essere co-espressi e cross-regolati con i recettori del GH e del progesterone (PGR). L’attivazione del PGR è spesso associata a una riduzione del recettore per gli androgeni (AR): ciò ostacola l’inibizione della crescita del tessuto mammario mediata dal T, che si osserva in condizioni di normale omeostasi ormonale. Di conseguenza, oltre che inducendo ipogonadismo, l’iperprolattinemia può favorire lo sviluppo di ginecomastia attraverso una via completamente differente: elevati livelli di PRL possono stimolare la crescita del tessuto mammario come risultato di eccessiva attivazione del PGR e ridotta disponibilità dell’AR.
La ginecomastia può essere anche il primo segno di un tumore testicolare. Tumori testicolari a cellule germinali inducono ginecomastia mediante l’incremento dei livelli di βhCG da parte della neoplasia (coriocarcinoma o foci di cellule trofoblastiche all’interno di un seminoma) (8). Gli alti livelli di βhCG che ne derivano, all’interno delle cellule di Leydig alterano l’attività enzimatica della 17-idrossilasi e incrementano l’attività dell’aromatasi testicolare, con incremento della conversione di T ad E2 (9). Infine, la ginecomastia si sviluppa anche nel 15% dei pazienti trattati con successo per neoplasia testicolare (orchiectomia, chemio/radioterapia): l’impatto che la chemioterapia e la radioterapia possono avere sul testicolo contro-laterale può determinare ipogonadismo secondario, che spesso si risolve spontaneamente nell’arco di un anno. Per contro, la ginecomastia può comparire nel 20-30% delle neoplasie testicolari non a cellule germinali. Il tumore a cellule di Leydig determina il diretto incremento della secrezione di estrogeni e/o l’incremento dell’attività dell’aromatasi testicolare. Anche i tumori a cellule di Sertoli sono associati allo sviluppo di ginecomastia e femminilizzazione, tramite l’aumento dell’attività dell’aromatasi testicolare.
La ginecomastia può comparire in adolescenti affetti da ipertiroidismo, per l’aumento di E2, SHBG e T. L’aumento dei livelli di LH è inoltre responsabile dell’aumentata aromatizzazione di T in E1-E2. Anche l’ipotiroidismo può favorire lo sviluppo di ginecomastia per l’aumentata secrezione di TRH e conseguentemente di PRL. Sia in ipertiroidismo che in ipotiroidismo, la ginecomastia può essere risolta ristabilendo lo stato di eutiroidismo.
Studi non recenti hanno permesso di dimostrare in adolescenti che sia l’aumento dei livelli di leptina che i polimorfismi nel suo recettore possono essere coinvolti nella patogenesi della ginecomastia: il metabolismo accelerato degli estrogeni e l'aumento della espressione dell’aromatasi sono stati identificati come fattori che inducono ginecomastia. Anche l'asse GH-IGF potrebbe avere un ruolo nella patogenesi di questa patologia (10).
C'è una solida evidenza che molti farmaci sono in grado di indurre ginecomastia (11). In epoca puberale si debbono ricordare rhGH, anti-psicotici, corticosteroidi, oppioidi e dopanti, che debbono essere attentamente ricercati nell’anamnesi di questi ragazzi (12,13).

 

Esame obiettivo locale
Il giovane paziente deve essere visitato in clino- e orto-statismo. Pur tenendo conto della classificazione di Rohrich (tab 2), riteniamo più semplice e riproducibile la misura del diametro medio della lesione mammaria di consistenza aumentata e granulosa indicativa del nucleo ghiandolare. Deve essere previsto un esame generale, con particolare attenzione a quello genitale, per valutare lo sviluppo puberale ed eventuali sospetti di ipogonadismo.

 

Tabella 2
Classificazione clinica (14)
Grado Ipertrofia Ptosi
I Minima (< 250 g) No
II Moderata (250-500 g) No
III Severa (> 500 g) I grado
IV II-III grado

 

 

Terapia
In linea generale la decisione di trattare la mammella dipende dalla scelta del paziente e dall’impatto che la patologia ha sulla sua qualità di vita.
Nei casi di ginecomastia fisiologica, dovuta spesso a uno squilibrio ormonale transitorio, non è necessario nessun trattamento: nell’adolescente la malattia può regredire spontaneamente nel giro di 12-18 mesi.
È importante cercare di identificare le forme secondarie e iatrogene. Nel caso in cui la ginecomastia non si risolva spontaneamente ed evolva verso quadri non più regredibili, si rende necessario il trattamento medico e/o chirurgico, che viene quindi riservato soltanto a una ristretta percentuale di pazienti adolescenti.
Ulteriori indicazioni a trattare sono le elevate dimensioni delle mammelle (> 4 cm) (fig 3) e/o la presenza di dolore mammario.

 

 

Figura 3. Paziente di 16.1 anni, obeso e ipotiroideo con ginecomastia

 

Una volta identificate e trattate le cause della ginecomastia, sono necessari alcuni mesi prima di assistere alla riduzione del volume mammario. Nei pazienti con ginecomastia dolorosa che non possono essere sottoposti ad intervento chirurgico e che non sono candidati ad altre terapie, può essere utile il trattamento con anti-estrogeni, come il tamoxifene (20 mg/die), in grado di ridurre il dolore e le dimensioni mammarie in più della metà dei pazienti. In studi su un limitato numero di pazienti il tamoxifene o il raloxifene, antagonisti del recettore degli estrogeni, hanno ridotto le dimensioni della ghiandola, anche se è poco frequente una regressione completa della ginecomastia. Poiché la base delle prove è attualmente bassa, la prescrizione di tamoxifene resta off-label e ciò deve essere attentamente spiegato ai pazienti (15). Anche gli inibitori dell'aromatasi possono essere efficaci, specie nelle fasi iniziali della malattia. In uno studio randomizzato su uomini con ginecomastia confermata, l’anastrozolo non si è però dimostrato più efficace del placebo nel ridurre le dimensioni mammarie (16).

Vanno inviati alla chirurgia tutti quegli adolescenti che mostrino/riferiscano importanti conseguenze sulla qualità di vita e accettazione della propria immagine corporea, in cui le terapie mediche non hanno permesso di ottenere risultati, anche di tipo estetico, accettabili per il giovane paziente. L’intervento di escissione del parenchima ghiandolare e del tessuto adiposo della regione mammaria, se eseguito da chirurgo con specifiche competenze, può permettere di ottenere risultati, sul piano estetico, molto interessanti e utili per i nostri adolescenti.

 

 

Figura 4. Ginecomastia in paziente di 17.3 anni, stadio puberale G5, con ipogonadismo primitivo ma valori di T nei limiti della norma ed aumento del rapporto E2/T

 

 

Figura 5. Esiti di intervento per ginecomastia bilaterale: evidenti le cicatrici peri-areolari

 

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Carla Bizzarri
UOC Endocrinologia e Diabetologia, Ospedale Bambino Gesù, IRCCS, Roma

(aggiornato al 10 ottobre 2016)

 

INTRODUZIONE

L’ipofisi è costituita dall’adeno-ipofisi, che comprende i lobi anteriore e intermedio (derivati dall'ectoderma orale), e dalla neuro-ipofisi (derivata dall’ectoderma neurale).
Il lobo anteriore contiene cinque tipi di cellule (con i rispettivi ormoni increti): somatotrope (GH), tireotrope (TSH), lattotrope (PRL), gonadotrope (FSH e LH) e corticotrope (ACTH). Il lobo intermedio contiene le melanotrope, secernenti pro-opiomelanocortina, il precursore di MSH ed endorfine. Il lobo posteriore è composto dalle proiezioni assonali di neuroni, i cui corpi cellulari risiedono nei nuclei ipotalamici sopra-ottico e para-ventricolare, secernenti rispettivamente AVP e ossitocina.
Lo sviluppo dell’ipofisi dipende dall’espressione sequenziale, in senso sia temporale che spaziale, di fattori di trascrizione e molecole di segnale. L’ipopituitarismo congenito può essere causato da mutazioni di uno qualsiasi dei geni coinvolti nello sviluppo dell'ipofisi (tab 1).

 

Tabella 1
Caratteristiche cliniche dell’ipopituitarismo congenito legato a mutazioni dei principali geni codificanti per i fattori di trascrizione coinvolti nello sviluppo dell’ipofisi (adattata da 2)
Fattore di trascrizione Trasmissione Difetti ormonali Quadro RM Altre caratteristiche cliniche
POU1F1 (PIT1) AR, AD GH, TSH, PRL APH  
PROP1 AR GH, TSH, LH, FSH, PRL; deficit di ACTH a presentazione tardiva APH, N, E Talvolta transitoria iperplasia dell’ipofisi anteriore
HESX1 AR, AD IGHD, CPHD APH, EPP, ACC Displasia setto-ottica
LHX3 AR GH, TSH, LH, FSH, PRL (talvolta ACTH) APH, N, E Limitata mobilità del collo, colonna cervicale corta, sordità neuro-sensoriale
LHX4 AD CPHD (GH, TSH, ACTH, talvolta FSH-LH) APH, EPP Anomalie cerebellari
SOX2 AD (de novo) Ipogonadismo centrale, talvolta GHD APH Anoftalmia/microftalmia, atresia esofagea, anomalie genitali, amartoma ipotalamico, sordità neuro-sensoriale, diplegia
SOX3 XL IGHD o CPHD APH, EPP Ritardo mentale
OTX2 AD IGHD o CPHD (GH, TSH, PRL, LH, FSH) N, APH, EPP Anoftalmia/microftalmia bilaterale
TBX19 (T-PIT) AR ACTH N Ipoglicemia neonatale grave
PC1 AR ACTH, LH, FSH N Ipoglicemia ricorrente, obesità
DAX-1 XL FSH, LH N Ipoplasia congenita del surrene, con insufficienza surrenalica neonatale o a esordio tardivo
AR = autosomica recessiva; AD = autosomica dominante; XL = X-linked; APH = ipoplasia dell’ipofisi anteriore; N = normale; E = iperplasia dell’ipofisi anteriore; EPP = ectopia della neuro-ipofisi; ACC = agenesia del corpo calloso

 

L’ipopituitarismo congenito si manifesta sia come deficit isolato di un ormone, più comunemente deficit di GH isolato (IGHD), sia come deficit combinato di più ormoni (CPHD). I deficit ormonali possono presentarsi come parte di una sindrome comprendente anomalie nelle strutture che condividono una comune origine embriologica, come l'occhio e il prosencefalo. Le mutazioni nei geni implicati nelle prime fasi di sviluppo dell'ipofisi tendono a provocare forme sindromiche di ipopituitarismo, associato a difetti extra-ipofisari e anomalie della linea mediana. Mutazioni di geni implicati nella differenziazione di particolari tipi di cellule o codificanti specifiche subunità ormonali danno luogo a carenze isolate di ormoni ipofisari.

 

MANIFESTAZIONI CLINICHE NEL PERIODO NEONATALE

I neonati con ipopituitarismo congenito hanno peso e lunghezza normali alla nascita, mentre è stata descritta un’aumentata prevalenza di asfissia perinatale.
Possono presentare sintomi non specifici, associati o meno ad anomalie delle strutture aventi origine embriologica comune con quella ipofisaria (occhi, setto pellucido, corpo calloso) e di altre strutture della linea mediana (labio-palatoschisi, anomalie genitali). In alternativa, possono essere inizialmente asintomatici e sviluppare difetti ormonali nel corso del tempo. Per questa ragione, nei neonati con ipoplasia dei nervi ottici, anomalie della linea mediana o sindromi note per essere associate all’ipopituitarismo è necessario un follow-up endocrino a lungo termine, anche se le indagini ormonali iniziali sono normali.
I sintomi sono spesso correlati alla presenza di ipoglicemia, con conseguenti segni di neuroglicopenia, quali letargia, crisi di apnea, irritabilità, convulsioni, scarso incremento ponderale. Possono associarsi iposodiemia non accompagnata da iperkaliemia, instabilità della temperatura corporea, sepsi ricorrenti, instabilità emodinamica e colestasi neonatale con ittero prolungato. Può essere presente nistagmo, correlato a ipoplasia dei nervi ottici o agenesia del corpo calloso.
L'ipoglicemia è dovuta principalmente alla mancanza di ACTH, in neonati con CPHD o con deficit isolato di ACTH; più raramente può essere associata a IGHD. Poiché i glucocorticoidi attivano il flusso biliare, la carenza di cortisolo può ritardare la maturazione fisiologica di sintesi e trasporto degli acidi biliari, con conseguente colestasi. L’iperbilirubinemia coniugata si manifesta a un'età media di 13 giorni ed è seguita da aumento delle transaminasi 2-4 settimane più tardi, mentre la gamma-GT rimane normale. Il deficit di TSH determina instabilità della temperatura corporea e contribuisce al prolungato ittero neonatale. Nei maschi, il deficit di gonadotropine è suggerito dalla presenza di micropene, associato o meno a criptorchidismo, in quanto la crescita del pene e la discesa del testicolo dipendono dalla normale secrezione fetale di LH e testosterone durante il II e il III trimestre di gravidanza.

 

ITER DIAGNOSTICO

La diagnosi di ipopituitarismo in epoca neonatale è difficile, per fattori come l'immaturità dell'asse ipotalamo-ipofisi, la mancanza di dati normativi appropriati per l’età e la controindicazione per alcuni test di stimolo. Sebbene fino al 52% dei neonati ipopituitarici possa avere complicazioni quali ipoglicemia, iponatremia e sepsi, la diagnosi viene posta nel periodo neonatale solo nel 23% dei casi.

 

Deficit di ACTH e deficit di GH
Poiché il deficit di ACTH e l’ipocortisolismo rappresentano un pericolo per la vita, nel sospetto di ipopituitarismo congenito è fondamentale indagare per prima la funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Nei primi sei mesi di vita il ritmo circadiano del cortisolo non è ancora presente. I risultati del cortisolo basale su campioni prelevati al mattino rispetto a quelli della sera non sono conclusivi e il concomitante trattamento con steroidi per eventuali patologie perinatali può complicarne l'interpretazione. Il test all’ipoglicemia insulinica è controindicato per tutto il primo anno di vita. Il test standard con ACTH è sicuro e semplice, ma ha una sensibilità dell’80%, di conseguenza può dare luogo a risultati falsi negativi. Il test con CRH consente la valutazione dell'asse nei neonati asintomatici, ma i dati di riferimento sono scarsi e il test è controindicato nei neonati malati o piccoli.
Nel lattante con ipoglicemia da sospetto ipopituitarismo (ad es. per la presenza di anomalie della linea mediana), gli esami ormonali in corso di ipoglicemia spontanea possono essere sufficienti a porre diagnosi: si considerano diagnostici GH < 5 ng/mL e cortisolemia < 10 µg/dL.
È importante sottolineare che:

  • la glicemia nel neonato è normalmente più bassa che nell’adulto e la definizione dell’ipoglicemia in epoca neonatale prevede limiti di riferimento diversi (tab 2);
  • i test di stimolo per GH sono controindicati nei bambini di età < 1 anno;
  • livelli di IGF-1 bassi sono poco indicativi di GHD, perché fortemente influenzati dalle condizioni nutrizionali e da eventuali patologie concomitanti;
  • l’IGF-binding protein-3 sembra risentire meno di questi fattori, ma il suo dosaggio non è sempre disponibile;
  • in epoca neonatale i livelli di GH sono normalmente elevati, per cui valori random di GH basale < 7 ng/mL suggeriscono di per sé la diagnosi di GHD.

 

Tabella 2
Cut-off per ipoglicemia nelle diverse età (in mg/dL)
  Sangue intero Plasma
Neonato a termine < 35 < 40
Pretermine < 30 < 35
Lattante < 45 < 50

 

 

Deficit di TSH
L’ipotiroidismo centrale rappresenta il 13.5% dei casi di ipotiroidismo congenito permanente. La maggior parte dei pazienti con ipotiroidismo centrale (78%) ha ulteriori deficit di ormoni ipofisari. La diagnosi di deficit di TSH è suggerita da bassi livelli sierici di FT4 associati a livelli di TSH inappropriati (nel range della norma o lievemente aumentati). Il test con TRH non è necessario per la diagnosi di ipotiroidismo centrale.

 

Deficit di gonadotropine
Il neonato con micropene
, associato o meno a criptorchidismo, è sospetto per essere affetto da ipogonadismo ipogonadotropo. Nel maschio, l'aumento post-natale di LH, FSH e testosterone raggiunge il suo picco tra 4 e 10 settimane (periodo definito della mini-pubertà) e poi declina dai 6 mesi di età. Nelle femmine l'aumento di FSH ed LH può essere rilevato fino a circa 2 anni di età. Esiste quindi una finestra di opportunità per la diagnosi precoce di ipogonadismo ipogonadotropo mediante la valutazione dei livelli basali di LH, FSH e steroidi gonadici, eventualmente associata a test di stimolo con GnRH e hCG. I neonati con ipogonadismo ipogonadotropo hanno basse concentrazioni basali di LH ed FSH e una ridotta risposta delle gonadotropine al GnRH. Il test all’hCG mostra invece una risposta normale del testosterone (> 100 ng/dL).

 

Diabete insipido
Il diabete insipido centrale può manifestarsi nei neonati con difetti della linea mediana, è invece assente nelle forme di ipopituitarismo da mutazioni dei fattori di trascrizione. Il neonato e il lattante con diabete insipido sono particolarmente a rischio di disidratazione ipernatremica, in quanto a questa età può essere inadeguato il riconoscimento della poliuria, della sete e conseguentemente l’apporto idrico. Il rilievo di elettroliti e osmolarità su campioni plasmatici e urinari prelevati contemporaneamente nelle prime ore del mattino orienta la diagnosi: è suggestiva per diabete insipido centrale un’osmolarità urinaria ≤ 300 mOsm/L, associata a osmolarità plasmatica ≥ 300 mOsm/L, soprattutto se in presenza di sodiemia ≥ 145 mEq/L. Il test dell’assetamento è pericoloso e deve essere fatto solo in centri specializzati con il paziente ricoverato.

 

Risonanza magnetica
La RM dell’encefalo e della zona ipotalamo-ipofisaria senza e con mezzo di contrasto è essenziale nell’iter diagnostico dei neonati con ipopituitarismo sospetto o già diagnosticato, in quanto esiste una correlazione tra anomalie neuroradiologiche e gravità ed evoluzione delle endocrinopatie. I segni da ricercare comprendono: dimensioni dell’adeno-ipofisi, presenza e posizione della neuro-ipofisi (assente o ectopica/non discesa), presenza e morfologia del peduncolo ipofisario, del corpo calloso e del setto pellucido, aspetto dei nervi ottici e del chiasma, anomalie associate (oloprosencefalia, schizencefalia, ipoplasia cerebellare, aplasia del fornice, malformazione di Chiari). Il rischio di ipopituitarismo è 27.2 volte maggiore nei pazienti con neuro-ipofisi ectopica rispetto a quelli in cui è normalmente posizionata.

 

LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON IPOPITUITARISMO CONGENITO

Nelle forme genetiche l’analisi molecolare consente di prevedere quali deficit si possono sviluppare e di ottimizzare i tempi di inizio delle varie terapie sostitutive (le mutazioni di PROP1 comportano la progressiva comparsa di deficit di tutte le tropine ipofisarie, mentre quelle di Pit-1 risparmiano ACTH e gonadotropine).
Il neonato con ipopituitarismo congenito può presentarsi con ipoglicemia persistente e/o micropene e/o ittero colestatico e ipertransaminasemia. La terapia con GH, idrocortisone e levotiroxina normalizza la glicemia e l’ittero colestatico; il trattamento con testosterone enantato, alla dose di 25 mg/mese per 3-4 mesi incrementa le dimensioni dell’asta.

 

Terapia con glucocorticoidi
L’iposurrenalismo centrale può essere già presente alla nascita o instaurarsi gradualmente, come nell’ipopituitarismo congenito da mutazione di PROP-1. La terapia si basa sulla somministrazione di idrocortisone, analogamente a quella dell’iposurrenalismo primitivo. Si differenzia tuttavia da quest’ultimo per alcuni aspetti fondamentali: non è necessario somministrare un mineralcorticoide, in quanto il sistema renina-angiotensina-aldosterone funziona correttamente. La dose sostitutiva è meno chiaramente individuabile, sia per l’inutilità del dosaggio dell’ACTH nel monitoraggio della terapia, sia per le interferenze reciproche legate al trattamento dei deficit associati. Recentemente, la produzione quotidiana del cortisolo è stata valutata tra 6 e 8 mg/m²/die, pertanto la terapia consigliata è stata ridotta a questo dosaggio, in assenza di episodi ipoglicemici o altri segni di iposurrenalismo. Particolare cautela nello stabilire le dosi deve essere posta con i bambini sotto i 3 anni, per il maggiore rischio di ipoglicemia in caso di supplementazione insufficiente. La somministrazione in 3 dosi quotidiane sembra mantenere livelli di cortisolemia più fisiologici nelle 24 ore. È inoltre necessario utilizzare la minor dose possibile, per evitare un effetto negativo sull’accrescimento staturale.
Sebbene l’iposurrenalismo centrale sia solitamente meno severo di quello primitivo, questi pazienti possono essere a rischio di iposurrenalismo acuto e richiedere adattamento della dose in corso di stress e una preparazione adeguata agli interventi chirurgici.

 

Terapia con L-tiroxina
La levotiroxina deve essere iniziata non appena posta la diagnosi, alle dosi comunemente utilizzate nell’ipotiroidismo primario, da adeguare sulla base del valore dell’FT4, che deve essere mantenuto nel terzo superiore del range di normalità. Poiché la tiroxina può evidenziare un iposurrenalismo latente, nel caso di un’insufficienza di ACTH è importante iniziare prima la terapia con cortisolo e, nei casi dubbi, seguire il paziente con stretto monitoraggio.

 

Terapia con GH
Quando si inizia, è necessario monitorare, inizialmente ogni 3 mesi poi ogni 6 mesi, FT3, FT4 e TSH, perché IGHD può mascherare un ipotiroidismo centrale, che si evidenzia dopo l’inizio della terapia sostitutiva con GH. La terapia con GH causa talvolta un aumentato fabbisogno di L-tiroxina in caso di ipotiroidismo centrale già in trattamento. In caso di sospetto deficit ipofisario multiplo e di FT4 a livelli minimi della norma, può essere indicato iniziare la terapia con L-tiroxina prima di quella con GH. È importante ottimizzare la crescita prima dell’età puberale.
Le modifiche terapeutiche della fase di transizione e nell'età adulta sono analoghe a quelle dell’IGHD, mentre la pausa di terapia e il retesting sono consigliati ma non considerati come assolutamente necessari.

 

Terapia dell’ipogonadismo centrale
Ha lo scopo di indurre la pubertà, mantenere i caratteri sessuali secondari, consentire lo spurt puberale e una regolare mineralizzazione ossea, creare le premesse per un’eventuale fertilità in età adulta.
Nel maschio, l’induzione puberale si inizia a 13-14 anni con 3 possibili schemi terapeutici:

  1. testosterone enantato im ogni 15 giorni a dosi progressivamente crescenti da 25 a 200-250 mg;
  2. gonadotropine im (hCG 1-2 volte/settimana e hMG o FSH ricombinante 2-3 volte/settimana);
  3. gonadotropine per 1-2 anni e successivamente testosterone.

Il testosterone ha maggiore efficacia e rapidità di risultati e migliore compliance, ma comporta mancato aumento del volume testicolare. L’uso combinato dei due schemi in successione è probabilmente il migliore, ma rimane prioritario valutare insieme al ragazzo e ai familiari quale sia la scelta più opportuna. Recentemente la terapia con gonadotropine è stata proposta anche nel periodo neonatale, in alternativa alla terapia con testosterone, per mimare quanto fisiologicamente succede nella “mini-pubertà”.
Nella femmina l’induzione della pubertà avviene verso gli 11-12 anni, con la somministrazione per os a dosi crescenti di etinil-estradiolo (da 2.5 a 15 µg/die) o estrogeni coniugati (da 0.3 a 1.25 mg/die) o di estradiolo per via transdermica (cerotti, gel). Alla comparsa del primo sanguinamento vaginale si passa a somministrare estroprogestinici ciclici.

 

Diabete insipido centrale
La desmopressina, analogo sintetico dell’ormone antidiuretico, può essere somministrata come spray nasale o per via sublinguale. Il fabbisogno è molto variabile, con dosi di 1-2 spruzzi (5-10 µg) o 1 compressa sublinguale (60 µg) per 1-3 volte al giorno. Il monitoraggio si basa sulla diuresi, che non dovrebbe superare i 1800 mL/m²/die.
Nel neonato e nel piccolo lattante a volte si preferisce soprassedere temporaneamente alla terapia con desmopressina, per la difficoltà di stabilire la dose adeguata e per il rischio di intossicazione da acqua in caso di sovradosaggio. Particolare cautela deve essere posta inoltre nel trattamento del diabete insipido secondario a malformazioni del sistema nervoso centrale, quali l’oloprosencefalia, in cui anche dosi molto basse possono causare ampie variazioni della sodiemia e dell’osmolarità. In tutti questi casi si consiglia in prima istanza di assicurare un apporto idrico sufficiente a compensare le perdite, iniziando poi con dosi di desmopressina estremamente ridotte (es. 1/16- 1/8 di compressa/die) solo in caso di persistente squilibrio idro-elettrolitico.

 

BIBLIOGRAFIA

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Vito Angelo Giagulli1, Marianna Bono2 & Piernicola Garofalo2
1Unità Territoriale di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Presidio di Assistenza Territoriale “F Jaia”, Conversano AUL/Bari
2UO Endocrinologia, AO Ospedali Riuniti Villa Sofia – Cervello, Palermo

(aggiornato al 21 febbraio 2019)

 

Definizione ed epidemiologia
La sindrome di Klinefelter (SK) è una malattia genetica, con uno spettro di quadri caratterizzati dalla presenza di almeno un cromosoma X soprannumerario rispetto a quello presente in un soggetto con cariotipo normale 46 XY.
I quadri fenotipici e clinici, quindi, possono variare a seconda che si tratti di soggetti 47 XXY, 48 XXXY, 49 XXXXY oppure 49 XXXYY, oltre ai più complessi mosaicismi, cioè quadri clinici e fenotipici misti, composti dalla presenza di linee cellulari diverse con diverse alterazioni genetiche (ad esempio: 46XY/47XXY, 47XXY/48XXXY, e così via). La gravità del quadro clinico dipende dal numero di cromosomi X in più (1).
Questa premessa potrebbe far pensare che le manifestazioni cliniche di questa sindrome siano così evidenti da renderla facilmente riconoscibile, ma così non è. Sappiamo oggi con certezza che la SK è sottostimata, in quanto soprattutto i mosaicismi danno molto spesso luogo a espressioni fenotipiche molto sfumate, che arrivano alla diagnosi in età adulta, quando il soggetto viene studiato per disturbi della sfera sessuale o per l’infertilità di coppia.
Dal punto di vista epidemiologico, la prevalenza stimata della SK è di 1 su 500 nati, per cui non è certo una patologia genetica rara, come era considerata fino a poco tempo fa. Solo nel 40% dei soggetti viene fatta una diagnosi precoce, mentre il 60% di questi pazienti giunge alla diagnosi in età adulta.

 

Clinica
Le manifestazioni possono essere svariate. Nelle forme più lievi i soggetti si presentano di alta statura, tendenti all’obesità, presentano ginecomastia (cioè presenza di tessuto mammario più sviluppato rispetto ai soggetti di sesso maschile non affetti), testicoli piccoli e di consistenza aumentata, piccole disabilità neuro-psico-motorie. Buona parte dei soggetti con SK giunge alla diagnosi in seguito ad indagini eseguite per scoprire le cause di infertilità di coppia: dopo avere eseguito un cariotipo o dopo l’esame del liquido seminale, che mostra assenza o forte riduzione del numero degli spermatozoi.

 

Diagnosi
La diagnosi di SK è oggi divenuta più precoce, addirittura spesso in epoca fetale, grazie a una maggiore sensibilizzazione e conoscenza della sindrome, e perchè molte coppie procreano in età più avanzata, motivo che porta a richiedere sempre più frequentemente l’amniocentesi (2). La diagnosi clinica o sui dati di laboratorio (deficit di testosterone con gonadotropine aumentate) deve comunque essere confermata dal cariotipo.

 

Terapia
Nei soggetti in cui la diagnosi viene posta in epoca prenatale, i soggetti vengono seguiti soprattutto per la ricerca di disabilità neuro-psicomotorie ed eventualmente supportati. In età adolescenziale ed adulta la terapia è sostitutiva con il testosterone, utilizzato in varie formulazioni (intramuscolare, transdermica), che serve a consentire un adeguato sviluppo dei caratteri sessuali secondari, a mantenere il desiderio sessuale, a prevenire l’osteoporosi (3).

 

Fertilità
Per diversi anni il paziente con la SK è stato ritenuto infertile (4). Questi dati risultavano, tuttavia, in parziale contrasto con gli studi osservazionali, che riportano sia gravidanze spontanee in coppie il cui partner è affetto da KS, sia la presenza di spermatozoi nell’eiaculato di circa il 10% dei soggetti con forme mosaiche (46XY/47XXY) e di almeno l’8% dei quelli con la forma classica (47XXY) (5). Queste evidenze hanno suggerito la possibilità che alcuni soggetti con KS abbiano alcune isole di spermatogenesi normale, rendendo possibile il recupero di spermatozoi dai testicoli (TESE) nell’ambito di un percorso altamente tecnologico di procreazione medicalmente assistita (ICSI: intracytoplasmatic sperm injection). Tuttavia, è necessario sottolineare l’opportunità di uno studio genetico pre-impianto per le coppie il cui partner è affetto da KS, al fine di escludere la presenza di spermatozoi aneuploidi tra quelli da utilizzare per la ICSI (6).
Sono a tutt’oggi poco noti i fattori che possono influenzare il tasso di ritrovamento di spermatozoi (SSR), il tasso di gravidanze (PR) e il tasso di nati vivi (LBR) dopo TESE in adulti con KS e successiva ICSI. Una meta-analisi suggerisce che, indipendentemente dalla tecnica utilizzata (microTESE o macroTESE), nel soggetto KS l’SSR è pari al 50%, così come PR e LBR dopo ICSI. Questi risultati sono indipendenti dai parametri presi in considerazione nello studio metanalitico (testosterone, FSH, LH, età e volume testicolare) (7).
Oggi queste tecniche sono utilizzate anche nei soggetti in età adolescenziale, per recuperare spermatozoi da crioconservare per consentirne un utilizzo futuro, visto che nel corso degli anni il numero degli spermatozoi si riduce inevitabilmente (8).

 

Sessuologia
Se l’associazione della KS con l’infertilità è ben nota, pochi sono gli studi riguardanti la sessualità di questi soggetti. Gli studi fin qui condotti hanno rilevato che i soggetti con KS lamentano prevalentemente desiderio ipoattivo e alcune forme non severe di disfunzione erettile, la cui genesi non va considerata specifica della sindrome ma squisitamente endocrina, cioè dovuta al deficit di testosterone (9,10). Infatti, uno studio controllato con placebo, sebbene di piccole dimensioni, ha documentato che il trattamento sostitutivo con testosterone è in grado di migliorare significativamente i disturbi lamentati (11). Al contrario, un recente studio osservazionale ha evidenziato che esistono caratteristiche comportamentali che vanno considerate specifiche della sindrome, in particolare dovute alla presenza di un cromosoma X extra. I pazienti con KS, infatti, presentano un rischio più elevato rispetto alla popolazione di controllo di tratti autistici, comportamenti parafiliaci e disforia di genere, sostenuti da una personalità ossessiva-compulsiva (12).

 

Co-morbilità metaboliche e cardio-vascolari
È generalmente noto che i soggetti con KS hanno un elevato rischio (fino al 70%) di ospedalizzazione, presentando elevata incidenza di malformazioni, rischio cardio-vascolare (CV), disturbi psichiatrici e malattie metaboliche rispetto a soggetti della stessa età. Nel soggetto con KS, infatti, il tasso standard di mortalità (SMR) è aumentato:

  • per le patologie CV (disfunzione ventricolare diastolica, cardiopatie congenite, trombosi degli arti inferiori, ecc): SMR 1.3 (IC95% 1.1-1.5);
  • per le malattie cerebro-vascolari (emorragie subaracnoidee, malformazioni artero-venose, ictus ischemico, ecc): SMR 2.2 (IC95% 1.6-3.0);
  • per le malattie metaboliche (obesità, sindrome metabolica, diabete mellito tipo 2 conclamato, ecc): 4.8 (IC95% 2.9-7.4).

Tenendo conto di questi dati, si può affermare che la spettanza di vita di questi pazienti è ridotta rispetto alle popolazioni sane (13).
Fra i fattori patogenetici di queste patologie vanno considerati quelli legati a malformazioni congenite (per es. vascolari), quelli dovuti a uno stato trombofilico (elevati tassi di PAI 1, di fattori della coagulazione, iperreattività primitiva delle piastrine) e, in particolare, quelli dovuti a disturbi metabolici (obesità, dislipidemie, diabete mellito tipo 2, ecc) (14). Poiché per questi ultimi l’SMR risulta più elevato in questi pazienti e poiché è documentato un legame fisiopatologico tra il deficit di testosterone e le malattie metaboliche, si è focalizzato un crescente interesse per studi clinici e fisiopatologici sui disturbi metabolici e la SK. Le malattie metaboliche sono, infatti, veramente frequenti sia negli adolescenti con KS che soprattutto negli adulti. I ragazzi e gli adolescenti con KS presentano riduzione della massa magra, con significativo incremento del grasso localizzato prevalentemente a livello del tronco, che, come è noto, costituisce un fattore favorente l’insulino-resistenza e lo sviluppo della sindrome metabolica (15). Nonostante il trattamento sostitutivo con testosterone venga intrapreso tempestivamente nei KS, spesso non si riesce a superare la condizione sfavorevole di insulino-resistenza e a ottenere un miglioramento della composizione corporea e del profilo metabolico (9,16). Questo suggerisce una patogenesi genetica piuttosto che un ruolo esclusivamente metabolico (ipogonadismo). Viene ipotizzato che geni presenti sull’extra cromosoma X siano espressi in eccesso, causando alterazioni del metabolismo del glucosio o dell’infiammazione, che possono essere alla base dei disturbi metabolici (17).

 

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Elisa Parolo, Francesca Dassie, Francesca Favaretto, Gabriella Milan, Pietro Maffei
Azienda Ospedaliera di Padova, Clinica Medica 3^, DIMED

(aggiornato al 21 luglio 2016)

 

Epidemiologia e genetica
La sindrome di Alström (ALMS) (OMIM 203800) è una malattia monogenica molto rara, descritta per la prima volta nel 1959 da CH Alström, a ereditarietà mendeliana autosomica recessiva. La prevalenza è di circa 1:1.000.000 nella popolazione generale e sono stati descritti finora circa 1000 casi in tutto il mondo.
È una malattia sistemica a espressione fenotipica variabile, la cui caratteristica principale è una fibrosi generalizzata a eziologia ancora sconosciuta, che porta a una progressiva insufficienza multi-organo. I pazienti hanno un’aspettativa di vita ridotta, che raramente supera i 50 anni di età. Vi è una grande variabilità nella clinica, anche nei pazienti portatori della stessa mutazione, sia per quanto riguarda la gravità dei sintomi, sia per l’età di esordio, che può avvenire alla nascita, in età infantile o durante l’adolescenza.
L’ALMS è causata da mutazioni nel gene ALMS1, localizzato sul braccio corto del cromosoma 2 (2p13); ALMS1 contiene 23 esoni, che codificano una proteina di 4.169 aminoacidi, la cui funzione è solo in parte conosciuta. Ad oggi sono state individuate più di 200 mutazioni, la maggior parte nonsense, delezioni ed inserzioni, raggruppate negli esoni 8, 10 e 16. La proteina prodotta da ALMS1 normalmente è localizzata nei corpi basali, in prossimità del cilio e nei centrosomi, ed è quindi implicata sia nel funzionamento delle cilia sia nel trasporto citoplasmatico del sistema micro-tubulare.
L’ALMS può essere classificata nel gruppo di malattie definite come ciliopatie, che hanno in comune una disfunzione ciliare, a cui appartiene anche la sindrome di Bardet-Biedl, con la quale ALMS condivide i difetti molecolari a livello dei corpi basali e alcune caratteristiche cliniche.

 

Caratteristiche cliniche
Tratti somatici
: sono caratteristici, con occhi infossati, viso arrotondato, iperostosi frontale, orecchie piccole e spesse, stempiatura prematura fino a quadri di calvizie con capelli sottili; inoltre, è spesso presente brachidattilia con dita tozze, e piedi piatti. Frequente è anche la presenza di scoliosi o cifosi, e anomalie dentarie. Queste caratteristiche somatiche si rendono più evidenti con la crescita del paziente.
Sviluppo mentale: la maggior parte dei pazienti presenta un’intelligenza nella norma, soprattutto se la diagnosi della malattia è precoce e vengono forniti quindi tutti gli strumenti per un normale raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo. Sono stati riportati rari casi di ritardo mentale, che potrebbero però essere legati essenzialmente a supporto educazionale scarso o assente. Inoltre, si sono visti casi che presentano problemi neurologici, come episodi di assenza, epilessia, comportamento autistico.
Deficit visivi: già poche settimane dopo la nascita si verifica una disfunzione retinica, con insorgenza di nistagmo e fotofobia; all’elettroretinogramma si evidenzia una grave compromissione della retina, caratterizzata da distrofia dei coni e attività ridotta dei bastoncelli. I potenziali visivi evocati risultano molto ridotti. Con il tempo vi è una progressiva degenerazione retinica, che si estrinseca in un quadro di retinite pigmentosa, con perdita progressiva di funzionalità fino alla cecità, che si instaura generalmente entro la seconda decade di vita. Anche se il processo è irreversibile, si può intervenire precocemente con supporto sia medico che educazionale (ausili visivi e informatici dedicati, apprendimento della lettura Braille).
Deficit uditivi: nella maggior parte dei casi c’è una progressiva sordità di tipo neuro-sensoriale bilaterale già nella prima decade di vita, che evolve solitamente verso forme moderate-severe. Il processo può essere favorito da otiti acute ricorrenti, che compromettono la via trasmissiva. Anche se solitamente il deficit si instaura dopo l’acquisizione del linguaggio, l’utilizzo di adeguate protesi acustiche facilita un corretto sviluppo psico-motorio. Nei casi più gravi si è dimostrata efficace la terapia chirurgica con impianti cocleari.
Alterazioni metaboliche: l’obesità è una caratteristica clinica costante, che si manifesta precocemente. Peso e lunghezza sono normali alla nascita, ma già nei primi mesi di vita vi è un progressivo incremento ponderale, con frequente concomitante iperfagia; è verosimile che ciò accada per una disfunzione centrale dei centri regolatori del'appetito. Con l’avanzare dell’età, si assiste talvolta a una progressiva normalizzazione del peso; questo peculiare quadro clinico sottende meccanismi fisio-patologici tuttora poco conosciuti. È stato riportato un marcato aumento del tessuto adiposo sotto-cutaneo addominale e la presenza di lipodistrofia soprattutto negli adulti. Spesso si riscontra ipertrigliceridemia, non sempre accompagnata da ipercolesterolemia; i livelli di trigliceridi possono essere tali da causare in alcuni casi pancreatiti. È possibile intervenire sui problemi ponderali e metabolici con l’introduzione di una dieta personalizzata e incentivando l’attività fisica, quest’ultima programmata tenendo conto del deficit visivo. Si riscontra frequentemente marcata insulino-resistenza, iperinsulinemia e ridotta tolleranza al glucosio, talvolta già nel primo anno di vita, che porta spesso allo sviluppo di franco diabete mellito tipo 2 prima dei vent’anni. Molto spesso questa alterazione del metabolismo glucidico è accompagnata dall’insorgenza di acanthosis nigricans. Anche in questo caso una dieta povera di carboidrati, e, nei casi meno controllati, l’impiego di anti-diabetici orali (metformina, incretine), mirano a ottenere un compenso glicemico adeguato, allo scopo di evitare l’insorgenza di complicanze. La marcata insulino-resistenza rende la terapia con insulina poco efficace anche con dosaggi elevati.
Alterazioni endocrine: esiste generalmente ipogonadismo iper- o ipogonadotropo, con frequenza maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Nei maschi i livelli di testosterone sono bassi, vi è un ridotto sviluppo degli organi riproduttivi e i caratteri sessuali secondari tendono a essere normali; talvolta compare ginecomastia. Nelle femmine l’ipogonadismo si può rendere manifesto alla pubertà, quando vi è un ritardo nella comparsa del menarca e dei caratteri sessuali secondari; le pazienti possono presentare un quadro di iperandrogenismo, irsutismo e alopecia. Le ovaie possono avere formazioni cistiche e fibrosi, con follicoli primari o secondari in numero esiguo o addirittura assenti; i cicli mestruali molto spesso sono irregolari con oligo-amenorrea. Oltre alla clinica, è quindi importante determinare e monitorare i livelli di gonadotropine e degli ormoni sessuali all’epoca della pubertà, per un’eventuale terapia sostitutiva nei maschi e l’utilizzo di estroprogestinici o insulino-sensibilizzanti nelle femmine. I pazienti ALMS hanno caratteristicamente una bassa statura ed è stata descritta una maggiore prevalenza di sella vuota; prima della pubertà, vi è una crescita staturale oltre il cinquantesimo percentile, con un’età ossea più avanzata di circa due-tre anni. Tuttavia, alla pubertà si può osservare un rapido declino della velocità di crescita, e questo comporta una statura finale inferiore alla norma. È stato studiato l’asse GH-IGF1, riscontrando in molti casi una ridotta secrezione di GH in risposta ai test di stimolo massimali. La terapia sostitutiva con GH rimane controversa, nonostante si sia visto un potenziale beneficio su composizione corporea, metabolismo glucidico e funzionalità cardiaca. Altro disordine endocrino frequente è l’ipotiroidismo di tipo centrale, mentre in alcuni pazienti insorge ipotiroidismo di tipo primario, a volte subclinico.
Alterazioni cardiache: nella maggior parte dei casi si ha cardiomiopatia dilatativa, con conseguente insufficienza cardiaca, che molto spesso insorge improvvisamente già nei primi mesi di vita. In seguito a trattamento è stato descritto un apparente recupero della funzionalità cardiaca. Tuttavia, può recidivare durante l’adolescenza o in età adulta, con coinvolgimento di entrambi i ventricoli e rapida progressione dell’insufficienza cardiaca, che porta a prognosi severa; infatti, la cardiomiopatia dilatativa rappresenta una delle cause più importanti di mortalità in questi pazienti. In una minoranza di soggetti, l’insufficienza cardiaca compare per la prima volta nell’adolescenza o in età adulta, verosimilmente in seguito a un lento processo di fibrosi, che coinvolge il muscolo cardiaco. La forma neonatale e quella dell’adulto sembrano avere meccanismi fisio-patologici diversi. In rari casi è stato effettuato trapianto di cuore o cuore-polmoni con risultati discordanti.
Alterazioni epatiche: nei pazienti con ALMS la disfunzione epatica mostra rilevante variabilità fenotipica, sia per quanto riguarda l’età di insorgenza, sia per decorso e prognosi; spesso esordisce clinicamente già nell’infanzia, con aumento delle transaminasi e steatosi. La steatosi epatica si associa frequentemente a obesità e diabete mellito; un meccanismo favorente l’accumulo di grasso nel fegato potrebbe essere legato proprio alla marcata insulino-resistenza. Questo quadro può peggiorare, portando a steatosi di grado moderato-severo, fino all’insorgenza di cirrosi epatica complicata. La rottura delle varici esofagee è una temibile complicanza dell’ipertensione portale osservata in alcuni casi.
Alterazioni renali: anche per questo aspetto, vi è un’ampia variabilità di presentazione clinica, in quanto l’età di esordio, la gravità della malattia e la relativa velocità di progressione sono diverse da soggetto a soggetto. Inoltre, vi sono casi che presentano solo lieve insufficienza renale cronica, altri in cui vi è albuminuria e rapida progressione fino a insufficienza renale terminale. Alcuni pazienti manifestano anche problemi urologici, con disfunzione dello sfintere vescicale, tali da richiedere, in alcuni casi, la cateterizzazione transitoria o permanente. In alcuni pazienti è stato effettuato con successo il trapianto di rene.
Alterazioni respiratorie: fin dall’infanzia si manifestano infezioni ricorrenti, che possono complicarsi con bronchite, sinusite cronica o asma; il quadro clinico può portare nell’adulto a bronchiectasie o bronco-pneumopatia cronica ostruttiva. È comune anche il riscontro di ipertensione polmonare. In certi casi è stata documentata la presenza di grave fibrosi interstiziale del parenchima polmonare.

 

Approccio diagnostico e terapeutico
Sono stati elaborati criteri diagnostici clinici, distinti tra maggiori e minori, che permettono di formulare la diagnosi nelle diverse fasce di età, anche quando non viene individuata una mutazione di ALMS1 in entrambi gli alleli in omozigosi (gold standard).

 

Criteri diagnostici per ALMS
Maggiori (validi per tutte le fasce di età)
  • 1 allele mutato di ALMS1
  • storia familiare di ALMS
  • disturbo della vista (degenerazione di coni e bastoncelli)
Minori < 2 anni
  • obesità
  • insufficienza cardiaca
3-14 anni
  • obesità e/o insulino-resistenza e/o diabete mellito
  • insufficienza cardiaca
  • deficit uditivo
  • disfunzione epatica
  • insufficienza renale
  • età ossea avanzata
> 15 anni
  • nei maschi ipogonadismo
  • nelle femmine iperandrogenismo e/o irregolarità mestruali e tutti i segni minori della fascia di età precedente

 

 La diagnosi è comprovata da:

  • nel paziente < 2 anni: 2 criteri maggiori o 1 maggiore + 2 minori;
  • nella fascia 3-14 anni: 2 criteri maggiori oppure 1 criterio maggiore + 3 minori;
  • nella fascia > 15 anni: 2 criteri maggiori + 2 minori oppure 1 criterio maggiore + 4 minori.

ALMS si manifesta inizialmente con disturbi visivi, può essere confusa con altre retinopatie, come ad esempio l’amaurosi congenita di Leber. Inoltre, poichè l’esordio può avvenire con cardiomiopatia e insufficienza cardiaca, questo quadro potrebbe essere erroneamente classificato come cardiomiopatia dilatativa infantile idiopatica o miocardite. Pertanto, è fondamentale una diagnosi differenziale corretta e supportata dall’indagine genetica.

Purtroppo non è ancora disponibile una terapia mirata per i pazienti ALMS, da cui l’importanza di una diagnosi precoce per un corretto approccio multi-disciplinare, al fine di prevenire le complicanze e migliorare sia la qualità che l’aspettativa di vita. Nella prima infanzia, è di fondamentale importanza sopperire ai deficit di tipo sensoriale, per un corretto sviluppo psico-motorio; inoltre devono essere approntate adeguate strategie per il trattamento dell’obesità e dell’iperfagia. Alterazioni metaboliche ed eventuali disfunzioni endocrine possono essere gestite con appropriata terapia medica. Per i problemi clinici maggiori, come la cardiopatia o le alterazioni epatiche e renali, è di fondamentale importanza coordinare l’intervento dei diversi specialisti, per ottimizzare la funzionalità dei vari organi e migliorare l’outcome a lungo termine.

 

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